I. INCONTRO TRA LO YOGA E LA PSICOLOGIA

Pagina creata da Valentina Cavaliere
 
CONTINUA A LEGGERE
I. INCONTRO TRA LO YOGA E LA PSICOLOGIA
Parte I. L’interpretazione di Jung

              I. INCONTRO TRA LO YOGA E LA PSICOLOGIA

1. Introduzione

         Molti utenti dei servizi di salute mentale ricorrono a sistemi di cura alternativi
alle medicine convenzionali per la cura di disturbi psichici come ansia, depressione,
tossicodipendenza, insonnia, disadattamento e sintomi psicotici. Le Medicine
Alternative e Complementari, dette MAC, sono utilizzate in modo integrativo alle
medicine tradizionali dal 16 al 50 % dei casi, e il 40 % dei pazienti non comunica al
proprio medico di farne uso. Alla luce di questi dati appare importante per gli
operatori della salute mentale conoscere questi metodi di cura alternativi. [15]1 Una
delle medicine complementari più diffuse è lo yoga, sempre più praticato nel mondo
occidentale. In una ricerca nazionale condotta negli Stati Uniti, il 7,5% del
campione asserisce di aver praticato lo yoga almeno una volta nella vita, e il 3,8%
di averlo praticato nell’ultimo anno [16]. A differenza delle altre MAC, la ricerca
scientifica sullo yoga si trova ancora a uno stato embrionale, e l’attenzione nei
confronti della disciplina in campo biomedico e psichiatrico si sta ampliando solo
negli ultimi anni.
         Il presente lavoro è suddiviso in due parti: nella prima parte sarà analizzato
come che uno dei più noti psicoanalisti del secolo scorso, Carl Gustav Jung, ha
interpretato la psicologia dello yoga, nella seconda parte sarà revisionata la
letteratura scientifica che studia l’efficacia della pratica yoga per la cura di
determinati disturbi psichici.

1
    I riferimenti bibliografici sono indicati tra parentesi quadre con il numero che compare in bibliografia.

                                                                                                                4
I. INCONTRO TRA LO YOGA E LA PSICOLOGIA
Si è scelto di utilizzare questi due punti di vista perché una trattazione
integrata si è rivelata la più adeguata nella ricerca di nessi tra due discipline
apparentemente così lontane come lo yoga e la psicologia. Una modalità olistica di
esaminare l’argomento è in linea con i concetti che s’incontrano in quest’ambito di
ricerca.
     La I parte non vuole essere una semplice introduzione, ma uno spunto per
riflettere sia circa lo yoga come disciplina millenaria giunta fino a noi, sia circa le
analogie e le differenze tra questa e la psicologia occidentale, con la volontà di
rispettare l’identità e la profondità di entrambe.

2. Che cos’è lo Yoga

     La parola yoga deriva dalla radice Yuj che significa “aggiogare, unire,
concentrare”. Questa disciplina nacque in ambiente aborigeno indiano nel terzo
millennio a.C., e fu codificata per la prima volta da Patanyali in un testo risalente al
II o al I secolo a. C.
     L’onnipresenza di corsi di yoga in ogni centro sportivo può indurre a
dimenticare che lo yoga non è soltanto un metodo di rilassamento, ma nasce come
un percorso graduale per la liberazione dal profano e dalla condizione umana e per
la reintegrazione nel cosmo e nello Spirito. Lo yogin sperimenta l’illusorietà del
mondo materiale e vuole affrancarsi da esso attingendo alla dimensione sacra, in cui
il corpo s’incontra con lo Spirito e quest’ultimo si distacca dalla personalità, dalla
vita psichica come noi la intendiamo. Al centro del sistema dello yoga c’è il corpo,
è dalla dimensione fisica che l’essere umano può iniziare il suo cammino spirituale
attraverso i diversi piani della realtà, per accedere a stati superiori della coscienza.

                                                                                           5
Con il termine yoga s’intende un vasto insieme di tecniche variamente
codificate, con lo scopo comune di indurre una trasformazione in chi le pratica. [4]
Lo yoga cui qui si farà principalmente riferimento è il Kundalinī yoga,
caratterizzato dal simbolismo dei cakra, e diffuso col movimento filosofico e
religioso del tantrismo. [1]

                                                                                  6
II. LA PROSPETTIVA DI JUNG

1. Il carattere degli studi orientali di Jung

                                   L’interesse di Carl Gustav Jung per la psicologia
                             orientale risale agli inizi del secolo scorso e culmina tra
                             le due guerre, ma influenzerà l’opera dell’autore anche
                             successivamente alla seconda guerra mondiale. Jung è
                             stato uno dei primi psicologi ad analizzare le filosofie
                             orientali in un’ottica psicoanalitica, ma il suo viaggio
                             letterario in Oriente non è certo stato un fenomeno
                             isolato, e s’inserisce in un interesse molto antico nella
cultura europea.
     Il fascino che l’Oriente riserva per Jung origina dal tentativo dell’autore di
superare la contrapposizione tra materia e spirito, e di ricercare una completezza
fondata sull’insieme degli elementi opposti e complementari della psiche,
integrando tra loro le funzioni razionali della mente con le funzioni che oltrepassano
la logica e la razionalità, cui il mondo occidentale agli inizi del XIX secolo offre
ancora scarsa attenzione.
     L’Oriente viene osservato da Jung non come una civiltà inferiore, ma come
uno specchio attraverso cui analizzare le carenze della cultura e della psicologia
occidentali, con un reciproco confronto nella modalità di un dialogo, senza la
pretesa di unificare e assimilare visioni così diverse: Jung interpreta l’Oriente con
uno spirito terapeutico simile a quello che utilizza in analisi con i suoi pazienti. [2]

                                                                                           7
1.1 Complementarietà tra l’Oriente e l’Occidente

     Secondo Jung la psiche individuale possiede tendenze opposte, al pari delle
diverse culture: mentre l’Occidente ha potenziato gli aspetti psichici legati
all’estroversione, l’Oriente ha privilegiato le qualità psicologiche legate
all’introversione. L’estroversione si basa sulla razionalità e sul controllo della realtà
esterna, l’introversione sulla comprensione e sul controllo del mondo interiore. Il
problema dell’Occidente è la sua eccessiva enfatizzazione del lato materiale e
razionale della psiche, che ha causato la perdita della conoscenza del cammino
interiore, mentre l’Oriente avrebbe offerto persino troppa attenzione al lato
spirituale e intuitivo.
     La prospettiva da cui Jung osserva lo yoga e le altre discipline orientali si basa
sulla consapevolezza di una profonda e incolmabile distanza tra l’uomo occidentale
e l’uomo orientale, per il quale la realtà e la mente coincidono. [2]

2. I presupposti teorici

     Come sappiamo, il distacco di Jung dalla psicoanalisi freudiana è
principalmente     dovuto    al   disaccordo    dell’autore    con      una   concezione
fondamentalmente biologica dell’essere umano e delle pulsioni. Jung simbolizza la
pulsione sessuale e la trasforma in energia interiore per la presa di coscienza di
sé.[3] È importane conoscere alcuni aspetti della psicologia analitica per
comprendere l’interpretazione delle filosofie orientali, nel nostro caso dello yoga e
del significato dei cakra.

                                                                                       8
2.1 L’individuazione

     Jung rivoluziona il modo di vedere il rapporto tra l’Io e il Sé: il Sé, che prima
era considerato l’Io cosciente, diviene la totalità della funzione psichica conscia e
inconscia, cui l’Io, comunemente ritenuto il centro della personalità, è subordinato.
Il Sé è costituito da fattori determinanti inconsci capaci di preformare l’Io.
     Jung concorda col pensiero indiano ritenendo che l’individuazione implichi
uno spostamento della personalità dall’Io al Sé, e l’unione degli elementi opposti
del Sé (consci e inconsci, razionali e irrazionali) in uno stato di completezza e
armonia. Ma nel pensiero indiano la meta a cui tende lo yoga è l’annientamento
dell’Io per l’identificazione col divino, e su questo punto Jung manifesta il suo
disaccordo, come vedremo in seguito. [2]

2.2 La teoria della sincronicità

     Nel 1952 Jung scrive il testo La sincronicità come principio di nessi acausali,
in cui tenta di dare una spiegazione ai fenomeni non interpretabili attraverso nessi
causali, ideando un principio complementare e opposto alla causalità, che egli
chiama “principio della sincronicità”. La sincronicità spiega quei collegamenti tra
fenomeni non dimostrati dalle leggi della causalità. Essa consiste in una
correlazione psicofisica di livello cosmico. Quando due o più fenomeni appaiono in
coincidenza temporale e con un contenuto analogo, possono essere tra loro collegati
in modo significativo secondo il principio di sincronicità. Questo principio viene
utilizzato dall’autore per spiegare le cosiddette coincidenze, ed è in linea con quella
concezione olistica dell’essere che caratterizza la psicologia junghiana. [3]

                                                                                     9
Quando processi psichici si svolgono contemporaneamente al di fuori della
logica e della razionalità, essi sono sincronici, fanno parte di un unico processo che
li accomuna.
     Lo yogin sa immettersi in questa corrispondenza trasversale di significati tra
psiche, soma e universo, che possono essere espressione su piani diversi di uno
stesso senso, in interazione tra loro oltre lo spazio e il tempo.
     Con la teoria della sincronicità l’individuo diventa un sistema integrato in cui i
singoli componenti psichici e somatici non possono essere isolati e sono in
interazione reciproca, cosa che conosce bene lo yogin, il quale lavora su
determinate funzioni corporee per ottenere la trasformazione di altre parti in
relazione significativa tra loro. [1]

3. Jung e lo yoga

3.1 L’incontro tra la Psiconalisi e lo Yoga

     I primi del Novecento, lo stesso periodo che segna l’avvento della psicoanalisi
e il bisogno di un riconoscimento della sua efficacia trasformativa, si diffondono in
Occidente molti testi yoga, e i guru indiani si contendono la clientela con gli
psicoterapeuti. Tale situazione spinge a un confronto tra lo yoga e la psicoanalisi.
     Nel 1912 Jung, in Trasformazioni e simboli della libido, propone una prima
interpretazione del Tantra yoga, e F. I. Winter lo segue nel 1918 con un articolo
titolato The Yoga System and Psychoanalysis in cui paragona la psicoanalisi di
Freud e Jung agli Yoga-sūtra di Patanjali. Nel 1925 Hermann Keiserling scrive: “La
ricerca psicologica conferma, passo passo, le affermazioni contenute (…)
nell’antica scienza indiana dell’anima” [4], e Oskar Schmitz nel 1923, in

                                                                                       10
Psychoanalyse und Yoga, asserisce che la psicologia di Jung si avvicina più di
qualunque altra al sistema yoga. [4]
     Il fascino che la cultura orientale riserva per Jung non si limita allo yoga, ma
va ben oltre, e lo spingerà a esaminare a fondo non solo la filosofia indiana, ma
anche il taoismo e il buddhismo.

3.2 Lo yoga come psicologia

     L’interesse di Jung per lo yoga Kundalinī nasce dal suo incontro con una
giovane paziente europea cresciuta in India, di cui riesce a capire i sogni e le
fantasie solo dopo la lettura di The Serpent Power, di Sir John Woodroffe, il quale
con lo pseudonimo di Avalon scrive una traduzione di due testi tantrici.
     Gli scritti che Jung dedica alla religione indiana sono due saggi: Lo yoga e
l’Occidente e La psicologia della meditazione orientale, ma approfondirà questi
argomenti soprattutto durante i seminari tenuti tra il 1930 e il 1939.
     Jung non osserva lo yoga come una filosofia o una religione, ma come
psicologia. Egli scrive    “Originariamente lo yoga era un processo naturale di
introversione (…). Nel corso di varie migliaia di anni questi tipi di introversione a
poco a poco si organizzarono in metodi seguendo vie molto diverse.” [3] Allentando
il controllo della coscienza, lo yoga permette l’esplorazione dell’inconscio. Il
deposito di rappresentazioni simboliche offerto dai diversi tipi di yoga offre a Jung
ricche analogie per l’interpretazione dell’inconscio collettivo e del processo di
individuazione. Lo scopo dell’autore è produrre una “psicologia comparata
dell’esperienza interiore” [4]. Lo yoga è una disciplina per giungere alla scoperta di
sé e dell’inconscio. Mentre gli occidentali cercano la spiritualità attraverso
l’elevazione, gli orientali lo fanno con l’immersione, fino a raggiungere
l’identificazione della coscienza con l’inconscio [2].

                                                                                   11
In Occidente c’è soltanto una disciplina paragonabile allo yoga: la psicologia
del profondo, che studia il lato oscuro dell’essere umano, a cui gli occidentali
cercano di sfuggire, e con cui nasce un conflitto morale assente nella psicologia
indiana perché “lo spirito dell’India si sviluppa dalla natura, il nostro è contro la
natura” [3]. Jung prosegue la riflessione definendo la psicologia occidentale come
lo yoga, in quanto capace di dimostrare scientificamente l’esistenza di un inconscio
collettivo. Tale è chiamato lo strato profondo dell’inconscio che supera la
componente individuale poiché contiene rappresentazioni primordiali universali,
dette archetipi [3].

3.3 La filosofia indiana e la psicologia analitica

     L’idea junghiana di libido s’incontra con il concetto indiano di Brahaman,
entità creatrice che comprende tutti gli opposti in conflitto tra loro. L’Atman è
l’anima, e poiché l’esteriorità coincide con l’interiorità, il Sé con il mondo,
Brahamn e Atman sono un’unica cosa. Il fine ultimo dello yoga è il raggiungimento
del Brahaman: l’identità tra Brahaman e Atman. Così nella psicologia analitica il
processo di introversione tende all’unione della coscienza col suo opposto:
l’inconscio. La coppia Brahaman e Atman offre a Jung un’analogia per il processo
di individuazione, la differenziazione della personalità individuale, in cui
l’individuo cerca un’armoniosa integrazione tra gli elementi opposti della propria
personalità. Anche il concetto junghiano del Sé come completezza e armonia tra la
coscienza e l’inconscio è ben simbolizzato da questa unità.
     Nello yoga indiano la parola citta rappresenta la psiche come la fonte di ogni
percezione e pensiero, e Jung conferisce alla realtà della psiche la stessa validità
attribuita alla realtà dell’esperienza. L’energia prorompente del Brahaman si
manifesta secondo un principio di armonia cosmica denominato rta, così come la

                                                                                  12
libido è incanalata in una direzione guidata dall’intenzionalità umana, che tende
all’armonia e porta all’auto-realizzazione. Il karman indica un ciclo eterno in cui si
succedono la vita e la morte. I concetti di ereditarietà e di continuità impliciti nel
Karman sono ripresi da Jung nella sua teoria degli archetipi e dell’inconscio
collettivo. All’autore non interessa il concetto metafisico di reincarnazione, ma il
processo di ereditarietà psichica, alla quale egli attribuisce il carattere di universalità
e collettività, mentre la filosofia indiana la considera individuale. [2]

                                                                                        13
III. IL SIMBOLISMO DEL KU.DALI.Ī YOGA
                   NELLA PSICOLOGIA ANALITICA

1. Il Kundalinī yoga

     Nel Kundalinī yoga il corpo è attraversato da una serie di cakra, centri
localizzati fisicamente e raffigurati simbolicamente, collegati tra loro da vie, dette
nādī. I cakra e le nādī rappresentano il corpo da un punto di vista mistico più che
fisiologico. Questo deriva dalla concezione tantrica del corpo come microcosmo
dell’universo, luogo delle divinità e sede dei principi maschile e femminile
(rispettivamente le divinità Śiva e Śakti). Kundalinī è rappresentata sotto forma di
serpente che giace addormentato nel cakra più basso, mūlādhāra. Il fine dello yoga
è risvegliare il serpente e permettere la sua ascensione lungo il sistema dei cakra
fino all’unione di Śiva con Śakti, nel cakra supremo. [4]

1.1 L’ascesa della dea Kundalinī

     L’Hathayoga, che significa “unione di sole e luna”, ha il fine di reintegrare lo
yogin nell’unità primordiale che supera tutti gli opposti. Nelle nādī scorre l’energia
cosmica, la suhumna è il canale mediano, situato lungo la colonna vertebrale, ida
(luna, femminile) e pingala (sole, maschile) scorrono ai lati di questa,
rispettivamente a sinistra e a destra, e si incrociano a determinate altezze. Kundalinī
è la dea Shakti sotto forma di serpente, che ha scisso l’unità primitiva nella
molteplicità del fenomenico e si è addormentata nell’essere umano facendogli
dimenticare la sua vera essenza. La dea Shakti- Kundalinī è il principio della
creazione del velo di Māyā, il mondo illusorio della coscienza desiderante, ed è
emanata dal dio Shiva.

                                                                                    14
Quando Kundalinī si risveglia inizia la sua ascesa lungo le nādī attraversando i
centri energetici situati a diverse altezze della suhumna: i cakra, che corrispondono
a diversi campi di coscienza. Nell’ultimo cakra la dea Shakti, sotto forma di
Kundalinī, si unisce al dio Shiva, e i contrari si risolvono nell’Assoluto. Il
Tantrismo utilizza al massimo le conoscenze e le tecniche dell’Hathayoga per
indurre Kundalinī all’ascesa e far così nascere l’uomo divino. Le tappe di questo
percorso sono i sette cakra: Mūlādhāra, Svādhistāna, Manipūra, Anāhata,
Vísuddha, Ajňā e Sahasrāra. [4]

                                                                                  15
Puoi anche leggere