GET RID OF YOURSELF (ANCORA ANCORA ANCORA) - Fondazione ...
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GET RID OF YOURSELF (ANCORA ANCORA ANCORA) A CURA DI LUCREZIA CALABRÒ VISCONTI IN COLLABORAZIONE CON ALMARE DAFNE BOGGERI, TERESA COS, AMBRA PITTONI, ELENA RADICE, RADNA RUMPING, ERICA VAN LOON Il 23 agosto 1978 il volto di Mina viene registrato per l’ultima volta nelle immagini di “Ancora Ancora Ancora”, girate alla Bussola di Viareggio. È l’anno del rapimento di Aldo Moro e l’inizio del “riflusso”, il ritorno al privato che segna la conclusione della stagione di rivolta del Movimento del ‘77 in Italia. Per i 23 anni seguenti la “Tigre di Cremona” rifiuterà tutte le offerte di apparire in pubblico, diventando per il mondo solo ed esclusivamente voce. La cantante non dichiarerà mai i motivi della sua scelta. Get Rid of Yourself (Ancora Ancora Ancora) è il progetto ideato da Lucrezia Calabrò Visconti e selezionato da un comitato costituito da Edoardo Bonaspetti, Direttore artistico della Fondazione Henraux; Alessandra Mammì, storica dell’arte e giornalista presso L’Espresso; Roberta Tenconi, curatrice di HangarBicocca e
Gianfranco Baruchello, Presidente onorario e Direttore artistico della Fondazione Baruchello. Get Rid of Yourself (Ancora Ancora Ancora) è una mostra sonora collettiva che prende forma nel buio. Il progetto indaga la produzione di un immaginario in assenza, riflettendo sulle possibilità politiche di abitare l’invisibilità. Disseminate in un percorso sonoro costruito in collaborazione con il collettivo ALMARE, le narrazioni delle artiste in mostra agiscono nell’oscurità, tramutandone l’accezione privativa in luogo per la condivisione attiva di pratiche. L’edificio sembra vuoto, eppure è abitato in ogni suo spazio, angolo, intercapedine: ribaltando una strategia tradizionalmente operata dalla critica istituzionale, Get Rid of Yourself (Ancora Ancora Ancora) ospita una molteplicità di voci, suoni e situazioni, che impongono una presenza a tratti sussurrata intimamente, a volte spettrale e affilata, e infine reclamata con grandiosità. Le stanze della Fondazione possono riempirsi completamente di acqua e farsi mare; diventare una navata maestosa o le strade di una città in rivolta; trasformarsi nell’aula di un’università di anatomia dove un cervello viene sezionato, e poi nelle vene e corpi cavernosi di quello stesso cervello, dove pensiero e sensazione si compenetrano fino a diventare indistinguibili dall’ambiente circostante. Il paesaggio sonoro innesca
processi di disidentificazione che rimescolano le nozioni di coscienza individuale e di corpo collettivo, in una progressiva negoziazione dei concetti di tempo lineare e individualità storica. Secondo Giorgio Agamben, può dirsi contemporaneo soltanto chi non si lascia accecare dalle luci del secolo e riesce a scorgere in esse la parte dell’ombra, la loro intima oscurità. Get Rid of Yourself (Ancora Ancora Ancora) riceve in pieno viso il fascio di tenebra che proviene dal suo tempo. La durata della mostra è la stessa che impiegano gli occhi ad abituarsi all’assenza di luce, in cui il limite tra consapevolezza e incoscienza si fa labile. Come suggerisce Erica van Loon nell’opera in mostra: “Quanto tempo serve al tuo cervello per realizzare che non sei stato tu a sbattere le palpebre ma che sono stata io a spegnere per un attimo la luce?” Get Rid of Yourself (Ancora Ancora Ancora) è il progetto selezionato per la terza edizione del Summer Show, in cui è data carte blanche a giovani curatori che hanno la possibilità di ideare e realizzare una mostra. Questa edizione prolungherà l’estate fino alla soglia dell’autunno divenendo per l’occasione Late Summer Show 2019.
EN CURATED BY LUCREZIA CALABRÒ VISCONTI IN COLLABORATION WITH ALMARE DAFNE BOGGERI, TERESA COS, AMBRA PITTONI, ELENA RADICE, RADNA RUMPING, ERICA VAN LOON On August 23rd 1978, Mina’s face is recorded on camera for the last time while singing “Ancora Ancora Ancora” at the Bussola club in Viareggio. It’s the year of the kidnapping of politician Aldo Moro and the beginning of the “riflusso”, the retreat into private life that marked the end of the season of struggles led by the Italian 1977 Movement. For the next 23 years, the “Tigre di Cremona” (Tiger of Cremona) will refuse all offers to appear in public, thus becoming exclusively a voice to the rest of the world. The singer will never disclose the reasons for her choice. Get Rid of Yourself (Ancora Ancora Ancora) is a project conceived by Lucrezia Calabrò Visconti and selected by a committee composed of Edoardo Bonaspetti, Artistic Director of the Fondazione Henraux; Alessandra Mammì, art historian and journalist at L’Espresso; Roberta Tenconi, curator at HangarBicocca; and Gianfranco Baruchello, Honorary President and Artistic
Director of the Fondazione Baruchello. Get Rid of Yourself (Ancora Ancora Ancora) is a collective sound exhibition that takes shape in the dark. The project investigates the production of imagery in the absence of sight, to reflect on the political possibilities of inhabiting invisibility. Disseminated along a sound path built in collaboration with the ALMARE collective, the artists’ narratives act in the dark, transforming a privative condition into a place for the active sharing of practices. The building seems empty, yet it is inhabited in every space, corner, and interspace. Turning back a strategy traditionally carried out by institutional critique, the Foundation hosts a multiplicity of voices, sounds and situations, which impose a presence sometimes intimately whispered, sometimes spooky and sharp, and finally claimed with magnificence. The rooms of the Foundation are filled with water to grow into the see, become a majestic nave, and then the streets of a city in revolt; they transform themselves into an anatomy university classroom where a brain is dissected, and then metamorphose into the veins and cavernous bodies of that same brain, where thought and sensation interpenetrate each other until they become indistinguishable from the surrounding environment. The space becomes an incarnation of the personal stories and great political narratives that inhabit it,
activating processes of disidentification that reshuffle the notions of individual conscience and collective body in a progressive negotiation of the concepts of linear time, historical individuality, and human reason. According to Giorgio Agamben, “the ones who can call themselves contemporary are only those who do not allow themselves to be blinded by the lights of the century and so manage to get a glimpse of the shadows in those lights, of their intimate obscurity”. Get Rid of Yourself (Ancora Ancora Ancora) receives in full face the emission of darkness that comes from its time. The duration of the exhibition is the same that the eyes take to get used to the absence of light, in which the limit between awareness and unconsciousness is weakened. As Erica van Loon suggests in the audio work presented in the exhibition: “How long does it take for your brain to realize that you didn’t blink but that I switched off the lights?”. On September 23rd 2019, at 7.00 PM the Fondazione Baruchello opens the third edition of the Summer Show, in which young curators are given carte blanche and have the opportunity to create an exhibition. This edition will extend summer over the threshold of fall, thus becoming the Late Summer Show 2019.
STANZE - ROOMS 2 ELENA RADNA RADICE RUMPING 3 1 TERESA AMBRA COS PITTONI ERICA VAN LOON ENTRANCE 4 EXIT DAFNE 4 ERICA VAN LOEN BOGGERI MEDIATION MATERIALS
1 AMBRA PITTONI Amorevole. Una finzione somatica 2019 9’45’’ Una delle prove finali che un apprendista sciamano deve superare consiste nel riuscire a visualizzare il proprio corpo come uno scheletro. Allo stesso modo, alcune pratiche coreografiche si basano sulla “produzione di corpi specifici”. Per eseguirle, è necessario costruire una lingua capace di creare una forte relazione tra immagine mentale, percezione e movimento; una lingua che parla ai sensi attraverso il pensiero astratto, così da articolare una serie di dinamiche “affettive” – “affetto” è qui da intendersi nell’accezione anglosassone del termine, per la quale l’affetto è anche un effetto, più simile alla condizione dell’”afflitto” in lingua italiana, perché influenzato dalla relazione con qualcosa o qualcuno. Queste dinamiche devono poter produrre, “portare in presenza”, un corpo, che già esiste in potenza, tra il regno virtuale e quello materiale. La finzione somatica è una pratica che permette ai molteplici corpi e alle molteplici menti di cui tutti siamo dotati di affiorare, plasmandosi in movimenti, posture, respiri e autorappresentazione. Fingere
somaticamente significa aprire il varco a tutti i corpi fantasma che ci abitano, alle latenze che brulicano nel territorio liminare tra mente e corpo. Situata nella connessione somatica tra immaginazione e sensibilità corporea, Amorevole. Una finzione somatica è una coreografia mentale in cui un corpo si trasforma e si produce in un organismo dotato di nuovi tipi di organi, dando luogo a una condizione che metta all’opera molteplici intelligenze, oltrepassando questioni di genere e di specie. Attraverso la pratica, il processo di finzione si incarna e diventa realtà. Voce: Ambra Pittoni Registrazione e editing: ALMARE AMBRA PITTONI Amorevole. A somatic fiction 2019 9’45’’ Among the final trials a shaman apprentice is called to fulfill, one of them especially consists in visualising his own body as a skeleton. Similarly, some choreographic practices are based on “production of specific bodies”. In order to execute these practices, it is necessary to build a language capable of instaure a strong relationship between mental image, perception and movement; a language that speaks to the senses through abstract thinking. So as
to articulate a series of “affective” dynamics. “Affection” is here to be understood in the English sense, for which affect is also an “effect”, more close to an “afflicted” condition, as we could translate it in Italian. A peculiar effect conditioned by the relationship with something or someone. These dynamics must arise – “bring into actual presence” – a potential body, dwelling in between virtual and material realms. The somatic fiction is a practice allowing the endless bodies and minds, of whom we all are gifted, to freely bloom, shaping ourselves into movements, postures, breaths and self- representations. “To pretend somatically” means paving the way to all those ghost-bodies that live in ourselves, to the latencies that bustle in the threshold territory between mind and body. Amorevole. A somatic fiction, located in the very somatic connection between imagination and bodily sensitivity, is nothing but mental choreography in which a body is transformed and turned in an organism endowed with new organs. Multiple intelligences are shrouded so in a same condition, overcoming gender and species matters. By practice, the fiction process is embodied and becomes reality. Voice: Ambra Pittoni Recording and editing: ALMARE
2 ELENA RADICE Cantilena retorica per un futuro luminoso. Canone libero per coro polifonico disfunzionale 2019 20’ In Cantilena retorica per un futuro luminoso, un coro polifonico disfunzionale interpreta una partitura a canone libero, metodo di composizione derivato dalla musica minimale. Tale metodo prevede la costruzione di brevi frasi musicali modulari, che i componenti del coro possono eseguire senza limiti di durata o ripetizione. Le frasi musicali si inseriscono così in un flusso imprevedibile basato sull’ascolto reciproco, che da attività di fruizione diventa un’azione compositiva, estemporanea e condivisa. L’atto performativo viene così smantellato, in virtù di una ibridazione tra gestualità di fruizione e performance in cui la percentuale di osmosi con il mondo circostante messa in atto dagli interpreti deve diventare molto più alta della norma affinché il gesto creativo possa funzionare. La sperimentazione di Radice con i cori amatoriali prevede l’elaborazione di strategie compositive basate sulla Cantilena, ovvero una melodia vocale dal ritmo lento e monotono, tradizionalmente impiegata nei cori religiosi, nelle salmodie e nei mantra, ma anche nell’ambito della
propaganda politica, delle composizioni pop e delle filastrocche. L’interesse dell’artista per questa tipologia di canto deriva dalla sua capacità di produrre una dimensione di ascolto situata e interiorizzata, in cui l’armonia prodotta dall’ascolto reciproco tra parti diverse che compongono un’azione complessa porta a raggiungere uno stato quasi meditativo, che amplifica il significato del testo cantato. Scritto dall’artista specificamente per Get Rid of Yourself (Ancora Ancora Ancora), il testo di Cantilena retorica per un futuro luminoso include frammenti miscellanei che attraversano ed espandono l’espressione “futuro luminoso”, estrapolati da articoli di analisi della politica interna nazionale, dai cosiddetti manuali di self-help o automiglioramento, da testi tecnici sullo sviluppo industriale, da frammenti della Bibbia. Le voci prestate al brano sono di persone molto vicine all’artista, con le quali, negli anni, ha condiviso riflessioni sull’ansia generata dal futuro, discutendo pratiche e metodologie di sopravvivenza, analizzando insieme le condizioni della contemporaneità attraverso la quotidianità vissuta insieme. Le voci registrate sono state ri-assemblate in diverse tracce audio e riprodotte nello spazio espositivo attraverso un sistema casuale, che ogni volta permetterà la generazione di una versione differente del canone libero, a cui i visitatori possono prendere parte attivamente. Voci prestate: Enrico Boccioletti, Marina
Cavadini, Elena Radice, Fulvio Radice Un ringraziamento va ad Ana, Billy, Claudia, Francesca, Natalia che hanno partecipato con voce e proposte al laboratorio durante il quale è sorto il primo studio di composizione melodica del brano. Testo: Diiiiii pin to-acrilico guar da-a-un-fu tu ro lu mi no o so Weeeeeee are the people Un-o ggetto mi-ni-ma-le e-bel-lis-si-mo Sovranisti alle vongole Uuuu-na ragaaaaaaz-za da sooooo-la L’e-po-ca-delle-guer-reè del tut-to fi-ni-ta Risk management Un’impresa-pro-duttrice-di-po-limeri Il nostro futuro - sarà luminoso La giorna -taaaaaa più-calda-dall’i-nizio Attaccano e creano devastazione Ukuleee-le Ti voglioo - guaritaaa L’e-le-men-to di di-stin-zio-ne tra i winner e i loo-ser Si può scorgere guardan-do a-vanti che di- venta più e-vi-dente ed in-ten-sa ELENA RADICE Rhetoric Cantilena for a bright future, free canon for a polyphonic dysfunctional choir. 2019 20’
Rhetoric Cantilena for a bright future is an interpretation of a free canon score by a “dysfunctional” polyphonic choir. Derived from minimal music, free canon is a compositional method involving the construction of short modular musical phrases which members of the choir perform without limitation on duration and or repetition. Through a mutual listening - from which a passive activity becomes an actual compositional, extemporaneous and shared action - the musical phrases become part of an unpredictable flow. Therefore, through the hybridisation between passive and performative gestures, the interpreters’ degree of osmosis with their surrounding environment must increase in order to instill the creative gesture, hence the performative act is dismantled. Radice’s experimentation with amateur choirs is founded within an investigation of the compositional strategies of a Cantilena; a slow and monotonous vocal melody traditionally used in religious choirs, psalmodies and mantras, as well as political propaganda, pop compositions and nursery rhymes. The artist’s interest in the specific properties of this song genre derives from the ability to produce a situated and internalised listening dimension. The consequent harmony produced by the interaction amongst different listening participants leads to the formation of a meditative state, hence amplifying the meaning of the sung text. Written specifically for Get Rid of Yourself
(Again, Ancora, Ancora) the text of Rhetoric Cantilena for a bright future includes miscellaneous fragments extracted from domestic political articles, so-called self- help or self-improvement manuals, technical texts on industrial development, as well as Bible’s excerpts, to criss-cross and expand the expression “futuro luminoso” (bright future). The recorded voices of the song are those of people close to the artist. With whom, over time, she has shared reflections on the anxieties of the future, discussed survival practices and methodologies and analysed the conditions of contemporaneity through everyday life experienced together. The recorded voices have been re-assembled into different audio tracks that have been programmed to randomly play within the exhibition space; each reproduction generates a differing version of the composition, to which visitors actively take part. Voices: Enrico Boccioletti, Marina Cavadini, Elena Radice, Fulvio Radice. Special thanks to Ana, Billy, Claudia, Francesca and Natalia whose voices and suggestions contributed to an initial study of melodic compositions from which this piece arose. Lyrics (translation): Acriyic painting - look at a bright future
We are the people A minimal and very beautiful thing Sovereigns with clams A girl alone The era of wars is definitely over Risk management A polymers manufacturing company We will have a bright future The warmest day since the begin They attack and create havoc Ukulele I want you to be healed The distinction element between winners and losers You can see by looking forward that she becomes more evident and intense RADNA RUMPING Get Rid of Yourself, Again (Extended Version) 2017 39’ Get Rid of Yourself, Again (Extended Version), da cui prende spunto il titolo della mostra, è un laudio-saggio che indaga le strategie disponibili per reclamare l’autonomia di un’identità fluida e opaca, nell’epoca iperconnessa dell’economia della presenza. Il testo di Rumping parte da esperienze intime, legate alla biografia dell’artista, per affiancarle e sovrapporle alle cronache di
altre soggettività, che prima di lei hanno affrontato le sfide personali e politiche derivate dalla scelta di abitare l’invisibilità. Il racconto si dispiega attraverso cinque diversi narratori: quattro voci e un testo visualizzato a monitor, che scandiscono la costante negoziazione tra la costruzione di un’identità socialmente condivisa e la perdita della propria soggettività individuale. Affiorano il ricordo della smarrimento, da parte dell’artista, di tutti i suoi diari, un tutorial di make-up come atto violento di autodefinizione, e il racconto dell’opacità, talvolta rassicurante, dei rapporti mediati dalle tecnologie digitali. D’altra parte, vengono articolate le strategie estetiche e politiche di Get Rid of Yourself (2003), il ciné- tract di Bernadette Corporation dedicato alle azioni dei black bloc durante il contro-summit del G8 di Genova nel 2001, “dove le facce nella folla non hanno un volto, dove i corpi imitano altri corpi per muoversi avanti, o per fare un passo laterale imprevisto”; ma anche le tecniche di camouflage di Adrian Piper, quando nel 1973 inizia il suo progetto Mythic Being, travestendosi da uomo per girare le strade di New York ripetendo mentalmente, come un mantra, episodi intimi tratti dai suoi diari. Il rapporto tra autorappresentazione e trasparenza tocca poi la storia del musicista Gary Wilson, che dopo il successo del suo primo album You Think You Really Know Me, registrato nel 1977 nel sotterraneo della casa dei suoi genitori, si ritira dalle scene
per poi riapparire soltanto di recente. Quante sfumature ci sono tra il concetto di presenza e quello di assenza? La traccia si conclude con due adolescenti che costruiscono una fortezza di sabbia su una spiaggia del Mare del Nord. I due aspettano trepidanti l’onda che verrà a portarsi via la loro costruzione, aggiungendo disperatamente sabbia per costruire un muro più alto, per poi ridere eccitati quando infine viene distrutto dalla forza del mare. Testo scritto e registrato da Radna Rumping Voci: Iván Martínez López, Raeywn Martyn, Lúcia Prancha, Radna Rumping e Damon Zucconi (testo a schermo). Include frammenti musicali di: Hiroshi Yoshimura, Ryuichi Sakamoto, Wally Badarou, Mica Levi & Oliver Coates, Dean Blunt, James Ferraro, Beatrice Dillon & Rupert Clervaux, Gary Wilson e Alain Neffe. RADNA RUMPING Get Rid of Yourself, Again (Extended Version) 2017 39’ Get Rid of Yourself, Again (Extended Version), which inspired the show’s title, is an audio-essay investigating the strategies available to claim the autonomy of a fluid and opaque identity within our hyperconnected era of presence economy. Rumping’s text
starts from intimate experiences, closely related to the artist’s biography, and then it fluently superimposes them on the chronicles of others subjectivities, who have faced the personal and political challenges of inhabiting invisibility. The narrative unfolds through five different narrators: four voices and a text on screen, which mark the constant negotiation between the construction of a socially shared identity and the withdrawal of one’s own subjectivity. The listeners encounter the memory of the loss of all the artist’s diaries; they suddenly assist to a make-up video-tutorial, described as a violent act of self-definition; they finally experience the sometimes reassuring opacity of relationships mediated by digital technologies. On the other hand, the work crosses the aesthetic and political strategies of Get Rid of Yourself (2003), the ciné-tract by Bernadette Corporation focused on the Black Bloc’s endeavours during the 2001 G8 counter- summit in Genoa, “where faces become faceless in the crowd, where bodies imitate other bodies to move forward, or make an unforeseen sidestep”; it tells the story of the camouflage techniques employed by Adrian Piper when she starts her project Mythic Being, for which, in 1973, the artist disguised herself like a man, gallivanting about New York City while repeating mantra-like intimate episodes from her personal journals. The connection between self-representation and
transparency leads then to the musician Gary Wilson, who after the success of his debut album You Think You Really Know Me (1977), recorded in the basement of his parents’ house, gave up performative life and only recently casually came back on limelight. How many nuances dwell between presence and absence? The piece ends with the image of two teenagers who are building a sand fortress on a North Sea beach. The two are anxiously waiting for the wave that will come to take their construction away, frantically adding sand to make their walls higher and higher. Finally, they excitedly laugh when the construction is smashed by the strength of the sea, leaving no traces behind. Text written and recorded by Radna Rumping Voices: Iván Martínez López, Raeywn Martyn, Lúcia Prancha, Radna Rumping and Damon Zucconi (text on screen). Including fragments of music by: Hiroshi Yoshimura, Ryuichi Sakamoto, Wally Badarou, Mica Levi & Oliver Coates, Dean Blunt, James Ferraro, Beatrice Dillon & Rupert Clervaux, Gary Wilson and Alain Neffe.
3 TERESA COS The Archive of Loops Riproduzione audiovisiva casuale di un archivio musicale ∞ 2017- The Archive of Loops è un archivio di improvvisazioni sonore in espansione, che l’artista esegue e registra regolarmente nel suo studio. Voce, chitarra, percussioni e suoni di oggetti recuperati vengono stratificati attraverso pedali looper ed effetti, in sessioni uniche che variano da pochi minuti a un’ora. Ogni sessione è registrata incapsulando rumori di fondo e accidenti e archiviata senza apporvi modifiche. L’archivio è al tempo stesso terreno di prova per esecuzioni dal vivo e materiale di partenza per le composizioni che l’artista utilizza nei suoi film e installazioni video e pubblicazioni musicali. Le tracce vengono poi pubblicate in raccolte annuali. The Archive of Loops viene presentato qui per la prima volta integralmente: 96 tracce per 36 ore, organizzate da un algoritmo che legge pseudo-casualmente frammenti di 31 secondi all’interno della durata complessiva dell’archivio. Il lavoro è allestito in una piccola sala da proiezione, dove, ad ogni intervallo tra una traccia e l’altra, il sistema informatico
proietta la data di registrazione del frammento selezionato. Mentre il contenuto dell’archivio si presenta come un intimo, spontaneo e sconclusionato diario sonoro, la riproduzione automatizzata imita il comportamento medio degli utenti sulla piattaforma di ascolto digitale Spotify. L’analisi dei dati, infatti, rivela che il 35% degli utenti (percentuale che aumenta fino al 50% al diminuire dell’età), salta da una canzone alla successiva in meno di 30 secondi, ovvero prima che un brano venga considerato come stream e il suo autore conseguentemente remunerato. Sistema informatico: ALMARE TERESA COS The Archive of Loops Randomised audiovisual reproduction of a music archive ∞ 2017- The Archive of Loops is an expanding archive of sound improvisations, which are regularly performed and recorded by the artist in her studio. Making use of looper and effect pedals she generates layers of voices, guitar, percussions and found instruments, in unique sessions that can last few minutes or an hour. Each session is recorded encapsulating room and accidental sounds and then archived unedited. The archive is at once rehearsal
ground for live performances and source material for compositions that play along with the artist’s films, video installations and music releases. The Archive of Loops is presented here for the first time intact and in its current entirety. 96 tracks for 36 hours, reproduced by a script created in collaboration with ALMARE that pseudorandomly skips 31 seconds in 31 seconds within the overall duration. At each interval the script displays on a screen the recording date of the following track fragment, for the needed time for it to be loaded. While the archive’s content presents itself as an intimate, spontaneous and inconclusive sonic diary, the automated reproduction mimics the average users behaviour of the digital music platform Spotify. Data analysis reveals that 35% of users, a percentage that increases up to 50% with age decrease, skips from one song to the next before 30 seconds have elapsed, hence before a song is counted as a stream and its author granted their share of royalties. Computer system: ALMARE ERICA VAN LOON Your Brain Has No Smell 2017 - 2019 35’ Your Brain Has No Smell è un’installazione sonora in forma di monologo che parla della
dissezione di un cervello. La voce narrante descrive dettagliatamente la consistenza, i colori, i suoni, il peso e l’odore di quell’organo, quasi a costruire un’immagine scultorea di questa parte del corpo solitamente nascosta. L’immagine costruita diventa quella del cervello dello spettatore, mentre la narratrice, strategicamente, alterna l’uso della terza e della seconda persona, ipotizzando così l’utilizzo di sensi convenzionalmente considerati al di là delle possibilità umane - come ad esempio la capacità di avvertire la presenza di acque sotterranee. Si crea così lo spazio necessario per abbandonare prospettive esclusivamente umane, estendendo il pensiero relativo al cervello ad un più ampio ecosistema. Nello script, vengono deliberatamente usate terminologie proprie allo studio degli ambienti naturali, concentrandosi nello specifico sulle correnti dei fluidi. Un aspetto, quest’ultimo, amplificato dal soundscape costituito da un assemblaggio di field recordings realizzati in prossimità di fiumi e laghi. Questi suoni acquatici, uniti all’incedere del monologo, ispirato in parte a tecniche di rilassamento, intendono costruire i presupposti per uno stato di trance, come un ritmo che guida l’ascoltatore attraverso il paesaggio cerebrale. Il testo del monologo è basato su una serie conversazione con Cindy Cleypool, docente di (neuro) anatomia all’Università di Utrecht.
ERICA VAN LOON Your Brain Has No Smell 2017 - 2019 35’ Your Brain Has No Smell is an audio installation in the form of a monologue during which a brain is dissected. While taking it apart the narrator speaks in a graphic way about the textures, colours, sounds, weight and smell. She makes the listener construct an almost sculptural image of this hidden body part. At the same time the constructed image becomes that of the listener’s own brain, as the narrator strategically switches between speaking in the third person and the second person. These switches also make it possible to project hypothetical senses on it that are generally thought of as beyond human, such as the ability to sense underground waters. This creates space to leave the exclusive human perspective; thinking about the brain is extended to the larger environment. The script deliberately includes language that refers to the natural environment, with a specific focus on the currents of fluids. The latter is amplified by the soundscape that is constructed from field recordings of rivers and lakes. These water sounds, together with the monologue that borrows from relaxation techniques, aims to create a trance like rhythm that guides the listener through the landscape of the brain.
The script for the monologue is based on conversations with Cindy Cleypool, Lecturer of (neuro) anatomy at Utrecht University.
4 DAFNE BOGGERI Starting the Rhythm 1’,47’’, loop 2019 Starting the Rhythm è una traccia composta di 60 frammenti audio che documentano quel particolare rituale verbale (“one-two-three- four”), o creato dallo scontro delle bacchette della batteria tra loro (“tich-tich-toch”), che definisce la scansione ritmica di ogni pezzo, e serve da segnale guida per tutti i membri del gruppo. Come un incipit sonoro, questa breve sezione, che introduce l’esecuzione e che raramente viene documentata nella registrazione, crea una meta-traccia, in cui una varietà di ipotesi e possibilità sono svincolate dalla forza di gravità del brano. Stratificandosi in una sequenza serrata, i 60 frammenti audio di Starting the Rhythm rimandano a un’apertura verso infiniti andamenti, come un codice che sperimenta una semiotica sonora sciamanica, in cui le coordinate spazio-temporali basculano fra rigore matematico ed elasticità del caso, generando un’astrazione ipnotica. In modo allegorico, è come se il lavoro rappresentasse quell’accento su “Ancora, Ancora, Ancora” nel titolo della mostra, in una serie di ripetizioni che contengono variabili.
DAFNE BOGGERI Starting the Rhythm 1’,47’’, loop 2019 Starting the Rhythm is a track composed by 60 audio fragments documenting that specific verbal ritual (“one-two-three”), or the upbeat drum sticks’ clash (“tich-tich-toch”), which defines that rhythmic scan, metronomical reference for the entire music band. As a sound incipit, rarely documented in recordings, this short section introduces the very performance and generates a meta-track, in which sundry possibilities and alternatives are released from the binding gravity of the piece. As an experimental shamanic sound-code, in which space-time coordinates tilt between mathematical rigour and stochastic elasticity, the 60 audio fragments of Starting the Rhythm, layered in a tight sequence, lead us towards infinite trends in hypnotic abstraction. The work allegorically represents that accent on “Ancora, Ancora, Ancora” (Again, Again, Again) to which the exhibition’s title refers, in a series of uncountable repetitions and uncountable variables. DAFNE BOGGERI 149 anni luce dalla Terra 2008 Nel 2005 Maciej Konacki, astronomo polacco del California Institute of
Technology, ha individuato un pianeta gassoso, paragonabile a Giove, situato nella costellazione del Cigno a 149 anni luce dalla Terra, che presenta un campo gravitazionale talmente complesso, composto da tre soli, la cui esistenza ha messo in crisi la teoria su come si formano i pianeti. DAFNE BOGGERI 149 anni luce dalla Terra 2008 In 2005 Maciej Konacki, a Polish astronomer from the California Institute of Technology, identified a gaseous planet, comparable to Jupiter, located in the constellation of Swan, 149 light-years from Earth, which has a gravitational field so complex, composed of three suns, whose existence has undermined the theory on how planets are formed.
GET RID OF YOURSELF: BREVE STORIA DELL’INVISIBILITÀ Get Rid of Yourself (Ancora Ancora Ancora) mutua il suo titolo dall’audio-saggio Get Rid of Yourself, Again di Radna Rumping (2017), che lo prende a sua volta in prestito dal ciné-tract Get Rid of Yourself di Bernadette Corporation (2003). Questa terza ripetizione del titolo propone di utilizzare l’espressione “get rid of yourself” come un mantra d’emergenza, una piattaforma speculativa di soccorso a disposizione di chiunque senta l’impellente urgenza di sbarazzarsi di se stesso. Se “l’indagine sul passato non è che l’ombra portata di un’interrogazione rivolta al presente”,1 l’interrogazione che oggi ci troviamo a rivolgere alla contemporaneità, insieme alle artiste che con la loro pratica hanno dato voce e vita al progetto, getta la sua lunga ombra su una serie di storie passate, che ho pensato valesse la pena di raccontare brevemente. Lucrezia Calabrò Visconti 1. G. Agamben, Creazione e anarchia. L’opera nell’età della religione capitalista, Neri Pozza, Vicenza 2017.
1 GET RID OF YOURSELF, 2001 Sono passati quasi venti anni dal 2001, quando il collettivo dalle molteplici identità che va sotto lo pseudonimo di Bernadette Corporation, all’epoca di stanza tra New York e Parigi, iniziava a lavorare a Get Rid of Yourself, “anti-documentario” incentrato sulle controverse strategie dei Black Bloc e ambientato in gran parte nel contesto dei fatti avvenuti al G8 di Genova nello stesso anno. Per portare a termine il film, Bernadette Corporation iniziò una collaborazione con la frazione di attivisti post-situazionisti Parti Imaginaire, di cui faceva parte il più noto collettivo Tiqqun.2 Dall’incontro di queste entità fluide nacque quello che, nella definizione di Bernadette Corporation, tentava di essere un contemporaneo ciné- tract, riprendendo il formato ideato durante l’insurrezione degli studenti e lavoratori del maggio 1968 a Parigi. L’esperienza dei ciné- tract, che si concluse molto rapidamente e in modo piuttosto fallimentare nell’estate del 1968, prevedeva la produzione di brevi pellicole mute, filmate in 16mm, strettamente legate alla militanza di quegli anni. Filmati da cineasti sperimentali tra cui spiccavano Chris Marker, Jean-Luc Godard e Alain Resnais, 2. Tiqqun si è autoproclamato la “frazione cosciente del Parti Imaginaire”, e secondo alcuni è poi confluito nel Comité Invisible [Comitato Invisibile], gruppo fortemente influenzato dal pensie- ro del filosofo Giorgio Agamben, e autore del celebre L’insurrezione che viene (2007).
i ciné-tract venivano diffusi ufficialmente come documenti anonimi, e restano a testimonianza di un momento della storia della Sinistra francese particolarmente legato al cinema engagé. Tuttavia, ciò che di tale sperimentazione interessava a Bernadette Corporation era l’idea che i ciné-tract non fossero dei film dagli intenti educativi rispetto alla situazione politica in cui erano stati creati, ma piuttosto dei documenti che accompagnavano quella stessa situazione, pensati per una comunità determinata e che non aveva bisogno di spiegazioni.3 Da qui l’interesse nel tentare di riaffermare un formato così specifico in una contemporaneità per lo più refrattaria a tale collettiva e condivisa chiarezza di intenti, e tuttavia unita nella protesta contro ciò che i fatti accaduti durante il Summit del G8 stavano a significare.4 Get Rid of Yourself affianca testimonianze in presa diretta durante gli scontri a Genova nell’estate del 2001 a scene filmate in una tranquilla spiaggia in Calabria dove il collettivo si ritirò nei giorni successivi alla protesta, intervallate da materiale girato a posteriori in un appartamento a New York dove l’icona del cinema indipendente Chloë Sevigny tenta 3. Tratto dalla trascrizione della conversazione tra Antek Walczak (Bernadette Corporation) e Fulvia Carnevale (del collettivo Claire Fontaine) tenutasi il 15 gennaio 2005 nel contesto di Klar- text! The status of the political in contemporary art and culture, presso Künstlerhaus Bethanien, Berlino. 4. Amnesty international parla dei fatti di Genova come “la più grave violazione dei diritti umani occorsa in una democrazia occidentale dal dopoguerra”. Per uno sguardo contemporaneo su quel periodo oscuro rimando a Christian Raimo, “Capire Genova ci aiuta a pensare al futuro della nostra politica”, pubblicato il 21 luglio 2016 su Internazionale.it.
di reinterpretare a memoria, spesso senza successo e quasi anestetizzandole della loro densità politica, le citazioni dei Black Bloc registrate durante le riprese. Nel film, le azioni e le parole del gruppo di attivisti anarchici auto-identificati come Black Bloc vengono utilizzate come un espediente narrativo e una sorta di caso studio, esempio concreto del potenziale che può venire prodotto da una comunità basata sul rifiuto condiviso e radicale di un’identità politica, o meglio, di un’identità tout-court. Pur senza prendere una posizione del tutto chiara sui protagonisti senza nome del film e sulle loro azioni violente dal forte valore simbolico (distruzione di bancomat e banche, saccheggio di supermercati, costruzione di barricate, poi incendiate), Bernadette Corporation sembra simpatizzare con l’insieme di strategie anti- istituzionali ed eversive impiegate dai Black Bloc per creare “zone offensive di opacità” – strategie in continuità ideologica con la stessa pratica artistica del collettivo. Il documentario sigilla le tensioni dell’epoca rispetto alle possibilità offerte dalla scelta consapevole di abitare l’invisibilità, dove l’atto di “disfarsi di se stessi” si situa da un lato nel disincanto verso i protocolli della politica istituzionale, connivente con le dinamiche neoliberiste, dall’altro nella presa d’atto dell’inefficacia delle strategie della militanza tradizionale. Nelle parole di Bennett Simpson: “Bernadette Corporation non “si disfa” dell’identità per
disfarsi della politica. Piuttosto è vero il contrario: è l’identità che ha smesso di essere politica. Attraverso la figura dei Black Bloc, Bernadette Corporation si rimuove da una cultura che ha consegnato la questione della soggettività in mano alle funzioni del capitale”.5 La questione della disidentificazione come scelta strategica contrapposta alle dinamiche di controllo neoliberiste sorge molto prima di Get Rid of Yourself, istigata dalla conclamata “morte dell’autore” diagnosticata da Roland Barthes e poco dopo accertata da Michel Foucault alla fine degli anni Sessanta. Nonostante le divergenze tra le posizioni dei due filosofi, su un punto infatti entrambi concordavano, ovvero la constatazione che la concezione mitizzata dell’autore fosse nata con la modernità borghese, connaturata all’individualismo dell’ideologia capitalista. È a partire da questa rivelazione che molti identificheranno nella scrittura collettiva una pratica antagonistica rispetto alla società capitalista e all’industria culturale a essa congenita – a partire dalle avanguardie storiche, attraversando l’esperienza dei ciné- tract, della stessa Bernadette Corporation e del Comité Invisible, passando per il caso italiano di Wu Ming, per arrivare a molti altri autori storici e contemporanei che rivendicheranno dichiaratamente il proprio 5. B. Simpson, “Techniques of Today - Bennett Simpson on Bernadette Corporation”, pubblicato su Artforum, settembre 2004.
anonimato o firmeranno con nomi multipli6. La scrittura collettiva diventa un mezzo per liberare la scrittura stessa dal soggetto, in senso filosofico ma prima ancora economico, giuridico e penale, avendo identificato nella visibilità – e conseguente identificabilità – lo strumento principale di assorbimento nella spirale della mercificazione nonché la primaria arma di controllo del potere autoritario. Non è un caso che in Introduzione alla Guerra Civile del Comité Invisible venga preso in causa lo stesso Foucault: “Mentre il potere diventa più anonimo e funzionale, coloro sui quali viene esercitato tendono ad essere più fortemente individualizzati”.7 La pratica della disidentificazione ha le sue radici nella convinzione che il potere repressivo dello stato non sia diretto all’eliminazione del soggetto rivoluzionario, ma piuttosto a un processo strategico di visibilizzazione e quindi demonizzazione dello stesso.8 Da qua la proposta dell’invisibilità, del caos, del 6. B. Della Gala, “La “funzione autoriale” tra lotta politica e branding. Alcuni aspetti dei casi Wu Ming e Scrittura Industriale Collettiva”, pubblicato su Altre Modernità, Rivista di Studi Letterari e Culturali, Università degli Studi di Milano, 2018. 7. Nelle parole di Érik Bordeleau, autore di Foucault Anonymat (2013), parlando del Comité Invisible: “Se l’operazione contro-insurrezionalista del governo è quella di re-istituire costante- mente la separazione tra una popolazione innocente o vagamente consenziente e i suoi ele- menti più inclini all’offesa, la conclusione strategica diventa: dobbiamo fare in modo che non ci sia più una popolazione. Tratto da E. Bordeleau, “Who You Are Is But A Manner Of War – Enun- ciatory Notes on To Our Friends”, pubblicato su open! Platform Art, Culture and the Public Do- main, 3 dicembre 2015. 8. Al lettore contemporaneo potrà venire forse in mente il cosiddetto “decreto sicurezza-bis” su “disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”, proposto dal fu Ministro dell’in- terno Matteo Salvini e diventato ufficialmente legge quest’estate 2019, in cui si propone (oltre a una serie di provvedimenti agghiaccianti in materia di soccorso in mare) una riforma del codice penale rispetto alla la gestione dell’ordine pubblico durante qualsiasi tipo di manifestazione pub- blica. Tra le altre cose, il decreto comprende divieto da parte dei manifestanti dell’uso di qual- siasi dispositivo che renda “irriconoscibile” una persona. Emblematico, anche in questo caso, è il commento di Amnesty International sul decreto: “La seconda parte del decreto [...] ha il chiaro scopo di limitare gli spazi di libertà di chi vuole rivendicare i propri diritti e quelli della collettività. Al contrario, pensiamo che la discussione di questo provvedimento avrebbe potuto anche es- sere un’occasione per aprire un dibattito sulle misure di trasparenza per l’operato delle forze di polizia, come i codici identificativi, a tutela e a garanzia del lavoro degli agenti stessi”. Da am- nestyinternational.it.
rumore come spazio emancipatorio. Sembra echeggiare la metafora proposta da Fred Moten e Stefano Harney in Undercommons (2013), quando parlano della necessità di rifiutare l’idea che la musica cominci solo nel momento in cui il musicista prende in mano lo strumento. In una sorta di rivisitazione sovversiva dei 4 minuti e 33 secondi di Cage, Harney e Moten insistono infatti sulla necessità di ascoltare il rumore che esiste, che stiamo già producendo, di abbracciare quel rumore e di rifiutare gli inviti che riceviamo di trasformarlo in musica. 2 ANCORA ANCORA ANCORA, 1978 Il 23 agosto 1978 il volto di Mina veniva registrato nelle immagini di “Ancora Ancora Ancora”, girate durante un concerto alla Bussoladomani di Marina di Pietrasanta, dove venti anni prima si era esibita per la prima volta. Mina sceglierà all’ultimo momento di usare questo video come sigla finale del programma televisivo Mille e una luce,9 al posto della attesissima nuova versione di “Città Vuota”. Tuttavia, il video integrale andrà in onda una sola volta: a partire dalla seconda puntata verrà infatti censurato per la presunta 9. Mille e una luce fu un programma televisivo di dodici puntate trasmesso solo nell’estate del 1978, in cui partecipanti si sfidavano a una partita a dama a squadre, e grazie a un accordo tra RAI e ENEL i telespettatori potevano votare i concorrenti preferiti accendendo e spegnendo le luci di casa a richiesta del conduttore.
eccessiva sensualità delle immagini, che ritraggono il volto di Mina sempre in primo piano, con delle inquadrature ravvicinate della sua bocca mentre canta.10 Sarà nel settembre dello stesso anno che Mina annuncerà il suo congedo dalle scene: per i 23 anni seguenti la “Tigre di Cremona” rifiuterà tutte le offerte di apparire in pubblico e in televisione, pur continuando a incidere dischi dal suo studio di registrazione privato. La cantante abdicherà così alla sua immagine, fissata per l’ultima volta, quasi a tradimento, nelle immagini scandalose di “Ancora Ancora Ancora”. Da quel momento Mina diventerà per il mondo solo ed esclusivamente una voce, una voce che non rivelerà mai i motivi della sua scelta. In Italia è in atto la transizione verso quello che sarà definito “Il riflusso”, ovvero il ripiegamento nella sfera del privato che caratterizza la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta e che segna la definitiva conclusione della stagione di rivolta del Movimento del ‘77. “Riflusso” si riferisce letteralmente al ritirarsi dell’acqua dopo che l’onda si abbatte sulla spiaggia: “l’onda è quella lunga del Sessantotto, che in Italia genera un decennio di movimenti. E come dopo una grande mareggiata, che lascia sulla sabbia alghe, rottami e pesci morti, anche l’onda che nel bene e nel male squassa la società italiana dietro di sé dissemina un po’ 10. Il video originale sarà manipolato nelle successive restringendo l’inquadratura e duplicando- la in tanti piccoli mini-schermi.
di tutto”11. Se il Movimento aveva raccolto le istanze dei movimenti giovanili e operai, delle forme di femminismo, della contestazione dei partiti tradizionali e, in generale, del rifiuto attivo e organizzato alle forme di consumo neoliberista, la fine del decennio vide arrivare alle più violente conseguenze le frange estremiste del Movimento, i gruppi armati di area autonoma. Quella del 1978 è l’estate della ricerca degli assassini di Aldo Moro e del “terrorismo diffuso” (più di 30 attentati verranno registrati solo all’inizio di luglio), ma è anche l’estate de La Febbre del Sabato Sera, del ritorno allo shopping, di un ritrovato edonismo che condurrà alla stagione della “Milano da bere”. È l’anno dei concerti da stadio, che però, come quello di Mina alla Bussola, sono sorvegliati da guardie giurate, carabinieri all’entrata, agenti in borghese tra il pubblico.12 Quando Get Rid of Yourself vede la luce, venti anni dopo, invoca questo periodo di transizione nel suo incipit: Venti anni. Venti anni di contro-rivoluzione, di prevenzione. In Italia e altrove. Venti anni di sonno sotto gli occhi delle guardie di sicurezza, dietro cancelli di sicurezza. [...] Venti anni. Il passato non passa perché la guerra continua, circola, si estende. Nuove 11. P. Morando, “Dal Piombo alla Discomusic”, pubblicato su LINK numero 17 – TeleMilano 58 del novembre 2014. 12. M. Cicala, “Quaranta estati fa, l’ultimo concerto di Mina”, pubblicato su Repubblica, 14 agos- to 2018.
calibrazioni di soggettività in una nuova pace di superficie. Una pace armata che nasconde lo sviluppo di una impercettibile guerra civile. Venti anni. C’era il punk, il Movimento del ‘77, gli indiani metropolitani, un’eruzione, un intero contro-mondo di soggettività che non volevano più consumare. Che non volevano più produrre, che non volevano più nemmeno essere soggettività. La rivoluzione era molecolare. La contro-rivoluzione è stata a sua volta molecolare. La “molecolarizzazione della contro- rivoluzione” è un processo biopolitico che agisce sulla contemporaneità ancora oggi e, anzi, in dosi sempre maggiori. Le forme di potere che ci attraversano si sono fatte sempre più ubique, decentralizzate e leggere: il loro metodo prevede di infilarsi nelle maglie della vita quotidiana in modo così capillare da diventare impercettibili, apparentemente invisibili. La conseguenza più immediata di questo processo si è tradotta nel progressivo aumento della distanza tra l’esperienza individuale e le dinamiche di potere intangibili che la determinano. Come dichiara lapidario Franco Bifo Berardi: “nel Settantasette, la storia umana ha raggiunto un punto di rottura. Gli eroi sono morti, o, più precisamente, sono scomparsi. Non sono stati uccisi dai nemici dell’eroismo, ma piuttosto trasformati in un’altra dimensione, dissolti, trasformati in fantasmi. La razza umana, raggirata da eroi da cabaret fatti di ingannevoli sostanze
elettromagnetiche, perse la fede nella vita reale, e iniziò a credere solo nella infinita proliferazione di immagini”.13 Le armi di questo processo di astrazione sono confluite, nel corso degli ultimi venti anni, in numerose tecniche biopolitiche di governo, tra cui la finanziarizzazione della vita contemporanea, lo sviluppo dell’economia della presenza, e l’invenzione del protocollo (burocratico, finanziario, informatico): da quando, nel periodo a cavallo tra gli anni Novanta e i Duemila, la cosiddetta new economy ha convertito gli arbitri del valore convenzionale, legato alla produzione di oggetti, in alternative immateriali come le esperienze e le emozioni, la presenza fisica, immediata e in carne e ossa, è stata capitalizzata, in quanto una delle opzioni possibili di fronte alle varie sfumature tra assenza e presenza che ci vengono offerte dall’uso delle nuove tecnologie nelle nostre transazioni quotidiane. Tuttavia, invece che articolare un ventaglio di possibilità emancipatorie rispetto alle nostre attività, questo meccanismo si è affiancato all’urgenza della iper-produttività tipica della “società libidinale”, che ha incorporato ogni ambito delle nostre vite grazie alle molteplici piattaforme che utilizziamo per mediare noi stessi con il mondo, rendendo impossibile la distinzione tra orario di lavoro, tempo del riposo e perseguimento del proprio piacere personale. È successo così che il 13. F. Bifo Berardi, introduzione a Hito Steyerl, The Wretched of the Screen, Sternberg Press, Berlino 2012.
funzionamento degli apparati istituzionali ha iniziato a basarsi sulla nostra necessità – e, soprattutto, volontà – di essere sempre presenti: è la cosiddetta sindrome della “fear of missing out” che, per dirla con Felix Stalder, porta “tutti quanti a fare volontariamente ciò che nessuno realmente vorrebbe fare”.14 Diversamente dalle convenzionali forme legislative imposte dai governi, che dipendono dalla legittimità e dunque dal consenso dei soggetti che sono al potere, i protocolli che regolano la nostra iper-presenza entrano in azione attraverso l’adozione volontaria, a partire, per esempio, dai “termini e condizioni” che accettiamo spesso senza leggerli, barattando la nostra privacy per accedere a una promessa di attenzione, legittimità o semplicemente di dialogo con l’altro. 3 GET RID OF YOURSELF, ANCORA ANCORA ANCORA, 2019 Come suggerito da Bernadette Corporation, in questo distopico orizzonte d’azione le tradizionali forme di opposizione hanno smesso di essere efficaci: nel regime dell’economia della presenza, la pratica dello sciopero come assenza fisica non è 14. F. Stalder, State Technology: Data (2017), citato in A.Teixeira Pinto, Tuned to an Undead Channel, pubblicato in Metahaven PSYOP: An Anthology, curato da K. Archey e Metahaven, Stedelijk Museum, Amsterdam 2018.
sicuramente una strategia di rifiuto plausibile, e l’immagine della protesta per antonomasia, il passamontagna che dal famoso elogio di Toni Negri15 arriva direttamente a quello insanguinato di Carlo Giuliani sull’asfalto a Genova, sembra una precauzione quantomeno anacronistica, di fronte alla pervasività di un sistema di potere in cui il concetto di visibilità è sempre più distante dal reame del visivo16. Infatti, nonostante siamo equipaggiati con una varietà crescente di media ottici, siamo anche sempre più incapaci di afferrare la totalità algoritmica che ci circonda, visto che le primarie modalità espressive dei protocolli, degli algoritmi e dei dati che regolano la nostra esistenza non è compatibile con la nostra, umana, concezione di visivo. “La visibilità è visualità degradata” sostiene Sven Lütticken, analizzando il tentativo, che oggi ci sembra altrettanto obsoleto, della critica istituzionale degli anni Sessanta/Settanta di accorciare la distanza che sta tra le due nozioni: “Nel rigetto della nozione modernista di visualità, la critica istituzionale tornò a concentrarsi sulla visibilità: rendere visibile l’attività degli sponsor, le implicazioni dell’istituzione nella 15. In un’intervista andata in onda sulla Rai nel 1989, il “cattivo maestro” di Autonomia Operaia si giustifica quasi divertito con l’intervistatore Sergio Zavoli, quando lo accusa di “esplicita, entu- siastica adesione” allo spirito della lotta armata citando le sue parole da Il Dominio e il Sabotag- gio, Feltrinelli, 1978: “Nulla rivela a tal punto l’enorme storica positività dell’autovalorizzazione operaia, nulla più del sabotaggio. Nulla più di quest’attività di franco tiratore, di sabotatore, di assenteista, di deviante, di criminale che mi trovo a vivere. Immediatamente mi sento il calore della comunità operaia e proletaria, tutte le volte che mi calo il passamontagna”. Risponde Ne- gri a Zavoli: “Il passamontagna la gente lo metteva addosso per non essere riconosciuta dalla polizia, per non finire in galera; il passamontagna non si metteva per attaccare, si metteva per difendersi”. 16. Ci sarebbe da aprire una riflessione, a questo riguardo, sul valore puramente intimidatorio della proposta di legge del decreto sicurezza bis (cfr. nota 8)
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