Adriana Ivancich. Una storia d'amore sui generis

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Adriana Ivancich. Una storia d’amore sui generis

Adriana Ivancich

«Ti amo, mio ultimo, vero ed unico amore» citò la ragazza1.
«Non ho voluto morire perché volevo rivederti, Daughter. My last and true love: perché tu sei
questo, ho cercato sempre di amarti nel modo migliore.»2.
Entrambe queste frasi sono tratte da pagine di letteratura, rispettivamente la prima dal romanzo di
Ernest Hemingway Di là dal fiume e tra gli alberi (Across the River and into the Trees), e la
seconda dal meno famoso romanzo intitolato La torre bianca e scritto da Adriana Ivancich. Le due
frasi, o meglio le due battute in questione, perché di discorso diretto si tratta, sembrano essere l’una
il riflesso dell’altra, risuonando sull’onda di una medesima eco. Ci introducono nel cuore
dell’indagine su Hemingway che il volume Hemingway. Talento, tormenti e passioni si è
ambiziosamente proposto, ossia l’esplorazione di Hemingway uomo e di Hemingway scrittore, e
che questo capitolo dedicato al personaggio di Adriana Ivancich sceglie di modulare nel solco di
una riflessione condotta in parallelo sul rapporto fra “vita” e “letteratura”.
La ragazza che pronuncia la prima frase con cui abbiamo iniziato il presente paragrafo è Renata,
protagonista di Di là dal fiume e tra gli alberi; la seconda battuta viene invece pronunciata da
Hemingway ne La torre bianca ed è rivolta ad Adriana Ivancich.
Per comprendere l’intricato rapporto che lega fra loro le due figure femminili, l’una realmente
esistita, quella di Adriana, e l’altra frutto dell’invenzione letteraria, Renata, scegliamo di prendere le
mosse da molto lontano, e di raccontare chi fosse Adriana Ivancich e cosa questa donna avesse
significato per Hemingway.
Fernanda Pivano nella sua Nota ai testi contenuta nell’edizione Mondadori dei Romanzi di E.
Hemingway da lei curata, ci informa che Adriana era una baronessina non ancora diciannovenne di
cui lo scrittore americano venne a conoscenza durante il suo primo viaggio in Europa dopo la
guerra, quando passò da Venezia nel 1948. Sulla natura dei rapporti intercorsi fra la Ivancich ed
Hemingway la studiosa parla in questi termini: «incontrò Adriana […] e si invaghì di lei»3 e «H. poi
finì per innamorarsi perdutamente di Adriana»4 durante il suo soggiorno fra Cortina e Venezia nel
1950. La Pivano ci offre inoltre interessanti ragguagli su come proseguì la vita di Adriana “dopo
Hemingway”, mettendoci al corrente del fatto che dopo varie avventure sentimentali Adriana
contrasse matrimonio con il greco Dimitri Monas, divorziò dopo tre anni e convolò a nuove nozze
con il conte tedesco Rudolf Von Rex da cui ebbe due figli. L’epilogo della vicenda esistenziale
della Ivancich è decisamente drammatico, per non dire tragico: «nel marzo 1983 ebbe un collasso
nervoso e si impiccò a un albero della sua fattoria»5.
L’immagine globale che di Adriana può ricavare un attento lettore delle pagine de La torre bianca
si compone di numerosi e svariati tratti. Spesso l’autrice descrive con dovizia di particolari gli
ambienti in cui di volta in volta si svolgono le vicende narrate e numerose sono i casi in cui si
nominano personaggi d’alto livello del mondo della cultura e dello spettacolo degli anni Cinquanta,
di cui alcuni rappresentavano per gli Ivancich amicizie d’antica data, mentre altri nuove e
recentissime conoscenze. Ai fini di delineare un inquadramento generale, possiamo soffermarci a

1
  FERNANDA PIVANO, a cura di, Ernest Hemingway. Romanzi, A. Mondadori Editore, Milano 1993, vol. 2, p. 1025.
2
  ADRIANA IVANCICH, La torre bianca, A. Mondadori Editore, Milano 1980, p. 324.
3
  FERNANDA PIVANO, a cura di, Ernest Hemingway. Romanzi, A. Mondadori Editore, Milano 1993, vol. 2, p. 1143.
4
  Ibi, p. 1145.
5
  Ibi, p. 1146.

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sottolineare gli accenni dell’autrice al lusso e all’ampiezza della sua casa d’abitazione in Calle del
Rimedio, disegnata dal Sansovino, agli studi compiuti in un collegio svizzero, all’intensa vita
mondana e alle altrettanto fitte frequentazioni dei notabili di Venezia, ai viaggi all’estero, alle
vacanze in luoghi rinomati come Cortina e Capri… La cerchia di frequentazioni intime della sua
famiglia era di grado indubbiamente elevato: solo per fare un esempio si può notare come nelle
pagine del romanzo ricorrano i nomi dei conti Federico e Carlo Kechler, così come del barone
Nanyuki Franchetti. Inoltre si viene a sapere attraverso alcuni passaggi del testo che il nonno di
Adriana era amico di Wagner, la mamma del critico letterario P.A. Quarantotti Gambini, Adriana
di Orson Welles, dei nipoti di Luchino Visconti, e grazie a Hemingway, durante il soggiorno a
Cuba, ebbe modo di fare personalmente la conoscenza di Gary Cooper.
Ma Adriana si rivela anche attraverso lo stile della sua narrazione in prosa. La scopriamo così
attenta osservatrice del mondo che la circonda, dal paesaggio italiano a lei familiare fino ai lontani
tropici dove si reca in viaggio con la madre per andare a trovare il fratello Gianfranco (impegnato a
svolgere il suo lavoro all’Avana) e far visita ad Hemingway presso la sua Finca Vijia. Ma il
paesaggio che senza dubbio sembra stare più a cuore ad Adriana è il labirinto veneziano di strade,
ponti, calli e canali nei quali si aggira con la disinvoltura tipica di un padrone di casa. Adriana si
rivela in egual grado abile esploratrice della sua interiorità: lo evidenzia il suo costante desiderio di
raccontarsi e di permettere al lettore di venire a conoscenza delle caratteristiche che
contraddistinguono la sua personalità, attraverso la costante esplicitazione della sua introspezione
psicologica. Gli strumenti narrativi attraverso cui realizza tutto ciò consistono in un frequente uso
delle digressioni e in un’ abilità particolare, quella di sfumare i contorni fra l’esplicitazione dei suoi
pensieri e la descrizione di fatti e vicende pertinenti alla realtà effettuale. Quest’operazione si
riscontra frequentemente anche nelle fasi di passaggio che fanno emergere da un contesto delineato
a grandi linee il preciso scambio di battute verificatosi fra lei e altri personaggi. Un altro tratto
distintivo della prosa della Ivancich sembra essere il deliberato offuscamento dei nessi temporali
che sorreggono lo svolgimento delle vicende: si percepiscono spesso dei “passaggi a sbalzi”
attraverso cui riesce a spostare l’attenzione del lettore da un taglio cronachistico di oggettività
(corrispondente all’informazione “in quale momento è avvenuto un determinato fatto”) a una
percezione più soggettiva delle atmosfere che lei stessa ha respirato in alcune circostanze e che
successivamente ha deciso di ricreare sulla pagina scritta. Rispecchiano eloquentemente questo
intento le numerosissime digressioni che si succedono all’interno del romanzo e le altrettanto
frequenti “conversazioni itineranti” che hanno luogo, fra Adriana ed Hemingway, lungo le vie e le
calli di Venezia. Il tutto conferisce alla narrazione un sapore cinematografico, dal momento che gli
eventi descritti appaiono presentati in una sorta di “presa diretta”. Pagina dopo pagina scopriamo in
Adriana una giovane donna che dimostra nei confronti della letteratura e della cultura in generale
un’inclinazione e una sensibilità particolari. In lei si ravvisa al tempo stesso una costruttiva curiosità
nei confronti di tutto quanto la circondi, e quest’ultima si ricontra letterariamente nel privilegiare
spesso la sostanza delle sue narrazioni a scapito della forma. Adriana è infatti senz’ombra di dubbio
una persona colta inserita nel contesto di una famiglia che apprezza le belle lettere, ma il linguaggio
predominante nel romanzo è di medio livello, con la comparsa qua e là di qualche termine colto ma
con un numero predominante di vocaboli e locuzioni colloquiali. Non passa inosservata neppure
una sintassi intarsiata di ricorrenti anacoluti tipici del linguaggio parlato. La ricercatezza formale e
l’accuratezza linguistica sono quindi superate, in un’ipotetica gerarchia d’interessi, dalla premura di
catturare e fermare nero su bianco momenti, scorci, azioni e parole, rispecchiando il carattere
confuso e caotico di cui è scandito il ritmo dell’esistenza e riflettendo in maniera per così dire
sincera e non artefatta la costellazione del suo “lessico familiare”. Molto probabilmente con lo
stesso scopo di trasmettere al lettore l’autenticità delle sue scene di vita vissuta Adriana fa frequente
uso anche di sintagmi di lingue straniere, soprattutto all’interno del discorso diretto, utilizzando in
larga misura l’inglese-americano e di quando in quando lo spagnolo.

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Ma per entrare davvero e profondamente in contatto con la personalità di Adriana, scegliamo di
accettare il famoso “patto col lettore” che ogni opera letteraria implica, per tratteggiarne il ritratto
secondo i lineamenti che l’autrice stessa suggerisce.

L’amore

L’Adriana Ivancich che si incontra e si impara a conoscere sfogliando le pagine de La torre bianca
è prima di tutto e sopra ogni altra cosa la protagonista di una storia d’amore.
La narrazione de La torre bianca prende infatti l’avvio dal primo incontro intercorso fra Adriana ed
Hemingway, che di lui conosce naturalmente la grande fama di scrittore pur non avendo letto alcuna
delle sue opere. Nella prima descrizione che Adriana tratteggia di Hemingway si può notare la
natura indagatrice e profonda del suo sguardo, che va a ricercare sotto la superficie fisica tracce
dell’anima e del carattere dell’uomo Hemingway, come rivela un sapiente uso dell’aggettivazione:
«Questo è dunque Hemingway, di cui tutta Venezia parla. Un vecchio: fronte tagliata da due rughe
profonde, baffi diritti sopra le labbra. Le labbra hanno una piega a un lato, scanzonata, gli occhi
sono vivi e penetranti: forse non è proprio vecchio. E anche se è importante, ha l’aria simpatica»6.
La stessa categoria dell’età anagrafica viene evidentemente posta in secondo piano in favore di una
misurazione del tempo basata su differenti parametri, quelli della giovinezza intellettuale e
dell’entusiasmo per la vita. La complicità fra Hemingway e Adriana non tarda a scattare, come
dimostrano le pagine del capitolo successivo in cui viene riassunto l’episodio della caccia alle
anatre. È significativo soffermarsi sullo scambio di battute avvenuto fra i due, perché mostra già in
nuce un esempio eloquente del tono vivace e del sostrato intellettuale che costituiranno il leit motiv
di tutte le loro conversazioni, tanto più brillanti da ascoltare – o meglio da leggere – quanto più si
avverte la spontaneità di cui sono intessute. Alla domanda di Hemingway su cosa pensasse Adriana
della caccia, lei risponde niente meno che con una citazione di Bismarck (« “Mai gli uomini dicono
tante bugie come prima delle elezioni, durante le guerre e dopo le partite di caccia” »7). Hemingway
scoppia a ridere. Noi lettori percepiamo che il ghiaccio è stato rotto.
Con un invito a colazione all’Harry’s Bar inizia fra Adriana e lo scrittore americano una
frequentazione che diventerà sempre più assidua, nonostante la disapprovazione di “mammà” («Un
uomo sposato, tanto più anziano di te, che parla in un modo che spesso non capisci… e lo vedi ogni
giorno!»8), il cui parere non è tenuto molto in considerazione dalla quasi diciannovenne
protagonista. Peraltro va detto che nonostante tutte le sue riserve e i timori per l’opinione della
gente sulla frequentazione della figlia, “mammà” non sarà mai di vero ostacolo allo sviluppo della
conoscenza fra i due, e i suoi rapporti con Hemingway e con la moglie Mary saranno di natura
cordiale, fino al momento in cui il pericolo dello scandalo sarà effettivamente percepito. Ma per
questo dovremo a spettare fino alla pubblicazione di Di là dal fiume e tra gli alberi.
Fin dai primi tempi della loro conoscenza, si può osservare come Hemingway faccia uso di
soprannomi per indicare se stesso e per definire Adriana. Si tratta di una vera e propria serie di
appellativi che si trovano distribuiti nell’arco dell’intera narrazione, e fra cui due troneggiano in
modo particolare: “Mr. Papa” e “Daughter”. Con il nome di Mr. Papa, Hemingway firma la prima
dedica che accompagna il dono di una favola ad Adriana: «For Adriana with love from Mr. Papa.
Venezia 26/1/50»9. Poche pagine dopo nel romanzo leggiamo per la prima volta che lo scrittore si
rivolge ad Adriana, in uno dei loro numerosi appuntamenti all’Harry’s chiamandola “Daughter”.
Fernanda Pivano nella sua Nota ai testi di Di là dal fiume e tra gli alberi afferma che all’interno di
quest’opera «il colonnello chiama sempre Daughter, figlia,» il personaggio di Renata, «come

6
  ADRIANA IVANCICH, La torre bianca, A. Mondadori Editore, Milano 1980, pp. 10-11.
7
  Ibi, p. 14.
8
  Ibi, p. 17.
9
  Ibi, p. 19.

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Hemingway faceva con tutte le sue amiche, tranne con Marlene Dietrich che chiamava Mother,
mamma.»10. Scopriamo così che non si trattava di un omaggio esclusivo, di un privilegio rivolto
dallo scrittore soltanto ad Adriana. Ciò non sminuisce tuttavia il significato che questo termine
assume nell’arco dell’intera vicenda, mettendo in luce l’importantissima componente di affetto
familiare, a tratti e per certi versi quasi filiale che compone la delicatissima storia d’amore e
d’amicizia avvenuta con Adriana Ivancich. Per completezza d’intenti, vale la pena di fornire una
rapida carrellata di tutti i soprannomi (talvolta vezzeggiativi, talvolta appellativi bonariamente
irriverenti e ironici) dedicati da Hemingway ad Adriana: la Ivancich sarà di volta in volta “mio
colonnello”, “my beauty”, “mio Doge”, “partner”, “Black Horse”, “cavallo nero”, “general Marti”,
“generale”. È curioso notare come alla moglie Mary nel romanzo della Ivancich Hamingway
riservi un appellativo fortemente antitetico rispetto a quelli indirizzati ad Adriana, ossia “Lamb”. I
soprannomi destinati ad Adriana ruotano per la maggior parte nella sfera semantica dell’ambito
militare, denotando così la tempra forte e decisa, quasi maschile, della giovane donna in questione.
Denotano inoltre il carattere indomito e veemente di Adriana, evidenziato soprattutto dal ricorrere
di “Black Horse” frequente quasi tanto spesso quanto “Daughter”. L’appellativo di “Doge” poi,
tratto dalla politica, sta in buona compagnia con quelli di “generale” e di “colonnello” ad indicare
l’autorevolezza, la forza intellettuale e lo spessore morale che Adriana probabilmente aveva agli
occhi di Hemingway. Ma è sull’appellativo di “partner” che dobbiamo necessariamente soffermarci
un momento perché si rivela molto prezioso ai fini della nostra indagine sulla natura del sentimento
che legò le due figure, parimenti sui generis e un po’ sopra le righe, di Adriana e di Hemingway.
L’appellativo compare nel seguente scambio di battute: «Ascolta, Adriana: tu mi aiuti a scrivere, te
l’ho già detto. Ora hai fatto questi disegni, con il mio nome. Vuoi diventare mia partner?» - «Che
significa “partner” esattamente?» - «Lavorare, fare, dividere le cose insieme. Per il meglio e per il
peggio. E con te cercherò di dividere sempre il meglio, lo prometto… partner»11. Troviamo qui un
preludio del concerto d’intenzioni letterarie che si manifesterà apertamente numerosi capitoli dopo,
quando su iniziativa di Hemingway, lui e Adriana daranno vita a una “società segreta” a carattere
letterario: la White Tower Incorporation. Avremo modo di parlarne più dettagliatamente in seguito,
quando ci occuperemo espressamente del rapporto intercorso fra due dimensioni fondamentali che
caratterizzano in maniera inequivocabile le figure di Adriana e di Hemingway: “letteratura” e
“vita”.
Con il trascorrere del tempo si approfondisce la conoscenza fra Adriana ed Hemingway e nel loro
rapporto sembra instaurarsi un gioco delicato e sottile di forze contrapposte. Nello scrittore
americano si avverte attraverso la narrazione della Ivancich un crescendo, un vero e proprio climax
ascendente, di interesse per la giovane, che raggiungerà il suo culmine in una serie di autentiche
dichiarazioni d’amore. Nelle parole e nel comportamento di Adriana si nota una tensione
incessante, una sorta di basso continuo, fra il desiderio di avvicinamento e quello di allontanamento
dallo scrittore. Più l’autrice ci disvela i suoi pensieri e più la faccenda s’ingarbuglia, perché il lettore
entra in contatto con una complessa psicologia. Adriana narrerà infatti di varie passioni amorose
(ricambiate e non) che si sono innescate in tempi successivi ma tutte parallelamente alla
frequentazione o agli scambi epistolari avuti con lo scrittore. A ciascuna di queste passioni
attribuirà connotazioni differenti. Lo spessore del sentimento che la lega ad Hemingway si avvertirà
solo nella seconda metà del romanzo, grazie anche alla reazione di Adriana in seguito alla falsa
notizia della morte di Hemingway in un incidente aereo in Africa. Ma per comprendere, o meglio
cercare di comprendere davvero, la natura dell’amore che legò Adriana ad Hemingway è necessario
ripercorrere tutte le più importanti tappe narrate nel romanzo: solo così infatti si riuscirà a cogliere il
significato sfaccettato e molteplice di quella che sarebbe troppo banale e riduttivo definire soltanto
una “storia sentimentale”.
L’intensificarsi dell’attenzione, dell’interesse e dell’affetto di Hemingway nei confronti di Adriana
è dimostrato spesso dall’iterazione di alcune domande e dall’utilizzo di determinati vocaboli che lo
10
     FERNANDA PIVANO, a cura di, Ernest Hemingway. Romanzi, A. Mondadori Editore, Milano 1993, vol. 2, p. 1138.
11
     ADRIANA IVANCICH, La torre bianca, A. Mondadori Editore, Milano 1980, p. 49.

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testimoniano in modo inequivocabile («Dove ci vediamo oggi?», «Fra dieci minuti. Fra dieci
maledettamente lunghi minuti»12), come in una serie di notazioni del tipo «con quel sorriso che
sempre appariva sul suo volto appena mi vedeva»13, piuttosto che in scambi di battute tipici dei
dialoghi fra innamorati agli appuntamenti («Mi piace aspettarti, Daughter. Sto imparando come
aspettare bene. C’est mon metier maintenant. Es mi oficio ahora.»14).
L’atteggiamento che Adriana manifesta agli inizi nei confronti delle attenzioni ricevute da parte del
famoso scrittore americano è indubbiamente di forte gratificazione a livello personale. Adriana si
rivela orgogliosa di aver annoverato tra le file dei suoi amici e dei suoi ammiratori un uomo del
calibro di Ernest Hemingway, e ciò che sembra più riempirla di gioia è la considerazione
intellettuale che lo scrittore dimostra nei suoi confronti. Tutto ciò conferma la forte inclinazione e
l’altrettanto autentica passione che la Ivancich aveva per il mondo della cultura e della letteratura.
Citiamo in proposito un breve estratto:

«…E poi non era più riuscito a scrivere, disse.
E non certo perché infastidito dall’infezione alla pelle del viso o perché per un periodo non era stato
fisicamente bene. La vena si era inaridita, intorno a lui era il vuoto. E poi ero arrivata io. Avevo
tanta vita, tanto entusiasmo in me che li avevo trasmessi anche a lui. Aveva ricominciato a scrivere
e tutto era diventato improvvisamente facile. Avrebbe finito il libro e poi ne avrebbe scritto un altro
– per me – ancora più bello. Ora poteva di nuovo scrivere e bene, e mi ringraziava.»15.

Accanto all’orgoglio intellettuale, da queste righe traspare inoltre uno stretto senso di vicinanza ad
Hemingway a livello umano, su un piano emotivo e psicologico.
L’altra faccia della medaglia, cioè la conseguenza psicologica che fa da contraltare all’importanza
che Adriana attribuisce alla stima mostratale da Hemingway, si riflette nel grande scrupolo con cui,
soprattutto nelle prime fasi della loro frequentazione, lei gli si rivolge. Ecco spiegato il motivo del
ritegno di Adriana nel far vedere allo scrittore le bozze delle copertine da lei disegnate per Di là dal
fiume e tra gli alberi, il timore di poter in qualche misura offendere l’Hemingway scrittore, la
preoccupazione, forse ancor più profonda, - possiamo solo provare a ipotizzarlo - di poter sbagliare
mossa nei confronti dell’ Hemingway uomo. A comprovare il fatto che Adriana sia fin dall’inizio
stata sensibile all’affetto provato per lei dallo scrittore americano stanno tanto alcune sue esplicite
parole quanto il racconto di un significativo e sorprendente, in qualche modo anche bizzarro,
episodio. Ne La torre bianca, Adriana scrive: «Cercava sempre di accontentarmi, Papa. Era sempre
così comprensivo e gentile. Come non affezionarsi a lui? Sì, gli ero affezionata e mi mancava.»16.
Nella pagina successiva mette il lettore a parte di un istintivo “mistake”. Sul fatto se si sia poi
trattato effettivamente di un “errore” agli occhi di Adriana e di Hemingway, è piacevole interrogarsi
in prima persona alla ricerca della risposta che ogni lettore preferisce trovare e immaginare. In
questa sede possiamo solo avanzare l’ipotesi che come spesso accade nella vita, quando talune
situazioni apparenti sfociano in realtà nel loro esatto contrario, allo stesso modo Adriana avrebbe
considerato un errore molto più grande, forse irreparabile, quello di non aver compiuto il gesto
descritto. Ecco allora che il vero “mistake” sarebbe consistito nel non fare qualcosa di cui poi
avrebbe solo potuto pentirsi per il resto della sua esistenza. Invece l’istinto di Adriana scelse di
“sbagliare”, ed Hemingway non potè che esserne molto contento. Riportiamo il passo che descrive
l’episodio, interessante anche perché esemplifica la complicità a livello verbale che scatta fra i due
personaggi, soliti nell’operazione di reinventare parole comuni attribuendovi un loro segreto e
privato significato:

12
   Ibi, p. 32.
13
   Ibi, p. 61.
14
   Ibi, p. 96.
15
   Ibi, p. 38.
16
   Ibi, p. 52.

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«Una volta, nello slancio di un abbraccio, le mie labbra si erano posate sulle sue. “Oh sorry! It was
a mistake” avevo esclamato imbarazzata. “Un piacevole sbaglio” aveva sorriso dondolando sulle
gambe. “Magari tu sbagliassi più spesso.” E da allora, per sottolineare un saluto particolarmente
caloroso, ogni tanto terminava le sue lettere con la parola “mistake»”.»17.

Mentre Adriana si trova quindi a fare un passo avanti e due passi indietro, in Hemingway si
percepisce un crescendo dei sentimenti, rilevabile nel suo desiderio di fare regali ad Adriana, gesto
tipicamente da corteggiatore, così come nelle svariate occasioni in cui si trova a dire che uno dei
privilegi delle sue conversazioni con lei consiste nel poter parlare schiettamente.
Arriviamo nel cuore della vicenda. A cavallo della metà del romanzo La torre bianca iniziano a
susseguirsi una serie di esplicite e incontrovertibili dichiarazioni d’amore da parte di Hemingway.
Si va da una velata e indiretta richiesta di matrimonio («Ogni uomo che passa […] si fermerebbe e
verrebbe a chiederti di sposarlo. Anch’io…»18), alla prima esplicita dichiarazione («I love you. E
poi anche “ti voglio bene” nella lingua di Dante. E ciò significa volere “il bene” della persona che si
ama. So quello di cui hai bisogno per essere felice. […] Vivrei per farti felice. Fino all’ultimo dei
miei giorni»19), a un’esplicita richiesta di matrimonio («Adriana. Ti chiederei di sposarmi se… se
non sapessi che mi diresti di no.»20). Ma il climax ascendente non è ancora finito: Hemingway
arriverà a dichiarare ad Adriana un amore assolutamente esclusivo: «Non posso né mai potrò amare
qualcuno come amo te»21. Inoltre grazie a questa vicenda d’amore veniamo a conoscenza di alcuni
fra i tratti più privati e intimi dell’indole dello scrittore americano, fra cui il sentimento della
solitudine da lui assiduamente avvertito come insopportabile, come ci dimostra ad esempio il testo
di una lettera da Cuba del 27/6/50 riportato su La torre bianca in cui la causa principale di questo
disagio interiore è rappresentata dall’assenza di Adriana. Raramente alla solitudine si accompagna
in Hemingway la gelosia, manifestatasi ad esempio quando in occasione del Capodanno Adriana
balla a Cuba con un giovane del luogo. In occasione della stessa festa accade però qualcosa di molto
più importante nell’ottica della vicenda sentimentale fra Adriana ed Hemingway: in primo luogo
Adriana afferma rivolta allo scrittore «Ti amo così tanto. Non posso né potrò mai amare nessuno
come amo te. Credilo ti prego e tienilo nel tuo cuore»22, e in secondo luogo segue, questa volta su
esplicita richiesta di Hemingway, un piccolo “mistake” e un altro ancora. Ma le cose sono ancora
una volta più complicate di quel che potrebbe a prima vista sembrare. Adriana continua in un gioco
sottile di avvicinamento – allontanamento: proprio poco prima dei due baci infatti, Adriana brinda
con lo scrittore alla sua salute e «a quella di Mary e della Finca e del Pilar…»23. Una strana frase,
pronunciata in una circostanza del genere. Una frase che sembra voler sottolinear come neanche per
un momento Adriana si fosse dimenticata o si potesse dimenticare che Hemingway era un uomo
sposato, una frase che sembra voler essere da monito per entrambi, forse soprattutto per lui. Occorre
fermarsi un momento per chiarire la natura dei rapporti intercorsi fra la Ivancich e Mary
Hemingway. Benché quest’ultima sia citata quasi sempre di sfuggita nel romanzo, tuttavia Adriana
manifesta per lei sempre un notevole riguardo e si deduce che il loro rapporto fosse all’insegna della
cordialità. Ma c’è anche qualcosa di più, perché dal tono utilizzzato dall’autrice de La torre bianca
pare che essa nutrisse dell’autentica simpatia verso la signora Hemingway. Bisogna riconoscere ad
Adriana che è stata lei in svariate occasioni a prendere le difese di Mary quando fra lei e il marito
nascevano dei diverbi, così come a rimproverare Hemingway per come si era comportato con Mary
nell’unico caso in cui ne La torre bianca si rende noto che i coniugi Hemingway avevano avuto un
litigio a causa dell’infedeltà dello scrittore.

17
   Ibi, p. 53.
18
   Ibi, p. 101.
19
   Ibidem.
20
   Ibidem.
21
   Ibi, p. 107.
22
   Ibi, p. 171.
23
   Ibidem.

                                                                                                     6
Senza soffermarci sulle altre vicende amorose che coinvolgono la vita di Adriana, dal cubano Juan
al veneziano Toni al caprese Enrico al principe Niki, proseguiamo nell’ inseguire il fil rouge della
vicenda con Hemingway. Adriana si trova, benché a sua insaputa e inizialmente contro voglia, a
condividere una delle esperienze più intense della vita dello scrittore americano: guardare il mare. Il
tutto accade all’improvviso e senza troppe spiegazioni: Adriana, sempre durante la sua permanenza
a Cuba, stava aspettando Juan a uno dei consueti appuntamenti, quando sopraggiunge Hemingway
che le dice «Daughter, dobbiamo andare» e in risposta alle resistenze di Adriana tutto quello che ha
da dire è soltanto «Sì, adesso. Subito. Please.»24. Dopo un breve tragitto in automobile, Adriana si
ritrova a guardare l’Oceano: «E nel silenzio improvvisamente so. So che il Vecchio Ernesto sta
guardando il Mare. Il vecchio e il mare… C’è qualcosa che sto vivendo con lui…»25. È una
condivisione intellettuale, ma ancor più esistenziale, di un’esperienza unica. Adriana si sente
investita di un altissimo onore nel momento in cui Hemingway ha scelto di rendere partecipe lei di
una cosa del genere, riconoscendole dunque una capacità di comprensione e delle affinità elettive
con lui fuor del comune. Hemingway dal canto suo ha trovato in Adriana la persona in grado di
capire e di apprezzare, di percepire, di auscultare, ciò che tanti altri non comprendevano. È riuscito
a spezzare lo scudo della sua solitudine. Quest’esperienza si rivela così nell’economia della
narrazione un turning point rispetto a cui non è più possibile tornare indietro.
C’è un dettaglio che merita un qualche riguardo: il «please» pronunciato da Hemingway ne La torre
bianca richiama immediatamente alla memoria gli innumerevoli «per piacere» e «per favore» che il
colonnello Richard Cantwell e Renata, protagonisti di Di là dal fiume e tra gli alberi, si scambiano
nell’omonimo romanzo. In numerose pagine infatti quei vocaboli ricorrono con ritmo quasi
ossessivo, e vengono pronunciati da entrambi i protagonisti. In un passaggio del testo in particolare
uno di quei numerosi «per favore» sembra connotarsi di un significato più intenso, almeno tanto
quanto il «please» pronunciato da Hemingway ne La torre bianca e carico di una forza grande quale
solo un sentimento sconfinante ed estremo come quelli tipicamente provati dallo scrittore poteva
trasmettere: «Baciami ancora, per piacere» dice il colonnello; «Il per piacere è inutile»26 risponde
Renata. Si tratta di uno snodo significativo dal punto di vista amoroso della vicenda narrata.
Ancora sul sentimento d’amore intercorso fra Hemingway e Adriana vale la pena di sottolineare un
aspetto: la gratuità. Adriana dice apertamente di non aver cercato in alcun modo l’«amore di Papa»,
che «l’aveva amata dal momento che l’aveva incontrata, al di là del fiume quel giorno sotto la
pioggia»27. E continua rimettendo in campo la duplice ottica che sottosta a tutta la nostra indagine,
in bilico fra il lato umano e quello letterario dello scrittore americano: «Ma in Papa non c’era solo
un uomo stanco, c’era anche un Ernest Hemingway scrittore che aveva bisogno di me. Sarebbe stato
giusto voltargli le spalle?»28. Hemingway da parte sua in più d’un occasione, sia nelle conversazioni
sia nelle lettere, rinnova ad Adriana l’impegno a farsi rispettoso del suo volere, e più e più volte
ribadisce che il suo amore non pretende nulla in cambio: rientra nella gamma di quel bene velle di
catulliana memoria, in un affetto smisurato e gratuito, nel desiderio senza secondi fini della felicità
della persona amata.
L’ambiguità fra amare e bene velle è il labile confine che continuamente Adriana oltrepassa e da cui
altrettanto repentinamente retrocede, tornando sui suoi passi a definire Hemingway “dolce amico” e
il loro legame fatto di “tenerezza”. L’”amicizia” di cui parla Adriana ha un significato valoriale
molto alto, indica una vera e propria condivisione d’intenti e di modi di sentire e di guardare
all’esistenza. E dopo tutto il vocabolo conserva in sé l’identica radice del termine “amore”. Alla
notizia (falsa) della morte del suo amico e di Mary in un presunto incidente aereo in Africa, Adriana
non può far a meno di disperarsi. E forse proprio sull’onda di quel fortissimo dolore, sceglie di
aprire il suo cuore al pubblico, di confidarsi con un immaginario lettore: «Sarei rimasta sua partner

24
   Ibi, p. 176.
25
   Ibi, p. 178.
26
   FERNANDA PIVANO, a cura di, Ernest Hemingway. Romanzi, A. Mondadori Editore, Milano 1993, vol. 2, p.1026.
27
   ADRIANA IVANCICH, La torre bianca, A. Mondadori Editore, Milano 1980, p. 227.
28
   Ibi, p. 228.

                                                                                                               7
per sempre, qualunque cosa fosse successo. Nel mio cuore sarei sempre rimasta sua partner e
nessuno avrebbe potuto guardare, né controllare il mio cuore»29.

“Vita” e “letteratura”

Le memorie de La Torre bianca sono intrise di richiami più o meno espliciti alla letteratura. Alcune
pagine sono dedicate allo strumento per eccellenza dello scrittore: la macchina da scrivere. Adriana
ed Hemingway si scambiano confidenze in merito alle loro simpatie e antipatie nei confronti di tale
congegno, che assume un valore simbolico notevole, da vero e proprio “passaggio di consegne”, nel
momento in cui lo scrittore ormai âgé cede la sua macchina da scrivere alla giovane poetessa
(nonché grafica) Ivancich: «Mi hai appena regalato la Royal» osservai. «La Royal non è un regalo.
Solo un passaggio di proprietà»30. E anche il soprannome con cui in svariatissime occasioni
Hemingway si rivolge ad Adriana, Black Horse, coincide con il titolo di un racconto il cui
manoscritto Hemingway porta da leggere ad Adriana: come dice lei stessa, «Era la storia
dell’americano Hemingstein che aveva per amico un cavallo veneziano, un campione, il cavallo più
veloce del mondo. In realtà il Cavallo Nero ero io, ma nessuno lo sapeva»31.
Un’altra forma di letteratura talvolta citata concretamente all’interno dei vari capitoli che
compongono il romanzo è la corrispondenza epistolare intercorsa fra Ernest e Adriana. Ebbe
un’intensità notevolissima, un ritmo spesso quotidiano, e talvolta a quanto afferma la Ivancich
Hemingway arrivava a scriverle perfino due volte al giorno, nel periodo in cui lui risiedeva a Cuba e
lei stava a Venezia. Quando, raggiunta dalla falsa notizia della morte dello scrittore, Adriana medita
di bruciare tutte le sue lettere, veniamo a sapere che erano racchiusi nei suoi cassetti ben sette anni
di scambi epistolari!. Nella Nota ai testi di Fernanda Pivano si legge che «per fortuna quelle
deliziose, dolcissime centinaia di lettere d’amore preferì venderle, in parte a un mercante americano
e in parte, il 29 novembre 1967, all’asta di Christie a Londra, ricavandone cifre così alte che ne
parlarono i giornali (in Italia il “Corriere della Sera” e “La Stampa”).»32.
Inoltrandosi pagina dopo pagina nella lettura de La torre bianca, si scopre anche che Adriana ed
Hemingway giocarono reciprocamente in talune circostanze il ruolo di critico letterario l’uno nei
confronti dell’altra e viceversa. Il famoso scrittore, una volta letta la raccolta di poesie della
Ivancich, la incoraggia infatti a proseguire sulla strada della scrittura; Adriana su invito di
Hemingway è spesso esortata ad esprimere le sue opinioni in merito a determinate opere, e a detta
dello scrittore è «il critico più severo che abbia incontrato […] Non per i libri, per il mio carattere.»,
e aggiunge: «Non perdi mai un’occasione per sparare. E fai quasi sempre centro, General Marti»33.
Queste parole testimoniano quanto inestricabile sia l’intreccio fra vita vissuta e letteratura (sia nel
senso della pratica letteraria che delle disquisizioni) presente nel volume di Adriana Ivancich e
probabilmente anche nella sua biografia.
Con tutte le dovute differenze, in quanto l’uno scrittore affermato e professionista, mentre l’altra
scrittrice ancora esordiente che fa soprattutto della poesia un diletto personale, Adriana ed
Hemingway hanno in comune il sentimento di riconoscersi nel mestiere di scrittori. Riflettono così
sovente insieme su questioni affini, quali l’ispirazione letteraria e la problematica dei tempi dello
scrivere. Entrambi avvertono la scrittura in prima istanza come una necessità interiore, un compito
da adempiere per poter tornare a star bene con se stessi, una conditio sine qua non la pace
dell’anima risulta irrimediabilmente perduta. Con le parole di Adriana, questo delicato meccanismo

29
   Ibi, p. 313.
30
   Ibi, p. 55.
31
   Ibi, p. 61.
32
   FERNANDA PIVANO, a cura di, Ernest Hemingway. Romanzi, A. Mondadori Editore, Milano 1993, vol. 2, p. 1146.
33
   ADRIANA IVANCICH, La torre bianca, A. Mondadori Editore, Milano 1980, p. 180.

                                                                                                                8
psicologico viene semplificato nel paragonare lo scrivere a «un modo per sentirmi più leggera e
contenta». Adriana trova conforto in Hemingway quando le assicura che anche lui inevitabilmente
soffre durante la realizzazione di un’opera, perché fa parte del mestiere: è un’ansia appartenente
all’ispirazione che scompare solo una volta che l’opera è stata portata a termine. Quanto poi ai
momenti d’oro in materia d’ispirazione, ogni scrittore ha i suoi, ed Hemingway rivela ad Adriana di
essere «un uccello mattiniero». Lo scrittore non perde occasione per offrirle di frequente preziosi
consigli, spiegando che «nel nostro mestiere non bisogna avere fretta»34, e per svelarle qualche
trucco della professione (come il rapido conteggio delle parole scritte, eseguito rovesciando il foglio
a testa in giù per non farsi distrarre dal loro significato).
La vicinanza intellettuale fra Hemingway e la Ivancich si consolida a tal punto che lo scrittore le
propone di fondare insieme una società , The White Tower Incorporation. Si tratta di un’iniziativa
destinata a rimanere segreta, perché Hemingway stesso provvede a sotterrare il foglio su cui ne
aveva scritto il progetto nel giardino della sua villa cubana, la Finca Vijia. In questa società volle
coinvolgere sia Mary sia vari amici di famiglia, riservando però esclusivamente a se stesso e ad
Adriana il ruolo da “soci fondatori”. Nella dimensione giocosa che ha caratterizzato l’atmosfera di
quest’iniziativa si ravvisa l’indole giovanile e piena di entusiasmo che in svariati momenti
Hemingway sfodera ne La torre bianca, e che fa da equo contraltare ai lati più bui e malinconici
della sua personalità, inevitabilmente accentuatisi col passare degli anni.
Nel dialogo finale con cui si chiude La torre bianca, troviamo ancora un importante indizio a
proposito dello stretto intreccio fra vita e letteratura che segna Adriana ed Ernest. Hemingway
infatti dice ad Adriana: «Tu non sei la ragazza del libro e non sei responsabile per le sue colpe e i
suoi sbagli»35. Il libro in questione è naturalmente Di là dal fiume e tra gli alberi, che ha per
protagonista Renata. Il «non» pronunciato dallo scrittore non vuole essere in alcun modo una
sottrazione dell’influsso che Adriana ha avuto su di lui, contagiandone necessariamente almeno in
parte la produzione letteraria, ma vuole probabilmente tenere ben distinti fra loro l’ambito della
verità effettuale della vita vissuta, quello dell’invenzione letteraria e quello più piccolo, più
meschino, che si esaurisce nel pettegolezzo. Quel «non» sembra dunque voler rimarcare una netta
differenza di qualità fra il piano etico e sentimentale su cui si è sviluppata la vicenda d’amore tra
Hemingway e Adriana e quello invece che ha fatto da sfondo alla storia d’invenzione letteraria del
colonnello Richard Cantwell e di Renata. Il primo dei due piani è riconosciuto dalle parole di
Hemingway come il più alto e nobile, il più grande perché composto di tante sfaccettature,
dall’affetto familiare all’amicizia alla passione, che non può esser assimilato, scambiato, confuso,
con una semplice vicenda di amanti.

Di là dal fiume e tra gli alberi (Across the River and into the Trees, 1950)

In svariati capitoli de La torre bianca e all’interno delle più differenti circostanze fa spesso la sua
comparsa il titolo del romanzo di Ernest Hemingway Across the River and into the Trees. Talvolta
appare mimetizzato all’interno del testo, fra le parole pronunciate da qualche personaggio («Carlo
mi ha detto che abiti oltre il fiume»36), in un caso arriva a costituire il vero e proprio titolo di un
capitolo (il capitolo settimo), più frequentemente viene citato in formule di passaggio, altrove si
parla della sua copertina per la quale fu Adriana Ivancich a realizzare vari progetti grafici. Un passo
interessante è quello in cui Hemingway chiede ad Adriana il suo personale e più sincero giudizio: il
parere della Ivancich è piuttosto severo. Adriana infatti trova che il personaggio di Renata sia poco
credibile, e lo reputa anche un po’ noioso esattamente come «un po’ noiosi» trova i dialoghi. Le sue

34
   Ibi, p. 173.
35
   Ibi, p. 323.
36
   Ibi, p. 10.

                                                                                                     9
ultime parole al riguardo sono infatti: «Probabilmente è un buon libro, soltanto che io preferisco gli
altri»37.
Across the River and into the Trees è stato il quinto romanzo di E. Hemingway e fu pubblicato
dall’editore Scribner’s a New York il 7 settembre 1950. È quello che la critica considera forse il più
debole fra i romanzi dello scrittore americano, dal momento che si tratta di un’opera in cui
sembrano presentarsi tutti i motivi topici della scrittura e dello stile di Hemingway, ormai però
svuotati dell’originario pathos nonché spessore letterario. A proposito degli stessi protagonisti, non
si può far a meno di notare che il personaggio del colonnello Richard Cantwell, che a detta di
Hemingway «era il ritratto composito di tre uomini, l’ex soldato di ventura Charlie Sweeny, il
generale Lanham e se stesso»38, finisce per ricalcare i tratti dei personaggi che l’hanno preceduto e
non è stato creato con un’antropologia autentica: la sua figura comporta quindi un appiattimento
rispetto a quelle descritte negli altri romanzi. Allo stesso modo anche Renata, la “coprotagonista”, si
rivela ricalcata su precedenti figure femminili, quali quelle di Catherine di Addio alle armi e di
Maria di Per chi suona la campana, senza riuscire però ad eguagliarle in umanità e finendo per
risultare un personaggio un po’ troppo fisso, per il quale è mancato un profondo scavo a livello di
introspezione psicologica. Anche la trama risulta piuttosto esile, sintetizzabile in una breve storia
d’amore fra un colonnello in pensione dell’esercito americano e una giovane donna e nell’attesa
della morte da parte del primo, il tutto sullo sfondo di un’insolita Venezia invernale.
 Across the River and into the Trees è stato senza dubbio, come afferma Fernanda Pivano, un
«romanzo controverso, malvisto dai critici e amato dagli scrittori, frugato per i suoi pettegolezzi
militari dai politici e per sue scene d’amore dai giovani, perdonato dagli antimilitaristi che vi
trovarono l’umiliazione di un colonnello che aveva fatto tanto per aiutare i suoi uomini e che aveva
disastrosamente perduto il suo reggimento per essere stato costretto a ubbidire a ordini sbagliati»39.
Sempre attraverso la Nota ai testi della Pivano, veniamo ad esempio a sapere che la critica
rimproverò a questo romanzo, il cui titolo coincide con le parole pronunciate in punto di morte da
un militare americano, il generale Stonewall Jackson, il «dialogo piatto», l’«intreccio statico», la
«scrittura meccanica»; soltanto il critico Isaac Rosenfeld «vide in Hemingway una nuova umanità e
il coraggio di confessare il disastro reale della sua vita dietro al mito che lui stesso aveva aiutato a
costruire»40. Ma si tratta appunto di una voce fuori dal coro.
Evidenti appaiono i punti di contatto fra La torre bianca e Across the River and into the Trees. Non
si tratta tanto di richiami puntuali a determinate vicende piuttosto che a dati di fatto oggettivi. Si
tratta piuttosto di punti di tangenza spesso più sotterranei, che rientrano in quella che si potrebbe
definire la gamma della soggettività e della percezione. Certo, l’ambientazione a Venezia è una
precisa coordinata di riferimento spaziale a carattere oggettivo, ma risultano ben più significativi i
richiami alle atmosfere vissute dai personaggi. Con questo termine intendiamo far riferimento ad
esempio allo stile di certe conversazioni, alle descrizioni di certe scene e di certi squarci di vita
vissuta, e infine anche ad alcuni tratti dei protagonisti che più o meno da lontano richiamano le
figure di Adriana e di Hemingway per come la Ivancich li ha raccontati ne La torre bianca. Ma
Adriana in tutto questo ha giocato probabilmente un ruolo ancora più importante, se dobbiamo
credere alle sue parole contenute nel romanzo delle sue memorie, all’interno del capitolo
L’annuncio fatto a Venezia. Riportiamo un estratto dal dialogo diretto che intercorre fra lei e
l’amico Guido:

«Avrebbe intenzione… penserebbe di… insomma, mi ha chiesto di dare il mio aspetto fisico alla
ragazza del libro che sta scrivendo.» - […] - «Allora sarai la protagonista del libro di Hemingway, è

37
   Ibi, p. 144.
38
   FERNANDA PIVANO, a cura di, Ernest Hemingway. Romanzi, A. Mondadori Editore, Milano 1993, vol. 2, p. 1144.
39
   Ibi, p. 1148.
40
   Ibi, p. 1147.

                                                                                                                10
così?». - «Non proprio così. La ragazza avrà il mio aspetto fisico, ecco tutto. Poiché è prematuro,
per piacere non parlarne per ora…»41.
Da questo scambio di battute, ma anche da tanti altri spunti disseminati in forma più o meno
esplicita ne La torre bianca, abbiamo ragione di credere che per un determinato periodo della vita
di Hemingway, Adriana rappresentò per lui il ruolo di un’autentica “musa ispiratrice”. Va detto che
nel frattempo le frequentazioni di Hemingway continuavano comunque ad avere una certa
ampiezza, e in quello che diventa il personaggio di Renata confluisce ad esempio anche l’influsso di
un’altra figura femminile, quella della baronessina Adriana Franchetti, così come il nome stesso di
Renata fu tratto dallo scrittore dall’amica pianista Renata Borgatti, che ebbe modo di frequentare a
Cortina d’Ampezzo nel 1948.

La soglia dell’autobiografia: Adriana-Renata e la questione della dedica

«Ho qualcosa per te» disse. «Oh grazie, Papa! Che cos’è?». «Il libro. Se non ti piace puoi gettarlo
via. Però forse è meglio che tu sappia che questa è un’edizione speciale. […] ». […] «Più tardi,
ritornata in camera, presi il libro in mano. […]Sfogliai le prime pagine. C’è qualcosa scritto a
penna: “Ad Adriana che ha ispirato tutto ciò che è buono in questo libro e nulla che non lo è”. Una
bella dedica, pensai. Una gran bella dedica.»42.
Come facilmente si deduce, i protagonisti di questo scambio di battute sono E. Hemingway e A.
Ivancich. Il libro in questione è Across the River and into the Trees. Le parole che abbiamo
riportato si rivelano particolarmente preziose, perché in esse è contenuta la testimonianza e
l’esplicitazione della dedica a carattere privato che lo scrittore rivolge ad Adriana, e anche perché
sembrano risolvere e mettere definitivamente a tacere tutto il gossip che si era scatenato attorno
all’identificazione del personaggio di Renata con Adriana Ivancich. Nella sua semplicità e
immediatezza questa dedica pone Adriana al di sopra di ogni sospetto, mettendone al sicuro la
reputazione. L’aspetto forse che più colpisce il lettore è lo scrupolo che Hemingway ha avvertito di
manifestare questo chiarimento in maniera aperta proprio ad Adriana, e ciò dimostra che il suo
rapporto privato con lei gli stava più a cuore dell’opinione pubblica e di quanto potessero scrivere
sul suo conto i giornali.
La dedica ad Adriana resta però un fatto privato, una sorta di segreto fra scrivente e destinatario,
prima che sia la stessa Ivancich a metterne a parte il pubblico attraverso La torre bianca. A
conferma di questo sta lo scambio di battute presente nell’omonimo romanzo che qui di seguito
trascriviamo: «Ho pensato che era preferibile dedicarlo a Mary, tu capisci…» - «Certo che capisco:
è tua moglie. Hai fatto bene.»43. Mai come in queste righe si deduce quanto sia netta la
divaricazione fra “pubblico” e “privato”.
Ecco dunque svelato il retroscena che sta dietro alla dedica “A Mary con affetto”44 stampata nella
pubblicazione di Di là dal fiume e tra gli alberi, così come della premessa in corsivo che precede
l’avvio della narrazione:
«Data la recente tendenza a identificare i personaggi della narrativa con persone reali, ritengo
opportuno dichiarare che in questo volume non vi sono persone reali: tanto i personaggi quanto i
loro nomi sono fittizi. I nomi o le designazioni dei reparti militari sono fittizi. In questo libro non
sono rappresentate persone viventi né reparti militari esistenti.»45.
All’atteggiamento di cautela mostrato da Hemingway presta la sua attenzione anche Fernanda
Pivano, che non manca di sottolineare le riserve che lo scrittore ebbe sulla pubblicazione del

41
   ADRIANA IVANCICH, La torre bianca, A. Mondadori Editore, Milano 1980, p. 92.
42
   Ibi, pp. 136-7.
43
   Ibi, p. 144.
44
   FERNANDA PIVANO, a cura di, Ernest Hemingway. Romanzi, A. Mondadori Editore, Milano 1993, vol. 2, p. 838.
45
   Ibi, p. 840.

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romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi , fornendo la sua interpretazione di come si svolsero i fatti.
Leggiamo così nella Nota ai testi che Hemingway «proibì alla casa editrice Mondadori per almeno
due anni la pubblicazione di Across the River and into the Trees per impedire un possibile scandalo
che coinvolgesse persone viventi»46. La Pivano si sofferma poi sulla possibile distinzione fra
motivo ufficiale e motivo ufficioso che portarono lo scrittore americano a mettere in atto questa
serie di riserve, e prosegue dicendo che: « [Hemingway] affermò di alludere alla storia del barcaiolo
e dello stupro subito da sua moglie, ma probabilmente era preoccupato di coinvolgere Adriana»47. E
ancora il punto di vista della Pivano è facilmente deducibile dai termini in cui parla del personaggio
di Renata-Adriana: «Il protagonista [Richard Cantwell ] poteva descrivere la casa di campagna […]
descriveva il campanile […] descriveva uno scrittore americano […], presentava persone reali come
il capo cameriere del Gritti, Cipriani dello Harry’s Bar, Nanyuki Franchetti, e naturalmente Adriana
Ivancich super stella del libro, eroina di scene erotiche probabilmente inventate»48. In misura
ancora più esplicita Fernanda Pivano parla della natura del rapporto intercorso fra Hemingway e la
Ivancich quando, raccontando della scelta dello scrittore di dedicare Across the River and into the
Trees alla moglie Mary, afferma che in quel periodo Hemingway «come ai tempi di Hadley e
Pauline si trovava nella situazione schizofrenica di amare contemporaneamente due donne»49.
Per ragioni di completezza ci sembra opportuno in questa sede riferire, sulla scorta della
ricostruzione dettagliata e affidabile di Fernanda Pivano, la vicenda di cronaca che interessò
Adriana Ivancich in merito alla sua presunta identificazione con il personaggio di Renata. Fin d’ora
precisiamo però che a nostro modo di vedere non è così rilevante stabilire quanto di Adriana ci sia
stato e sia confluito in Renata, dal momento che la trasfigurazione letteraria non è fatta di calcoli e
di misure. Ci allineiamo quindi con il punto di vista di Adriana, espresso dalle sue parole presenti in
una delle pagine de La torre bianca: «tutto questo era assurdo, un romanzo è un romanzo e se ogni
volta lo si voleva assolutamente paragonare con la realtà, dove diavolo sarebbe finita la libertà
d’uno scrittore?»50.
Tuttavia dato il clamore che la questione ebbe a livello giornalistico e presso l’opinione pubblica,
riassumiamo brevemente la vicenda dello “scandalo”. Quest’ultimo divampò immediatamente dopo
la pubblicazione del romanzo Across the River and into the Trees, avvenuta nel 1950. Vi fu perfino
chi rivendicò di essere stata lei la vera “musa ispiratrice” di Hemingway, come nel caso di Afdera
Franchetti, le cui “rivendicazioni letterarie” diedero vita a un articolo scandalistico di Louella
Parsons. Il clamore dello scandalo fu dovuto al fatto che «L’immagine pubblica di Hemingway era
così popolare che critici e giornalisti abolirono la distinzione tra protagonista e autore», ed ebbe tra
le varie conseguenze anche la rinuncia forzata (voluta soprattutto dalla madre della Ivancich) di
Adriana a «fare il giro dell’America»51 insieme allo scrittore. Vi sono due tappe fondamentali che
non si può far a meno di citare riguardo la vicenda. La prima coincide con l’anno 1965, quando, per
la precisione il 25 luglio, Adriana rivendica pubblicamente il suo ruolo di ispiratrice in un articolo
pubblicato su Epoca e intitolato, in stile coerente col sensazionalismo generato dallo scandalo, “La
Renata di Hemingway sono io”52. La seconda tappa coincide con il 1980, anno di pubblicazione de
La torre bianca, perché proprio fra le pagine di questo romanzo la Ivancich lascia intendere «che
era stata lei stessa ad avviare il pettegolezzo nella primavera 1949 per impressionare e attirare
l’attenzione di Guido Brandolin, un giovane amico del fratello Gianfranco»53.
Non avendo sufficiente e ulteriore documentazione per esprimere ulteriori pareri fondati in merito,
ci sembra il caso di concludere questo argomento lasciando ai posteri l’ardua sentenza.

46
   FERNANDA PIVANO, a cura di, Ernest Hemingway. Romanzi, A. Mondadori Editore, Milano 1993, vol. 2, p. 1145.
47
   Ibidem.
48
   Ibidem.
49
   Ibi, p. 1146.
50
   ADRIANA IVANCICH, La torre bianca, A. Mondadori Editore, Milano 1980, p. 202.
51
   Ibidem.
52
   Ibidem.
53
   Ibidem.

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Le poesie

«Sono buone le tue poesie. Non posso dirti esattamente perché – non sono un critico – ma so che
sono buone. Continua a scrivere, Daughter.»54.

Questo è il giudizio che Ernest Hemingway dà in merito alla raccolta di poesie che Adriana aveva
sottoposto alla sua lettura. Adriana aveva cominciato a scrivere poesie durante la sua adolescenza, e
alternava questa passione con quella per il disegno, o meglio per la grafica, in qualità di ideatrice di
copertine. Ebbe infatti notevoli successi per le case editrici Rolwohlt di Amburgo e Scribner’s di
New York.
Stando a quanto è raccontato ne La torre bianca, fu il fratello Gianfranco a rendere consapevole
Adriana che i primi pensieri che aveva cominciato a scrivere costituivano “poesia”. Lei infatti
stentava a riconoscerli in tal senso dal momento che non faceva alcun uso di rime. Ma ci mise poco
a convincersi delle parole di Gianfranco: «Questa è poesia moderna»55.
Colei che invece nutrì a lungo riserve e dubbi circa l’autenticità del talento artistico di Adriana fu
sua madre, varie volte citata nel romanzo come “mammà”. Quest’ultima era un’appassionata
lettrice: «Miss Dora, già grande lettrice, dalla morte di mio padre passava la maggior parte delle
notti insonne a leggere e aveva totalizzato un numero impressionante di volumi»56. Per scoprire se i
versi scritti dalla figlia avessero davvero dignità letteraria di poesia, “mammà” contattò un critico
letterario, P.A. Quarantotti Gambini, e una volta che questi ebbe espresso un parere positivo, su suo
diretto consiglio Adriana si recò a Milano dall’editore Mondadori sperando nella possibilità di una
pubblicazione. Ne La torre bianca l’autrice non manca di raccontare in toni avventurosi il modo in
cui riuscì a farsi ricevere dall’editore, giocando più che altro d’astuzia e di coraggio. La raccolta di
poesie fu effettivamente pubblicata da Mondadori nella collana Lo Specchio nel 1953, con il titolo
Ho guardato il cielo e la terra (Hemingway si era proposto di inventare lui un titolo appropriato
alla raccolta ma era stato poi costretto a desistere dall’intento a causa del sopraggiungere di altri
onerosi impegni).
La raccolta si compone di tre parti, ciascuna delle quali risulta suddivisa in ulteriori sezioni secondo
il seguente criterio:

Parte Prima:
- Dea bambina
- Il fiore rosso

Parte Seconda:
- Vento di Cuba
- Sul mio cammino

Parte Terza:
- Inutili ore
- Muta è la mia chitarra
- Fantasma
- Paura d’essere.

54
   ADRIANA IVANCICH, La torre bianca, A. Mondadori Editore, Milano 1980, p. 71.
55
   Ibi, p. 75.
56
   ADRIANA IVANCICH, La torre bianca, A. Mondadori Editore, Milano 1980, p. 18.

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