Gravidanza e parto nella tradizione popolare del "Salento"

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Gravidanza e parto nella tradizione popolare del "Salento"

                                                    Ilenia Petrelli

     Premessa

         L'indagine di cui mi appresto a scrivere ha preso in considerazione
     elementi di ricerca presenti nel territorio salentino. Scopo di questo la-
     voro è quello di rilevare se tra le esperienze di gravidanza della genera-
     zione più giovane, quella vicina ai trent'anni, permangano ancora tracce
     di antiche usanze, riti, credenze e prescrizioni della tradizione popolare.
         Per la realizzazione dell'indagine ho messo a confronto, tenendolo
     sempre come punto di riferimento,il materiale che ho tratto dalle testi-
     monianze di due signore anziane Antonietta e Carmela Quarta e dalla bi-
     bliografia che ho poi indicato, con la testimonianza quindi di una giova-
     ne madre, Simona D'Agostino, 27 anni, madre di una bimba di due an-
     ni. Il colloquio con Simona mi ha permesso, inoltre, di capire e cono-
     scere le esperienze di maternità di altre ragazze da lei conosciute e di cui
     mi ha riferito, estendendo e generalizzando così le sue informazioni da
     un piano essenzialmente individuale e personale a quello più collettivo-
     generazionale. Il contesto giovanile preso in considerazione, è risultato
     così costituito da giovani madri mediamente acculturate e appartenenti a
     vari ceti economici. Da quest'indagine ciò che emerge è come riti e cre-
     denze del passato siano comunque sempre presenti in ogni ceto sociale
     ed economico anche se con "gradazioni" e riferimenti diversi a seconda
     degli aspetti analizzati.

     1. Attesa e gravidanza tra passato e presente: simboli credenze e ri-
     ti propiziatori

        Il concetto di attesa, designa il periodo che va dal concepimento al
     parto.
         Può a mio parere, però, identificarsi con tale termine anche il perio-
     do immediatamente precedente il concepimento e quindi attesa come
     speranza per ciò che ancora non c'è o che si sta formando e che si desi-

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           dera fortemente e che molto spesso può diventare motivo di ritorno alla
           tradizione o per meglio dire a un " rivivere un passato nel presente" che
           possa dare "più certezze", ricostruendone i tratti essenziali attraverso
           usanze e pratiche antiche ma anche tramite nuove credenze, nuove for-
           me di ritualizzaztone.
              L' attesa è dunque un periodo di forti tensioni,grandi emozioni, cul-
           mine espressivo del senso dell' ignoto, ricco di trasformazioni fisico-cor-
           poree ma anche emotive che richiedono un senso di protezione che può
           a volte, andare anche al di là di ogni principio medico- scientifico.
              Ecco allora, il rito come acquisizione o "garanzia" di maggiore rassi-
           curazione e come convinzione relativa ad un legame tra il corpo, il com-
           portamento della madre e la vita futura del bambinol quale presenza co-
           stante e sostenitrice di tutta l'esperienza inerente la maternità.
               Nel passato tale esperienza era essenzialmente intesa come realizza-
           zione effettiva e permanente dell'identità femminile.
               Avere dei figli era quasi "un dovere", una prescrizione a cui non ci si
           poteva sottrarre per venire così incontro a quelle che erano le esigenze
           sociali ed economiche del tempo.
               Una prole numerosa si identificava, infatti, come garanzia di un sicu-
           ro sostegno per la famiglia.
               Non essere in grado di mettere al mondo dei figli era segno dunque
           di "incapacità produttiva" che trasmetteva nella donna un forte senso di
           colpa. Così, quando la gravidanza tardava ad arrivare, si attivavano una
           serie di "procedure" che coinvolgevano la levatrice, la fattucchiera, la
           maga ma anche la sfera del sacro. 2
               Oggi di tali pratiche sono rimaste solo poche tracce, ciò che permane
           è invece, anche se più raramente, quel concetto di nullità con cui si con-
           nota una donna sterile.
               Malgrado infatti la generazione attuale abbia in linea di massima su-
           perato tali pregiudizi, dalla mia intervista realizzata a Simona D'agosti-
           no (anni 27, madre di una bambina di 2 anni) risulta comunque originarsi
           nell' inconscio femminile un forte condizionamento sociale operato so-
           prattutto dalle donne più anziane.
               S. riferisce che sono ancora frequenti i pellegrinaggi ai santuari, in

           1G. RANISIO, Venire al mondo, Roma, Meltemi, 1996, p. 40.
           2 1vi, pp. 43-44.

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     particolare quelli mariani, vari atti di devozione verso i santi e l'uso di
     porre le figurine dei santi sul comodino della donna incinta.
        Altre donne invece riferiscono che quando si sono trovate in situa-
     zioni tipiche della sterilità, hanno subito contattato un medico, affidan-
     dosi completamente ai suoi pareri scientifici.
         Si può quindi dedurre che tali pratiche propiziatorie della gravidanza,
     sono ancora in uso nei ceti economicamente più bassi o comunque nelle
     donne fortemente credenti.
         In passato l'immagine di un Santo particolarmente invocato poteva
     anche essere posta sugli "abitini" 3 dei bambini appena nati e su quelli
     delle partorienti che erano spesso forniti dal prete.
         Tale pratica che aveva chiaramente una funzione religioso- protettiva,
     oggi invece, pare essere scomparsa in quanto sostituita da un altra pra-
     tica, risalente circa agli anni trenta del '900 che è quella di utilizzare il
     rosa o il celeste per connotare, identificare e distinguere il sesso del na-
     scituro. 4
         Di questi colori è impregnato il fiocco che viene posto sulla soglia di
     casa con lo scopo di soddisfare l'esigenza di una maggiore comunica-
     zione dell'evento e di una partecipazione più ampia allo stesso.
         Anche il porre il fiocco proprio sulla soglia corrisponde ad un mes-
     saggio molto forte e cioè indica sinteticamente e simbolicamente il pas-
     saggio materiale percorso dal bambino al fine di introdursi nella famiglia
     come nuovo membro sociale.
        Il fiocco, come mi riferisce S. D. viene conservato mantenendo un si-
     gnificato affettivo. Ancora assumono un valore simbolico-affettivo al-
     trettanto consistente anche la prima camicia che deve essere in seta o in
     cotone e deve essere regalata da un parente molto stretto e il braccialet-
     to fornito dall' ospedale. Sia la camicia che il braccialetto poi saranno
     considerati come oggetti porta fortuna per la futura vita del bambino. Di
     rosa o celeste è contrassegnato anche il cesto dove mettere tutti i prodotti
     necessari per il neonato.
        Se per tutta la gravidanza non si riesce a capire il sesso, allora biso-
     gna preparare due cesti poiché è diffusa la credenza che nascere senza
     cesto pronto sia di malaugurio.

     3 Ivi p. 46.
           ,

     4 1vi p. 100.
           ,

                                                             211
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              La donna incinta soprattutto nel passato era oggetto di prescrizioni e
          credenze basate sulla convinzione che esiste uno stretto legame tra il cor-
          po, il comportamento della madre e il destino del bambino. Per esempio
          si diceva che una donna gravida non doveva passare su alcun tipo di cor-
          da né mettere attorno al collo una corda, un filo per cucire o anche una
          collana.
              Tale atto infatti poteva ripercuotersi negativamente sulla riuscita del
          parto: c'era il rischio che il cordone ombelicale si attorcigliasse intorno
          al collo del bambino. Inoltre, ancora, si concedeva alla donna incinta di
          cucire ma non di lavorare ai ferri perché la lana si intreccia e dunque
          questa procedura poteva causare un attorcigliamento del cordone. At-
          tualmente da parte della generazione più giovane, è ancora diffuso, co-
          me mi dice S. D., l'uso di porre ai bambini per voto il nome del santo
          invocato durante la gravidanza affinché tutto proceda bene. E ancora si
          ritiene che il bello attiri il bello perciò le donne più anziane consigliano
          a quelle più giovani di soffermarsi ad osservare immagini graziose, gra-
          devoli, soprattutto di bei bambini.Si pensa così che questo possa far na-
          scere bambini a loro volta belli. Al contrario guardare scene cosiddette
          brutte, come riferisce S. D., quali per esempio quelle dei film dell'orro-
          re, potrebbe far nascere il bambino mal formato.
               S. D. mi racconta anche che quando era incinta le veniva sconsiglia-
          to categoricamente di guardare gatti e cani perché portatori di toxpla-
          smosi. La sola vista di tali animali poteva infettare anche il nascituro se-
          condo una credenza antica.
              Inoltre è considerato ancora oggi pericoloso guardare lucertole e i ret-
          tili in genere, in quanto il bambino nel grembo materno potrebbe assu-
          mere il loro aspetto. E' altrettanto grave per una donna incinta incrocia-
          re le gambe: al momento del parto infatti, il bambino potrebbe non ri-
          uscire ad uscire e soffocare dentro il corpo della madre.
              Infine molte donne evitano tuttora di partecipare ai funerali e cercano
          di evitare categoricamente di vedere il defunto. Tale atto potrebbe porta-
          re delle "complicazioni" nella futura vita del bimbo.
              Il corpo della donna gravida assume particolari significati anche in re-
          lazione alla consapevolezza che esso è il veicolo dell' alimentazione che
          si trasmette al bambino.
              Attraverso il corpo della madre cioè, passa il "nutrimento"per il figlio
          e quindi da ciò scaturiscono tutta una serie di consuetudini alimentari.
          Tra le donne della generazione più anziana la questione relativa alla "cu-

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      ra alimentare", non era molto presa in considerazione, soprattutto a cau-
      sa della profonda miseria che caratterizzava quegli anni.
         Si rileva invece, come le donne di quella stessa generazione,abbiano
      trasmesso alla generazione successiva la raccomandazione espressa dal
      proverbio secondo il quale la donna incinta deve mangiare per due per-
      ché il bambino possa crescere bene. 5
         Nell' ultima generazione poi, quella da me presa in analisi, risulta in-
      vece come, malgrado la raccomandazione di un'alimentazione abbon-
      dante si estenda anche a loro, esse però, che si sottopongono sempre più
      spesso al controllo medico al contrario delle loro madri, sono tenute al
      rispetto di diete e cautele alimentari.
         Da qui, lo scaturirsi di un profondo conflitto in loro, tra sapere tradi-
      zionale — popolare e quello medico.
         In passato il discorso alimentare relativo alla donna incinta, ruotava
      in particolare intorno a quello predominante delle "voglie".
         E' interessante notare come tale argomento sia oggetto d'attenzione e
      "d'influenza" anche nella generazione più giovane costituendo così un
      profondo divario e uno scontro di vaste proporzioni con quello che è il
      parere medico.
         Le voglie si collegano a quello stretto rapporto tra sensazioni, stati d'
      animo, comportamento della madre e aspetto del nascituro, da ciò I' at-
      tenzione e la considerazione attribuita ai desideri alimentari delle ge-
      stanti
         S. D. mi riferisce che quando si è incinte tutti soddisfano i tuoi desi-
      deri alimentari. Racconta ancora: "si dice che finché non ti portano da
      mangiare ciò che desideri e che hai chiesto devi stare con le mani in al-
      to e non toccarti altrimenti il bambino potrebbe nascere con una voglia
      cioè :una macchia con lo stesso colore del cibo che si desidera". Poi S.
      D. mi racconta che è ancora diffusa la credenza secondo la quale biso-
      gna bere molto latte perché il bambino possa nascere con la pelle bianca
      e rosea. Ancora si ritiene che non si debbano mangiare frutti di mare e
      verdura, perché potrebbe causare "dolori al bambino".
         Fa quindi riferimento alla questione relativa al mangiare in abbon-
      danza e ricorda un proverbio che le riferisce sempre la suocera che dice

      5 1 vi   ,   p. 49.

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          che di ogni cosa che si mangia, non si deve mai lasciare "l'ultima scola-
          tura" perché porta bene alla gravidanza.
              S. D. conclude dicendomi che malgrado il medico le abbia consi-
          gliato di mangiare tutto con moderazione accertandosi che frutta e ver-
          dura siano ben lavate e non portatori di epatite c, essa molto spesso ten-
          de a farsi influenzare dalle "dicerie", così le chiama delle anziane. Ri-
          ferisce inoltre che è più che altro una questione di gioco, forse una del-
          le ultime occasioni per farsi trattare ancora come una bambina con mil-
          le desideri.
              Una delle "ideologie"dominanti del pensiero popolare è quello relati-
          vo al luogo comune secondo il quale le donne preferiscono avere un fi-
          glio maschio, soprattutto nel caso del primo.
              Tale credenza aveva ovviamente dei risvolti di carattere economico ,
          sociale e culturale. Avere un figlio maschio significava infatti accresce-
          re la forza lavoro familiare e soprattutto evitare la dote che invece biso-
          gnava preparare alla figlia femmina.
              Ancora avere un maschio significava assicurare la continuità della fa-
          miglia del marito, secondo la discendenza del nonno paterno. Era infatti
          diffuso assegnare al primo figlio il nome del nonno:ciò era simbolo di ri-
          conoscimento, di appartenenza e rivelava la posizione dell'individuo in
          una certa famiglia.
              Probabilmente il desiderio di un figlio maschio, colmava anche e
          compensava quel senso di frustrazione derivante nella donna da quella
          sensazione di inferiorità a cui per molti anni è stata soggetta.
              Avere un maschio inoltre era importante per la sua stessa vita futura
          che sarebbe stata sicuramente " più facile " di quella di una femmina.
              Vi sono tuttavia credenze che invece mettono in evidenza al contrario
          la necessità di avere per primo una figlia soprattutto all' interno di una
          famiglia numerosa.
              Una primogenita infatti è, secondo la concezione popolare di aiuto in
          casa e poi le si può affidare la cura dei fratelli più piccoli.
              S. D. ricorda anche un detto di sua suocera che dice: "se si vuol fare
          una buona maritata figlia femmina a prima volta devi avere".
              Nella generazione più giovane 1' ideologia del figlio maschio non
          sembra essere del tutto scomparsa, non tanto per ragioni economiche ma
          per questioni di "prestigio morale".
              S. D. mi racconta che suo marito (Damiano Maglietta, 34 anni), desi-
          derava avere un figlio per dargli il nome di suo padre e per far contenta

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      la sua famiglia poiché ritiene che avere un maschio accresca la forza e il
      vigore paterno.
          S. D. inoltre, nega la questione relativa al ruolo sociale che spette-
      rebbe ad un eventuale maschio o femmina nella società.
          Un dato interessante è pure quello relativo al numero di figli da con-
      cepire.
          Esso ha subito un mutamento profondo verificatosi in particolare ne-
      gli ultimi anni.
          In passato c'era da parte della donna non certamente il desiderio di
      avere una famiglia numerosa, ma più che altro la rassegnazione per tale
      scelta imposta dal marito che riteneva che avere una prole numerosa fos-
      se di sostegno economico al gruppo familiare. In tutto questo la donna,
      però, ne perdeva in dignità e attenzione in quanto assimilata ad una mac-
      china produttrice.
          Le donne più giovani oggi invece, possono permettersi di oscillare tra
      il desiderio di una famiglia numerosa e la scelta reale per una famiglia
      con al massimo due figli a causa dei problemi economici che poi ne sca-
      turiscono.
          S. D. mi dice che per lei e suo marito la scelta di avere una piccola
      famiglia è stata concordata e comunque oggi, al contrario del passato,
      sono le donne che impongono in base alle loro esigenze (fisiche, carat-
      teriali, di lavoro) il numero di figli, quando e a che età averli.
          Parla ancora di scelta operata in relazione allo sviluppo socio — eco-
      nomico che negli ultimi anni si è verificato. "Oggi — dice — bisogna se-
      guire i figli a scuola, la scuola è cambiata, le esigenze sono diverse, è ne-
      cessario accompagnarli dappertutto, in palestra,in piscina, ecc. E poi ci
      sono gli impegni miei e di mio marito. Una volta quando ci si sposava
      non c' erano più ambizioni, viaggi, oggi non è così".
          Se nel rapporto di coppia si nota un' evidente predominanza della
      donna in riferimento al numero dei figli da avere, dall' intervista realiz-
      zata a S. D., ho potuto rilevare però come in quest' ultima generazione,
      si stia assistendo parallelamente anche ad un processo di mascolinizza-
      zione 6 sia per il predominio dei medici che si sono sostituiti alla figura
      della levatrice,sia per il ruolo giocato dal marito che fa da tramite tra la
      moglie e il medico. Tale funzione un tempo era generalmente svolta dal-

      6   1 vi p. 54.
             ,

                                                              215
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           la suocera che aiutava e accompagnava la donna in ogni fase della sua
           gravidanza.Dalle stesse interviste risulta chiaro quindi la percezione che
           di tale rapporto (marito — moglie) hanno le donne: il marito è colui che
           lavora ma trova il tempo di aiutare la moglie durante la gravidanza nel-
           le faccende domestiche e poi, è anche colui che una volta nato il bambi-
           no, prepara il biberon, oppure la borsa con tutte le cose del figlio che la
           moglie porterà con sé ogni volta che uscirà.
               Un altro elemento ancora sottolineato dall'intervistata è la premura
           del marito, cioè l' attenzione e la comprensione dimostrate nel periodo
           della gravidanza. In passato dato che le condizioni di vita erano più du-
           re la donna era costretta a lavorare nei campi insieme al marito anche fi-
           no a poche settimane prima di partorire. La figura del maschio, quindi in
           casa, era considerata quasi assente e sostituita generalmente dalle altre
           donne della famiglia.
               Per quanto riguarda invece i consigli più intimi e delicati, oggi la don-
           na fa riferimento ad un' altra figura: la madre. S. D. afferma a proposito:
           "mia madre è colei che mi ha portato in grembo e quindi sa che cosa vuol
           dire essere incinta".

           2. La nascita: scene, luoghi e figure

              Il momento del parto costituisce il primo passaggio da uno stato ad
          un altro dell' esistenza. In passato esso era scandito da riti di carattere fa-
          miliare atti a proteggere la madre e il bimbo, ma anche simboleggianti la
          fase della separazione dalla madre verso il nuovo inserimento nel grup-
          po familiare del neonato.
              Diffusa era la credenza secondo la quale i bambini cosiddetti nati
          "con la camicia" cioè con intorno la membrana amniotica, fossero dota-
          ti di poteri particolari.
              Un tempo poi, il parto, avveniva in casa sotto gli occhi delle paren-
          ti.Venivano così rivolte al bambino tutta una serie di cure sia in senso fi-
          sico che simbolico: l'ostetrica gli aspirava i muchi, poi veniva lavato,
          messo vicino alla madre e quindi preso in braccio a turno dalle donne
          presenti, la suocera aveva il compito di baciarlo in fronte.
              Il primo bagnetto aveva un valore simbolico molto forte: era segno
          infatti di purificazione.
              In genere poi quell'acqua veniva gettata nel caso di una bambina nel

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      focolare, nel caso di un maschietto all'esterno della casa, a simboleggia-
      re i due diversi destini.
          Attualmente il bambino in ospedale viene fatto vedere solo per pochi
      minuti alla madre e poi affidato alle cure delle puericultrici che effettue-
      ranno il bagnetto senza però caricarlo di particolari significati.
          S. D. riferisce che rispetto ad un tempo sicuramente in ospedale ci so-
      no più garanzie e quando le faccio notare che l'ospedale con le sue fasi
      tecniche (affidamento alle puericultrici, spostamento "arbitrario" del
      neonato dal letto alla culla) opera continuamente delle forme di "separa-
      zione sociale "e di mortificazione della funzione femminile, essa mi ri-
      sponde affermando che probabilmente i risvolti di tali regole ospedalie-
      re non sono del tutto negativi in quanto tutto ciò permette alla mamma
      di rilassarsi e di superare la tensione accumulata nel corso della gravi-
      danza che certamente non potrebbe permetterle di prendersi cura oltre
      che di se stessa anche del proprio bambino. D'altra parte però, ammette
      anche che è certamente vero, che rispetto al passato il bambino subisce
      un distacco immediato dalla famiglia che un tempo non poteva verifi-
      carsi in quanto non vi erano né maestri né una scienza scritta ad impor-
      re regole e le donne si aiutavano a vicenda e le loro pratiche venivano
      tramandate dall'una all'altra. 7
          Durante il parto ma anche per tutta la durata della gravidanza quindi
      e per i primi mesi di via del bambino, sulla scena erano presenti la suo-
      cera, la madre, le vicine di casa. Tra queste donne che attorniavano la
      gravida, c'era chi la massaggiava, chi le soffiava in bocca per impedire
      che l'utero salisse su, chi era addetto al riscaldamento della camera, chi
      invece scaldava l'acqua con cui sarebbero stati lavati madre e figlio. In-
      fine c'era l'esperta: la levatrice. Questo nome ha vari radici storiche:
      presso i latini la levatrice era detta obstetricia cioè, ostacolo, riparo con-
      tro i pericoli del parto.
          A Roma invece, veniva chiamata "mammana" voce composta da una
      dizione latina che è mamma e un'altra greca che è "ana" (quasi tanto
      quanto madre). 8
         Fino al 1600 circa era detta anche comare cioè consigliera, confiden-
      te di segreti. Il termine "levatrice" invece è di più recente utilizzo, risa-

      7 C. PANCINO, Il        bambino e l'acqua sporca, Milano, Franco Angeli, 1984, p. 18.
      8 hi p. 61.

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Gravidanza e parto nella tradizione popolare del "Salento"

         le infatti al 1721 quando Sebastiano Melli, Prof. Di chirurgia a Venezia,
         utilizzò questo termine nel testo "La comare levatrice istruita nel suo uf-
         fizio" (1721). 9 Nel Salento in particolare, fino alla prima metà del 1900,
         questa figura era conosciuta con il termine levatrice o anche comare ma
         al di là dei vari nomi con cui poteva essere indicata a seconda dei "luo-
         ghi e dei tempi", il ruolo e le funzioni che la caratterizzavano sono ri-
         maste quasi sempre inalterate nel corso della storia.
             In merito a questa questione sostanzialmente le informazioni che ho
         tratto dalla ricerca bibliografica riflettono quelle raccolte attraverso le te-
         stimonianze. Il ruolo della levatrice era oltre che, quello di assistere ad
         aiutare le partorienti e i neonati, anche quello di consigliare la formazio-
         ne delle nuove coppie e dare il loro giudizio alle autorità sulla gravidan-
         za e sulla verginità di una donna. Le levatrici non si occupavano solo di
         parti ma anche delle malattie delle donne e dei bambini, di bellezza e co-
         smesi, della sessualità e dei rimedi per numerosi disturbi della salute. 10
             La loro cultura si basava sulla conoscenza delle proprietà di semplici
         còse, sulla capacità di comporre bevande e medicamenti. Ma consisteva
         anche in un bagaglio di preghiere e invocazioni in cui influenze pagane
         si mescolavano a elementi cattolici. 11
             "Saggezza ed esperienza erano primariamente richieste alle donne
         per avvicinarsi al delicato compito e per questo la levatrice era general-
         mente una donna di una certa età con numerosi figli". 12
             Alle sue cure le donne affidavano se stesse i figli e i segreti. Le leva-
         trici erano in qualche modo sottoposte all'esame del parroco, ad una sor-
         ta di selezione. 13
             Le bevande, gli inguenti preparati dalle mammane erano ispirati alle
         virtù medicinali delle piante o ai poteri simbolici magici delle cose. Le
         comari conoscevano i poteri delle erbe e l'uso delle mani per aiutare le
         donne che partorivano. Molte volte, figlie di levatrici, dopo aver a loro
         volta partorito, assumevano in età matura il faticoso mestiere delle ma-

        9  /Vi, p. 61.
         10 Ivi, p. 31.
         11 • /vi.
         12 Ivi, p. 32.
         13 Ivi, p. 30.

                                                                 218
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