Fenomenologia del paesaggio. Il ruolo della descrizione in Le tour du monde en quatre-vingt jours.
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Belphégor Gianni Crippa Fenomenologia del paesaggio. Il ruolo della descrizione in Le tour du monde en quatre- vingt jours. Critica della pratica mimetica 1. Michel Zink, in conclusione a una bella analisi degli affreschi con cui Lancillotto abbellisce le pareti della stanza in cui viene rinchiuso, afferma: «La vraisemblance même de la fresque disparaît, l'image concrète que pouvait en faire le lecteur s'évanouit. A la place de cette image surgit le récit romanesque et le souvenir de sa lecture. La peinture tout entière s'efface au profit de la littérature» 1 . Siamo con ciò messi di fronte all'abitudine, tipica della tradizione culturale dell'occidente, di concepire il rapporto tra letteratura e pittura in termini gerarchici a favore della prima. Ma dai primi anni del XIX secolo si produce un cambiamento che permette all'arte figurativa di collocarsi in una sfera estetica finalmente autonoma e che si può spiegare almeno attraverso due ragioni tra loro collegate. Innanzitutto, leggendo il commento che Franco Farinelli ci offre a proposito dei due atlanti che Alexander von Humboldt annette al suo Voyage aux régions équinoxiales du Nouveau Continent (1805-1834). Nelle figure di questi atlanti, infatti, si constata la «lenta, interna, graduale, quasi inavvertita ma progressiva sostituzione dello "Scientifico" al "Pittoresco"[...] nel passaggio dallo stadio di contemplazione estetica allo stadio della considerazione pensante, ovvero della conoscenza scientifica»2 . La volontà di fondare la disciplina geografica su uno statuto scientifico può essere dunque considerato una delle prime ragioni che costringono a dare una rappresentazione delle realtà che riesca a fare a meno di una funzione narrativa e che sappia escludere ogni tipo di giudizio estetico che inevitabilmente accompagna la figurazione paesaggistica 3 . Tuttavia, a fronte di un'operazione che si riconosce scopi strettamente scientifici, ma pur sempre in consonanza col suo spirito, anche nel campo strettamente artistico il rapporto con la rappresentazione del paesaggio proprio in questi anni subisce un cambiamento decisivo grazie soprattutto al contributo di Pierre-Enry de Valenciennes. Nella sua opera maggiore con cui s'inaugura il XIX secolo, egli infatti, mentre non osa contestare il maggior valore artistico del paesaggio storico in pittura, dedica un'attenzione nuova e particolare all'elemento naturale che deve far da cornice agli eventi storico-mitici messi in scena da questo genere pittorico. Secondo il suo modo di vedere «Un peintre de paysage, quelle que soit son oeuvre, [...] entretient avec la nature la même relation que le naturaliste ou le scientifique» 4 e ciò lo costringe ad un'osservazione attenta che deve essere corredata da un esercizio costante di copie dal vero della realtà che non fanno che promuovere l'importanza della pittura di paesaggio in sede culturale e, di conseguenza, l'emancipazione della pittura da ogni componente letteraria. Svetlana Alpers, indagando le origini del cambiamento di cui stiamo parlando e collocandolo in un periodo precedente al XIX secolo, ha osservato sulla scia di Michel Foucault5 l'esistenza di un paradigma conoscitivo animato dalla «convinzione 6 http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
Belphégor che il sapere passi attraverso il rappresentare» e che certamente sopravvive anche se attenuato negli esempi che abbiamo appena proposti. Tuttavia non c'è dubbio che da un simile atteggiamento epistemico la forza mimetica della parola scritta venga posta in discussione, e in proposito Le tour du monde en quatre-vingt jours di Jules Verne sembra mettere in atto una vera e propria riflessione di tipo metalinguistico su cui vale la pena di soffermarsi. 2. Già l'anno stesso in cui il romanzo verniano viene pubblicato ci mette sull'avviso di quanto per il suo autore fosse ancora più urgente riflettere intorno alla posizione che la letteratura poteva assumere di fronte alla pittura per ciò che concerne la sua portata mimetica. Nel 1873 Monet espone uno dei dipinti che presto si collocheranno tra i manifesti della pittura impressionista, Impressions: soleil levant, ma già l'anno prima, cioè quando l'opera di Verne sta uscendo a puntate sulla rivista Temps, lo stesso pittore realizza la tela intitolata Il ponte di Westminster con cui immortala uno scorcio celebre del panorama londinese con la stessa tecnica che caratterizzerà l'impressionismo pittorico. Accanto a questi due esempi ne troviamo altri coevi, dello stesso Monet come di altri suoi colleghi tra i quali spiccano le figure di Camille Pissarro e di Edouard Manet. Ma non c'è bisogno di attardarvisi: è sufficiente rendersi conto che siamo al cospetto di una maniera del tutto differente di concepire la rappresentazione della realtà, che pure si inserisce nella linea inaugurata da pittori come Camille Corot, Paul Huet e Théodore Rousseau i quali, seppure a fatica, erano riusciti ad affermarsi anche nella sede ufficiale dei Salon. Tuttavia, dal momento che una simile fortuna non è alla portata dei futuri pittori impressionisti, essi sono costretti a impegnarsi in una sorta di autopromozione che avrà come momento culminate l'esposizione tra il 15 aprile e il 15 maggio 1874 presso lo studio parigino di un grande amico di Jules Verne, il fotografo Nadar. Inizialmente lo stesso Zola non esita a esaltare l'operazione che viene compiuta da questi pittori e che lui concepisce in termini di profondo realismo. Lo stesso termine con cui si interpreta ora l'arte narrativa dell'autore dei Rougon-Maquart viene coniato dal critico d'arte Castagnary nel 1863 proprio per descrivere la poetica che anima i pittori che di lì a poco verranno definiti impressionisti. Tuttavia di lì a pochi anni, e certamente già in occasione dell'esposizione presso Nadar, si avverte pienamente come «rispetto alla pretesa oggettività naturalista, l'impressionismo riporta la realtà all'interno dell'uomo, come visione individuale e solitaria»7 e ciò costringe ancor più sia gli scrittori che i pittori a una riflessione intorno ai limiti della pratica mimetica. Quando Arnold Hauser scrive che «l'impressionismo ha già raggiunto una sua autonomia, quando in letteratura si combatte per il naturalismo» 8 , se da un lato non fa che offrirci una buona chiosa riassuntiva a quanto abbiamo appena detto, dall'altro lato ci suggerisce anche l'argomento con cui proseguire e che riguarda quella sorta di ritardo che la letteratura della seconda metà dell'Ottocento sembra patire nei confronti della pittura. Un ritardo che certamente ha a che fare con il fondamento mimetico che da sempre, secondo diverse prospettive culturali come ci dimostra magistralmente l'analisi che Erich Auerbach compie in Mimesis 9 , caratterizza la letteratura occidentale. Ma un ritardo che si acuisce meno al cospetto dell'emancipazione estetica ottenuta dalla pittura per le ragioni che abbiamo spiegato, che per il fallimento in termini di rappresentazione del reale che la stessa arte figurativa sembra dichiarare nei suoi esiti impressionisti. Lo scrittore che si deve confrontare con una simile situazione, quand'anche fosse uno scrittore poco votato alla riflessione estetica come Jules Verne, non può che sentire la precarietà della sua operazione artistica dal momento che essa non deve più collocarsi in http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
Belphégor relazione ad un arte figurativa che può volgersi alla rappresentazione della realtà in maniera migliore che la letteratura, bensì è chiamata a prendere una posizione di fronte alla critica dei fondamenti mimetici che la pittura impressionista svolge. Appena si pensa a quello che Roland Barthes ha scritto intorno alla questione della descrizione letteraria, si capiscono ancor meglio le difficoltà che è costretta ad affrontare una letteratura a cui viene meno un sostegno da parte della pittura almeno per ciò che riguarda la fiducia di poter dare una rappresentazione artistica della realtà. 3. Secondo Barthes «pour pouvoir en parler, il faut que l'écrivain, par un rite initial, transforme d'abord le "réel" en objet peint (encadré) après quoi il peut décrocher cet objet, le tirer de sa peinture : en un mot : le dé-peindre (dépeindre, c'est faire dévaler le tapis des codes, c'est référer, non d'un langage à un référent, mais d'un code à un autre code). Ainsi le réalisme - dice in conclusione Barthes - consiste, non à copier le réel, mais à copier une copie (peinte) du réel»10. Ugualmente, per quanto in maniera più breve, Annamaria Andreoli scrive che «il paesaggio oltre che "già là" è "già visto" secondo il cliché pittorico» 11. Tuttavia nessuno dei due sembra interrogarsi intorno a quello che può accadere quando questo paradigma figurativo di rappresentazione della realtà viene meno. E la situazione con cui si deve confrontare Jules Verne a partire dagli anni settanta del XIX secolo e su cui riflette, in maniera certo poco velata, ne Le tour du monde en quatre-vingt jours. In questa prospettiva, e di fronte al carattere critico dell'operazione impressionista, la scelta di quel cliché pittorico cui fa riferimento la Andreoli, invece di apparire scontata, viene tematizzata da Verne nel corso del romanzo e quest'ultimo può persino essere letto come una sorta di parabola intorno alla maniera migliore di rappresentare la realtà attraverso la parola scritta. Sarà così possibile rendere operativa in una maniera inversa la dinamica che ha segnalato Barthes, affermando che, proprio nella misura in cui il realismo letterario attinge ai codici pittorici, esso finisce per mettere in atto una selezione tra questi ultimi con l'intento di scegliere quello che sente più consono al suo spirito e di valorizzare una particolare concezione dello spazio che, come Jury Lotman ha spiegato chiaramente, ha sempre a che fare «col modello del mondo di un dato autore» 12. Come a dire che la necessità di Verne di attingere a modelli figurativi del passato per rappresentare la realtà ci permette di comprendere meglio il suo atteggiamento nei confronti di quest'ultima di quanto non accadrebbe se uno stile pittorico coevo gli offrisse quei modelli in maniera non problematica. Scrivere, descrivere, contemplare. 4. le tour du monde si apre con la figura che rappresenta Phileas Fogg in piedi, in atto di sfilarsi un guanto e con il capello a cilindro e il bastone lì a portata di mano (fig. 1): «Anglais, à coup sûr», come scrive lo stesso Verne. Ma De Neuville che ha realizzato questa figura aveva ben pochi altri materiali testuali su cui lavorare per concepire l'immagine di Fogg e come lui il lettore, il quale semmai viene a sapere ciò che il protagonista non è 13. Anche quando il narratore ammette di conoscere alcuni particolari delle vita del protagonista, lo fa assecondando quella componente di mistero che all'epoca era suggerita dai manuali di scrittura quando si trattava di descrivere un personaggio 14. Infatti, alla domanda «Ce Phileas Fogg était-il riche? - si risponde - Incontestablement. Mais comment il avait fait fortune, c'est ce que les mieux informés ne pouvaient dire». Così come l'interrogativo : «Avait- il voyagé ?» viene risolto affermando che Fogg era «un homme qui avait dû voyager partout, - http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
Belphégor en esprit, tout au moins» [T. M. p. 21]. Figure 1 Pur nel loro carattere misterioso, simili spiegazioni sembrano però offrirci dei suggerimenti utili nella misura in cui ammettono che avere dei particolari intorno alla storia della vita del protagonista potrebbe rendere comprensibili anche quelle abitudini difettive su cui il narratore si è soffermato iniziando la presentazione di Fogg. Possiamo perciò dire che manca una storia alle spalle di quella che sta per essere raccontata, e se ciò impedisce di conoscere a fondo il protagonista alle prime battute del romanzo, probabilmente quest'ultimo sarà prezioso proprio per svelare il personaggio di Fogg nei suoi aspetti più misteriosi. In questa misura, la narrazione viene da subito assimilata a una forma di esplicazione e il narratore a colui che se ne deve far carico. Lo stesso Fogg sembra accostarsi all'istanza narrativa, meno al narratore che all'autore stesso: infatti, assieme al protagonista, nella stessa situazione particolare di conoscere il mondo senza avere mai viaggiato, si trova indubitabilmente Verne. Tuttavia il romanzo che sta iniziando, se permetterà a Fogg di confrontarsi realmente col mondo, non potrà certamente consentire la stessa esperienza a Verne il quale, semmai, si dovrà nuovamente accontentare dello spostamento virtuale che offre una narrazione che lui stesso innesca e delle descrizioni che la intervallano. Si potrebbe ammettere che l'autore getti un'occhiata d'invidia all'indirizzo del suo personaggio che finalmente può stabilire con la realtà un rapporto più diretto e affidabile di quello che consente la parola scritta. Ma Fogg se ne mostrerà all'altezza? 5. In verità, Fogg rischia di dover interrompere il proprio viaggio tanto in fretta da non offrirci nemmeno il modo di rispondere a una simile questione: e ciò accade secondo una dinamica narrativa che Verne volge ancora una volta in una riflessione metaletteraria sui limiti della descrizione scritta rispetto alla rappresentazione grafica. Infatti, almeno per i destini di Fogg - certo non per quelli del lettore che non potrebbe leggere alcuni episodio gustosi della vicenda - non sarebbe poi tanto male se anche Fix, l'agente della polizia inglese inviato a Suez, potesse avere sotto gli occhi quella acquaforte del protagonista collocata all'inizio del romanzo. Invece http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
Belphégor ciò a cui l'agente deve affidarsi per rintracciare l'autore della rapina alla Bank of England non sono che dei semplici dati segnaletici. Ora, la cosa non deve sorprendere, e su questo punto il testo non appare affatto inverosimile, se si pensa che il primo arresto effettuato grazie ad un identikit del volto è del 195915. Tutto ciò deve fare intuire come, all'epoca de le tour du monde, fossero ancora lontani i tempi in cui la rappresentazione grafica si sarebbe emancipata dalla parola scritta anche nell'ambito della criminologia. E il console inglese a Suez sembra rammaricarsi proprio di questa situazione quando Fix gli comunica i suoi sospetti nei confronti di Fogg. Infatti, nonostante abbia visto Phileas Fogg e malgrado Fix lo incalzi con la sua convinzione, il console non riesce ad ammettere che il ladro della Bank of England possa essere il protagonista. Egli semmai congeda l'ispettore con significative parole di diffidenza nei confronti dei dati segnaletici, dicendogli: «Vous le savez, tous les signalements...» [T. M. p. 57], e costringendo in questa maniera il lettore a riflettere sulla stessa possibilità della parola scritta di cogliere la realtà. A questa stregua, l'entusiasmo di Fix per la corrispondenza tra i dati segnaletici e la persona di Fogg prende un rilievo ancora maggiore. Egli si propone come l'esempio di una ricezione ingenua e eccessivamente fiduciosa che il rapporto tra la realtà e il testo scritto non comporti alcuno scarto. In questo senso è sintomatico che, prima ancora di confrontare i dati segnaletici con la persona di Fogg, Fix li metta in relazione con un altro testo scritto, quello delle generalità riportate sul passaporto del protagonista16. Attraverso questo episodio, Verne ci suggerisce come la verosimiglianza e quindi il meccanismo che regola il rapporto tra la parola e la realtà sia un fatto intertestuale, che riguarda il codice letterario prima ancora che - o addirittura in maniera indipendente da - la struttura della realtà stessa. Si può affermare, perciò, che allorché Fix si troverà davvero di fronte Fogg egli non riuscirà a prescindere dalla duplice mediazione testuale con cui ha imparato a conoscerlo e che, in questa maniera, egli si rivelerà il prototipo del più ingenuo dei lettori che, invece di giudicare i libri e la loro attendibilità a partire dai dati reali, compie un'operazione inversa e modella la realtà sulla base della finzione letteraria. 6. Viene dunque da pensare che l'episodio dei dati segnaletici occupi uno spazio abbastanza rilevante all'inizio del romanzo per suggerire una critica alla stessa possibilità di fruire ingenuamente della scrittura allorché essa prende - cosa che in questo romanzo avverrà tanto spesso - delle cadenze descrittive. L'invidia che, come abbiamo suggerito, Verne potrebbe nutrire per Fogg si trasferisce quindi sul lettore che, per come stanno le cose, non può prestare una fiducia piena alle descrizioni del romanzo. Tuttavia Fogg non sembra sentirsi in una situazione tanto privilegiata come si potrebbe credere. Alla fine dell'incontro col console, infatti, egli torna sulla nave che aspetta di salpare e dal giudizio del narratore trapela soltanto, ma nondimeno si avverte, una punta d'ironia di fronte al suo atteggiamento. Puis il se fit servir à déjeuner dans sa cabine. Quant à voir la ville, il n'y pensait même pas, étant de cette anglais race d'Anglais qui font visiter par leur domestique les pays qu'ils traversent [T. M. p. 58]. Ora, quello che in questo passo potrebbe essere interpretato come un ulteriore elemento di caratterizzazione del personaggio di Phileas Fogg, in verità si rivela presto come una costante strutturale del romanzo. Fogg non guarderà mai i panorami che attraversa e, al suo posto, sarà Passpartout a farsi carico http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
Belphégor dell'interesse contemplativo necessario per animare la rappresentazione paesaggistica su cui il romanzo, in fin dei conti, si regge. Ciò ci dimostra ulteriormente come, quello che in fondo è lo scopo principale per cui il testo narrativo è stato concepito, cioè la descrizione di luoghi esotici e sconosciuti, viene ulteriormente presentato in maniera critica da Verne nella misura in cui il protagonista non si presta direttamente a questo obbiettivo. Tuttavia, curiosamente, appena si fa ricorso allo sguardo di Passpartout («du "booby" le plus neuf qu'on pût imaginer»[T. M. p. 77]) per veicolare presso il lettore il paesaggio esotico in cui le vicende hanno condotto i protagonisti, qualcosa va storto. Mentre ammira «à l'intérieur de Malebar-Hill, ce clinquant éblouissant de l'ornamentation brahamique»[T. M. p. 77], il servo è infatti steso a terra dall'aggressione di tre preti indiani che gli levano le scarpe e non perdono l'occasione di bastonarlo per l'insulto che egli ha fatto al tempio. Viene quasi da pensare che l'interesse per il paesaggio e la capacità di soddisfarlo in maniera critica siano incompatibili e che il lettore si trovi di fronte ad una alternativa abbastanza rigorosa: o, con Fogg, non ammira il panorama dei paesi stranieri che attraversa pur dimostrando di conoscerne i tratti fondamentali, oppure si accosta a Passpartout e si abbandona ad una contemplazione ingenua con tutti i rischi che essa comporta. In questo secondo caso, la descrizione che sorge da una simile maniera di osservare spinge al limite una delle sue caratteristiche peculiari che già la retorica antica le attribuiva., ossia quello di essere una minaccia per la narrazione 17. Quello che, in età moderna, verrà espresso a chiare lettere da Georgy Lukács prima e da Gerard Genette18 poi, diventa un tema su cui le pagine del romanzo di Verne s'interrogano con l'obbiettivo di trovare l'equilibrio migliore tra l'esigenza di descrivere e la necessità della narrazione di giungere alla conclusione senza perdere di coerenza e compattezza. E per questa ragione che Verne, sulla scorta della stessa retorica classica che concepiva la descrizione come una delle forme che poteva assumere la amplificatio, accosta al momento descrittivo, o meglio, fa scaturire da esso un'altra delle forme che s'inseriscono all'interno dei procedimenti amplificativi di un testo, cioè quella del racconto secondario. Quindi: appena Passpartout contempla, il racconto si arresta, e non soltanto per via della descrizione, ma anche perché da essa sorge un racconto ulteriore che si allontana da quello principale e lo mette a repentaglio, fino al punto di perderlo completamente in occasione dell'episodio giapponese del romanzo. Fogg sembra conoscere questi rischi e, intento com'è in una lotta contro il tempo, non può permettersi di perderne: la sua narrazione non può ammettere divagazioni di sorta, e ogni descrizione irreparabilmente trascina verso quella direzione. Ma presto anche il protagonista non riuscirà a far fronte al potere affascinante (e ritardante) della contemplazione. 7. Pensiamo alla maniera in cui Fogg, appena ha deciso di salvare la principessa Aouda, mette a tacere la sorpresa del brigadiere generale Sir Francis Cromarty. - Tiens! Mais vous êtes un homme de coeur! dit Sir Francis Cromarty. - Quelquefois, répondit simplement Phileas Fogg. Quand j'ai le temps. [T. M. p. 100] Un simile stupore nelle parole di Sir Cromarty si spiega ripensando a un'altra sorpresa, ossia a quella che gli ha destato proprio la conoscenza del protagonista. Secondo il narratore, infatti, il brigadiere generale era «un homme instruit, qui http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
Belphégor aurait volentieri donné des renseignements sur les coutumes, l'histoire d'organisation du pays indou, si Phileas Fogg eût été homme à les demander»[T. M. p. 80]. Si direbbe che con Cromarty il romanzo abbia trovato colui che sa far ricorso a una descrizione critica e consapevole: tuttavia, inizialmente, Fogg non permette a questo descrittore di eseguire il suo compito. Solo inizialmente, però. Infatti, dopo aver lasciato il treno e aver dovuto far ricorso ad un elefante per raggiungere Calcutta, il protagonista, con il suo domestico, il brigadiere generale e la guida indiana che conduce il pachiderma, s'imbatte in un Sutty: ma «Qu'est-ce qu'un sutty?» [T. M. p. 97] è costretto a chiedere Fogg, spinto dalla curiosità che hanno suscitato in lui questa parola pronunciata da Sir Cromarty e, soprattutto, lo spettacolo cui è stato costretto ad assistere. E, appena viene a conoscenza dei particolari più importanti intorno al rito in questione, il protagonista non riesce nemmeno ad evitarsi una perdita di tempo sulla sua tabella di marcia: anche se la volontà di salvare Aouda è significativamente giustificata a Cromarty nella maniera che abbiamo visto, e cioè ammettendo la possibilità di un racconto secondario e quindi della stessa descrizione che l'ha introdotto attraverso quella riserva di tempo accumulata dalla storia. Ancora una volta, perciò, quella che è una caratteristica strutturale del testo narrativo, ossia il fatto che la descrizione generi una pausa all'interno della storia, viene proiettata nella storia stessa per generare un racconto secondario e quindi una sospensione effettiva del racconto principale. L'ostinazione di Sir Francis Cromarty ha avuto quindi la meglio su quella di Phileas Fogg: ma, non va scordato, che insieme al brigadiere generale è anche il lettore a celebrare il proprio successo. Diviso tra la contemplazione ingenua di Passpartout e quella assente del protagonista, il lettore sembra trovare nella figura di Sir Cromarty un compagno fidato che lo possa mettere di fronte al paesaggio e alla cultura indiana nella maniera più attendibile possibile. Ma egli non proseguirà il viaggio oltre Calcutta e, per di più, non è che un conoscitore di cose indiane, dunque quale soluzione rimane a colui che legge? Se ci soffermiamo sulla maniera differente di concepire la relazione con lo spazio - perché ogni descrizione non si regge che su questo - che divide Sir Cromarty da Fogg forse possiamo, non soltanto dare una risposta soddisfacente a questa domanda, ma anche cominciare a delineare quel cliché pittorico che Verne è costretto a recuperare dal passato, visto la deriva cui l'impressionismo ha condotto la pratica mimetica nell'arte figurativa. Dalla cartografia ai Panorami: dalla parte delle tracce storiche 8. Prima della deriva a cui abbiamo appena fatto cenno, avevamo visto come l'autonomia della pittura rispetto alla letteratura era passata per una valorizzazione del paesaggio in sede di rappresentazione grafica che aveva assunto come pretesto due tra le discipline principali delle scienze umane: la geografia e la storia. Ora, attraverso i personaggi di Phileas Fogg e di Stir Francis Cromarty il discorso verniano sembra proprio mettere a confronto le alternative di rappresentazione del paesaggio che gli sono offerte da queste due discipline ai fini di saggiarne le qualità in maniera reciproca e segnarne criticamente i limiti. Non c'è dubbio che l'atteggiamento di Fogg si collochi nella linea avviata da Humboldt, per quanto ne prefiguri un esito estremo e ormai decisamente cartografico. Franco Farinelli ci offre un suggerimento prezioso per comprendere il rapporto che Fogg stabilisce con lo spazio quando descrive il superamento della http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
Belphégor rappresentazione "a volo d'uccello" della pianta delle città. Secondo lui, infatti, «l'abbandono della tecnica prospettica, che mira a fornire un'immagine urbana corrispondente a quella data dalla visione diretta, per la proiezione orizzontale della città [...] sancisce, con l'implicito passaggio dal concreto all'astratto, dal personale all'impersonale, l'atto supremo e definitivo della disumanizzazione dell'immagine» 19. Ora, per Sir Cromarty, Phileas Fogg non è che un «produit des sciences exactes» [T. M. p. 80], mentre poche righe sopra il narratore, simulando le cadenze di un discorso indiretto libero che sarebbe stato attribuibile proprio al brigadiere generale, aveva dichiarato che il protagonista era «un corps grave, parcourant une orbite autour du globe terrestre, suivant les lois de la mécanique rationenelle» [T. M. p. 80]. Se si pensa che altre due volte in precedenza il narratore s'è lasciato scappare che Fogg è una vera macchina 20, non sembrano esserci dubbi sul modo in cui va giudicato l'atteggiamento del protagonista: nelle parole di Farinelli è lo stesso atteggiamento che anima la più recente modalità di rappresentazione cartografica. Fogg ambisce a un rapporto decisamente impersonale nei confronti dello spazio e non deve far sorpresa che ai suoi occhi svanisca il paesaggio comunque lo si voglia intendere. Che si ammetta la suggestiva definizione di Jean-François Lyotard, secondo il quale «le DEPAYSEMENT serait une condition du paysage»21 o quella più intellettuale di Martin Heidegger che concepisce il paesaggio alla luce della costante interazione tra un orizzonte e la nostra presenza 22, la relazione che Phileas Fogg stabilisce con lo spazio non intende e non ha nemmeno la possibilità di produrre un paesaggio. Secondo la distinzione elaborata da Straus, si potrebbe dire che Fogg allo spazio del paesaggio ha preferito lo spazio della geografia 23, offrendoci così la patente conferma del fatto che «dans un univers positif, le paysage serait voué à la disparition» 24. E per questa ragione che, come ha scritto Roman Jakobson a proposito dei romanzi di Pasternak, anche ne Le tour du monde en quatre-vingt jours « l'action disparaît derrière la topographie » 25. O almeno, questa sarebbe l'intenzione che viene alimentata dalla prospettiva del protagonista, il quale si fa promotore di quell'ideologia della Grande Narrazione del Mondo che Franco Marenco descrive proprio ricorrendo all'esempio de le tour du monde: [...] nel secolo del massimo espansionismo europeo, la narrazione che mira a eguagliare la realtà riunisce nella sua provincia una geografia sempre più certa e globale, sempre più promotrice di storia e di storie, insieme a una storia sempre più sicura di sé, dei propri parametri e dei propri valori, sempre più destinata a occupare l'intero spazio della geografia - fino alla raffinatezza di costruire un romanzo come esperimento e tentazione di tutti i limiti spazio-temporali dell'azione umana [...].26 Tuttavia questa fiducia nella storia - che è fiducia nella narrazione - e nella sua capacità di controllare la geografia - di controllare la descrizione - per impedire paradossalmente ogni cambiamento - per trasformarsi a sua volta in geografia (ma non umana), in topografia e porre termine alla storia così come alla narrazione congelandole in una dimensione allegorica - nel romanzo di Verne trova anche una voce critica: quella di Sir Cromarty. Se Fogg, come si è visto, si vota decisamente alla narrazione ma soltanto col fine di chiudere un cerchio che possa esautorarla, che possa far scordare lo spreco di http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
Belphégor tempo e lo spostamento che sono stati necessari, il brigadiere generale tenta di contemperare la dimensione spaziale e quella temporale e lo fa proprio nelle sue descrizioni. Abbiamo già messo in rilievo l'interesse per la storia culturale dell'India che il narratore attribuisce a Sir Cromarty e anche la disponibilità con cui questi si presta alla spiegazione di quel rito religioso che è il Sutty: tutto ciò dovrebbe darci ad intendere che il brigadiere generale non è capace di rivolgersi a uno spettacolo naturale senza riconoscerne la matrice storica e culturale. In questo senso possiamo affermare che egli si colloca proprio a metà tra l'atteggiamento eccessivamente distaccato di Fogg e quello eccessivamente coinvolto di Passpartout, nella misura in cui sotto il suo sguardo il paesaggio continua a mantenere un rapporto con le proprie tracce storiche. Se Phileas Fogg è l'allievo più evoluto che la scuola di Alexander von Humboldt poteva sfornare, Sir Francis Cromarty ascolta la lezione di Henry Valenciennes e la declina in ossequio ai cambiamenti cui la pittura è andata incontro nel corso del XIX secolo. Così, visto che tra i generi pittorici che hanno valorizzato il paesaggio e hanno riscosso un maggiore successo di pubblico c'è quello dei Panorami, sembra di poter affermare che il brigadiere generale ne tragga insegnamento. Attraverso questo genere di rappresentazioni, afferma Silvia Bordini, «si traduceva in immagini un sistema complesso che comprendeva le stratificazioni della storia, gli emblemi del presente e la minuta temporalità quotidiana, una totalità articolata dal grandissimo al piccolissimo, dal più vicino al più lontano, dall'artificiale al naturale»27: ossia, si compiva un'operazione del tutto simile a quella che Sir Cromarty compie con le parole per offrire a Fogg un'immagine completa della realtà indiana 28. 9. Ma tra la posizione tenuta da Phileas Fogg, che certamente veicola nella maniera migliore l'ideologia di dominio su cui ha attirato l'attenzione Franco Marenco, e quella di Sir Francis Cromarty, che confrontandosi criticamente con l'atteggiamento del protagonista certo si mostra più cauto in termini ideologici, da che parte sta Verne? E cioè in che prospettiva colloca i propri interventi il narratore che indubbiamente è l'alter ego dell'autore nella finzione romanzesca? Ora, sappiamo che per sua natura un narratore onnisciente non è soggetto ai vincoli dello spazio e del tempo reali come capita ai personaggi e ai lettori, e ciò gli permette di trascorrere da un punto all'altro del globo terrestre senza alcun dispendio di tempo: sarebbe il sogno di Phileas Fogg. Tuttavia è un sogno destinato a non realizzarsi ed è per questo motivo che la sola maniera che resta al protagonista di non prestare attenzione al paesaggio, e far così proprio quello sguardo positivistico cui abbiamo fatto cenno, è quella di non osservare i panorami che attraversa. Però, non scordiamo che per un Fogg che decide di non guardare il paesaggio, c'è un Passpartout che invece sembra gioire dell'immersione nell'elemento naturale. Passpartout, réveillé, regardait, et ne pouvait croire qu'il traversait le pays des Indous dans un train du «Great peninsular railway». Cela lui paraissait invraisemblable. Et cependent rien de plus réel ! La locomotive, dirigée par le bras d'un mécanicien anglais et chauffée de houille anglaise, lançait sa fumée sur le plantations de cotonniers, de caféiers, de muscadiers, de girofliers, de poivriers rouges. La vapeur se contournait en spirales autour des groupes de palmiers, entre lesquels apparaissaient de pittoresques bungalow, quelques viharis, sorte de monastères abandonnés, et de des temples merveilleux qu'enrichissait l'inépuisable ornamentation de http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
Belphégor l'architecture indienne. Puis, d'immenses étendues de terrain se dessinaient à perte de vue, des jungles où ne manquaient ni les serpents ni les tigres qu'épouvantaient les hennissements du train, et enfin des forêt, fendues par le tracé de la voie, encore hantées d'éléphants, qui, d'un oeil pensif, regardaient passer le convoi échévelé. [T. M. p. 82]. Dal punto di vista di Passpartout si passa quasi a quello dell'elefante, che presto si vendicherà di questa esclusione e invasione da parte della tecnologia diventando l'unico mezzo di trasporto a disposizione per coprire il tratto che la ferrovia ancora non attraversa. Ma il passaggio dalla prospettiva ingenua dell'uomo a quella pensierosa dell'animale non viene condotto fino in fondo e rimane mediato da un altro sguardo che si preoccupa di gestire questa transizione: quello dell'istanza narrativa, appunto. Essa torna nuovamente in scena appena le immense distese di terra si aprono a perdita d'occhio, ossia a dire quando uno sguardo umano si scontra coi propri limiti. Mantenersi all'interno degli stretti confini del punto di vista del domestico impedirebbe infatti al lettore di godere in maniera completa dello spettacolo che può offrire un paesaggio indiano e non solo in termini di visione. E, infatti, davvero possibile che il domestico di Fogg conosca il nome di quei pittoreschi bungalow che appaiono tra le palme? In questa occasione ci troviamo di fronte ad un'operazione opposta a quella a cui si riferisce Philippe Hamon quando afferma che spesso la descrizione trova una giustificazione all'interno di un testo narrativo grazie alle particolari conoscenze di colui che osserva29. Tutto però, a partire dalla discrezione con cui l'istanza narrativa si affianca alla prospettiva di Passpartout, è evidentemente fatto di proposito. Appena il narratore completa anche in termini di conoscenza le informazioni sul paesaggio che Passpartout sta osservando, si dimostra infatti in grado di interagire con la particolare condizione difettiva in cui si trova l'uomo per venirgli in soccorso. Se del suo intervento non potrà approfittare il domestico, certo può farlo il lettore che pure quasi non avverte l'intrusione del punto di vista del narratore. Lo sguardo extra-umano di quest'ultimo viene perciò messo a frutto non soltanto per attingere una visione cartografica della realtà - per realizzare quel sogno irrealizzabile di Fogg -, ma anche per confrontarsi col paesaggio criticamente - per farsi carico del compito assunto in prima persona da Cromarty 30 - tanto che, in questa prospettiva, lo sguardo ingenuo di Passpartout finisce per rivelarsi come il punto di partenza necessario per mettere in risalto il versante critico dell'osservazione paesaggistica. Stando così le cose si può pensare che il narratore, come il brigadiere generale, ricorra all'esempio pittorico dei Panorami, anche se, integrando nelle sue osservazioni lo sguardo di uno spettatore ingenuo da superare in maniera critica, si fa carico anche della consapevolezza di evitare un limite della pittura panoramica e cioè le derive spettacolari cui essa va incontro in sede di fruizione. 10. Tra tutti i panorami descritti dal narratore facendo ricorso alla tecnica che abbiamo analizzato, ce ne sono di diversi in cui la realtà indigena scompare completamente sotto i cambiamenti imposti dal dominio inglese. Hong-Kong n'est qu'un îlot, dont le traité de Nanking, après la guerre de 1842, assura la possession à l'Angleterre. En quelques années, le génie colonisateur de la Grande-Bretagne y avait fondé une ville importante et créé un port, le port Victoria [...]. Des docks, des hôpitaux, des wharfs, des entrepôts, une cathédrale gothique, un «government-house», des http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
Belphégor rues macadamisées, tout ferait croire qu'une des cités commerçantes des comtés de Kent ou de Surrey, traversant le sphéroïde terrestre, est venue ressortir en ce point de la Chine, presque à ses antipodes. Passpartout, les mains dans les poches, se rendit donc vers le port Victoria [...]. A peu de choses près, c'était encore Bombay, Calcutta ou Singapore, que le digne garçon retrouvait sur son parcours. Il y a ainsi come une traînée de villes anglaises tout autour du monde. [T. M. p. 148] Ancora una volta Passpartout rivela tutta la sua ingenuità e arriva al punto di non riuscire a distinguere tra le diverse regioni che ha attraversato fino a quel momento: il mondo intero, viene suggerito, si riduce all'Inghilterra. In termini più semplici, e questa volta utilizzando le stesse parole di Verne, torniamo a ribadire l'ideologia che anima l'avventura di Fogg e che consiste nella volontà di ridurre il vasto ed eterogeneo spazio del globo ad un solo orizzonte che sia sempre presente di fronte agli occhi e che, perciò, possa essere percorso senza spreco di tempo. Persino il paesaggio degli Stati Uniti smarrisce la propria individualità e il narratore, per sottolinearlo, torna nuovamente a calarsi nello sguardo di Passapartout. De la place élevée qu'il occupait, Passpartout observait avec curiosité la grande ville américaine [...]. Il en était encore à la cité légendaire de 1849, à la ville des bandits, des incendiaires et des assassins, accourus à la conquête des pépites, immense capharnaüm de tous les déclassés, où l'on jouait la poudre d'or, un revolver d'une main et un couteau de l'autre. Mais «ce beau temps» était passé. San Francisco présentait l'aspect d'un grande ville commerçante. La haute tour de l'hôtel de ville, où veillent les guetteurs, dominait tout cet ensemble de rues et d'avenues, se coupant à angles droits, entre lesquels s'épanouissaient des squares verdoyants, puis une ville chinoise qui semblait avoir été importée du Cèleste Empire dans une boîte à joujoux [...]. Lorsque Passpartout arriva à International-Hôtel, il ne lui semblait pas qu'il eût quitté l'Angleterre. [T. M. pp. 203-205] Nel passo precedente una città inglese sembra aver compiuto il giro del mondo, sembra aver inseguito Passpartout per spuntargli davanti agli occhi; in quest'ultimo al domestico di Fogg sembra di non essersi mai spostato: anche questa progressione in termini rappresentativi ci segnala come il progetto ideologico del protagonista stia per celebrare il suo successo. Eppure in entrambi i casi il narratore non si lascia sfuggire l'occasione che lo sguardo inconsapevole di Passpartout gli offre di ripercorrere la vicenda storica dei due paesaggi che vengono descritti. La storia attribuisce uno spessore culturale ai panorami stranieri che altrimenti andrebbe decisamente perduto dietro l'omologazione britannica che questi luoghi hanno subito. L'ultima citazione, per di più, tematizza, attraverso la delusione di Passpartout, la delusione che subirebbe il lettore se il narratore si limitasse a descrivere ciò che appare nel paesaggio nel momento in cui viene guardato dal domestico di Fogg. In questa prospettiva, si fa intendere con estrema chiarezza il diverso grado di onestà intellettuale che separa la rappresentazione di Verne da quelle del genere pittorico dei Panorami. Infatti, questi ultimi, per rispondere a quell'esigenza spettacolare cui abbiamo fatto cenno e che rimaneva la loro principale prerogativa, spesso non si limitavano che ai contenuti esotici di un paesaggio straniero: tuttavia essi non sono i soli e le descrizioni di Verne ce ne danno la conferma. Addirittura, a http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
Belphégor causa della conquista coloniale, si rischia di perdere le tracce di simili contenuti ed esse possono risorgere soltanto grazie ad una prospettiva temporale che rimane difficilmente attingibile dalla pittura. Dunque, se è vero che il paradigma pittorico cui la narrazione verniana si ispira ha a che fare con le rappresentazioni panoramiche, è altrettanto vero che essa forza i limiti di questo genere figurativo per produrre un discorso culturalmente più complesso e meno votato ad una fruizione spettacolare. La volontà di rappresentare la stratificazione storica del paesaggio che, come è già stato detto, caratterizza il genere dei Panorami viene assecondata e spinta alle estreme conseguenze grazie alla scelta di rappresentare paesaggi stranieri in cui si è imposta quella stessa logica che, secondo Benjamin, nella grande urbanizzazione occidentale ha favorito proprio la diffusione delle rappresentazioni panoramiche e che inaugura, a detta di Niva Lorenzini, «un paesaggio della non-memoria, che rifiuta la durata e la temporalità»31. A fronte di una situazione simile, le descrizioni de le tour du monde tentano proprio di riabilitare questa temporalità smarrita quasi in maniera contraddittoria rispetto a come viene concepita in termini temporali la forma descrittiva. Invece di segnare un arresto della storia, la descrizione può permettere di raccontarne delle altre che l'occhio di un osservatore distratto o inconsapevole come Passpartout certamente non può intuire dietro il velo di omologazione che il dominio occidentale ha steso su tutto il pianeta. Se ripensiamo alla città cinese importata a San Francisco come in una scatola di giochi sarà facile intuire quale sia l'operazione che la cultura occidentale sta compiendo nei confronti dei paesi considerati esotici e che consiste, non nella loro eliminazione, bensì nella volontà di ridurre le culture straniere a pura attrazione, a merce da trasportare e da esibire. In questo senso, torna a proposito ricordare che proprio nel periodo di cui stiamo parlando sorgono quelle esposizione etnografiche capaci di offrire, proprio come le tele panoramiche e i romanzi di Verne, «l'impression d'un voyage immobile»32. Paragonabili almeno all'operazione verniana per l'esplicita intenzione di educare il pubblico sulle reali condizioni di vita delle popolazioni colonizzate, le esposizioni sono da accostare in misura maggiore alle tele panoramiche per la capacità di promuovere soprattutto una svalutazione delle radici storiche e culturali di realtà lontane ai fini di giustificare nella maniera più efficace le drammatiche operazioni coloniali 33. Detto altrimenti, ossia secondo la nostra prospettiva d'analisi, è come se in queste ultime due operazioni la componente descrittiva perdesse ogni rapporto con quella narrativa che le può offrire (e a cui offre) un senso e, in questa maniera, s'isterilisca deponendo anche il potere che le abbiamo riconosciuto di produrre autonomamente altre storie e di essere una minaccia per la storia principale. 11. Verne invece non ammette questa deriva e la contesta apertamente nell'episodio giapponese. Da un punto di vista strettamente narrativo, innanzitutto: appena Passpartout si ritrova solo nella città di Yokohama, infatti, la sua avventura perde il carattere di narrazione secondaria nella misura in cui in questa occasione la narrazione principale sembra, almeno da parte del domestico di Fogg, ormai difficilmente recuperabile. In questo senso, se non si può veramente affermare che la narrazione secondaria si emancipa dal ruolo di semplice amplificazione della narrazione principale, certo si deve ammettere che per la prima volta la vicenda di Passpartout non è più, come egli stesso ci suggerisce, «si intimement mêlée à celle de son maître» [T. M. p. 182]: ed ecco ciò che permette alla realtà giapponese di assumere agli occhi del domestico un rilievo culturalmente più interessante delle http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
Belphégor altre realtà che sono state attraversate. E vero, ad esempio, che «là, comme à Hong-Kong, comme à Calcutta, fourmillait un pêle-mêle de gens de toutes races, Américains, Anglais, Chinois, Hollandais, marchands prêts à tout vendre et à tout acheter» [T. M. p. 182], tuttavia questa volta, in mezzo a quelle persone, «le Français se trouvait aussi étranger que s'il eût été jeté au pays des Hottentots» [T. M. p. 182]. Appena smette di essere alle strette dipendenze di un esponente dell'ideologia coloniale, Passpartout perciò acuisce il proprio sguardo e diventa più sensibile alla realtà che lo circonda permettendo al narratore di avviare una critica più esplicita nei confronti dell'imperialismo occidentale. Fino alla fine dell'episodio giapponese si assiste infatti a un curioso rapporto tra i costumi occidentali e quelli orientali che certamente la storia recente del Giappone aveva contribuito ad alimentare. Soltanto nel 1868 infatti lo stato nipponico si era aperto definitivamente alle relazioni internazionali e aveva avviato una riforma delle istituzioni e dell'economia che intorno al 1880 le avrebbe permesso di collocarsi tra i paesi più sviluppati del pianeta. Tuttavia un simile cambiamento non era avvenuto senza conseguenze, e quella principale su cui Verne si sofferma in queste pagine consiste nella riduzione della vasta tradizione culturale giapponese in semplice attrazione. A questa stregua: il kimono diventa un costume che «les modernes Parisiennes semblent avoir emprunté aux Japonaises» [T. M. p. 182], Passpartout, appena indossa gli abiti nipponici, pensa «Bon [...] je me figurerai que nous sommes en carnaval» [T. M. p. 187], e infine, un americano può allestire uno spettacolo giapponese e chiedere a un francese di prendervi parte: ma il fallimento di tale spettacolo e la maniera in cui avviene sembrano rispondere a un'esigenza critica. Al culmine dell'esibizione, Passpartout riconosce infatti tra la folla il suo padrone e, per fuggire dal palcoscenico e unirsi a lui, fa crollare la piramide umana in cui è impegnato. Ora, se è vero che per la seconda volta nel romanzo Fogg è costretto a derogare alla sua volontà di non dedicarsi all'osservazione e a trasformarsi in spettatore, è altrettanto innegabile che è egli stesso a divenire spettacolo per Passpartout. E appena quest'ultimo lo nota tra il pubblico, non esita a far nuovamente confluire la sua vicenda personale - la narrazione secondaria - in quella di Fogg - nella narrazione principale, quasi l'autore volesse suggerirci che è la stessa descrizione, in cui il domestico si trova imprigionato e con cui nuovamente Fogg non sa interagire a dovere, a produrre l'elemento che le permette di integrarsi nella narrazione. Tutto ciò ci consente di osservare ancora una volta che Fogg è tanto privo del dono dell'osservazione quanto Passpartout ne è dotato e che un romanzo non può rinunciare alle parti descrittive che un simile dono produce. Tuttavia appena ammettiamo con il narratore che era difficile per il protagonista riconoscere «son serviteur sous cet excentrique accoutrement de héraut» [T. M. p. 197], accanto alle responsabilità di Fogg se ne delinea un'altra che riguarda lo spettacolo circense e la sua capacità d'ingannare. Riproducendo all'interno del testo la relazione che si instaura tra un pubblico e una rappresentazione, Verne, appena fa fallire il numero d'equilibrio a causa della fuga di Passpartout, attira l'attenzione di chi legge sul lato ingannevole di ogni spettacolo, anche di quello meglio allestito. In questa occasione, infatti, a fronte di un pubblico che non sa riconoscere il lato fittizio della rappresentazione, è quest'ultima che si rivela tale e fa ricadere questa confessione su qualunque rappresentazione sia eccessivamente ingannevole. Lo spettatore occidentale - Fogg - è richiamato a uno sguardo più critico e accorto nei http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
Belphégor confronti dello spettacolo - di Passpartout - ai fini di penetrare dietro l'apparenza e scoprirne l'attendibilità. Ciò che avviene nel circo di Yokohama è dunque un'ulteriore educazione alla capacità di osservare - che, ovviamente, coinvolge anche la capacità di descrivere - cui il romanzo ricorre, da un lato, per mettere in guardia contro una rappresentazione superficiale delle culture straniere e di tutta la realtà in genere, dall'altro, per riabilitare il rapporto tra narrazione e descrizione. Conclusione: una doppia soddisfazione 12. La linea Von Humboldt-Valenciennes, che abbiamo segnalato a proposito dell'emancipazione della rappresentazione grafica dal testo scritto e del confronto tra il modo di rapportarsi al paesaggio di Phileas Fogg e di Sir Francis Cromarty, nel corso del XIX secolo vede indebolirsi le basi epistemiche su cui fonda il suo valore e ciò proprio a favore di una riscoperta della componente storica. Così, se confrontiamo i pittori di Panorami ai paesaggisti olandesi del XVII secolo di cui certamente sono eredi, non possiamo concludere, come fa Svetlana Alpers a proposito di questi ultimi, che le loro opere «non sono descrizioni in senso retorico - che in esse - il descrivere è una questione grafica e non retorica. E descrizione, appunto, e non narrazione» 34. E ciò perché non possiamo ammettere che «uno sguardo attento trascritto da quella che potremmo chiamare una raffinata capacità osservativa - fosse ancora nella seconda metà del XIX secolo - la più celebrata via d'accesso alla conoscenza e alla comprensione del mondo» 35. Michel Foucault infatti ha collocato agli inizi del XIX secolo l'avvio del superamento di quell'episteme della rappresentazione che permetteva di concepire il sapere in relazione diretta con l'osservazione e che lascia il posto ad un episteme in cui è la Storia a definire «le lieu de naissance de ce qui est empirique, ce en quoi [...] il prend l'être qui lui est propre» 36. E in un contesto simile che l'operazione di Verne può imporsi in termini culturali su quelle dei Panorami, cioè allorché venga ammesso che la narrazione e l'elemento storico di cui si fa portatrice diventano necessari per comprendere i fenomeni: ma, attenzione, soltanto perché integrano un'osservazione già e realmente avvenuta. Sempre secondo Foucault, infatti, in questa nuova prospettiva epistemica «les figure visibles, leurs liens, les blanc qui les isolent et cernent leur profil, ils ne s'offriront plus à notre regard que tout composés, déjà articulés dans cette nuit d'en dessous qui les fomente avec le temps» 37: che la narrazione potrà dispiegare, perciò, ma solo partendo dalla descrizione. Nelle parti descrittive di Verne, cioè in quei momenti in cui il tempo cede il posto allo spazio e la storia al discorso38, si attua proprio una compenetrazione dei due elementi e attraverso lo spazio si dà risalto al tempo che l'ha costituito nei suoi tratti ultimi, così come grazie al discorso prendono rilievo altre storie, differenti da quella principale ma non meno importanti per il lettore. E così - ossia soffermandosi su elementi decisamente più umani di quelli messi in campo da una visione cartografica da cui esso prende le mosse - che lo sguardo extra-umano del narratore si appropria di un'umanità che lo rende attendibile, ed è sempre così che può essere data una risposta all'esigenza positivistica di Fogg di superare ogni interesse per il paesaggio. Infatti, se il narratore può decidere di adeguarsi alle capacità percettive dell'uomo, il protagonista è costretto a conservare la sua umanità con tutti i vincoli che si porta appresso e senza potervi evadere. In questa prospettiva, sembra sia vero che «qualsiasi rappresentazione è modellata da una visione ideologica - e che, quindi, - occorre diffidare [...] dall'idea di una descrizione http://etc.dal.ca/belphegor/vol7_no2/articles/07_02_crippa_nomelo_it_cont.html[11/28/2013 1:48:49 PM]
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