Nazioni Unite e "genere": il sistema di protezione internazionale dei diritti umani delle donne

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CENTRO DI STUDI E DI FORMAZIONE
                      SUI DIRITTI DELLA PERSONA E DEI POPOLI

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STUDI DI PADOVA                                                DEMOCRAZIA E PACE

                                Research Papers

                                     1/2001

                                 Paola Degani

                         Nazioni Unite e “genere”:
                   il sistema di protezione internazionale
                       dei diritti umani delle donne
Copyright: Centro di studi e di formazione sui diritti della persona e dei popoli,
                                   Università degli Studi di Padova
              Nessuna parte di questo testo può essere riprodotta senza autorizzazione.

         Pubblicazione online sul Sito dell'Archivio Pace Diritti Umani: www.cepadu.unipd.it

Questo studio è realizzato nell'ambito del progetto di ricerca denominato: La giustizia penale
internazionale nel paradigma dei diritti umani. Il processo di evoluzione del diritto penale internazionale e di
istituzione di una giurisdizione penale internazionale e le sue ricadute sugli assetti giuridici e politici della comunità
internazionale, con particolare riferimento al ruolo dei soggetti nongovernativi, diretto dal Prof. Antonio
Papisca.
Paola Degani è titolare di assegno di ricerca presso il Centro di studi e formazione sui diritti della
persona e dei popoli, Università di Padova. Tra le sue pubblicazioni: La parità della donna: cittadinanza
politica e regolazione del lavoro tra ’800 e ’900, Padova, UPSEL, 1990; I diritti umani nella filosofia politica di
Norberto Bobbio, La Spezia, Agorà ed., 1999; Diritti umani e violenza contro le donne: recenti sviluppi in
materia di tutela internazionale, Università di Padova – Centro di studi e formazione sui diritti della
persona e dei popoli, Padova, 2000.

Contatto: p.degani@cdu.cepadu.unipd.it
Sommario

Introduzione .........................................................................................................................................5
Meccanismi internazionali di “monitoraggio” dei diritti umani...............................................................7
L’attività di monitoraggio della Commissione diritti umani e della
Sottocommissione per la promozione e la protezione dei diritti umani......................................................9
La condizione femminile nei rapporti dei relatori speciali......................................................................15
L’attività di monitoraggio sui diritti umani della Commissione sulla condizione della donna.................23
Procedure di monitoraggio dei diritti umani previsti da convenzioni internazionali.................................29
La tutela della condizione femminile nel diritto internazionale dei diritti umani ...................................34
Recenti sviluppi in tema di adozione di una prospettiva di genere
negli organismi delle NU sui diritti umani ..........................................................................................41
La Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne ..............................49
Le funzioni e le attività del Comitato per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti
della donna (Cedaw) e il problema del controllo sull’applicazione della Convenzione. ............................53
Il Protocollo opzionale alla Convenzione per l’eliminazione di ogni forma
di discriminazione nei confronti della donna.........................................................................................59
La Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne
e gli sviluppi più recenti in materia di tutela internazionale ..................................................................62
Conclusioni.........................................................................................................................................70
P. Degani, Nazioni Unite e “genere” - Research Paper n. 1/2001

Introduzione

Il discorso sui diritti delle donne ha ricevuto un impulso decisamente significativo negli
anni ’90 grazie all’impegno profuso a livello internazionale dalle Nazioni Unite e in
particolare dagli organismi sui diritti dell’uomo. I riflessi di questo impegno sono oggi
visibili, sia sotto il profilo della diffusione di una maggior sensibilità e attenzione verso le
problematiche inerenti la condizione femminile nella sua generalità, sia dal punto di vista
del grado di codificazione raggiunto a livello internazionale, soprattutto se si affianca alla
normativa vera e propria quella quota consistente di atti di natura internazionale
genericamente riferibili alla soft law.

Il dibattito più recente sulla necessità di estendere l’approccio di genere a tutti gli organismi
che sono dotati di procedure o meccanismi per la esigibilità o il monitoraggio dei diritti
umani rappresenta un’ulteriore testimonianza della ricerca sul piano internazionale di un
sempre più puntuale inquadramento della problematica femminile ed in modo particolare
della volontà di definire nuovi strumenti di contrasto alle molteplici violazioni dei diritti
fondamentali di cui vittime le donne.

Obiettivo di questo scritto è quello di tentare la ricostruzione dei diversi “percorsi” in tema
di giustiziabilità dei diritti umani delle donne offerti oggi dal sistema Nazioni Unite. Nelle
pagine che seguono si considereranno le procedure internazionali che appaiono orientate a
diverso livello alla esigibilità dei diritti umani al femminile, tenendo presente che tale
qualificazione sul piano internazionale non si esaurisce nella dimensione normativa in
quanto uno spazio consistente di questa materia è in realtà occupato da meccanismi e
procedure che interessano più che altro il livello politico, e che non possono quindi
rientrare nel quadro della dimensione strettamente giuridica dei diritti umani.

Si può quindi affermare che unitamente alla funzione di offrire degli spazi normativi idonei
a garantire sul piano sostanziale i diritti fondamentali, è molto sviluppata nell’ordinamento
internazionale la funzione promozionale dei diritti stessi. D’altro canto tale funzione -
come si vedrà più avanti - non solo affianca quella più strettamente inerente alle procedure
di giustiziabilità dei diritti, ma talvolta determina la maturazione di quelle condizioni che
possono portare in un momento successivo alla regolazione sul piano normativo di materie
ancora escluse dal sistema della protezione giuridica internazionale.

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P. Degani, Nazioni Unite e “genere” - Research Paper n. 1/2001

Vi è da considerare inoltre che lo sviluppo dei diritti umani e la necessità di dotare gli stessi
di un’adeguata machinery che ne garantisca l’inviolabilità e l’inalienabilità a livello
internazionale rappresentano dei traguardi inquadrabili nella ricerca di un allargamento
degli spazi di democrazia che dovrebbe investire le istituzioni nazionali dei singoli stati fino
ad estendere il raggio di operatività alle istituzioni sopranazionali. La ricerca del dialogo
costruttivo con i governi che quasi sempre connota l’operato degli organismi sui diritti
umani, se da un lato può tradursi in una manifestazione d’innegabile debolezza degli
strumenti giuridici per l’accertamento della legittimità di talune condotte, dall’altro può
agevolare la progressiva adesione ad accordi convenzionali provvisti di strutture per il
monitoraggio dei diritti, idonee a suggerire e a favorire aggiustamenti sul piano delle
politiche interne orientate alla salvaguardia di categorie diverse di diritti, all’allargamento
degli spazi di democrazia e conseguentemente al miglioramento complessivo degli standard
di vita delle persone e dei popoli.

Non solo, se il fenomeno della moltiplicazione attraverso il processo di specificazione
connota la fase attuale del discorso sui diritti umani, è chiaro che questo processo evidenzia
in modo inequivocabile la matrice politica e sociale dell’emergere di tutte quelle aspirazioni
e bisogni che trovano oggi riconoscimento nella normativa internazionale. Non vi è dubbio
infatti che nel corso degli ultimi decenni si sia assistito ad un consistente sviluppo e
approfondimento del catalogo dei diritti umani. In particolare, l’adozione di un numero
cospicuo di dichiarazioni e convenzioni settoriali sulla scia della crescita dei movimenti
collettivi che hanno dato spazio a situazioni prima ignorate o sottovalutate e sull’onda del
successo delle campagne di mobilitazione su temi specifici e su ambiti particolaristici, ha
dato visibilità ad un processo specificazione del generico. Tutto ciò ha indiscutibilmente
lasciato aperte alcune difficoltà interpretative relativamente alla possibilità di dimostrare
quali siano le ragioni rilevanti per cui taluni interessi o bisogni assumono ad un certo punto
lo status di diritti. Tali difficoltà sono quelle notoriamente familiari alla teoria normativa
della cittadinanza. Resta il fatto che mai come nella fase attuale ci si è trovati di fronte al
proliferare in ambito internazionalistico di atti e documenti in tema di diritti della persona
in cui peraltro, molto spesso, alla dimensione valoriale e politica delle situazioni considerate
non corrisponde un sistema di garanzia adeguato. La donna è sicuramente uno dei soggetti
per cui la tendenza alla moltiplicazione e alla specificazione dei diritti ha rappresentato oltre
alla possibilità di vedere garantite condizioni e situazioni fino a pochi anni fa escluse da
ogni tipo di riconoscimento e tutela, anche un veicolo per l’affermazione dell’appartenenza

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P. Degani, Nazioni Unite e “genere” - Research Paper n. 1/2001

dei propri diritti al discorso dei diritti umani. A questo risultato si è pervenuti grazie al
perfezionamento degli strumenti normativi messi a punto dalla comunità internazionale in
materia di tutela della persona, ma anche grazie alla mobilitazione del movimento
femminista e di numerose organizzazioni non governative la cui azione di denuncia nei
confronti delle innumerevoli violazioni di cui sono vittime le donne ha creato la premesse
perché una prospettiva di genere si facesse spazio in alcuni settori del sistema del diritto
internazionale. Attraverso la conoscenza di quali sono le condizioni reali di vita della
popolazione femminile soprattutto in certi contesti economici e cultuali e nelle situazioni in
cui ricorrono talune circostanze (es. conflitti armati, crisi umanitarie, recessioni
economiche, emergenze collegate ad eventi catastrofici, controllo del potere politico da
parte di integralisti religiosi ecc...), si è potuto lavorare per accrescere la sensibilità nei
confronti di queste stesse problematiche all’interno degli organismi del sistema diritti umani
delle Nazioni Unite e favorire la messa a punto di numerosi programmi per favorire
l’implementazione dei diritti umani delle donne.

Uno sguardo alla considerazione che la donna riceve oggi nel sistema NU sui diritti umani
rende immediatamente evidente il ruolo fondamentale assolto oltre che dagli organismi
ispirati alla dimensione giuridica formale anche da quelli preposti al monitoraggio e al
controllo sull’implementazione degli standard in materia di diritti. E’ infatti attraverso
l’attivazione d tutte le procedure rientranti nella funzione promozionale dei diritti stessi che
è stato possibile sviluppare e consolidare una conoscenza adeguata di determinate
situazioni riguardanti la condizione femminile che la comunità internazionale ha
riconosciuto meritevoli di tutela e per le quali si sono registrati sensibili sviluppi in tempi
recenti in materia di tutela internazionale. E’ per questo che nel proporre questa rassegna
sulle istituzioni e sui meccanismi preposti alla salvaguardia dei diritti delle donne si è deciso
di considerare dapprima il monitoraggio in quanto ogni discorso sull’enforcement dei diritti non
può che partire da questo livello.

Meccanismi internazionali di “monitoraggio” dei diritti umani

Nell’ambito della funzione promozionale dei diritti umani adottata dalle Nazioni Unite, il
controllo sulle politiche degli stati può essere fatto rientrare nella generale nozione del
monitoraggio. Il monitoraggio, pur essendo un meccanismo rientrante a pieno titolo nella

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P. Degani, Nazioni Unite e “genere” - Research Paper n. 1/2001

normativa internazionale non mira ad accertare eventuali illeciti, bensì ad individuare le
materie su cui le politiche degli stati sono più carenti e mettere a punto eventuali strategie
di sostegno in stretto dialogo con i paesi direttamente coinvolti.

Una generale partizione nel quadro dei meccanismi di monitoraggio distingue, da un lato
quelli imperniati sui rapporti dei governi ad adempimento di un preciso obbligo previsto
nei trattati internazionali sui diritti umani, dall’altro quelli attivati dalle organizzazioni
internazionali, in particolare le Nazioni Unite, e finalizzati a produrre relazioni di esperti
riguardanti i diritti umani in generale in un certo paese, oppure specifici ambiti di violazione
su base internazionale1.

La Commissione diritti umani2, la Sotto-Commissione per la promozione e la protezione
dei diritti umani3 e, per quanto concerne le donne, la Commissione sulla condizione delle

1
  Ci riferiamo agli strumenti che le Nazioni Unite hanno posto in essere in aggiunta alle procedure offerte dai
trattati internazionali sui diritti umani. Questi meccanismi, non riconducibili ad alcuna previsione
convenzionale, assolvono prevalentemente a funzioni di monitoraggio dei diritti umani ma la loro influenza è
piuttosto significativa non solo sul piano politico ma anche su quello morale. Talvolta, gli esiti forniti
dall’attività di monitoraggio esercitata nel quadro di queste procedure ha costituito la base per la preparazione
di alcuni draft, per es., nel 1959 la Dichiarazione sui diritti del bambino (adottata dall’Assemblea Generale il
20 novembre 1959 A/Res./1386 XIV) e nel 1975 la Dichiarazione per la protezione di tutte le persone
sottoposte a tortura o ad altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti (adottata dall’Assemblea
Generale il 9 dicembre 1975 A/Res./3452/XXX)a cui hanno successivamente fatto seguito rispettivamente,
nel 1989 e nel 1984, le relative Convenzioni.
2
   La Commissione diritti umani è un organo sussidiario del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni
Unite (Ecosoc) dal 1946; si compone di 53 membri, rappresentanti di stati che vi siedono a rotazione. Nel
1947, nel corso della prima sessione, la Commissione ricevette l’incarico di redigere il testo della
Dichiarazione universale dei diritti umani (adottata dall’A.G. con Ris. 217 A(III) del 10 dicembre 1948). Il
mandato di questo organismo prevede la presentazione di proposte, la formulazione di raccomandazioni, e la
stesura di rapporti all’Ecosoc, su ogni materia concernenti i diritti umani. La Commissione si riunisce una
volta all’anno a Ginevra per sei settimane tra febbraio e aprile. Dal 1947 al 1966 la Commissione ha lavorato
principalmente per la definizione di alcuni standard in materia di diritti umani (standard setting) predisponendo
numerosi strumenti giuridici. Le risoluzioni della Commissione sono uno dei principali strumenti di
valutazione della condotta degli stati in materia di diritti umani, ma rappresentano anche un’importante guida
all’azione internazionale sia per i governi sia per le ong. La Commissione è in questa fase particolarmente
attenta alle questioni afferenti ai diritti economici, sociali e culturali, in particolare al diritto allo sviluppo e alla
definizione di standard di vita adeguati alla protezione dei diritti dei gruppi più deboli – minoranze, popoli
indigeni, minori – ma è significativa la sua attività anche in relazione allo lotta per lo sradicamento della
violenza nei confronti delle donne e la realizzazione dei diritti umani delle donne. Pur essendo un organismo
con una composizione governativa, la Commissione è tradizionalmente molto aperta al contributo delle
organizzazioni non governative che possono prendere parte alle sessioni e presentare documentazione anche
in forma scritta.
3
  La Sotto-Commissione per la Promozione e la Protezione dei diritti umani (così titolata con decisione
dell’Ecosoc del 27 luglio 1999, prima chiamata Sottocommissione per la prevenzione della discriminazione e
per la protezione delle minoranze) si compone di 26 esperti indipendenti. E’ un organo ausiliario della
Commissione diritti umani, creato nel 1947 dalla Commissione stessa su autorizzazione dell’Ecosoc
(Risoluzione 9 (II) 1946). Ha il compito di intraprendere studi e di fare raccomandazioni alla Commissione.
Gli esperti sono eletti dalla Commissione per un periodo di 4 anni. Attualmente 7 provengono da paesi
africani, 5 da stati asiatici, 5 da paesi dell’America Latina, 3 da paesi dell’Europa Orientale, e 8 da quelli

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P. Degani, Nazioni Unite e “genere” - Research Paper n. 1/2001

donne4 svolgono una intensa attività di monitoraggio sulle situazioni che possono
comportare violazioni alle norme internazionali sui diritti umani. Tale attività è svolta
soprattutto mediante la previsione di specifici Gruppi di lavoro operanti su base tematica e la
nomina di Rapporteurs speciali tematici o per paese, abilitati anche a ricevere segnalazioni da
individui e ad assumere iniziative nei confronti dei singoli stati in relazione a specifici casi.
Tale attività si affianca a quella di promozione e protezione dei diritti umani svolta
mediante il commissionamento di studi, la discussione e l’adozione di risoluzioni su
questioni di carattere generale e l’elaborazione di progetti di dichiarazioni o convenzioni da
trasmettere all’Ecosoc e all’Assemblea Generale.

L’attività di monitoraggio della Commissione diritti umani e della
Sottocommissione per la promozione e la protezione dei diritti umani

A partire dalla fine degli anni ‘60, la Commissione ha iniziato ad occuparsi con sistematicità
della verifica dell’effettivo rispetto dei diritti umani internazionalmente riconosciuti da parte
degli Stati membri. Attraverso la messa a punto di alcune risoluzioni dell’Ecosoc o della
stessa Commissione, sono stati approntati meccanismi di controllo che si caratterizzano per
essere gestiti proprio dalla stessa Commissione, dalla Sottocommissione e in parte
dall’Ecosoc. Ci si riferisce alla “procedura pubblica” e a quella “confidenziale” sorte per far
fronte alla necessità di offrire una forma di risposta alle numerose comunicazioni che fin
dall’inizio dell’attività pervenivano alle Nazioni Unite, ed in particolare al Segretariato
Generale, allo scopo di segnalare presunte violazioni ai diritti fondamentali. Constatando
l’impossibilità di intervenire su questioni delicate che ponevano seri problemi di rispetto
della sovranità degli stati, le Nazioni Unite dichiararono di non poter disporre di specifici
poteri di intervento in relazione alle situazioni segnalate nelle comunicazioni. Questa

dell’Europa occidentale. Metà dei membri sono rinnovati ogni due anni. La Sotto-Commissione si riunisce
annualmente per una durata di circa un mese. Alle sessioni sono presenti come osservatori rappresentanti di
stati e di organismi e agenzie specializzate delle Nazioni Unite, di organizzazioni intergovernative e di Ong
dotate di status consultivo presso l’Ecosoc.
4
  La Commissione sulla condizione delle donne è stata istituita nel 1946 dell’Ecosoc. Inizialmente come
Sottocommissione della Commissione diritti umani (Ecosoc Res. 1/5 (1946)), ha assunto lo status di
Commissione autonoma nello stesso anno (Ecosoc Res. 2/11 (1946)). E’ un organismo composto da
rappresentanti degli Stati, dapprima formato da 15 membri progressivamente aumentati fino agli attuali 45
eletti dall’Ecosoc per un periodo di 4 anni. La CSW tiene generalmente una sessione annuale della durata di
circa 4 settimane. Sul ruolo ed il funzionamento della Commissione nel quadro degli organismi ONU sui

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P. Degani, Nazioni Unite e “genere” - Research Paper n. 1/2001

situazione si modificò tra il 1967 ed il 19705, quando l’Ecosoc istituì per l’appunto i
meccanismi della procedure pubblica 1235 e della procedura confidenziale 15036.

La procedura 1235 dell’Ecosoc autorizza la Commissione diritti umani e la
Sottocommissione a dibattere nel corso della loro sessione annuale “la questione della
violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, includendo il problema della
discriminazione e della segregazione razziale nonché dell’apartheid in tutti i paesi con
particolare riferimento a quelli coloniali e ad altri paesi e territori dipendenti”. Più
specificamente, l’intenzione che ha portato all’adozione della Ris. 1235 era quella di
prevedere una qualche forma di controllo internazionale sull’operato di alcuni stati come la
Repubblica del Sudafrica e della Rodesia del Sud. Tuttavia, non si è mai imposto alcun
limite di tipo “geografico” all’applicazione della procedura. Oggetto del meccanismo
regolato dalla Ris. 1235 sono le gross violations, nonché i consistent pattern of violations of human
rights. La discussione pubblica relativa a pretese di violazioni gravi e sistematiche viene
avviata d’“ufficio” in via del tutto discrezionale dalla Commissione. Tale meccanismo è
previsto anche per la Sottocommissione, sebbene questo organismo, essendo composto da
esperti indipendenti e non da rappresentanti di stati, possa operare sicuramente con
maggior autonomia politica. Perciò, sia la Commissione che la Sottocommissione sono
abilitate ad “esaminare informazioni relative a importanti violazioni dei diritti umani”
provenienti da Stati parte, membri o non membri della Commissione, da membri della
Sottocommissione e da organizzazioni non governative con stato consultivo presso le NU.
Per la centralità delle problematiche che costituiscono oggetto di comunicazione, un
numero crescente di soggetti non governativi sono coinvolti nel dibattito che si tiene in
occasione della sessione annuale della Commissione e della Sottocommissione.
Quest’ultima, è autorizzata ad adottare risoluzioni inerenti situazioni di violazione dei diritti

diritti umani si veda: L. Reanda, The Commission on the Status of Women, in P. Alston (ed.), The United Nations and
Human Rights. A Critical Appraisal, Oxford, Clarendon Press, 1992.
5
   In realtà già nel 1959 venne istituita la procedura ad hoc 728 F con la quale si autorizzava il Segretario
Generale a ricevere comunicazioni individuali e a darne notizia alla Commissione (Ecosoc, Res 728 F XXVIII
del 30 luglio 1959). In base alla risoluzione 75(V) del 1947, la Commissione diritti umani istituì nel 1948, 1949
e 1950 un comitato ad hoc con il generico proposito di considerare la lista di comunicazioni pervenute al
Segretario Generale, senza però precisare un’eventuale seguito. Questa procedura non garantiva perciò alcuna
forma di risposta e di tutela in quanto la Commissione non veniva obbligata né investita della facoltà di
intraprendere alcun tipo di misura. Vi è da dire sottolineare comunque che con la procedura 728 F viene
istituito il trattamento ufficiale delle comunicazioni individuali da parte delle Nazioni Unite.
6
  Ecosoc, Ris. n. 1235 (XLII) del 1967 e Ris 1503 (XLVIII) del 1970. Per quanto concerne la procedura 1503,
segnaliamo che nel corso della 56a sessione della Commissione diritti umani tenutasi nel 2000 la procedura è

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umani in specifici paesi ma non può intraprendere alcuna azione, a differenza della
Commissione, che invece può porre in essere eventuali azioni in caso di violazione dei
diritti fondamentali.

Nel quadro di questa specifica previsione, la Commissione diritti umani ha definito due tipi
di meccanismi seguendo le indicazioni contenute nel mandato relativo alla Ris. 1235
dell’Ecosoc. Anzitutto ha attivato una serie di Gruppi di lavoro e nominato un certo numero
di Rapporteur speciali su base territoriale e su base tematica allo scopo di relazionare
annualmente alla Commissione sullo sviluppo delle questioni collegabili ai diritti umani in
particolari aree del mondo e nel contempo di agire sui governi locali per dare effettività ai
diritti. I Gruppi di lavoro su base tematica sono stati istituiti a partire dal 1980. Sono dotati di
un mandato che prevede la possibilità di considerare tutte le informazioni loro pervenute,
di visitare, previa accettazione dei governi interessati, i paesi sui quali si concentra la loro
attenzione presentando un rapporto annuale alla Commissione.

Nell’ambito della Commissione diritti umani operano attualmente numerosi Working Group:
Relativamente alle attività di monitoraggio, sono attivi il Gruppo di lavoro sulla detenzione
arbitraria, e quello sulle sparizioni forzate e involontarie; per quanto concerne la
codificazione delle norme (standard setting) sono stati istituiti un Gruppo di lavoro per la
definizione di un Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura e altri trattamenti
inumani e degradanti e un Gruppo di lavoro per la messa a punto di un Protocollo alla
dichiarazione sui diritti delle popolazioni indigene. Altri gruppi insediati presso la
Commissione lavorano sulle tematiche relative, ai piani di aggiustamento strutturale in
relazione ai diritti economici, sociali e culturali, al diritto allo sviluppo e al rafforzamento
dei meccanismi previsti per il funzionamento della Commissione diritti umani (Gruppo dei
5 sulle comunicazioni ex Procedura 1503 di cui sotto).

Presso la Sottocommissione sono invece attivi 4 Gruppi di lavoro permanenti
rispettivamente: sulle comunicazioni, istituito nel 1970 della più volte citata risoluzione
1503 dell’Ecosoc7, che esamina in via confidenziale denunce di violazioni massicce e
sistematiche dei diritti umani; sulle popolazioni indigene, gruppo che ha funzionato nel
corso degli anni come un vero e proprio forum mondiale frequentato non solo dalle Ong
attive in questo ambito ma anche da numerosi rappresentanti di popolazioni indigene che

stata emendata con decisione 2000/109. Le modifiche apportate alla Procedura 1503, sono state approvate
dall’Ecosoc con risoluzione 2000/3.

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P. Degani, Nazioni Unite e “genere” - Research Paper n. 1/2001

insieme hanno predisposto la bozza di Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni ove si
riconosce il diritto all’autogoverno; sulle minoranze, che segue l’attuazione della
Dichiarazione sui diritti degli appartenenti a minoranze etniche, religiose e linguistiche del
1992 e formula proposte e raccomandazioni sulla reciproca comprensione tra governi e
minoranze; sulle forme contemporanee di schiavitù che costituisce una delle agenzie più
attive per lo studio del fenomeno di tutte quelle forme di abuso riconducibili alla
definizione contenuta nella Convenzione del ‘26 e in quella supplementare del ’56, nonché
per l’elaborazione di strategie e azioni internazionali tese a fronteggiare l’incalzare di questa
emergenza.

La procedura 1503, Procedura per il trattamento delle comunicazioni relative a violazioni dei diritti umani
e delle libertà fondamentali, di carattere confidenziale, prevede che costituiscano oggetto di
esame quelle comunicazioni “which appear to reveal a consistent pattern of gross and
reliably attested violations on human rights and foundamental freedom”. La formula,
notevolmente simile a quella utilizzata dalla Risoluzione 1235 ha in comune con quest’ultima
sia l’elemento del consistent pattern sia quello relativo al carattere di gross violations a cui deve
essere combinato l’elemento del reliably attested. Tale specificazione non differenzia in
modo netto l’oggetto dei due meccanismi, bensì investe le diverse modalità di avvio di
questi ultimi. La procedura prevista dalla Ris. 1503 è estremamente laboriosa
comprendendo 5 stadi progressivi di esame che implicano dapprima l’organizzazione di un
gruppo di lavoro formato da 5 componenti della Sotto-Commmissione, il coinvolgimento
successivo dell’intera Sottocommissione, la messa a punto di un ulteriore gruppo di lavoro
composto da 5 membri della Commissione, e ancora l’intervento della Commissione al
completo che anticipa un’eventuale richiesta all’Ecosoc relativamente all’opportunità di
rendere pubblica una situazione oggetto di esame. La procedura confidenziale dà per la
prima volta attuazione al diritto di petizione degli individui agli organi delle NU. Tuttavia,
va specificato che l’eventuale violazione patita dall’autore della comunicazione rileva solo
nella misura in cui è utile a disegnare una situazione complessiva alla quale rimandano i
requisiti richiesti dalla stessa risoluzione istitutiva della procedura. Inoltre, la comunicazione
individuale non è finalizzata alla riparazione dell’eventuale violazione subita dall’individuo
autore della stessa segnalazione oggetto di esame. L’obiettivo è quello di produrre una
risoluzione della Commissione sulla situazione considerata e eventualmente la nomina di
un relatore speciale o di un rappresentante del Segretariato generale sullo Stato al quale la

7
    Ris. Ecosoc 1503 (XLVIII) e Ris. Ecosoc, 728 F (1959).
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comunicazione stessa si riferisce. Nel caso in cui la Commissione verifichi il già avvenuto
esaurimento dei possibili rimedi offerti dall’ordinamento interno allo Stato coinvolto o di
quelli internazionali, la stessa Commissione diritti umani può nominare un comitato ad hoc
composto da esperti indipendenti allo scopo di investigare sulla situazione in cooperazione
con lo Stato interessato. Il comitato ricercherà una soluzione amichevole del problema,
facendo rapporto alla Commissione e suggerendo misure appropriate. E’ da segnalare
tuttavia, che per la laboriosità della procedura e il carattere confidenziale della stessa, questo
meccanismo non è in realtà mai stato utilizzato in modo significativo. Lo stesso comitato
ad hoc di investigazione non è mai stato costituito.

L’attività dei relatori speciali risale invece agli inizi degli anni ‘80. Si tratta di meccanismi
finalizzati da una parte all’analisi distinta dei fenomeni considerati o al monitoraggio di
particolari aree geo-politiche, e dall’altra alla messa a punto di attività intese a porre rimedio
a situazioni di violazione dei diritti fondamentali. Più specificamente, queste procedure
tendono a raccogliere e verificare informazioni sia su situazioni complessive sia in merito a
casi specifici di violazione, dialogando con le autorità coinvolte e formulando
raccomandazioni indirizzate agli stati interessati e alla Commissione. A differenza di quanto
previsto nell’ambito della procedura confidenziale, i relatori speciali ed i gruppi di lavoro
possono ricercare attivamente informazioni riguardanti violazioni che rientrano nei loro
mandati. Vi è da sottolineare peraltro che, mentre i Special Rapporteurs, per ottemperare alla
funzione di fact finding, svolgono sempre un’azione di monitoraggio tramite le missioni su
campo, il dialogo con i governi ed in stretto rapporto di collaborazione con le Ong, i
Working Group si limitano alla messa a punto di studi e ricerche. La rilevanza politica dei
relatori è diversa a seconda che il mandato riguardi un’area geopolitica precisa o sia
tematico. Infatti, nel caso di un mandato per paese la nomina di un relatore è sempre
percepita dallo Stato interessato come un atto di intrusione che lo può potenzialmente
esporre ad un giudizio negativo da parte della comunità internazionale. A riprova di ciò, per
evitare questa situazione assai sgradevole, la Commissione diritti umani, prima di procedere
alla nomina di un relatore pronuncia un numero consistente di raccomandazioni invitando
il governo in questione a prendere provvedimenti. Nel caso di un mandato tematico invece,
il compito consiste nel redigere uno studio e monitorare una determinata situazione su
scala mondiale. Questo però non esclude che il relatore speciale, nel suo rapporto annuale
alla Commissione, non segnali le situazioni più gravi riscontrate nel corso delle missioni su

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P. Degani, Nazioni Unite e “genere” - Research Paper n. 1/2001

campo o quelle oggetto di attenzione nella rapportistica delle organizzazioni non
governative o rese note da altra fonte.

Per quanto concerne i Rapporteurs speciali          con mandato per paese, sono attualmente
monitorati, l’Afganistan, il Burundi, la Cambogia, la Repubblica democratica del Congo, la
Guinea Equatoriale, la Bosnia-Erzegovina unitamente alla Repubblica di Croazia e quella
Federale della Iugoslavia, Haiti, l’Iran, l’Iraq. Il Myanmar, il Ruanda, la Somalia e il Sudan.
Dal 1993 sono inoltre oggetto di attenzione da parte di un relatore speciale della
Commissione diritti umani i Territori occupati della Palestina dal 1967. Per monitorare la
situazione relativa a quest'area di crisi, dal 2000 è stata inoltre insediata anche una
Commissione di inchiesta sulle violazioni ai diritti umani commesse da Israele nei riguardi
del popolo palestinese.

I Rapporteur tematici si occupano invece di vendita di minori, prostituzione e pornografia
minorile, di diritto all’educazione, di esecuzioni sommarie, extragiudiziali ed arbitrarie, di
promozione e protezione del diritto di libertà di opinione ed espressione, dell’indipendenza
dei giudici e più in generale degli operatori del sistema giudiziario, delle persone sfollate,
dell’uso di mercenari come strumento per impedire l’esercizio del diritto dei popoli
all’autodeterminazione, dei diritti umani nelle condizioni di povertà estrema, delle forme
contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia altre forme di intolleranza,
di programmi di aggiustamento strutturale e questione del debito, di tortura, di violenza
contro la donna, del problema dell’alloggio come componente del diritto ad uno standard
di vita adeguato, del diritto al cibo e dello “human rights defender”.

Nel quadro delle attività relative a segnalazioni specifiche si distingue rispetto alla
procedura di routine, una procedura urgente, inizialmente prevista per il Gruppo di lavoro
sulle sparizioni forzate e involontarie e progressivamente estesasi al Gruppo di lavoro sulla
detenzione arbitraria nonché ai relatori speciali sulla tortura e sulle esecuzioni sommarie e
arbitrarie. La procedura di urgenza concerne quelle segnalazioni riguardanti situazioni che
si sarebbero verificate in un arco temporale non superiore ai tre mesi successivi al
momento in cui lo stesso Relatore speciale o Gruppo viene messo a conoscenza della
violazione denunciata. Il vantaggio di questa procedura consiste nella assoluta mancanza di
formalità che consente dei tempi di attivazione estremamente rapidi. Di contro vi è però
l’assoluta mancanza di obbligo dello Stato coinvolto non solo a collaborare ma anche a
rispondere delle violazioni segnalate. Questo meccanismo prevede anche una procedura di
pronto intervento finalizzata alla tutela di coloro che, per aver inviato una segnalazione,

                                               14
P. Degani, Nazioni Unite e “genere” - Research Paper n. 1/2001

possono essere oggetto di minacce o intimidazioni. I requisiti richiesti per l’attivazione della
procedura d’urgenza consistono nella possibilità di identificare in modo certo la presunta
vittima, il presunto colpevole, la persona o l’organizzazione che sporge la denuncia nonché
nella possibilità di ricostruire nel modo più dettagliato possibile l’evento e le circostanze
che lo hanno determinato.

La condizione femminile nei rapporti dei relatori speciali

La tematica relativa ai diritti delle donne è ovviamente trasversale al lavoro di pressoché
tutti i relatori speciali e i gruppi di lavoro operanti presso la Commissione diritti umani e la
Sottocommissione per la promozione e la prevenzione dei diritti umani. Tuttavia, in
relazione ai diritti umani delle donne, assumono oggi particolare rilievo i rapporti del
relatore speciale sulla violenza contro la donna8, quelli sulle pratiche tradizionali che
colpiscono la salute delle donne e delle bambine9 e quelli sullo stupro sistematico, schiavitù
sessuale e pratiche assimilabili durante i conflitti armati, compresi i conflitti interni.

8
  Istituito dalla Commissione diritti umani con risoluzione 1994/45. La Relatrice speciale sulla violenza contro
le donne, Radhika Coomaraswamy, ha presentato ad oggi alla Commissione diritti umani, in adempimento al
mandato conferitole, otto rapporti tematici: Preliminary survey of all forms of violence against women,
E/CN.4/1995/42 del 22 novembre 1994; Violence in the family, E/CN.4/1996/53 del 5 febbraio 1996;
Violence in the community, E/CN.4/1997/47 del 12 febbraio 1997; Violence by the state during armed
conflict, E/CN.4/1998/54 del 29 gennaio 1998; An assessment of state responses to domestic violence,
E/CN.4/1999/68 del 10 marzo 1999; Policies and practices that impact women’s reproductive rights and
contribute to or cause or constitute violence against women, E/CN.4/2000/68 Add.4 del 21 gennaio 1999;
Economic and social policy and its impact on violence against women, E/Cn.4/2000/68 Add. 5 del 24
febbraio 2000; Trafficking in women, women’s migration and violence against women, E/Cn.4/2000/68 del
29 febbraio 2000.
9
  L’attenzione attorno al tema delle pratiche tradizionali collegate alla salute delle donne e delle minori risale
agli anni ’80 quando, con risoluzione 1984/34 l’Ecosoc richiese al Segretario generale di nominare un
Working Group composto di esperti designati della Sottocommissione per la prevenzione delle
discriminazioni e la protezione delle minoranze (ora Commissione per la promozione e la protezione dei
diritti) dall’Unesco e dal Who allo scopo di mettere a punto uno studio sulle conseguenze che alcune pratiche
tradizionali provocano sulla salute femminile richiedendo anche la collaborazione delle Ong operanti in
questo settore. Il Working Group tenne tre sessioni a Ginevra, la prima nel marzo del 1985, la seconda nel
settembre dello stesso anno e la terza nel gennaio del 1986. Sulla base della documentazione disponibile il WG
sottopose alla Commissione diritti umani un rapporto (UN Doc. E/CN.4/1986/42) nel quale si riconosce
come prioritaria la necessità di contrastare la diffusione delle pratiche concernenti le mutilazioni genitali
femminili, il trattamento preferenziali ai minori maschi, e quelle legate al parto. Dopo aver esaminato questo
rapporto la Commissione diritti umani richiese alla Sottocommissione nella Ris. 1988/57 di considerare le
misure da attivare a livello nazionale e internazionale per eliminare tali pratiche. La Sottocommissione
provvide così alla nomina di un Working Group presieduto da Mrs. H. E. Warzazi (Marocco) preposto ad
indagare tale questione sulla base delle informazioni fornitegli dai governi, dalle agenzie specializzate e da altre
organizzazioni governative e non. Nel rapporto preliminare presentato alla Sottocommissione nella sessione

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P. Degani, Nazioni Unite e “genere” - Research Paper n. 1/2001

Nei rapporti più recenti sulla violenza contro la donna preparati per la 55a e 56a sessione
della Commissione diritti umani dalla relatrice speciale Radhika Coomarswamy, vengono
privilegiati da un lato l’approfondimento e l’analisi di alcune politiche e pratiche che
colpiscono i diritti riproduttivi delle donne10, dall’altro la trattazione delle questioni
collegate al traffico delle donne, in particolare della violenza esercitata sulle donne migranti.
Nel rapporto del 1999, gli elementi che vengono identificati come potenzialmente lesivi
della salute riproduttiva femminile e che nel contempo costituiscono forme di violenza
sono oltre allo stupro, alla violenza domestica, al traffico e alla prostituzione forzata, alcune
pratiche tradizionali ancora largamente diffuse come le mutilazioni genitali, unitamente ad
interventi di politica sanitaria indirizzati alla riproduzione e imposti alle donne, come gli
aborti, la contraccezione e le gravidanze forzate11. Nel rapporto del 2000 la relatrice delinea

del 1989 (UN Doc. E/Cn.4/Sub.2/1989/42 and Add.1) la relatrice speciale illustrò i risultati dell’indagine
svolta alla luce delle informazioni pervenute da fonti numerose. Nel corso della stessa sessione (Res.
1989/16), la Sottocommissione oltre a rilevare che nel rapporto della Relatrice si esprimeva preoccupazione
per la mancanza di informazioni e per il fatto che tali pratiche pongono seriamente a pregiudizio il godimento
dei diritti umani, richiedeva alla Commissione diritti umani e all’Ecosoc di considerare questa questione anche
in futuro estendendo per altri due anni il mandato alla Relatrice allo scopo di redigere un rapporto più
completo, di compiere delle missioni in loco in almeno due paesi e di svolgere due seminari regionali sulle
pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute in Africa e Asia. Nel corso degli anni il mandato è stato più
volte riconfermato e Halima Embark Warzazi è a tutt’oggi la relatrice speciale su questa materia in base al
mandato conferitole dalla Sottocommissione per la promozione e la protezione dei diritti umani con
risoluzione 1999/13.
10
   E/Cn.4/1999/68/add.4, del 21 gennaio 1999, Integration of the human rights of women and the gender
prespective. Violence against women. Report of the Special Rapporteur on violence against women, its causes
and consequences, Ms Radhika Coomarwamy, in accordance with Commission on Human rights resolution
1997/44. Addendum. Policies and practices that impact women’s reproductive rights and contribute to, cause
or constitute violence against women; E/CN.4/2000/68, del 29 febbraio 2000, Integration of the human
rights of women and the gender prespective. Violence against women. Report of the Special Rapporteur on
violence against women, its causes and consequences, Ms Radhika Coomarwamy, on trafficking in women,
women’s migration and violence against women, submitted in accordance with Commission on Human
Rights resolution 1997/44.
11
    I riferimenti normativi previsti negli strumenti internazionali sui diritti umani rinviano al diritto alla libertà e
alla sicurezza della persona come previsto nell’art. 3 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e
nell’art. 9(1) del patto sui diritti civili e politici; al diritto alla salute previsto all’art. 12 del Patto sui diritti
economici, sociali e culturali; al diritto alla non discriminazione nel campo della salute e della cura previsto
all’art 12(1) e 16(1) della Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne
(Cedaw); al diritto di sposarsi e di formare una famiglia contemplato nell’art 16(1) della Cedaw e nell’art. 23
del Patto sui diritti civili e politici; al diritto di essere liberi da interferenze arbitrarie o illegittime nella vita
privata, nella famiglia e nella casa previsto all’ar. 17(1) del Patto sui diritti civili e politci; al diritto di godere dei
benefici del progresso scientifico e delle sue applicazione previsto all’art. 15(1) del Patto sui diritti economici
sociali e culturali; al diritto a non subire discriminazioni su base sessuale previsto nella dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo all’art. 2, nella Cedaw agli artt. 1 e 2 e nei Patti rispettivamente agli artt. 2(1) e 2(2); al
diritto di uomini e donne di aver accesso alla pianificazione familiare su basi egualitarie previsto dalla Cedaw
all’art. 12(1); al diritto di ogni individuo di godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale previsto
dal Patto sui diritti economici sociali e culturali all’art. 12(1); al diritto di contrarre matrimonio esprimendo
liberamente il proprio consenso previsto all’art. 10 del Patto sui diritti economici sociali e culturali e all’art 16
della Cedaw, al diritto ad accedere alle informazioni e ai servizi di pianificazione familiare previsto all’art, 14

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P. Degani, Nazioni Unite e “genere” - Research Paper n. 1/2001

i contorni entro i quali collocare il fenomeno delle migrazioni e del traffico di donne,
considerando le emergenze economiche collegate alla globalizzazione, quelle politiche
derivanti dai conflitti armati e dalla disintegrazioni di alcuni assetti nazionali e più in
generale dal fenomeno della femminilizzazione dei processi migratori. Inscrivendo la
questione del traffico di donne entro quella complessiva del traffico di esseri umani, la
Coomarswamy sottolinea il carattere specificamente femminile di alcune violazioni
comunemente riscontrabili in queste situazioni, con riferimento anzitutto alla libertà di
movimento e alla possibilità di guadagnarsi da vivere. La relatrice si sofferma attorno al
nodo dell’inadeguatezza della nozione di traffico offerta dagli strumenti oggi vigenti a
livello internazionale. Trattandosi di un concetto dinamico, il rapporto mette in luce i
repentini cambiamenti a cui questo fenomeno può andare incontro per rispondere alle
diverse condizioni economiche, sociali e politiche che si presentano nello scenario
internazionale. Per la Coomarswamy il riferimento alla globalizzazione è obbligatorio
trattandosi di una dimensione così invasiva da giocare un ruolo assolutamente
fondamentale per i diritti umani in generale e per quelli delle donne in particolare; in nome
delle sviluppo e della stabilità, la ristrutturazione a livello macro economico si è infatti
tradotta in un progressivo svilimento di tante garanzie civili, politiche, economiche, sociali

della Cedaw; al diritto di decidere liberamente e responsabilmente sul numero dei figli da avere previsto all’
art. 16 della Cedaw; al diritto di veder garantite da parte degli Stati parte le previsioni sopra menzionate così
come enunciato all’art. 2 del Patto sui diritti economici sociali e culturali e all’art. 1 della Cedaw. Nel 1999 il
Comitato previsto dalla Cedaw ha prodotto una General Recommendation nella quale, interpretando l’art. 12
della stessa Convenzione, richiede agli Stati parte di eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne
anche a riguardo dell’accesso ai servizi riproduttivi, con particolare riferimento alla pianificazione familiare,
alla maternità, e alla fase post-natale. Il Comitato riconosce inoltre che l’accesso alle cure sanitarie incluse
quelle collegate alla riproduzione costituisce un diritto riconosciuto dalla stessa Convenzione per
l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne. (General Recommendation No. 24, 20th
session, 1999, article 12 : Women and Health). Dei diritti riproduttivi si sono occupate anche le conferenze
internazionali delle Nazioni Unite che a questo tema hanno dato uno spazio crescente nel corso dell’ultimo
decennio. Se la Dichiarazione di Vienna e il Programma d’Azione adottati nel 1993 in occasione della
Conferenza mondiale sui diritti umani nel considerare il problema della violenza contro la donna hanno
anticipato questioni inerenti la salute riproduttiva femminile, le Conferenze su popolazione e sviluppo del
Cairo nel 1994 e sulle donne di Pechino nel 1995 hanno riconosciuto la necessità di garantire una tutela
adeguata ai diritti collegati alla riproduzione. L’importanza del rapporto fra genere e salute riproduttiva è stata
ripresa anche dall’Assemblea Generale delle NU nella Sessione speciale di valutazione sui progressi compiuti
dopo la Conferenza del Cairo denominata “Cairo + 5” tenutasi nel 1999 dove si è evidenziata la necessità di
adottare un’ottica di genere in tutti i processi di formulazione e di attuazione delle politiche destinate a
regolare i servizi, in particolare quelli per la salute sessuale e riproduttiva, compresa la pianificazione familiare.
(A/S-21/5/add.1, 1999 UN Key Actions for the Further Implementation of the Programme of action of the Intetnational
Conference on Population and Developmnet). Inoltre, durante la 23 Sessione speciale dell’Assemblea Generale
“Donne 2000 Uguaglianza di genere, sviluppo e pace per il 21° secolo” svoltasi nel giugno 2000, la necessità
di dare attuazione agli accordi che hanno fatto seguito alla Sessione speciale “Cairo + 5” ha trovato piena
conferma, tanto che i temi della salute riprodutiva e gli indirizzi programmatici ad essi collegati, sono stati
ripresi nel documento finale approvato dall’Assemblea Generale. Cfr.: Unedited final outcame document as adopted
by the plenary of the special session Further actions and initiatives to implement the Beijing Declaration and the Platform of
Action del 10 giugno 2000.

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P. Degani, Nazioni Unite e “genere” - Research Paper n. 1/2001

e culturali. Nel rapporto del 2001 preparato in occasione della 47a sessione della
Commissione diritti umani, la relatrice approfondisce il tema della violenza contro la donna
perpetrata dagli stati nel corso dei conflitti armati e quasi sempre condonata12.
Considerando i casi di violenza contro la donna collegati ai conflitti armati nel corso del
triennio 1997-2000, il rapporto illustra il grado di sviluppo a cui la comunità internazionale
è pervenuta negli ultimi anni per quanto attiene alla messa a punto di standards per la tutela
delle vittime di strupro e altre forme di violenza sessuale. Più precisamente il rapporto
segnala l’importanza del riconoscimento per questa tipologia di violazioni ai diritti
fondamentali di forme di tutela di tipo penalistico collegate anche al diritto umanitario. Una
breve disamina della giurisprudenza più significativa elaborata dai Tribunali ad Hoc per la
ex Iugoslavia e per il Ruanda mette in rilievo la tendenza da parte dei giudici ad interpretare
estensivamente la nozione di violenza sessuale caricandola di significati inediti non solo sul
piano del diritto, ma anche talvolta dal punto di vista simbolico. La relatrice esprime però
preoccupazione in merito al gap decisamente consistente tra il grado di riconoscimento
della responsabilità e dunque della perseguibilità di coloro che commettono crimini
collegati alla violenza sessuale contro le donne predisposto dal diritto internazionale, e la
volontà politica espressa dagli Stati Membri di dare effettività e rafforzare a livello interno
le norme predisposte dal diritto dei diritti umani e da quello umanitario.

Il tema della pratiche tradizionali lesive della salute delle donne e delle bambine costituisce
invece oggetto di analisi approfondita da parte della relatrice Warzazi. Nell’ultimo
rapporto13 presentato alla Sottocommissione per la promozione e la protezione dei diritti
umani, la relatrice delinea lo stato delle cose alla luce degli sviluppi più recenti che questa
problematica ha avuto non solo nelle zone tradizionalmente interessate da questo tipo di
pratiche, ma anche nelle aree di recente immigrazione di massa, come nel caso di taluni
paesi europei che hanno dovuto misurarsi concretamente con questo problema, soprattutto
con le mutilazioni genitali femminili. Nel rapporto, si evidenzia da un lato l’inadeguatezza
sul piano quantitativo delle risposte pervenute da parte dei governi alla richiesta di
chiarimenti e informazioni circa il perdurare e la diffusione di certe consuetudini che
violano i diritti delle donne, dall’altro si evidenziano le misure che in diverse aree del

12
  E/CN.4/2001/73, Integration of the human rightsof women and the gender perspective. Violence against
women. Report of the Special Rapporteur on violence against women its causes and consequences, Ms.
Radhika Coomarswamy, submitted in accordance with Commission on human Rights resolution 2000/45.
Violence against women perpetrated and/or condoned by the state during times of armed conflict 1997-2000.

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P. Degani, Nazioni Unite e “genere” - Research Paper n. 1/2001

mondo sono state intraprese per contrastare il problema delle pratiche tradizionali lesive
della salute femminile. La maggior parte delle informazioni pervenute dai 22 paesi che
hanno risposto alla sollecitazione del Segretario generale ha riguardato esclusivamente il
problema delle mutilazioni genitali; sono rimaste così escluse da qualsiasi forma di
“monitoraggio” tutte quelle forme di violenza contro le donne inquadrabili nella categoria
dei crimini d’onore su cui la relatrice ritiene non vi siano al momento informazioni
sufficienti per quantificare il fenomeno. Interessanti sono le segnalazioni pervenute da
alcuni paesi come la Francia, la Germania ed il Belgio che hanno introdotto nei rispettivi
codici penali misure ad hoc e hanno adottato anche iniziative di tipo pedagogico e culturale
per sensibilizzare le etnie interessate da talune usanze e disincentivarne la reiterazione. Più
specificamente, sia la Francia che la Germania hanno definito una serie di misure contro le
mutilazioni genitali femminili rivolte esclusivamente alle comunità di immigrati. Entrambi
questi paesi hanno messo a punto delle campagne informative; in Francia in particolare il
Ministero dell’occupazione e della solidarietà finanzia le attività di alcuni gruppi come il
Group for the Abolition of Sexual Mutilation e la Commission for the Abolition of Sexual Mutilation.
In Germania il governo ha predisposto una brochure che è stata utilizzate nelle scuole e
distribuita nei centri di accoglienza per donne e bambine straniere intitolata The Genital
Mutilation of Women and Girls. Sia in Francia che in Germania le mutilazioni genitali sono
considerate un fatto penalmente rilevante. In Germania, ove si stima siano 20.000 le donne
mutilate, la legge oltre ad estendere la responsabilità penale anche agli istigatori e ai
complici di chi materialmente interviene, non riconosce alcuna circostanza attenuante
come potrebbero essere le motivazioni di tipo religioso o l’eventuale consenso
dell’interessata. Anche in Italia le mutilazioni genitali costituiscono una realtà rilevante sul
piano giudiziario essendo questa materia ascrivibile alle norme penali che puniscono i reati
contro l’integrità fisica della persona e a quelle di natura civile che rigurdano l’esercizio
della potestà genitoriale. Più preciamente, sul piano penale le condotte implicanti una
menomazione dell’organo genitale femminile integrano certamente il reato di lesioni
personali, gravi o gravissime, a seconda del tipo di mutilazione e del tempo necessario alla
guarigione (artt. 582, 583 Cod. Pen.). Il reato è procedibile d’ufficio se si è verificato in
Italia e se la malattia che deriva dall’intervento mutilatorio richiede un periodo superiore ai
venti giorni per la guarigione. Più complessa è la situazione nel caso in cui la pratica venga
effettuata nel paese d’origine di uno straniero residente in Italia. In questo caso, perchè

13
     E/Cn.4/Sub.2/2000/17.

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