L'Eremita contemporaneo - MADE IN ILVA

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L'Eremita contemporaneo - MADE IN ILVA
L’Eremita contemporaneo – MADE IN ILVA
   Regia Anna Dora Dorno
   Con Nicola Pianzola
   Musiche originali ed esecuzione dal vivo Andrea Vanzo
   Voce e canti Anna Dora Dorno
   Oggetti di scena Nicoletta Casali
   Scene e disegno luci Anna Dora Dorno
   Video Nicola Pianzola
   Composizione drammaturgica originale
   di A. D. Dorno sulle testimonianze
   di operai dell’ILVA di Taranto.

   Progetto di spettacolo vincitore del bando
   OFF X 3 2010 di Spazio OFF, Trento.
   “Per l'ambiziosità e la complessità del progetto,
    e per il linguaggio teatrale fortemente
   contemporaneo e contaminato con altri
   registri espressivi”
   Progetto di spettacolo vincitore del bando
   Kilowatt 2011 Selezione Visionari.
   Spettacolo selezionato allo STOFF
   Stockholm Fringe Festival 2012.

L’Eremita contemporaneo trae ispirazione dal diario di un operaio dell’ILVA di Taranto e dalle
testimonianze di alcuni operai, intervistati dalla compagnia che lavorano nella stessa fabbrica. La
trasposizione artistica fa riferimento alla vicenda reale dell’acciaieria più grande d’Europa che
condiziona la vita dell’intera città di Taranto e dei suoi lavoratori intrappolati tra il desiderio di evadere e
fuggire dalla gabbia d’acciaio incandescente e la necessità di continuare a lavorare per la sopravvivenza
quotidiana in quell’inferno di morti sul lavoro e danni ambientali. Lo spettacolo è il frutto di un accurato
lavoro di ricerca e di sperimentazione fisica e vocale sul rapporto tra organicità del corpo e inorganicità
delle azioni legate al lavoro in fabbrica attraverso il quale emerge una critica all’alienante sistema di
produzione contemporaneo che trasforma l’essere umano in una macchina artificiale, un corpo allo
spasmo che si muove per reagire al processo di “brutalizzazione” imposto dalla società. L’attore spinge
il proprio corpo all’estremo attraverso funamboliche sospensioni, azioni acrobatiche e ripetitive,
interagendo continuamente con suoni che diventano ritmi ossessivi e che si trasformano in musiche
eseguite dal vivo, in cui le note si intrecciano col canto di una voce femminile che gli ordina “Lavora!
Produci! Agisci! Crea!” Egli pone il suo rifugio in una scena composta da strutture metalliche, resa
cangiante dall’uso di video‐proiezioni che rievocano il contesto della fabbrica, delle numerose fabbriche
che ancora esistono come fantasmi di un’epoca moderna ormai trascorsa. Immagini e suoni popolano i
suoi sogni, come residui archeologici che si trascinano ancora in vita, come agonizzanti, nella memoria e
nei ricordi ossessivi di chi ancora oggi lavora in simili luoghi. Egli attraversa questa sorta di inferno
contemporaneo, fatto di ritmi alienanti e spazi distorti, giungendo a spogliarsi della propria identità e ad
indossare una maschera anonima, senza volto, per difendere l’essenza del proprio animo. L’eremita
contemporaneo insegue una salvezza impossibile, nel tentativo di sentire la propria carne calda, il
proprio vivere organico, in contrapposizione al ferro‐freddo, al processo di inorganicità al quale ci
spingono le regole di produzione dell’attuale sistema sociale, reprimendo la libertà creativa dell’uomo e
dell’artista.

                                 PROMO VIDEO http://www.instabilivaganti.com/spettacoli1.php?video=ok&sp=11
RECENSIONI

                                                                     Spettacoli allo STOFF di Stoccolma
            Stefania Iannella per Art’Empori, 22 settembre 2012, STOFF Stockholm Fringe Fest, Stoccolma

[…] L’eremita contemporaneo rappresenta l’alienazione dell’operaio torturato e usurato senza pietà dal
ritmo di produzione, ma ricorda anche gli operai morti sul lavoro. In quest’ultimo caso è l’Ilva di Taranto
la principale assassina. La sceneggiatura si basa particolarmente su dei testi della moglie di un operaio
morto all’Ilva e su quelli di altri operai, alcuni dei quali definiti dei veri e propri “poeti operai”, come Luigi
di Ruscio (Fermo, 1930 – Oslo, 2011). La brutalizzazione è talmente totalizzante da rientrare perfino
nell’unico momento di “pace” che dovrebbe essere assicurato ad ogni individuo: il sonno. “Ho sognato
che eravamo vivi, resuscitati, non più contaminati dalla sporca morte”. Eppure anche momenti di
temporaneo sollievo come questo vengono straziati da incubi invasi ed “esplosi” dall’assordante sirena
della fabbrica. L’alienazione da lavoro è detta soprattutto quando l’individuo non si riconosce più ed
esclama incredulo: “questa qui non è la mia faccia!”. Tuttavia il ritmo di produzione, dato dai movimenti
meccanici delle stesse braccia e gambe dell’operaio, continua a scandire il tempo della rievocazione […]

                                                                   Intenso ed estremamente musicale
                    Thomas Olsson per Nyheter, 27 agosto 2012, STOFF Stockholm Fringe Fest, Stoccolma

Uno dei momenti più intensi dello Stoff si verifica quando l'operaio, interpretato da Nicola Pianzola, in
una sequenza dello spettacolo L'Eremita Contemporaneo finalmente va verso la luce solare, ma per
rendersi conto di quanto sporco sia il suo corpo e quindi si allontana nel buio. E' la compagnia teatrale
Instabile Vaganti che racconta l’alienazione e come i lavoratori industriali percepiscono la loro situazione
attualmente, con una rappresentazione visivamente e fisicamente intensa. Anche se la lingua è per lo
più in italiano, non si può confondere l'atto ripetuto in modo maniacale che accompagna le parole
“produzione”, “lavoro”. Un one man show in cui la musica eseguita dal vivo rappresenta però una parte
fondamentale dello spettacolo.

                                                               Il corpo parla in una performance Italiana
                                        Bjorn Gunnarsonn per Halland Posten, 21 agosto 2012, Atran, Svezia

La musica è combinata a proiezioni di immagini sul pavimento che seguono il ritmo dei i movimenti del
corpo per generare una performance di teatro fisico che richiede un grande sforzo muscolare, di grande
forza espressiva e intenso coinvolgimento. La scenografia consisteva solo in una scala, che ruotando si
trasforma in una gabbia, ed un elmetto da saldatore. L’aspetto fisico è più che enfatizzato, il corpo
acrobatico di Nicola Pianzola è spinto al limite, il lavoro è di grande maestria quando l’attore
contemporaneamente fluttua correndo nell’aria, recitando i suoi versi, sorretto dalle sue braccia senza
mai rimanere senza fiato. Il tema potrebbe essere stato scritto da Karl Marx: la mancanza di libertà del
lavoratore industriale e l’alienazione come risultato della monotonia che abbruttisce, lo stress
disumanizzato e la subordinazione sotto le richieste di efficienza. Lavorare, produrre! Questo è come il
comandamento che diventa il ritornello. Come un moderno Sisifo, il lavoratore è schiavizzato dalla
macchina e costretto alla ripetizione senza fine dello stesso schema. L’agitazione e la stressante
richiesta sono così forti che l’uomo crolla. Il corpo è tormentato anche durante la notte e non riesce a
dormire. Le suggestioni drammaturgiche da cui lo spettacolo trae ispirazione derivano dai lavoratori del
settore siderurgico trasformate in teatro fisico da Instabili Vaganti. Lo scenario industriale è stato
creato dall’accompagnamento di tastiere elettroniche con un mix di sonorità meccaniche e
rimbombanti di suoni, rafforzato dalla canzone. La canzone fa un’impressione sacrale e qui rappresenta
anche la scena di salvezza dove il tormentato ed esausto lavoratore vede la luce in alto. Se questo è
religioso o no, non lo posso decidere, la mia comprensione della lingua italiana non è così avanzata. Ho
scelto di vedere l’illuminazione come profana, come una speranza che dice che nessuno deve essere
schiavo come in una “ruota da criceto” e che ognuno può liberare se stesso dall’etica dolorosa del
lavoro e svilupparsi come individuo indipendente. Nonostante le lacune nella comprensione della lingua
italiana, l’espressione della gestualità è così severa e forte che ne cogli lo spirito. Instabili Vaganti lascia
parlare il corpo e il linguaggio del corpo è universale.

                                      L’eremita contemporaneo: biomeccanica operaia, degna di applausi
                                  Alessandro Toppi per ARTEATRO, 16 dicembre 2011 Studio teatro, Napoli

Come far avvertire, alla pelle di chi osserva, il fastidio del tanfo di fabbrica? Come far avvertire, della
fabbrica, il massacro di membra, lo sporco dell’olio, la cacofonia strumentale? Come far avvertire la
fissità dell’orario, la ritmicità spappolante, il degrado che afferra un corpo operaio e lo riduce a brandelli
strofinandolo fino a farne carcassa? Come far avvertire cos’è una catena di montaggio, quali effetti
produce, che cosa lascia a chi resta, a chi vi sopravvive ammuffito, a chi vi si è consunto alle mani, ai
piedi, alle gote; nel piccolo fosso tra le gote e la bocca, della bocca le gengive, i denti, la lingua e poi s’è
consunto all’addome, alla schiena, alla cassa toracica, tra costola e costola, tra giuntura e giuntura dove
si piegano i gomiti, le ginocchia, la testa? Come far avvertire cos’è un uomo di cui conta solo la
produzione accertata e accertabile, il numero di pezzi prodotti, il conto di fine giornata – giornata dopo
giornata – cui corrisponde adeguato e inadeguato salario? Di questa bruttura ch’è già Tema e Contenuto
ampiamente narrato L’eremita contemporaneo offre Forma diversa, altra, possibile facendosi momento
presente. Nello spazio vuoto di Studioteatro non c’è che un trespolo in metallo, una striscia‐tappeto di
plastica fissata per terra e, fra trespolo e striscia‐tappeto, una scaglia lucente che visualizza l’immagine
di un rudere d’impianto industriale. Il trespolo sarà: rappresentazione ondulata di un’insofferenza
intestina, avvento per crollo del crollo dell’uomo, avamposto su cui poggia l’essere perso. E sarà:
fabbrica, suoi corridoi, sue ciminiere; fabbrica, suoi macchinari, sue grandi vetrate; fabbrica, suoi operai,
sue vittime scelte. La striscia‐tappeto sarà: giaciglio, anfratto, angolo putrido. E sarà: la soglia di casa alle
sei del mattino; la strada compiuta verso il gran mostro, l’entrata condotta tra le pareti del ventre
ferroso; e sarà turno, rullìo, ritmometrìa; trasporto meticoloso di spasimi, scansione prosodica di gesto e
parola, pedana per una danza meccanizzata e ossessiva. Il trespolo e la striscia‐tappeto saranno
l’inferno che oggi è dimentico e che assume rilievo solo quando i corpi si bruciano (Tyssen), quando
sono costretti a chinarsi (Pomigliano), quando s’intossicano crepando a linfomi (l’ILVA di Taranto).
L’inferno è una demonìa, una demonìa è il corpo d’attore ch’è da Forma al Teatro. Nicola Pianzola, unico
in scena, fa campionatura d’impulsi, di fremiti e mosse d’automa: ora guizza da trottola, ora batte
geometrico, ora s’attorciglia in un grumo che si trascina fetale come sagoma mobile. Ora ritma in
sequenza talloni‐gomiti‐mani‐spalle‐nuca‐parte bassa di schiena; ora disegna eliche e sfere ed ellissi
vorticando la parte destra del fisico; ora sale e scende, risale e riscende, risale e riscende, risale e
riscende l’interno del trespolo divenuto interno di fabbrica. Ora sulla fabbrica siede, ora dalla fabbrica
cade, ora nella fabbrica muore. Ora dalla fabbrica – chi rimane, chi vi sopravvive – è respinto: una, due,
nove ripetute di corsa, le mani afferrano i lati della montatura in metallo mentre una spinta di gambe
rende, a mezza altezza, un corpo che vola: all’aria ogni rivendicazione possibile. Biomeccanica
contemporanea, evoluzione ulteriore del «taylorismo» americano e della «proizvòdstvo» (ovvero:
«produzione») sovietica, rende lo spazio vuoto di Studioteatro, per momenti presenti, un laboratorio di
movimenti meccanici, di leve e ingranaggi attraverso tensioni, rotazioni ed espansioni del corpo, del
corpo il suo battito, del battito il fiato. «Interprete qualificato» ne avrebbe detto Mejerchòl’d. Ma noi
preferiamo l’aria pulita, leggera, respirabile per quanto ammorbata di ruggine, di polvere, di cancrena e
putredine. Forma che avvampa per compendio metronomo (a tratti è raggiunta la celerità campionata
della disco coeva) L’eremita contemporaneo funziona ed avvince per la tachimetria attoriale, per
l’attoriale precisione podistica, per la serialità degli atti fisici, grafici e riflesso logici. Plauso va fatto ad
Instabili Vaganti, alla regia di Anna Dora Dorno, alle musiche compiute sul posto di Andrea Vanzo e,
soprattutto, a Nicola Pianzola: tra le membra e la mimica, l’immaginosa arditezza di una nuova Forma
teatrale, diversa e possibile. In uno spazio vuoto un momento presente: L’eremita contemporaneo è
stato un soffio d’aria pulita.
International Workshop Festival PerformAzioni
                                                Marta Ragusa per Scuccoacido.net, 10 Aprile 2012, Bologna

[…] Nell’epoca in cui le fabbriche chiudono e il mestiere di operaio sembra estinguersi o, comunque,
perdere l’alone di tragicità e mito che aveva fino a qualche anno fa, sembra anacronistico ritrovarsi ad
assistere a un lavoro come questo. Su una scena spoglia e scura si staglia solo una scaletta di ferro
appoggiata su una fabbrica proiettata in video bianco e nero. E un operaio, succube dei tempi incalzanti
della catena di montaggio, protagonista di una vita non sua, di un tempo scandito da ore che non gli
appartengono. E invece, L’eremita contemporaneo, nato dal progetto internazionale LENZ e parte
integrante di un nuovo progetto (Running in the fabrik) avviato dalla compagnia nel 2008, racconta una
storia che potremmo definire universale e sempiterna: l’alienazione e la solitudine forzata non sono
un’esclusiva delle fabbriche, le condizioni disumane in cui lavorano gli operai dell’Ilva di Taranto, realtà
dalla quale Instabili Vaganti ha voluto prendere spunto (anche per la vicinanza biografica tra Anna Dora
Dorno e l’impianto siderurgico pugliese), possono estendersi e metaforicamente abbracciare tutte
quelle vite che perdono il controllo di se stesse continuando così a garantire il funzionamento del
sistema. Il pericolo di lasciarsi inghiottire è sempre attuale, fuori e dentro la fabbrica. L’eremita solitario
è l’emblema di questo processo, i suoi gesti sono ripetuti decine di volte, fino all’estremo. È uno
schizofrenico (come Jakob Michael Reinhold Lenz, al quale Instabili Vaganti ha già dedicato un progetto
da cui poi è nato questo di Running in the fabrik). Il suo agire, il suo parlare riproducono inevitabilmente i
ritmi della fabbrica e da quella ripetitività, brutale meccanizzazione, viene fuori un uomo che ha perso il
contatto con se stesso, che si tocca affannosamente la faccia e non si riconosce più. “Corri, lavora,
agisci, produci, crea”: il mantra dell’eremita odierno che si trasforma sulla scena in canto, sempre più
affannoso. Il corpo dell’uomo operaio è quello di Nicola Pianzola, protagonista della scena, e il canto è
quello di Anna Dora Dorno che, insieme alle musiche eseguite dal giovanissimo compositore Andrea
Vanzo, ora asseconda i ritmi della fabbrica guidando il protagonista verso la sua progressiva
spersonalizzazione, ora dolcemente sembra suggerire tempi diversi, immagini più luminose, mondate di
tutto il grasso e il sudore. Sono i momenti in cui l’illusione è massima, quelli in cui l’eremita, in un guizzo
improvviso di umanità, si scopre capace di sognare, ed è quasi un ritorno alla materia viva, pulsante, alla
sensazione di corpo nuovo e pulito. È centrale qui il contrasto tra movimento inorganico, disanimato,
alienato ed alienante e la materia organica, viva di cui l’uomo è composto, nonostante i continui
attentati della contemporaneità di ogni tempo […]
                                                                                          Come un disco rotto
                                                 Giulia Odoardi per Osservatorio critico, Kilowatt festival 2011

[…] Una voce di donna, all’angolo della scena, accompagnata da un piano, sussurra: “C’era una
volta…”. Comincia così il racconto della compagnia Instabili Vaganti. È la storia dell’eremita
contemporaneo che subitamente appare dal buio, in cima a un eremo di ferro. È un operaio, un uomo
alienato da un lavoro dal ritmo sempre uguale che lo costringe a vivere ogni giorno come un disco rotto.
Lo stesso disco rotto che inizia a girare sulla scena. “Lavora, produci, crea. Tu sei un corpo operaio”.
Una vita che costringe a non pensare è una vita che obbliga a evadere in ogni modo possibile e
immaginabile. Ma quando tutto il corpo fa male e la mente soffre, nemmeno sognare è più possibile.
L’impatto cattura lo spettatore e lo ipnotizza. Le parole continuano a cascata di sottofondo: sono
bollettini di guerra, morti bianche, numeri di spersonalizzazione […]
                                                                                        Kilowatt Festival
                                             Michele Rossi per Sansepolcro informa, Kilowatt festival 2011

[…] In questo lavoro il ritmo si è dimostrato sempre più incalzante con l'attore principale, Nicola
Pianzola che ha dato grandissima espressività e pathos alla recitazione tanto da rendere partecipe lo
spettatore nei disagi vissuti dall'individuo prigioniero di una società che vive sull'industria, sul lavoro e
sulla produzione seriale. Pianzola ha ulteriormente rinforzato l'elemento recitativo con quello più
propriamente fisico attraverso movimenti ripetuti e di forte impatto visivo […]
Instabili Vaganti nasce nel 2004 a Bologna dal sodalizio
                                                 artistico della regista e attrice Anna Dora Dorno e
                                                 dell’attore Nicola Pianzola.
                                                 La compagnia basa la sua ricerca sulla volontà di indagare
                                                 il teatro come forma d’arte totale e l’attore nella sua
                                                 interezza.
                                                                                                    POETICA
                                                 Seguendo questo intento la compagnia ha sviluppato un
                                                 metodo di ricerca in cui l’attore incarna la capacità
                                                 evocatrice del fare poetico, affermando la propria
centralità fisica ed emotiva e dando vita ad una drammaturgia delle azioni che affianca quella delle
parole e che dialoga con differenti forme artistiche: musica, arti visive, video. Il fine perseguito è quello
di creare un linguaggio capace di farsi custode della tradizione, sotto forma di esperienza acquisita, ma
anche spezzarne le regole attraverso la contaminazione artistica e i nuovi media.
                                                                                                WORKSHOP
La compagnia in questi anni ha portato avanti un lavoro quotidiano di ricerca sull’arte dell’attore e di
sperimentazione e formazione nelle arti performative maturando un proprio metodo di lavoro
apprezzato in tutto il mondo. Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola hanno infatti condotto seminari
sull’arte dell’attore e tenuto conferenze nell’Atelier del Grotowski Institute di Wroclaw,
nell’International Workshop Festival in Corea del Sud, nell’ VIII° Incontro internazionale delle accAdemie
nazionali teatrali a Città del Messico promosso da ORMACC UNESCO – ITI, ed in numerose Università
Europee ed internazionali, tra cui: University of Kent in Inghilterra, Babes Bolyai in Romania, Kyungsung
University in Corea del sud, UNAM in Messico, Università di Bologna e Matera in Italia.
                                                                                             PERFORMANCE
Nel 2005 la compagnia vince il Premio speciale della giuria all’International Theatre and Visual Arts
Festival Zdarzenia, in Polonia, per lo spettacolo Avan‐ Lulu. Il successivo spettacolo Lenz – La scimmia di
Goethe riceve una menzione speciale all’International Shakespeare Festival di Yerevan in Armenia.
Stracci della memoria è lo spettacolo di apertura del primo International theatre festival del Cossovo e
dell’ Underground International theatre festival in Romania, Running in the Fabrik partecipa al Teatro
festival Italia di Napoli. La contaminazione con le arti visive porta alla realizzazione di La memoria del
corpo presentata alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia e NO‐Body – performance gialla,
prodotta con Bauhaus Foundation in occasione del X°Farbfest di Dessau. La nuova produzione L’Eremita
contemporaneo, vince il bando di residenza OFFX3 di Spazio OFF di Trento e il bando Visionari,
presentando un anteprima al festival Kilowatt a Sansepolcro ed una prima europea allo STOFF di
Stoccolma. Nel 2012 la compagnia realizza la prima coproduzione Italo – Coreana con Eomuy – memoria
madre per il BIPAF Busan International Performing Arts Festival di Busan.
                                                                                                   PROGETTI
La compagnia dirige il progetto internazionale Stracci della memoria che coinvolge performer
provenienti da tutto il mondo attraverso percorsi di alta formazione, ricerca e creazione artistica svolti
in differenti paesi: Germania, Polonia, Inghilterra, Austria, Svezia, Cossovo, Romania, Corea del Sud,
Armenia, Messico. Ha diretto inoltre il progetto Internazionale di ricerca teatrale LENZ in collaborazione
con il Teatro Fabrik Sachsen di Lipsia e il progetto Running in the fabrik in collaborazione con l'Old Vic
Theatre di Londra. Attualmente dirige il progetto internazionale Megalopolis, iniziato a Città del Messico
in collaborazione con il Centro cultural universitario Tlatelolco dell’UNAM

Dal 2009 la compagnia dirige il LIV, Centro di Ricerca e Formazione nelle Arti Performative a Bologna,
dal 2011 cura la direzione artistica del Festival Internazionale sulla formazione teatrale PerformAzioni e
dal 2012 quella di TRENOFF il primo Fringe Festival di Bologna.

                        Associazione culturale Panicarte
                        c/o LIV – Performing Arts Centre ‐ Via R. Sanzio 6, Bologna, Italy
                        Tel/Fax +39 ‐ 0519911785 Mobile +39 3491364945
                        info@instabilivaganti.com www.instabilivaganti.com
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