RETE TERRITORIALE DI WELFARE INTERAZIENDALE - IDEA PER PROGETTO PILOTA

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IDEA PER PROGETTO PILOTA
                  RETE TERRITORIALE DI WELFARE INTERAZIENDALE
              per rispondere alle esigenze di conciliazione della famiglia

1. IL WELFARE AZIENDALE

    1.1. Cos’è il Welfare aziendale
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Per welfare aziendale si intende l’insieme di iniziative di sostegno e di solidarietà messe in atto da aziende private
nei confronti dei propri dipendenti per migliorare il clima lavorativo attraverso iniziative a vantaggio dei
dipendenti e delle loro famiglie.
È evidente che il futuro di ogni azienda dipende dalle persone che ne fanno parte, dal loro coinvolgimento e dalla
loro volontà di far bene per l’azienda. Stare bene sul posto di lavoro e conciliare il lavoro con la vita extra
lavorativa, con i tempi della propria famiglia diventa il presupposto per migliorare la qualità della vita dei
collaboratori e di riflesso per il successo di ogni azienda.
Il welfare aziendale parte infatti dalla consapevolezza che se ogni persona vive meglio le sue giornate sul posto di
lavoro, il beneficio individuale diventa benessere collettivo e a guadagnarne è l’intera azienda.

    1.2. Perché il Welfare aziendale

I vantaggi per il sistema territoriale
Il tema del welfare aziendale o della conciliazione famiglia e lavoro è da tempo nell’agenda politica delle
amministrazioni locali, nel tentativo di creare un sistema di sviluppo armonioso ed equilibrato, che punta al
rafforzamento della coesione sociale, all’accrescimento della qualità e dell’efficienza del sistema territoriale, alla
qualificazione e valorizzazione delle risorse sociali ed ambientali e, non di meno, a migliorare complessivamente
la qualità della vita delle persone.
Attraverso le politiche di conciliazione famiglia e lavoro:
      si favorisce la partecipazione al mercato del lavoro di chi solitamente si fa carico degli oneri di cura di figli
         minori e in generale di famigliari non autosufficienti, ovvero della popolazione femminile;
      si supportano sia i nuclei famigliari che non sono in più in grado di sopravvivere con un solo reddito, sia le
         famiglie mono-genitoriali ridimensionandone il rischio povertà;
      si sostiene e si incrementa l’occupazione italiana consentendo alla popolazione femminile di permanere
         nel mercato del lavoro o di rientrarvi più facilmente o di non esserne espulsa;
      si incentiva la competitività delle imprese e del tessuto produttivo italiano che possono contare sul
         talento, sulla conoscenza, sulle competenze di chi potrebbe subire limitazioni all’impegno o alla carriera
         professionale dovute agli impegni famigliari;
      si fornisce una risposta individuale ad un bisogno della persona, che nella fattispecie è più spesso donna
         ma che è anche uomo, i cui “oneri di cura” devono tornare ad essere “piacere della cura”, cosa ottenibile
         soltanto a costo di un preciso impegno sociale e politico.

Nello stesso tempo gli enti locali si ritrovano a dover far fronte a bilanci sempre più esigui e quindi con una
maggiore difficoltà nell’adottare politiche sociali esaurienti ed efficaci per rispondere ai fabbisogni del territorio.
Una delle possibilità per uscire da questa situazione è quella di favorire una maggiore integrazione tra pubblico e
privato, e creare una sinergia in grado di liberare nuove risorse.
Sul fronte degli enti locali, un’azione di sistema di questo genere, potrebbe generare i seguenti vantaggi:
      Ottimizzazione degli interventi di politica sociale, integrandoli con gli strumenti applicati dalle aziende;

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                          Tel. 02.70006174 - Fax. 02.70006349 - sidef@sindacatodellefamiglie.it
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 Maggiore efficienza nell’uso delle strutture disponibili (es. spazi, strutture, mezzi), grazie all’allargamento
      della platea di utenti e all’estensione degli orari di utilizzo, che si avrebbe coinvolgendo le imprese
      nell’uso di tali risorse;
     Maggiore controllo della coerenza tra investimenti in politiche sociali e la loro efficacia di risposta alle
      esigenze dei cittadini, grazie ad interventi coordinati con le imprese che adottano già politiche di welfare
      aziendale;
     Aumentare il livello di interazione con il proprio territorio e nell’ascolto delle esigenze dei propri cittadini.

I vantaggi per le imprese
Nelle nuove condizioni di competizione globale, a livello internazionale, la conciliazione diventa un tema
strategico per migliorare la capacità competitività dell’impresa, in quanto l’attivazione di strumenti di welfare
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aziendale consente di:
     limitare il turnover del personale e di conseguenza ridurre i costi aziendali in termini di riassunzioni,
        formazione, etc.
     mantenere il know-how del capitale umano in azienda;
     migliorare il clima aziendale interno e accrescere la motivazione dei dipendenti;
     attrarre i lavoratori migliori, i quali saranno invogliati a scegliere le imprese che offrono le migliori
        facilitazioni e supporti alle proprie esigenze;
     attivare un sistema di ascolto dei propri dipendenti, in grado di favorire un maggior attaccamento
        all’azienda e si traduca in una maggiore produttività;
     comunicare verso l’esterno (istituzioni, partner, mezzi di comunicazione, comunità locale) l’immagine di
        un’azienda attenta ai temi sociali;
     ridurre l'assenteismo e le richieste di permessi;
     razionalizzare il rapporto costi/benefici delle iniziative di motivazione dei collaboratori.

La ricerca “Effetti economici e produttivi per l’azienda derivanti da misure per favorire la conciliazione”
(Betriebswirtschaftliche Effekte familienfreundlicher Maßnahmen 2003-2004 Prognos, Berlino per conto del
Ministero tedesco della famiglia: www.bmfsfj.de) ha realizzato un’analisi costi-benefici sugli effetti economici che
sono riconducibili ad iniziative di conciliazione realizzate in imprese europee. La ricerca ha dimostrato come le
iniziative di Welfare Aziendale siano investimenti sostenibili ed economicamente vantaggiosi, in quanto generano:
      riduzione dei costi del turnover e della ricerca di nuove risorse umane dal 31% al 63%;
      riduzione dei costi complessivi per la realizzazione delle iniziative di conciliazione dal 55% al 78%;
      considerando il programma complessivo per la conciliazione come investimento nel tempo, il ROI (Return
         on Investinent) sull’investimento valutato al 15%-25% per la situazione reale, e addirittura al 100-110%
         per la situazione aziendale ottimale;
      riduzione del tempo di assenza per maternità (12 mesi nello scenario ottimale, 25 in quello reale, 36 per il
         base);
      incremento nella percentuale di ritorno al lavoro della mamme dopo la maternità: 80%

I vantaggi per i lavoratore
Da sempre le aziende devono il proprio successo al contributo degli uomini e delle donne che le compongono. Le
azioni condivise di welfare aziendale, attivano soluzioni che favoriscono il benessere individuale di tutti i
dipendenti, in particolare:
     garantendo ai dipendenti non solo la conservazione degli attuali livelli retributivi nominali, ma
      aumentandone il reddito disponibile effettivo attraverso modalità che privilegino l'offerta di servizi o
      strumenti non monetari in grado di soddisfare esigenze di ordine primario e migliorare la qualità della vita
      delle famiglie e dei singoli;
     erogando interventi di supporto, formazione e empowerment in favore dei propri dipendenti;

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 sostenendo il potere di acquisto del personale, a fronte dell’attuale situazione di incertezza economica
      generale, con iniziative e programmi finalizzati ad erogare in favore dei propri dipendenti servizi di natura
      non retributiva in materia di istruzione, assistenza sociale, sanitaria ed economica

    1.3. Il Welfare aziendale: la situazione attuale

Il tema del welfare aziendale nasce come evoluzione della conciliazione famiglia-lavoro e più in dettaglio delle
problematiche occupazionali delle donne.
In tal senso, gran parte dell’attenzione di imprese ed enti locali è concentrata sulle problematiche connesse alla
flessibilità del lavoro, a facilitare il rientro delle donne nel mondo del lavoro al termine dei periodi di maternità. 3
Così se da un lato la legislazione giuslavoristica ha definito nuove forme organizzative per regolamentare la
flessibilità del lavoro, gli enti pubblici locali hanno cercato in questi ultimi decenni di dare risposte sempre più
mirate alle esigenze delle madri di rientrare nel mondo del lavoro. Questi ultimi hanno così cercato di organizzare
servizi per l’infanzia sempre più capillari, servizi sociali come l’assistenza domiciliare per alleviare i carichi di cura,
servizi consulenziali e di supporto per agevolare il rientro nel mondo del lavoro, etc.
Anche le grandi imprese hanno capito l’importanza che hanno questi servizi per i propri dipendenti e nei casi più
lungimiranti hanno cercato di dare il proprio contributo, organizzando asili aziendali e adottando forme di lavoro
sempre più flessibili come concesso dall’evoluzione normativa.
Nel tempo tali misure si sono evolute e hanno cercato di dare risposte sempre più complesse, anche uscendo da
una logica di genere, comprendendo che il problema non è ascrivibile alle sole politiche occupazionali di genere,
ma che il tema della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita (work life balance) riguarda tutti i propri
dipendenti e non solo le famiglie o le donne in maternità.
Si è introdotto così il concetto di welfare aziendale, all’interno del quale si possono inserire tutte quelle iniziative
che in un’ottica relazionale cercano di migliorare il rapporto tra il lavoro e i tempi di vita di tutti i dipendenti.
Attualmente le iniziative più interessanti e innovative in termini di welfare aziendale, sono attuate quasi
esclusivamente da Grandi Imprese, le quali hanno dimensioni e capacità adeguate per poter attivare progetti di
questo genere. Si possono trovare così programmi estremamente interessanti che cercano in vari modi di rendere
sempre meno conflittuale questo rapporto, rendendo la propria azienda un luogo sempre più piacevole in cui
stare, ma soprattutto in grado di risolvere o rimuovere alcuni degli ostacoli che impediscono o complicano la vita
lavorativa delle persone, oppure liberando tempo e risorse da utilizzare per la propria vita extralavorativa.
Il tessuto imprenditoriale italiano però, come è noto a tutti, è composto in termini numerici per oltre il 95% da
medie e piccole imprese, dove la diffusione delle iniziative di Welfare aziendale è molto ridotta, se non
praticamente assente. E’ quindi nell’ambito delle piccole e medie imprese che si trova il maggiore ostacolo alla
diffusione del Welfare aziendale. E’ necessario a questo punto soffermarsi sulle cause alla base di questo
fenomeno.

    1.4. Quali ostacoli alla diffusione del Welfare aziendale nelle PMI

Una prima causa, fondamentalmente di origine culturale, può essere individuata nella scarsa sensibilità a questo
genere di istanze, frutto di un’impostazione molto rigida del rapporto di lavoro. In tale prospettiva, il lavoratore
viene visto come un semplice fattore di produzione, svincolato delle sue relazioni e dal contesto in cui vive,
trascurando quindi le sue esigenze, che in certe situazioni limite possono diventare addirittura problematiche per
l’azienda (ad esempio la maternità di una dipendente oppure un dipendente che deve dedicarsi alla cura dei
propri genitori).
Altra causa di estrema rilevanza, può essere identificata nelle caratteristiche strutturali di queste aziende, in
particolare nel numero ridotto di dipendenti per azienda. Questa caratteristica è fortemente collegata alla rigidità
organizzativa richiesta da determinati servizi, come ad esempio quelli assistenziali e per l’infanzia, dove è
necessario un numero minimo di richieste per poter avviare il servizio. Inoltre, i servizi di questo genere, essendo
caratterizzati da costi fissi importanti, richiedono un numero considerevole di utenti per poter raggiungere il

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punto di pareggio economico e quindi essere sostenibile per una impresa di piccola dimensioni. Diverso invece il
caso di una grande impresa, dove il punto di pareggio economico del servizio è più facilmente raggiungibile
potendo contare su un numero maggiore di dipendenti, in cui è molto facile che la richiesta di questi servizi
raggiunga il numero minimo per renderli economicamente sostenibili. E comunque, certe spese sono più
facilmente sostenibili all’interno di bilanci importanti come quelli delle grandi imprese, che non in quelli delle
PMI.
Altro elemento determinante nell’ostacolare la diffusione del Welfare aziendale nelle PMI è la loro notevole
frammentazione e diffusione sul territorio. Il fatto che tali imprese siano tante e su un territorio piuttosto ampio è
sicuramente un ostacolo alla diffusione di queste buone prassi, in quanto richiede uno sforzo maggiore per il
coordinamento delle iniziative e per superare i problemi logistici connessi all’erogazione dei servizi.
Infine c’è un ulteriore aspetto di natura culturale, cioè la diffidenza dei piccoli e medi imprenditori a partecipare a
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forme associative finalizzate, come ad esempio i consorzi, in cui l’imprenditore non sente di riuscire a governare il
processo e non riesce a percepire il vantaggio di investire risorse economiche in questo modo. Questa è tra l’altro
una delle ragioni per cui queste forme aggregative stentano a diffondersi sull’intero territorio nazionale, ad
esclusione di alcuni territori, dove invece lo spirito associativo e cooperativo è più forte e diffuso tra gli
imprenditori.

    1.5. Quali ipotesi di soluzione del problema

Le criticità elencate sopra evidenziano l’esigenza di un coordinamento esterno alle imprese che da un lato
favorisca l’aggregazione della domanda o dell’offerta e dall’altro organizzi l’erogazione dei servizi, ottimizzando
l’uso delle risorse disponibili.
A tal fine possono essere identificate fondamentalmente tre ipotesi di lavoro.
    1) Aggregazione delle imprese.
         In questo modo si andrebbero a compensare i problemi strutturali delle imprese raggiungendo una massa
         critica adeguata per l’avvio di queste iniziative.
         Le forme organizzative con cui realizzare questa ipotesi sono le più disparate, come ad esempio la
         Fondazione di imprese, il Consorzio, l’Associazione, la Cooperativa,etc.
         Il limite principale di questa ipotesi, al di la della modalità organizzativa scelta, è il problema della
         governance. Infatti, è presumibile che sia piuttosto problematica l’individuazione di un modello di
         gestione in grado di garantire l’autonomia decisionale degli imprenditori che vi partecipano, i quali si
         troverebbero a dover sostenere economicamente una struttura su cui hanno una ridottissima capacità di
         controllo.
         Inoltre, anche gli utenti, come ad esempio le famiglie nel caso di un asilo interaziendale, avrebbero una
         scarsa capacità decisionale e di indirizzo.
    2) Aggregazione della domanda.
         In questo caso, si vuole aggregare la domanda dei lavoratori, attraverso una struttura che risponde in
         primo luogo agli utenti, i quali sono i principali decisori delle scelte effettuate.
         Dal punto di vista organizzativo, la creazione di una cooperativa di consumo appare la scelta più idonea
         per questa ipotesi di soluzione.
         La cooperativa di consumo acquista sul mercato per conto dei propri soci (i dipendenti delle PMI del
         territorio) i servizi di welfare aziendale di cui essi necessitano. Le aziende pagano direttamente ai soggetti
         erogatori una parte o l’intera quota del servizio, usufruendo delle agevolazioni fiscali previste.

2. IL PROGETTO PILOTA PER UNA RETE TERRITORIALE DI WELFARE INTERAZIENDALE

Questa idea per un progetto pilota nasce dall’esigenza di promuovere anche nelle piccole e medie imprese
iniziative di welfare aziendale, cercando di superare le problematiche finora descritte che attualmente ostacolano
la diffusione di queste buone prassi.

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Rispetto alla breve analisi delle possibilità operative sopra descritte, si ritiene che l’ipotesi ottimale sarebbe quella
di aggregare la domanda e in base al territorio, studiare quale forma organizzativa si adatti meglio alle sue
caratteristiche socio economiche e imprenditoriali.

L’idea che si intende perseguire è la creazione di un network in grado di aggregare la domanda, mettendo insieme
i dipendenti delle piccole e medie imprese di un territorio piuttosto circoscritto.

In termini concreti, qualsiasi sia la forma di aggregazione della domanda, i servizi che possono essere erogati sono
i seguenti:

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    2.1. Servizi attivabili tramite fornitori esterni

              Servizi di assistenza
               Assistenza domiciliare, voucher per l’assistenza a bambini/anziani/persone non autosufficienti, asili
               nido a tempo corto;
              Servizi per l’infanzia
               Nidi aziendali, asili di distretto, spazi gioco, ludoteche, baby parking, servizi di babysitteraggio
               monitorato;
              Servizi vari di supporto all’attività scolastica
               Organizzazione trasporto scolastico, sostegno psicopedagogico, organizzazione di centri estivi,
               doposcuola assistito, doposcuola attrezzati;
              Servizi per disabili
               Attività di preformazione professionale, organizzazione di vacanze estive, supporto all’integrazione
               scolastica, strutture assistenziali;
              Servizi per anziani
               Convenzioni con residenze sanitarie, predisposizione delle residenze domiciliari, convenzioni con
               centri diurni terapeutici/residenziali/riabilitativi, assistenza domiciliare, organizzazione delle
               vacanze per anziani, costituzione di centri di aggregazione per la terza età,
               predisposizione/convenzione per trasporto sociale, organizzazione di attività ricreative, promozione
               del telesoccorso;

    2.2. Servizi gestibili direttamente dal soggetto aggregante

              Servizi di time utility e di prossimità
               Servizio di lavanderia, sartoria, calzolaio in azienda, spesa a domicilio, disbrigo pratiche
               amministrative, acquisto farmaci, prenotazioni;
              Servizio di money saving
               Attivazione di gruppi di acquisto, convenzioni con partner commerciali, carrello della spesa

    2.3. Punti di forza

Una soluzione come quella ipotizzata di aggregare la domanda permetterebbe innanzitutto di raggiungere e
superare le soglie minime necessarie per poter attivare un servizio o anche solo per renderlo economico.

Allo stesso tempo, le aziende sarebbero stimolate e agevolate in quanto troverebbero un soggetto unico con cui
interloquire nella gestione dei benefit. In questo modo l’azienda non erogherebbe più questa parte di
retribuzione in forma monetaria ai propri dipendenti, ma pagherebbe direttamente il servizio o parte di questo al
posto del dipendente.

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L’articolo 51, comma 2, lettera f) del TUIR riconosce che NON CONCORRONO a formare reddito del lavoratore
opere e servizi resi dal datore se:
1) riguardano la generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti;
2) non sono previsti da un vincolo contrattuale;
3) vengono resi a soggetti appartenenti al nucleo familiare del lavoratore.
Tale esenzione spetta anche se il datore di lavoro fornisce opere o servizi mediante il ricorso a strutture esterne
all'azienda stipulando apposite convenzioni.
Questo conferma che i servizi educativi e assistenziali che una azienda fornisce ai propri dipendenti sono esenti da
imposizione fiscale e contributiva. Questo permetterebbe di scalare questi costi direttamente dalla retribuzione
lorda del dipendente e non dalla retribuzione netta, con notevoli vantaggi economici per i dipendenti, che
vedrebbero in questo modo aumentato il proprio reddito disponibile, rispetto alla situazione attuale in cui
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provvedono autonomamente alla soluzione di questi problemi, usando parte del proprio reddito netto per pagare
questi servizi.

La possibilità di defiscalizzare tali interventi, rende questa modalità vantaggiosa anche per le imprese, in quanto
per avviare questa modalità, non ha particolari costi aggiuntivi per l’impresa, elemento determinante per poter
coinvolgere le imprese. Infatti l’azienda contribuisce girando al soggetto che aggrega la domanda solo la parte
legata al benefit.

    2.4. Punti di debolezza

Uno dei principali punti di debolezza di questa idea è la difficoltà nel trasmettere ai dipendenti i vantaggi in
termini economici e di servizi che potrebbero ottenere con questa iniziativa e quindi ad avere una adesione
massiva.

E’ ipotizzabile inoltre una prima serie di difficoltà organizzative, in quanto l’idea è nuova e non avendo modelli di
riferimento precedenti, questo comporterà presumibilmente diversi aggiustamenti in corso d’opera sia alla
struttura organizzativa che ai processi interni.

    2.5. Opportunità

Questo tipo di soluzione potrebbe rappresentare un vantaggio anche per gli enti locali, i quali oggi si ritrovano con
risorse sempre più esigue a fronteggiare le esigenze dei propri cittadini che diventano di anno in anno sempre più
complesse e differenziate. Inoltre, per le amministrazioni pubbliche, i costi di questi servizi hanno raggiunto livelli
tali, che diventa sempre più difficile per queste assumersi impegni aggiuntivi rispetto a quelli già in essere. Basti
pensare che mediamente un asilo nido costa dai 1100 ai 1400 € mensili per bambino, di cui la parte in carico agli
utenti va da 300 a 400 € mensili. In tal senso, l’ente pubblico sarebbe interessato a favorire queste forme
innovative di risposta ai bisogni, in quanto con un contributo minimo potrebbe garantire il servizio ad una fascia
più ampia di cittadini.

    2.6. Minacce

Non tutte le piccole e medie imprese hanno previsto la possibilità di erogare parte della retribuzione
sottoforma di benefit, questo tende a ridurre la platea di riferimento tra le aziende che potrebbero parteciparvi.

    2.7. Connessioni con le piste di lavoro identificate nel Libro Verde della Regione Lombardia

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Sul fronte delle imprese queste iniziativa va nella direzione auspicata di sviluppare laboratori per la costruzione di
reti territoriali per le politiche di conciliazione, creando un collegamento prioritario con il territorio di riferimento
(punto 4, pag. 16). In tal senso la costituzione di un organismo terzo, può anche diventare l’occasione per
promuovere interventi di formazione e consulenza a imprese e istituzioni a supporto delle politiche di
conciliazione (punto 3, pag. 16). Inoltre una iniziativa di questo genere si sposerebbe in modo ottimale con la
sperimentazione di voucher di conciliazione (punto 5, pag. 16), i quali renderebbero più fluide le transazioni
monetarie e aumentano la libertà di scelta dei lavoratori.

Sul fronte del lavoro, è facilmente prevedibile che un aumento dei servizi di conciliazione o di welfare aziendale,
favoriscano l’innalzamento e il mantenimento dei tassi di occupazione femminile, offrendo inoltre la possibilità di
applicare e ampliare la sperimentazione avviata con i voucher di conciliazione (punto 6, pag. 18). Questo genere
di iniziative, prevedendo un coinvolgimento alto delle imprese, potrebbe rappresentare un modello di riferimento 7
per promuovere intese con il Ministero del Welfare al fine di sperimentare nuove forme di fiscalità applicata alle
politiche del lavoro (punto 8, pag. 18).

Sul fronte della famiglia, l’avvio di una forma di aggregazione tra i vari attori coinvolti al fine di erogare servizi di
welfare aziendale, potrebbe raffigurare una occasione per migliorare e ottimizzare le sinergie sul territorio,
offrendo ai servizi già esistenti, un soggetto in grado di raccogliere le esigenze delle famiglie e di supportare gli
enti pubblici nell’organizzazione dei servizi. Tale soggetto terzo, potrebbe quindi rappresentare l’anello di
congiunzione tra gli interventi erogati dal sistema pubblico e i propri utenti organizzati in nuove forme (pag. 19).

In definitiva, tale progetto risponde in pieno al punto 16 a pag. 21, cioè all’obiettivo di promuovere la nascita di
reti territoriali su conciliazione famiglia e lavoro per il coinvolgimento attivo di tutti i soggetti che possono
concorrere alla realizzazione di una rete integrata di servizi e di interventi per favorire la conciliazione in ambito
locale e orientarsi verso un sistema integrato di risorse finanziarie di sostegno.

3. LE FASI DEL PROGETTO

Per avviare un progetto pilota di questo genere si ritiene necessario seguire un percorso che potrebbe essere
ipoteticamente di questo genere:
    1. Avviare un periodo di studio e analisi di fattibilità (6 mesi)
        In questa fase si provvederebbe a raccogliere le esigenze dei dipendenti e delle loro famiglie, analisi dei
        vincoli e delle opportunità, analisi delle modalità di erogazione dei servizi, analisi del modello
        organizzativo ottimale, identificazione dei territori in cui avviare la sperimentazione (1 mese)
    2. Attivazione del soggetto aggregativo e avvio della fase di sperimentazione del modello individuato (2
        anni)
        Analisi continua del livello di soddisfazione degli utenti e delle aziende, ricerca di nuovi servizi e risposte ai
        problemi delle famiglie, analisi dei risultati in azienda in termini di produttività e di miglioramento dei
        risultati aziendali
    3. Al termine del progetto, si vuole arrivare a definire un report in grado di :
         Identificare le condizioni necessarie per la replicabilità e sostenibilità del progetto;
         Identificare i vantaggi apportati ai soci rispetto alla situazione standard dei non soci o della situazione
            iniziale dei soci;
         Identificare le opportunità di miglioramento del progetto e di nuove proposte migliorative;
         Identificare i vantaggi che il progetto porta alle imprese in termini di miglioramento dei risultati e
            della produttività, nonché del clima aziendale.

A cura del Dott. Davide Rosati
Per conto del SINDACATO DELLE FAMIGLIE
                          Sindacato delle Famiglie - Via Macedonio Melloni, 27 - 20129 Milano
                          Tel. 02.70006174 - Fax. 02.70006349 - sidef@sindacatodellefamiglie.it
                                                    C.F 97019360151
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