Esiste il delitto perfetto? - Filodiritto
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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752 Direttore responsabile: Antonio Zama Esiste il delitto perfetto? 20 Marzo 2020 Michele Frisia Indice: 1. Il giallo classico e il suo ordine 2. Il crimine nel mondo reale 3. Il delitto perfetto 4. Il contrasto fra ordine e caos 1. Il giallo classico e il suo ordine Nel 1928 S. S. Van Dine, autore dei gialli con protagonista l’investigatore e raffinato esteta Philo Vance, pubblicò un articolo nel quale elencava le venti regole da seguire per scrivere un buon romanzo poliziesco. In realtà Van Dine, pseudonimo di Willard Huntington Wright, in quel icosalogo (dal greco eìkosi , venti) descriveva come scrivere un giallo classico – mistery nel mondo anglosassone – piuttosto che un vero poliziesco. Per capirlo basta soffermarsi su alcune di quelle regole: allo scrittore era vietato scegliere come colpevole un criminale professionista, ma anche un poliziotto, e perfino i servitori erano esclusi perché, si sa, i servitori sono persone di fiducia e non compiono misfatti. Non si poteva mettere in scena una squadra di investigatori: il protagonista doveva essere uno solo, altrimenti il lettore si sarebbe confuso. Ci doveva essere il morto; nessun reato a parte l’omicidio era degno di essere rappresentato. Il movente poteva essere solo di tipo personale, niente complotti internazionali, terrorismo o psicopatologie. Vietate le storie d’amore troppo intense, perché distraevano dalle indagini (ma il lettore o il poliziotto?). Vietatissime descrizioni troppo accurate e pezzi di bravura letteraria. E per quanto riguardava i congegni della trama, alcuni erano proprio da evitare: le finte impronte digitali, le sedute spiritiche, l’alibi con un fantoccio, il gemello che spunta all’improvviso, il mozzicone di sigaretta lasciato sul luogo del delitto. Chiunque abbia letto gialli o polizieschi scritti dal 1928 in poi si può accorgere che sono stati scritti molti romanzi, e anche appassionanti, violando una, due o anche molte di queste regole. Curiosamente nel 1929 anche il sacerdote e giallista britannico Ronald A. Knox propose il suo decalogo per scrivere un giallo deduttivo, nel quale spicca la regola numero 5: “Non ci dev’essere nessun personaggio cinese nella storia”. Ma in queste liste, per quanto bizzarre e superate, c’è anche qualcosa di buono, ed è il loro cuore, il consiglio cardine che contengono e cercano di trasmettere agli scrittori di gialli.
Bisogna seminare gli indizi in modo paziente e occulto; il protagonista li deve mettere insieme e usarli congiuntamente per risolvere il caso; questa operazione dev’essere razionale e anche il lettore dev’essere messo in condizione di compierla, deve insomma poter risolvere il mistero “alla pari” con l’investigatore del libro. 2. Il crimine nel mondo reale Questa è proprio la grande differenza fra le indagini reali e le storie letterarie. Queste ultime infatti sono concepite e costruite appositamente in modo che, anche senza seguire le liste di Van Dine o Knox, il congegno composto da indizi e rivelazioni funzioni alla perfezione. Intrigano e intrattengono, ma solo se la scoperta dell’assassino è una sfida realizzabile benché difficoltosa; altrimenti vengono rifiutate dal lettore che le percepisce come una piccola truffa. Se lo scrittore vuole raggiungere questo risultato deve utilizzare una trama compatta: per prima cosa deve seminare, durante lo sviluppo della storia, tutti gli indizi, nessuno escluso, in modo che il lettore li possa collezionare e riflettere sul loro utilizzo. Questo primo passo è necessario ma non sufficiente, perché serve anche che ogni elemento della trama possieda una sua collocazione: non ci dev’essere nulla di superfluo, perfino i depistaggi e le piste morte devono essere spiegabili in modo convincente e possedere un senso proprio. La situazione del crimine reale è completamente diversa. Nel mondo concreto ogni faccenda si manifesta in maniera caotica e imprevedibile. Sebbene il principio di scambio, enunciato da Edmond Locard all’inizio del ‘900, dovrebbe garantire che l’autore di un delitto contamini in abbondanza la scena del crimine, e viceversa, così sempre non è. Anzi, è molto frequente imbattersi in scene del delitto ben povere di indizi. Le recenti statistiche Istat dicono che circa un terzo degli omicidi commessi nel 2018 è ancora senza colpevole, e parliamo di un reato per cui si investiga (quasi) sempre con il massimo impegno e grande profusione di risorse. Se spostiamo l’attenzione su reati come truffe, rapine, furti, la percentuale di quelli risolti è addirittura ridicola. E nella maggior parte delle indagini la vera sfida non è combinare tra loro prove e indizi, in una sorta di gioco enigmistico, ma scavare, usare l’inventiva e la creatività, essere abbastanza determinati e persistenti da trovarle, quelle prove e indizi. Il tutto mentre l’ambiente offre all’investigatore una quantità esorbitante di possibili piste, segnali, elementi, tracce che bisogna valutare e, per la maggior parte, ignorare.
Se un’indagine letteraria assomiglia a un problema di matematica, nel quale tutti i dati sono forniti nel testo, l’investigatore reale ha un compito più simile a quello del meccanico di moto d’epoca, che dal rumore del motore o del cambio, dalla pressione dell’olio, dal colore dei gas di scarico, deve capire cosa non funzioni, cercare pezzi di ricambio ormai introvabili, adattare molle e congegni costruiti per altro scopo, usare tutta la propria inventiva, per fare in modo che la motocicletta torni a correre come si deve. 3. Il delitto perfetto I poliziotti non si interessano al concetto di “delitto perfetto”. Non l’avevo mai incontrato nella mia vita professionale finché un giorno, durante una conferenza sui metodi d’indagine rivolta a un pubblico di medici, avvocati, professionisti vari, il moderatore chiese: “Ispettore Frisia, ma secondo lei è possibile commettere il delitto perfetto?”. La memoria andò subito all’omicidio del professor D’Antona, perpetrato a Roma nel 1999 ad opera delle Nuove Brigate Rosse. I terroristi avevano strutturato un sistema di sorveglianza occulta della vittima estremamente complesso, finalizzato a studiare le sue abitudini e progettare un’azione omicidiaria sicura ed efficace, un sistema che sembrava non aver lasciato tracce. Infatti, sebbene le indagini avessero individuato rapidamente, tramite l’analisi del traffico di cella, i telefonini utilizzati dal gruppo di osservazione e pedinamento, queste utenze comunicavano soltanto fra loro e al massimo con alcune cabine telefoniche pubbliche della zona. Si trattava di una rete di comunicazione chiusa e impermeabile, attivata per quello specifico fine criminale e dismessa dopo l’omicidio. Per cui era del tutto inutile alle indagini. A quel tempo, per telefonare dalle cabine pubbliche, si potevano usare le monete ma anche le schede magnetiche prepagate, e i terroristi avevano usato proprio queste ultime. Ma la Telecom Italia comunicò agli investigatori che non era possibile ottenere l’elenco delle chiamate effettuate con una determinata scheda magnetica, si trattava di una tecnologia “non disponibile”. Anche la pista delle cabine sembrava quindi un fallimento. Ma gli investigatori della Digos di Roma erano determinati e, lavorando sui computer della Telecom assieme ai loro tecnici, si trovò il modo di fare ciò che non era mai stato fatto prima: ricostruire tutte le chiamate effettuate con una specifica scheda magnetica. Proprio perché nessuno, a quel tempo, sospettava che fossero possibili accertamenti del genere, uno dei terroristi aveva usato la sua scheda per una chiamata personale. Aveva lacerato la rete impermeabile, aveva gettato un “ponte” verso l’esterno, e da quel passaggio fu possibile entrare e giungere quindi all’identificazione dell’intero gruppo. Non era stato un delitto perfetto. 4. Il contrasto fra ordine e caos Con Locard abbiamo visto che l’autore di un delitto attua un reciproco scambio con l’ambiente: fibre, fluidi, materiale biologico, particelle e ogni altro tipo di possibile indizio. Questo scambio però è governato dal caos: un assassino potrebbe lasciar cadere un pelo, e allora l’investigatore sarà nelle condizioni di trovarlo, ma quel pelo potrebbe anche non cadere, e allora l’investigatore non troverà nulla. Chi indaga è nelle mani del caso. Con le schede magnetiche della Telecom abbiamo visto che, durante la commissione di un reato, ci si può illudere di controllare ogni cosa, ma alcune questioni sono per forza di cose incontrollabili, fosse anche solo perché il fronte tecnologico avanza. Anche chi delinque perciò è nelle mani del caso.
Friedrich Dürrenmatt, scrittore svizzero che ha esplorato il crimine in una maniera spesso inedita, affronta la questione del delitto perfetto nel romanzo breve Il giudice e il suo boia. Un personaggio è convinto che, poiché il mondo reale è condannato al caos, sia impossibile per un criminale compiere il delitto perfetto. Il caos, agitando ogni cosa, renderebbe irrealizzabile il controllo su tutti i fattori della questione, esponendo l’autore, per quanto provvido, alla commissione di errori e quindi alla sua cattura. Un altro personaggio, al contrario, ritiene che proprio il caos possa favorire il criminale, mescolando gli elementi, confondendo e depistando. È il caos a ostacolare l’investigatore nella ricostruzione della verità, e quindi il delitto perfetto è possibile, basta sfruttare questo disordine congenito, sguazzarci dentro. Non saprei dire chi dei due abbia ragione, e se conosco Dürrenmatt abbastanza bene, neanche lui. Discutere sul delitto perfetto, fuori dalla letteratura, sembra poco più di uno sterile esercizio, forse addirittura di meno. Soprattutto in un mondo nel quale la giustizia è ancora troppo imperfetta e non è certo colpa di chi, a partire dalla fine del XV secolo, probabilmente in buona fede, iniziò a raffigurare questa enigmatica dea con una benda sugli occhi. Forse davvero si pensava che, impedendole di vedere, avrebbe agito in maniera più equa. Ma la giustizia, ben lungi dall’essere una questione divina, è invece tremendamente umana, e sarebbe forse meglio che vedesse, in modo distinto, ciò che è in grado di combinare, forse è arrivato il momento di toglierle quella sciocca benda e munirla di strumenti più accurati. Come il SEM, microscopio elettronico a scansione, di cui però parleremo il prossimo mese… Letture consigliate 1. Michele Frisia, Delitti e castighi, Dino Audino Editore https://www.audinoeditore.it/libro/9788875274306 2. S. S. Van Dine, Twenty Rules for Writing Detective Stories, American Magazine, settembre 1928 3. Friedrich Dürrenmatt , Il giudice e il suo boia, Adelphi 4. Adriano Prosperi, Giustizia bendata. Percorsi storici di un’immagine, Einaudi TAG: Letteratura, libri, delitto Avvertenza La pubblicazione di contributi, approfondimenti, articoli e in genere di tutte le opere dottrinarie e di commento (ivi comprese le news) presenti su Filodiritto è stata concessa (e richiesta) dai rispettivi autori, titolari di tutti i diritti morali e patrimoniali ai sensi della legge sul diritto d'autore e sui diritti connessi (Legge 633/1941). La riproduzione ed ogni altra forma di diffusione al pubblico delle predette opere (anche in parte), in difetto di autorizzazione dell'autore, è punita a norma degli articoli 171, 171-bis, 171- ter, 174-bis e 174-ter della menzionata Legge 633/1941. È consentito scaricare, prendere visione, estrarre copia o stampare i documenti pubblicati su Filodiritto nella sezione Dottrina per ragioni esclusivamente
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