Ermeneutica del dialogo interreligioso a cinquant'anni dal Concilio Vaticano II

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Ermeneutica del dialogo interreligioso
                   a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II

                            Prolusione per il nuovo anno accademico
                                 Istituto Teologico Salernitano
                                          7 ottobre 2013

                                           ✠ Mariano Crociata

Agli inizi del dialogo

        Il dialogo interreligioso è un impegno che la Chiesa cattolica ha mantenuto e
sviluppato costantemente a partire dal Concilio Vaticano II. Questa affermazione è
facilmente suffragata non solo dal magistero dei Papi e dei vescovi, come pure dai
documenti emanati da organismi della Santa Sede e di altre Istituzioni ecclesiasti-
che, ma anche dalle molteplici attività promosse a vari livelli e in differenti ambiti
della vita ecclesiale, tra le quali un posto particolare occupano gli Incontri promossi
ad Assisi da Giovanni Paolo II nel 1986 e nel 2002. La costituzione di un organi-
smo vaticano deputato, chiamato inizialmente, nel 1964, Segretariato per i non cri-
stiani e, poi, dal 1988, Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ha rappre-
sentato l’atto formale più alto di coinvolgimento di parte cattolica nell’attività del
dialogo, seguito da altri a tutti i livelli della struttura ecclesiastica.
        L’insegnamento magisteriale, insieme alle iniziative istituzionali e alle espe-
rienze vissute nelle comunità ecclesiali, soprattutto quelle insediate in paesi multire-
ligiosi, testimonia in modo particolare non solo l’impegno ma anche l’evoluzione
della coscienza credente e della dottrina in ordine a tale ambito. Il tema religione si
fa strada in modo nuovo nel territorio della teologia già negli ultimi decenni prima
del Concilio 1. D’altra parte, la riflessione sul dialogo è al centro dell’attenzione del
pensiero ebraico e cristiano fin dagli inizi della prima metà del Novecento 2. A in-
trodurla negli interventi del magistero – collegandola poi anche con quella sulle re-
ligioni – è stato papa Paolo VI con la sua prima enciclica Ecclesiam suam 3. In essa il
dialogo si dispiega come l’orizzonte della fede cristiana e dell’esperienza ecclesiale,
poiché rifluisce dalla stessa originaria iniziativa rivelatrice e salvifica di Dio in Gesù
Cristo, che egli qualifica come colloquium salutis, dialogo di salvezza intrapreso libe-
ramente da Dio nei confronti dell’umanità 4; da esso scaturiscono tutte le altre for-
me di dialogo. Paolo VI si mostra attento in modo particolare a quello con il mon-

         1
         Cf. G. Canobbio, L’emergere dell’interesse per le religioni nella teologia cattolica del Novecento, in
M. Crociata, a cura di, Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive, Paoline, Milano 2001, 15-55.
       2
         Cf. A. Fabris, La scelta del dialogo. Breviario filosofico per comunicare meglio, Messaggero, Pa-
dova 2011, 41-64.
       3
         Cf. Paolo VI, Lettera enciclica Ecclesiam suam, 6 agosto 1964.
       4
         Cf. ib., n. 72.
do moderno 5, che poi si specifica secondo i destinatari, a cerchi sempre più stretti:
con tutto ciò che è umano 6, con i credenti in Dio 7, con i cristiani fratelli separati 8,
e infine all’interno della Chiesa 9.
        Qui troviamo probabilmente il primo quadro sistematico più coerente del
magistero sul dialogo. Esso ci presenta insieme il fondamento teologico, il carattere
comprensivo e le forme del dialogo. Sul primo aspetto, «La giustificazione teologica
è determinante in due direzioni: in primo luogo per negare che la scelta del dialogo
venga interpretata unicamente come scelta opportunistica nel contesto del mondo
pluralista; in secondo luogo per collocare il dialogo nel quadro più ampio
dell’intero agire della Chiesa nel mondo e nella storia. La Chiesa dialoga con il
mondo, e quindi anche con le religioni, perché Dio ha scelto di dialogare con
l’uomo. Non si tratta pertanto della rinuncia alla pretesa di portare Cristo al mon-
do, quanto piuttosto di configurare questo irrinunciabile compito allo stesso agire di
Dio» 10. Da ciò discende come il dialogo impregni, in qualche modo, l’essere e lo
stile della Chiesa, portando a una rassegna completa della figura dei destinatari, tra
i quali non rimane estranea la stessa comunità ecclesiale. Importante rilevare, nella
prima enciclica del Papa della Evangelii nuntiandi, l’aver individuato prontamente
una questione cruciale del dialogo interreligioso in particolare, e cioè il suo rappor-
to con la missione evangelizzatrice della Chiesa; essa accompagnerà sia il successi-
vo magistero che il dibattito teologico 11.

L’insegnamento conciliare

        Per quanto si debba parlare di «svolta epocale» del Concilio quando si tratta
del rapporto della Chiesa con le religioni 12, è importante osservare che nessuno dei
documenti conciliari tratta formalmente del dialogo interreligioso. La maggior par-
te di essi fa riferimento alle religioni, ma il numero di ricorrenze è di 34 volte, di cui
le più numerose sono in Gaudium et spes e, a seguire, in Nostra Aetate. Le religioni
menzionate sono l’ebraismo 13, l’islamismo 14, l’induismo e il buddismo 15 e, poi in
genere, le altre religioni 16.

        5
          Cf. ib., n. 15 e la terza parte dell’enciclica (in particolare i nn. 60-71).
        6
          Cf. ib., nn. 101-102.
        7
          Cf. ib., nn. 111-112.
        8
          Cf. ib., nn. 113-115.
        9
          Cf. ib., n. 117.
        10
           D. Racca, Il dialogo interreligioso nel Magistero dopo il Concilio Vaticano II, in «Rassegna di
teologia» 43/4 (2002) 535-536.
        11
           Cf. P. Selvadagi, Teologia, religioni, dialogo, Lateran University Press, Città del Vaticano
2009, 255-375; W. Kasper, Chiesa Cattolica. Essenza – Realtà – Missione, Queriniana, Brescia 2012,
471-480.
        12
           A. Cozzi, Le religioni nel Magistero postconciliare. Problemi ermeneutici, in «Teologia» 28/3
(2002) 267.
        13
           2 volte: LG 16 e NA 4.
        14
           2 volte: LG 16; NA 3 (musulmani).
        15
           1 volta: NA 2.
        16
           2 volte: LG 16 e NA 3.

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Quanto al termine dialogo, nei documenti del Concilio esso ricorre 26 volte
con l’espressione latina dialogus e 30 volte con colloquium. Delle 56 volte, 29 riguar-
dano il mondo in generale, 11 i cristiani non cattolici, solo 10 le altre religioni 17. Se
a questo si aggiunge, quanto al documento formalmente dedicato alle religioni non
cristiane Nostra Aetate, che «Si tratta del testo più breve promulgato dal Concilio,
formatosi dopo un lungo e difficoltoso percorso: [infatti] quattro redazioni, conti-
nuamente modificate e oggetto di polemiche interne ed esterne al Concilio, porta-
rono all’attuale Dichiarazione, ampliata e stravolta rispetto allo schema originale
che riguardava il solo popolo ebraico» 18, allora si comprende come ci si debba ac-
costare con grande cautela al testo. Se quest’ultimo viene considerato alla distanza
di cinquant’anni, con l’evoluzione che l’esperienza e la riflessione assegnano
all’ambito interreligioso, uno sguardo superficiale potrebbe denunciare un qualche
senso di delusione. Se invece lo osserviamo con la consapevolezza del rilievo della
distanza temporale e dall’evoluzione storica che conduce dall’epoca precedente alla
complessa vicenda conciliare, allora il suo insegnamento appare con le caratteristi-
che di una svolta profonda di atteggiamento oltre che di contenuto.
         Appare chiaro, innanzitutto, che il tema del dialogo si innesta su quello ri-
guardante le religioni. E l’aspetto caratterizzante la prospettiva di fondo è la que-
stione della salvezza: «la salvezza si può ottenere anche fuori del cristianesi-
mo/Chiesa; il cristianesimo ha diverso valore rispetto alle altre religioni in quanto è
via stabilita da Dio per la salvezza dell’umanità; in tutte le persone umane e nelle
culture/religioni si possono trovare segni dell’azione di Dio, cioè elementi di verità
e di bontà che vengono dal Verbo e costituiscono una praeparatio evangelica grazie
allo Spirito che molte volte previene visibilmente la necessaria azione missionaria»
19
   . In questi termini è possibile condensare l’insegnamento conciliare nel merito.
Non avrebbe fondamento, dunque, una affermazione che attribuisse al Concilio il
riconoscimento alle religioni di una funzione salvifica, poiché non sono mai le reli-
gioni come tali a mediare la salvezza, ma semmai gli elementi di verità e di bene
che riflettono la luce di Cristo e del suo Vangelo.
         Per questo, la considerazione dell’ordinatio, cioè della relazione secondo gra-
di diversi, dei vari gruppi umani e religiosi alla Chiesa, di cui parla la Lumen gentium
al n. 16, non va intesa in un’ottica ecclesiocentrica, ormai superata, ma piuttosto
storico-salvifica, che vede la Chiesa quale segno e strumento, luogo privilegiato di
attuazione del disegno divino, ma i semi del Vangelo diffusi dappertutto
nell’umanità perché siano riconosciuti ed evidenziati. Da parte sua, il n. 2 della Di-
chiarazione Nostra Aetate esprime una valutazione positiva del vero e del bene pre-
sente nelle altre religioni, da cui scaturisce il dialogo e la collaborazione. «La moti-
vazione sta nel fatto che le religioni, connesse con il progresso della cultura, vengo-
no considerate come tentativo di risposta elaborata alle questioni relative al senso

         17
            GE 11; NA 2, 4; AG 1, 16, 34, 38, 41; GS 28, 92.
         18
            D. Racca, Il dialogo interreligioso nel Concilio Vaticano II: aperture e limiti, in «Rassegna di teo-
logia» 38/5 (1997) 642.
         19
            G. Canobbio, Il dialogo interreligioso nei documenti del Vaticano II, in «Teologia» 38/2 (2013)
241.

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della storia e degli avvenimenti della vita umana» 20. Viene così riconosciuto «il va-
lore antropologico delle religioni» 21. L’orizzonte della Dichiarazione, come del re-
sto di tutto il Concilio sul nostro tema, non è la teologia pluralista delle religioni,
bensì la teologia della creazione, e quindi l’unità del genere umano e la ricerca dei
valori comuni e della risposta alle domande fondamentali dell’uomo 22. Con
l’apprezzamento degli elementi di vero e di bene presenti nelle religioni si coniuga
l’invito al dialogo rivolto, però, ai seguaci delle religioni più che ai sistemi religiosi
come tali.
        In questa maniera i due documenti conciliari, ai quali va accostato anche il
Decreto sull’attività missionaria Ad Gentes, rispecchiano l’affermarsi di un interesse
prevalentemente soteriologico, rispetto a quello più tradizionale di tipo apologetico,
che riemerge invece nella Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae.
        Il disegno di salvezza rivelato in Cristo è il fondamento e il criterio del dia-
logo in generale e di quello interreligioso in particolare, poiché il dono della comu-
nione affidato alla Chiesa dall’alto dell’iniziativa divina attende di tradursi nelle re-
lazioni che si stabiliscono non solo al suo interno ma, a cerchi sempre più vasti, con
tutta l’umanità, le sue culture e le religioni. Un contributo innovativo è fornito, in-
direttamente, dal n. 22 della Costituzione Gaudium et spes, che si riferisce all’azione
misteriosa dello Spirito Santo nell’umanità intera, la quale si trova perciò ad essere
associata, «nel modo che Dio conosce», al mistero pasquale di Cristo. Rimangono
aperte, tuttavia, alcune questioni, quali il rapporto tra l’azione dello Spirito fuori
della Chiesa e la relazione (ordinatio) alla Chiesa come orientamento di tutta
l’umanità, la eventuale peculiarità del dialogo interreligioso rispetto al più generale
dialogo con l’umano, la distinzione tra umano e cristiano 23.
        L’orizzonte teologico così richiamato offre il miglior criterio di intellegibilità
del tema delle religioni e del dialogo, il cui emergere è il segno che conferma
l’atteggiamento complessivo del Concilio verso il mondo e l’uomo della nostra epo-
ca. Esso si rispecchia anche in un metodo e in uno stile che il Vaticano II ci ha
lasciato in eredità come parte integrante del suo magistero. Esso ha cercato di com-
porre due esigenze o orientamenti, e cioè accogliere in maniera rinnovata la ricca
tradizione biblica, patristica, liturgica e spirituale della Chiesa e, nello stesso tempo,
ascoltare l’uomo, la sua storia, i suoi drammi e le sue gioie, per porgergli con mag-
giore incisività l’annuncio del Vangelo. Il metodo consiste nel far interagire queste
due istanze, così da riproporre l’annuncio come evento significativo anche per
l’uomo di oggi, presentare la dottrina nella sua integrità ma in modo rispondente
alle esigenze dell’epoca. Ascoltare Dio e ascoltare l’uomo, simultaneamente, sa-
pendo di essere, come comunità credente, con l’umanità intera nell’ascolto di Dio
e con Dio nella testimonianza della sua parola di salvezza rivolta a tutti. Da ciò
discende uno stile che unisce, alla chiarezza di giudizio e di testimonianza della ve-

       20
          Ib., 253.
       21
          Ib.
       22
          Cf. A. Cozzi, Le religioni nel Magistero postconciliare, 281.
       23
          Cf. ib., 285-286.

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rità, l’atteggiamento dell’ascolto e del dialogo, dell’incoraggiamento e del discer-
nimento evangelico 24.
        Esso però non è solo il frutto di un atteggiamento di apertura e disponibilità
alla collaborazione. Il dialogo infatti, tende alla conoscenza approfondita dell’altro,
e perciò deve essere preparato adeguatamente. Per questo c’è bisogno di una vera e
propria «educazione al dialogo» 25.
        Volendo sintetizzare, allora, secondo il Concilio «Gli scopi del dialogo sono
essenzialmente: la conoscenza reciproca tra cristiani e non cristiani; la valutazione
da parte dei cristiani del buono e del vero presente nelle altre religioni (elemento
che sta alla base dell’apertura auspicata dal Concilio); la collaborazione per la pro-
mozione di valori autentici nella società umana» 26.

Il dialogo interreligioso nel post-concilio

        Nella missione della Chiesa, dialogo e annuncio si intrecciano, dunque, co-
me due dimensioni imprescindibili, senza che vengano oscurati altri aspetti quali la
testimonianza della vita e la promozione umana. Il loro valore non è equivalente,
poiché l’annuncio rivendica un primato che non può essere ridimensionato; il cen-
tro della missione della Chiesa è la mediazione instaurata da Cristo, la cui compiu-
ta realizzazione è la stessa Chiesa definita dal Concilio quale sacramento, segno e
strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità del genere umano 27. «Più difficile
è determinare il senso dell’“orientamento” del dialogo all’annuncio […]. Il dialogo
ha in sé la sua piena dignità e funzionalità; ciò non deve fare dimenticare che
anch’esso è finalizzato a far accostare tutti gli interlocutori, in vario grado e misura,

         24
              Cf. G. Lafont, La Chiesa cattolica e il dialogo dal Vaticano II a oggi, in P. Selvadagi, a cura di,
Le vie del dialogo. Teologia e prassi, Esperienze, Fossano 2009, 8-20; W. Kasper, Il cristianesimo nel dia-
logo con le religioni, in «Rassegna di Teologia» 52/1 (2011) 5-17.
           25
              Cf. AG 16. 34. 41; NA 4; AA 31.
           26
              D. Racca, Il dialogo interreligioso nel Concilio Vaticano II, 661. L’autore osserva anche: «In
conclusione, il Concilio Vaticano II esorta a più riprese i fedeli cristiani ad un rapporto di dialogo
con gli uomini che vivono in altre religioni. L’esortazione è inserita nell’immagine complessiva del
mondo e dell’umanità che il Concilio propone: un’umanità e un mondo con l’unica origine e il me-
desimo fine in Dio Padre, e che quindi tende all’unità e alla fratellanza in conseguenza dell’unicità
di Dio. Si tratta quindi di un dialogo tra uomini che condividono natura e vocazione, pur vivendo in
contesti sociali, culturali e religiosi differenti, prima ancora che di un confronto fra sistemi religiosi
diversi: il dialogo deve muoversi quindi principalmente sul piano antropologico, prima che ideologi-
co o teologico (NA 1. 2; GS19. 21. 22). In questo contesto la Chiesa ha un suo ruolo specifico che
non la isola dal resto degli uomini, ma la pone in mezzo ad essi come soggetto attivo e privilegiato
della ricerca della Verità. In quanto dialoga tra uomini, esso ha come finalità principale la conoscen-
za dell’altro, di colui che pensa in modo diverso, di colui che vive in sistemi religiosi “altri” da quel-
lo cristiano, per poter scoprire ciò che di buono, di vero, di santo vi è e poterne partecipare in un
clima di scambio e di collaborazione (NA2. 4; AG 11. 16. 41; AA 31). La seconda finalità eviden-
ziata dal Concilio è il contributo alla promozione e all’edificazione di una società più giusta e più
corrispondente al piano voluto da Dio, pure nei gradi diversi di consapevolezza, compito che unisce
il credente cristiano a tutti i credenti (NA 2; GS 21. 28. 92) e a tutti gli uomini di buona volontà (GS
21. 92; AA 14)» (ib., 652-653).
           27
               Cf. Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e Congregazione per
l’Evangelizzazione dei Popoli, Dialogo e Annuncio: riflessioni e orientamenti concernenti il dialogo interreli-
gioso e l’annuncio del Vangelo, 19 maggio 1991, n. 82.

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al mistero di Cristo» 28. Su questo, tuttavia, riflessioni più accurate dovrebbero por-
tare a una più precisa determinazione della loro relazione. Di fatto il nuovo approc-
cio alle religioni produce un mutamento anche nella missiologia, come attestano
per prime le encicliche missionarie – a cominciare da Evangelii nuntiandi –, nelle
quali il destinatario è un soggetto che interloquisce a partire non più tanto
dall’oscurità dell’errore e del peccato, bensì dalla luce, sia pure parziale, dei raggi di
verità e di bene diffusi nelle culture e nelle religioni. La destinazione a Cristo
dell’umanità intera, in questo nuovo clima, inserisce il dialogo nel cammino
dell’annuncio. Per la Redemptoris missio, poi, la nuova considerazione del pluralismo
religioso a partire dalla visione conciliare, più che un deterrente costituisce uno
sprone, proprio perché lo Spirito Santo è in azione nelle tradizioni religiose e la
mediazione di Cristo e, in Lui, della Chiesa acquista una valenza di maggiore evi-
denza. In questo contesto il dialogo interreligioso rientra nella missione della Chie-
sa. «Il magistero papale sulla missione è venuto precisando, di fronte ad alcune de-
rive, la centralità e insostituibilità della mediazione ecclesiale e più originariamente
cristologica della verità e della salvezza» 29.
        I documenti del Segretariato per i non cristiani permettono nel tempo di ac-
quisire una visione organica del fondamento teologico del dialogo interreligioso.
Esso si riscontra nell’unità del genere umano nella sua origine e nel suo fine 30,
nell’universalità della redenzione operata da Cristo 31, nell’azione universale dello
Spirito 32, nell’universalità del Regno 33.
        Quanto alle forme del dialogo, già il documento del 1984 del Segretariato
per i non cristiani distingueva il dialogo della vita quotidiana 34, il dialogo delle ope-
re e della collaborazione per obiettivi di carattere umanitario, sociale, economico e
politico 35, il dialogo a livello di esperti 36, il dialogo delle esperienze di preghiera, di
contemplazione, di fede e di impegno, espressioni e vie della ricerca dell’assoluto 37.
Simile suddivisione di forme viene ripresa, pressoché nella stessa forma, nel docu-
mento Dialogo e annuncio 38.
        Gli ultimi due decenni sono stati segnati, tra l’altro, da interventi dottrinali
volti a contrastare la tendenza al relativismo e ad affermare con forza l’unica e defi-
nitiva mediazione di Cristo. Tra gli altri documenti, si distingue, al riguardo, la Di-
chiarazione Dominus Iesus 39. Attenzioni in tal senso contiene anche il documento

         28
             D. Racca, Il dialogo interreligioso nel Magistero dopo il Concilio Vaticano II, 536.
         29
             A. Cozzi, Le religioni nel Magistero postconciliare, 294.
          30
             Cf. Dialogo e Annuncio, n. 28.
          31
             Segretariato per i non cristiani, Dialogo e missione, 10 giugno 1984, n. 23.
          32
             Ib., n. 24; Dialogo e annuncio, nn. 17. 40.
          33
             Dialogo e missione, n. 25.
          34
             Segretariato per i non cristiani, L’atteggiamento della Chiesa di fronte ai seguaci di altre religio-
ni, 4 settembre 1984, n. 30.
          35
             Ib., n. 31.
          36
             Ib., n. 33.
          37
             Ib., n. 35.
          38
             Cf. Dialogo e Annuncio, n. 42.
          39
              Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus, 6 agosto
2000.

                                                            6
della Commissione teologica internazionale 40, dal quale «si ricavano tre indicazioni
fondamentali per la ricerca (n. 71): il cristianesimo deve comprendersi nella sua pre-
tesa di universalità e a partire dalla rivendicazione di verità; dovrà inoltre riflettere
sulle religioni nel contesto della storia della salvezza; infine dovrà studiare le diver-
se religioni nei loro contenuti concreti, per confrontarli poi coi contenuti cristiani»
41
   . Anche il dialogo può avere significato ed efficacia, allora, se non mette tra paren-
tesi la pretesa di verità che anima i partecipanti a esso. Per il cristianesimo, in parti-
colare, diventa determinante recuperare e tenere ferma la centralità di Cristo.
        Nel quadro di questa costante, una attenzione ulteriore introduce Benedetto
XVI, in parte sulla scia di Giovanni Paolo II, coniugando il dialogo interreligioso
con il dialogo interculturale. La base di tale coniugazione sta nel fatto che la cultura
presenta una stretta connessione con la religione. Essa permette infatti di ampliare
l’orizzonte della comprensione umana, dando accesso alla conoscenza di una verità
più grande e più profonda 42. Tale contributo, che si riconosce e si sperimenta stori-
camente, attualizza il rapporto intrinseco e originario che mostra la religione alla
base della cultura umana. In tal senso bisogna parlare di «dimensione religiosa della
cultura» 43, poiché «una religione genuina allarga l’orizzonte della comprensione
umana e sta alla base di ogni autentica cultura umana» 44.
        Si segnala, così, una articolazione tra fede, religione e cultura, per la quale la
religione si presenta con una funzione di mediazione rispetto alle altre due 45. La re-
ligione va ricondotta alla dimensione antropologica della fede e alla dimensione

         40
              Cf. Commissione Teologica Internazionale, Il cristianesimo e le religioni, 1997
(http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_1997_cristianesi
mo-religioni_it.html).
          41
             A. Cozzi, Le religioni nel Magistero postconciliare, 301.
          42
             «Pertanto l’adesione genuina alla religione – lungi dal restringere le nostre menti – amplia
gli orizzonti della comprensione umana. Ciò protegge la società civile dagli eccessi di un ego ingo-
vernabile, che tende ad assolutizzare il finito e ad eclissare l’infinito; fa sì che la libertà sia esercitata
in sinergia con la verità, ed arricchisce la cultura con la conoscenza di ciò che riguarda tutto ciò che
è vero, buono e bello» (Benedetto XVI, Incontro con i Capi religiosi musulmani, con il Corpo diplomatico e
con i Rettori delle università giordane, Amman, 9 maggio 2009). Bisogna «cercare occasioni per scam-
biare idee su come la religione rechi un contributo essenziale alla nostra comprensione della cultura
e del mondo ed alla coesistenza pacifica di tutti i membri della famiglia umana. […]Questa visione
ci induce a cercare tutto ciò che è retto e giusto, ad uscire dall’ambito ristretto del nostro interesse
egoistico e ad agire per il bene degli altri. [Bisogna] penetrare la società con i valori che emergono da
questa prospettiva ed accrescono la cultura umana» (Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti della
comunità musulmana del Camerun, Yaoundé, 19 marzo 2009).
          43
             «In questa prospettiva bisogna menzionare la dimensione religiosa della cultura, tessuta
attraverso i secoli grazie ai contributi sociali e soprattutto etici della religione. Tale dimensione non
costituisce in nessun modo una discriminazione di coloro che non ne condividono la credenza, ma
rafforza, piuttosto, la coesione sociale, l’integrazione e la solidarietà» (Benedetto XVI, Messaggio per
la XLIV Giornata mondiale della pace, 1 gennaio 2011, n. 6).
          44
             Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti della comunità musulmana del Camerun, Yaoun-
dé, 19 marzo 2009.
          45
             Cf. M. Seckler, Il concetto teologico di religione, in W. Kern – H.J. Pottmeyer – M. Seckler
(edd.), Corso di teologia fondamentale, 1. Trattato sulla religione, Queriniana, Brescia 1990, 202-228; A.
Bertuletti, Fede e religione: la singolarità cristiana e l’esperienza religiosa universale, in Aa.Vv., Cristianesimo
e religione, Glossa, Milano 1992, 199-233.

                                                             7
fondante e unificante della cultura 46. Quest’ultimo aspetto lo troviamo tematizzato
già nella riflessione di Joseph Ratzinger, il quale scriveva: «In tutte le culture stori-
che conosciute la religione è elemento essenziale della cultura, anzi è il suo centro
determinante; è ciò che definisce la compagine dei valori e dunque l’ordine interno
del sistema della cultura» 47.
        Dialogo interculturale e dialogo interreligioso risultano intimamente connes-
si, a motivo dell’ultimo fondamento religioso della cultura e della configurazione
culturale della religione. Nel movimento interno alla cultura suscitato dalla ricerca
della verità e dall’apertura illimitata che si estende alla realtà, agli altri, alla trascen-
denza, si mostra il suo intimo carattere religioso; dall’altro lato, nell’esplicita espe-
rienza e autocomprensione sviluppate storicamente dalle religioni, le culture rico-
noscono l’adempimento del loro strutturale dinamismo. Il dialogo, che appare ine-
stricabilmente intrecciato tra interculturale e interreligioso, risulta una necessità in-
trinseca alle une e alle altre, culture e religioni, poiché intercetta un passaggio ne-
cessario del loro incomprimibile movimento di trascendimento.
        Nella prospettiva del Papa emerito, sta in ciò lo scopo e il motivo della ur-
genza e della necessità del dialogo; ed è questo l’orizzonte in cui si colloca, con la
sua specificità, il dialogo interreligioso. Il punto di richiamo e di caduta del dialogo
interreligioso è fuori delle religioni; nasce al loro interno, come una vocazione e un
compito, ma sporge fuori di esse come destinazione propria del loro incontro e in
quanto via per condurre le religioni stesse alla realizzazione della loro missione nel-
la storia: nella ricerca comune della verità e nel condiviso riconoscimento dei valori
fondamentali, rendere possibile un’esistenza pacifica. In questa ottica il dialogo in-
terreligioso si porrebbe come una premessa che indica le condizioni e individua una
sorta di piattaforma etica e culturale condivisa perché l’umanità viva pacificamente
nella coltivazione di tutto ciò che è genuinamente umano, e ciascuna religione pos-
sa svolgere la sua missione propria in piena legittimità e libertà.
        Il riferimento a questi valori condivisi, tuttavia, non limita il raggio di effica-
cia del dialogo interreligioso, del quale uno dei primi effetti va verificato tra gli stes-
si partecipanti ad esso 48. Per questi ultimi la promozione e la tutela dei valori reli-
giosi nella società plurale costituisce un aspetto imprescindibile del dialogo stesso,
insieme alla cura di quel «senso religioso [che è] radicato nel cuore dell’uomo» 49.
Nel quadro di questa comprensione del dialogo e delle sue finalità, risulta chiara la

         46
              Cf. Giovanni Paolo II, Discorso in occasione della 50° Assemblea generale dell’ONU (5 ottobre
1995).
         47
              J. Ratzinger, Fede Verità Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena
2003, 61.
         48
             «Lo stesso [preservare un patrimonio e alimentare la cultura] vale per il dialogo tra le reli-
gioni; sia coloro che vi partecipano che la società ne traggono arricchimento» (Discorso ai Rappresen-
tanti di altre religioni, Washington, 17 aprile 2008); e quanto ai rapporti tra le religioni: «occorre reci-
procità da parte di tutte le componenti in dialogo e da parte dei seguaci delle altre religioni. Penso in
particolare a situazioni in alcune parti del mondo, in cui la collaborazione e il dialogo fra religioni
richiede il rispetto reciproco» (Discorso ai Rappresentanti istituzionali e laici delle altre religioni, Londra,
17 settembre 2010).
          49
             Discorso ai Rappresentanti di altre religioni, Sydney, 18 luglio 2008.

                                                             8
sua natura sul piano strettamente interreligioso o interno al rapporto tra le religioni
e, meglio, tra le persone appartenenti alla varie religioni 50.
        La specificità interreligiosa del dialogo non si limita alle forme della vita e
dell’azione, ma riconosce al dialogo della conoscenza un ruolo di rilievo. Esso ri-
chiede «una chiara esposizione delle nostre rispettive dottrine religiose» 51. Perciò
nell’incontro con le altre religioni deve trovare posto anche un «dialogo teologico»
52
   . Rivolgendosi agli ebrei, Benedetto XVI diceva: «Questo dialogo, se vuole essere
sincero, non deve passare sotto silenzio le differenze esistenti o minimizzarle: anche
nelle cose che, a causa della nostra intima convinzione di fede, ci distinguono gli
uni dagli altri, anzi proprio in esse, dobbiamo rispettarci e amarci a vicenda» 53. E ai
musulmani si rivolgeva nei termini seguenti: «Il modo migliore per andare avanti è
quello di un dialogo autentico […], basato sulla verità ed ispirato dal sincero desi-
derio di conoscerci meglio l’un l’altro, rispettando le differenze e riconoscendo
quanto abbiamo in comune» 54.
        C’è, dunque, bisogno di una conoscenza – frutto di «un sincero scambio tra
amici» 55 – che non teme differenze e apprezza comunanze. E ciò che accomuna i
partecipanti al dialogo come obiettivo più ampio è «scoprire la verità». Bisogna cer-
care di «scoprire i punti di comunanza», ma non bisogna evitare di «discutere le no-
stre differenze con calma e chiarezza» 56. Cercare la pace e ascoltare con attenzione
la voce della verità non sono estranei né incompatibili. Perciò, «il nostro dialogo
non si ferma ad individuare un insieme comune di valori, ma si spinge innanzi ad
indagare il loro fondamento ultimo. Non abbiamo alcun motivo di temere, perché
la verità ci svela il rapporto essenziale tra il mondo e Dio» 57.
        Questi primi mesi di pontificato di papa Francesco hanno visto riservata una
attenzione specifica al dialogo interreligioso, sia attraverso gli incontri e i gesti che
l’hanno accompagnato (pensiamo alla benedizione silenziosa nell’incontro con gli
operatori dei media 58), sia in interventi che hanno ribadito e rafforzato l’impegno

         50
             La pedagogia della pace va «imperniata sull’amicizia, sull’accoglienza reciproca, sul dia-
logo tra uomini di diverse culture e religioni» (Lettera a S.E. Mons. Domenico Sorrentino in occasione del
XX anniversario dell’Incontro interreligioso di preghiera per la pace, 2 settembre 2006). Cf. anche Discorso
ai Rappresentanti di altre religioni, Washington, 17 aprile 2008; Benedetto XVI, Incontro con le Organiz-
zazioni per il dialogo interreligioso, Gerusalemme, 11 maggio 2009; Discorso ai Rappresentanti della comu-
nità musulmana, Berlino, 23 settembre 2011; Discorso alle Delegazioni partecipanti all’Incontro di Assisi,
28 ottobre 2011.
          51
             Discorso ai Rappresentanti di altre religioni, Washington, 17 aprile 2008.
          52
             Discorso ai Rappresentanti istituzionali e laici delle altre religioni, Londra, 17 settembre 2010.
          53
             Discorso alla comunità ebraica di Roma, 17 gennaio 2010.
          54
             Discorso al Presidente del Direttorato degli affari religiosi, Ankara, 28 novembre 2006.
          55
             Ib.
          56
             Discorso ai Rappresentanti di altre religioni, Washington, 17 aprile 2008.
          57
             Ib. Sul magistero di Benedetto XVI, più diffusamente il mio Spiritualità e dialogo interreligio-
so nella prospettiva del magistero di Benedetto XVI, in «Italia Francescana», Assisi, i francescani e le religioni.
Atti della Cattedra di Spiritualità e dialogo interreligioso “Mons. Luigi Padovese”. Anno Accademico 2011-
2012, a cura di P. Martinelli, OFM Cap., Supplemento 87/2, Roma 2012, 19-32.
          58
             «Vi avevo detto che vi avrei dato di cuore la mia benedizione. Dato che molti di voi non
appartengono alla Chiesa cattolica, altri non sono credenti, imparto di cuore questa benedizione, in
silenzio, a ciascuno di voi, rispettando la coscienza di ciascuno, ma sapendo che ciascuno di voi è
figlio di Dio. Che Dio vi benedica» (Francesco, Incontro con gli operatori dei media, 16 marzo 2013).

                                                             9
della Chiesa cattolica 59. Lo attesta uno dei primi discorsi pronunciati dopo
l’elezione: «La Chiesa cattolica è consapevole dell’importanza che ha la promozio-
ne dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose […].
Essa è ugualmente consapevole della responsabilità che tutti portiamo verso questo
nostro mondo, verso l’intero creato, che dobbiamo amare e custodire. E noi pos-
siamo fare molto per il bene di chi è più povero, di chi è debole e di chi soffre, per
favorire la giustizia, per promuovere la riconciliazione, per costruire la pace. Ma,
soprattutto, dobbiamo tenere viva nel mondo la sete dell’assoluto, non permettendo
che prevalga una visione della persona umana ad una sola dimensione, secondo cui
l’uomo si riduce a ciò che produce e a ciò che consuma: è questa una delle insidie
più pericolose per il nostro tempo» 60.
        Accanto al magistero, alle istituzioni e ai gesti di questa stagione post-
conciliare, il dibattito teologico si è cimentato non meno diffusamente sul tema del
dialogo. Proprio nell’ottica dettata dall’ermeneutica conciliare, va rilevato che
l’approfondimento in genere ha distinto tra il senso dei testi conciliari e gli sviluppi
successivi, pur nella continuità sostanziale che sussiste tra gli uni e gli altri 61. Que-

         59
             «Uno dei titoli del Vescovo di Roma è Pontefice, cioè colui che costruisce ponti, con Dio
e tra gli uomini. Desidero proprio che il dialogo tra noi aiuti a costruire ponti fra tutti gli uomini, co-
sì che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da acco-
gliere ed abbracciare! […] in me è sempre vivo questo dialogo tra luoghi e culture fra loro distanti,
tra un capo del mondo e l’altro, oggi sempre più vicini, interdipendenti, bisognosi di incontrarsi e di
creare spazi reali di autentica fraternità. In quest’opera è fondamentale anche il ruolo della religione.
Non si possono, infatti, costruire ponti tra gli uomini, dimenticando Dio. Ma vale anche il contrario:
non si possono vivere legami veri con Dio, ignorando gli altri. Per questo è importante intensificare
il dialogo fra le varie religioni, penso anzitutto a quello con l’Islam […]. Ed è pure importante inten-
sificare il confronto con i non credenti, affinché non prevalgano mai le differenze che separano e fe-
riscono, ma, pur nella diversità, vinca il desiderio di costruire legami veri di amicizia tra tutti i popo-
li” (Francesco, Discorso al Corpo Diplomatico, 22 marzo 2013). In particolare circa il rapporto con
l’ebraismo: «Lei mi chiede anche, a conclusione del suo primo articolo, che cosa dire ai fratelli ebrei
circa la promessa fatta loro da Dio: è essa del tutto andata a vuoto? È questo — mi creda — un in-
terrogativo che ci interpella radicalmente, come cristiani, perché, con l’aiuto di Dio, soprattutto a
partire dal Concilio Vaticano II, abbiamo riscoperto che il popolo ebreo è tuttora, per noi, la radice
santa da cui è germinato Gesù. Anch’io, nell’amicizia che ho coltivato lungo tutti questi anni con i
fratelli ebrei, in Argentina, molte volte nella preghiera ho interrogato Dio, in modo particolare
quando la mente andava al ricordo della terribile esperienza della Shoah. Quel che Le posso dire,
con l’apostolo Paolo, è che mai è venuta meno la fedeltà di Dio all’alleanza stretta con Israele e che,
attraverso le terribili prove di questi secoli, gli ebrei hanno conservato la loro fede in Dio. E di que-
sto, a loro, non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità. Essi poi,
proprio perseverando nella fede nel Dio dell’alleanza, richiamano tutti, anche noi cristiani, al fatto
che siamo sempre in attesa, come dei pellegrini, del ritorno del Signore e che dunque sempre dob-
biamo essere aperti verso di Lui e mai arroccarci in ciò che abbiamo già raggiunto» (Francesco, In-
tervista a Eugenio Scalfari, «La Repubblica», 11 settembre 2013).
          60
             Francesco, Discorso ai Rappresentanti delle Chiese e delle Comunità Ecclesiali, e di altre Religioni,
20 marzo 2013.
          61
             Valgano per tutte, le affermazioni di due autori come Jacques Dupuis, che scrive: «il Vati-
cano II raccomandò il dialogo con le altre tradizioni religiose (NA 2; GS 92), ma senza dichiararlo
parte integrante della missione evangelizzatrice della chiesa. Questo è invece affermato chiaramente
sia da RM che da DA, sulla scia di DM. Inoltre, nonostante qualche ambiguità nella terminologia di
RM, entrambi i documenti sviluppano un concetto “largo” di evangelizzazione non ancora rinveni-
bile nel Vaticano II; entrambi asseriscono, sebbene in modi differenti, che il dialogo non può essere
ridotto a “strumento” dell’annuncio, ma ha valore in se stesso» (J. Dupuis, Per una teologia cristiana
del pluralismo religioso, Queriniana, Brescia 1997, 496) e come P.J. Knitter: «Il Concilio Vaticano II
costituisce dunque effettivamente una pietra miliare negli atteggiamenti cristiani verso le altre fedi.

                                                            10
sta continuità viene in qualche modo messa in discussione da qualcuno: «Dopo il
concilio, la comunità cattolica – laici, teologi e pastori – avrebbe continuato tale
esplorazione e l’avrebbe ampliata anche al di là della visione delle altre religioni
propria del Vaticano II» 62.

Prospettive teologiche sul dialogo interreligioso

         In realtà, il percorso storico e teologico che prende avvio formalmente con il
Concilio Vaticano II è caratterizzato da un intreccio di continuità e di sviluppo. La
novità conciliare ha preso sempre più forma senza perdere, nondimeno, i tratti co-
stitutivi con cui era emersa nell’assise conciliare. Per questo una sua interpretazione
ha il compito di superare la giustapposizione dei temi a favore di una comprensione
unitaria in cui i vari aspetti trovino tendenzialmente una collocazione coerente. Un
rischio non meno insidioso è rappresentato dall’assecondare in tale compito una
motivazione estrinseca, che solo a uno sguardo superficiale può sembrare trovare
appiglio nei documenti ecclesiali; esso consiste nel far servire il dialogo interreligio-
so a una finalità di carattere scientifico – in dipendenza dallo sviluppo delle scienze
delle religioni – o a una di tipo sociale e politico, dettata comunque dalla cultura
ambiente 63. Il dialogo deve scaturire da una necessità di tipo teologico per essere
autentico e corrispondente al senso dell’iniziativa ecclesiale e del suo magistero.
         Un’ulteriore considerazione suggerisce di tenere una distinzione tra teologia
del dialogo interreligioso e teologia delle religioni. Già la comprensione del dialogo
in senso generale ha bisogno di una giustificazione teologica adeguata, per la quale
il riferimento alla prima enciclica di Paolo VI risulta quanto mai pertinente. Oltre
questa esigenza, nondimeno, la specificità interreligiosa può essere svolta solo a
partire da una comprensione teologica della religione e delle religioni. Il dialogare
sulla base della peculiarità religiosa suppone una comprensione rispondente di tale
peculiarità. La motivazione, i contenuti e l’identità religiosa di chi dialoga non è ir-
rilevante per la natura e lo svolgimento del dialogo. Se le religioni si mettono in
gioco per dialogare, la loro autocomprensione è decisiva per il dialogare stesso, poi-
ché ne caratterizza e orienta la concezione e la pratica.
         Questa considerazione ha come conseguenza la constatazione che non si dà,
da parte dei partecipanti al dialogo, una comprensione della religione fuori
dall’esperienza della propria religione e, ovviamente, nemmeno fuori dalla cono-
scenza – più o meno appropriata e approfondita – dell’esistenza e della figura delle
altre religioni. Le religioni – ciascuna alla sua maniera – sono dei sistemi (di dottri-

Ma vuol essere una pietra miliare “fedele”. Si puntò certamente in direzioni mai esplorate prima dai
cristiani, volle anche assicurarsi che tali direzioni non conducessero lontano dal cuore del vangelo e
dalla posizione speciale di Gesù Cristo […]. Dopo il concilio, la comunità cattolica – laici, teologi e
pastori – avrebbe continuato tale esplorazione e l’avrebbe ampliata anche al di là della visione della
altre religioni propria del Vaticano II» (P.J. Knitter, Introduzione alla teologia delle religioni, Querinia-
na, Brescia 2005, 164-165).
          62
             Ib., 165.
          63
             Cf. G. Angelini, Il ‘dialogo’ interreligioso e i compiti della teologia, in «Teologia» 28/3 (2002)
217-230.

                                                          11
ne, di simboli, di riti, di pratiche, di esperienze, ecc.) in sé compiuti e autosufficien-
ti, per quanto non chiusi né inerti; e, poi, ciascuna possiede in sé gli strumenti per
elaborare la comprensione dell’altra religione e del rapporto con essa. La regola che
emerge da simili considerazioni è che sarebbe impossibile intavolare un dialogo tra
religioni, di qualsiasi tipo e forma, senza che ciascun interlocutore abbia un’idea
compiuta di sé (con la corrispondente pretesa di verità) e cerchi sinceramente di
prendere in considerazione, conoscere e rispettare la comprensione che l’altro ha di
sé (con la sua pretesa di verità) 64. A chi obiettasse che la presenza di una pretesa di
verità potrebbe essere un ostacolo al dialogo e che questo dovrebbe cominciare con
una rinuncia a ogni forma di pretesa, si dovrebbe rispondere che là dove venisse
meno tale pretesa e l’identità che essa significa e salvaguarda, verrebbero meno le
ragioni stesse del dialogo, poiché verrebbero a mancargli l’oggetto e la motivazione.
O, quanto meno, non sarebbe più un dialogo tra religioni o tra persone di diverse
religioni, essendo state messe tra parentesi le loro identità.
        Bisogna pertanto partire dalla fede, dalla sua esperienza e dalla sua com-
prensione, per sviluppare una teologia delle religioni e del dialogo tra le religioni. In
termini molto schematici, si tratta di articolare una riflessione coerente attorno ad
alcuni nuclei dell’esperienza e della dottrina della fede, a cominciare da una teolo-
gia della creazione, della storia della salvezza 65 e della creatura umana redenta.
Tutte e tre queste prospettive delineano una figura umana costitutivamente dipen-
dente e orientata a Dio creatore, che si rivela e agisce nella storia, stabilendo con
l’umanità tutta una relazione di amore e di salvezza. L’iniziativa divina, attuando-
si, non può che prendere forma storica, e quindi assecondare le possibilità e subire i
limiti della storicità dell’essere umano. Non c’è alcun modo di riconoscere tale ini-
ziativa, per ricondurre a essa la comprensione del cammino dell’uomo in rapporto a
Dio, se Dio stesso non decidesse o, meglio, non avesse deciso di rivelarsi.
L’incarnazione del Verbo in Gesù di Nazaret dice, appunto, insieme alla grandezza
del mistero del farsi uomo di Dio, la condizione di limitatezza temporale e spaziale
entro cui l’iniziativa divina si inscrive e si lascia restringere.
        La fede cristiana si sperimenta e concepisce proprio come lo strumento ade-
guato per intendere e leggere il senso del cammino dell’uomo alla presenza di Dio e
nella ricerca di Lui. Più precisamente essa è il criterio ermeneutico per interpretare
l’esperienza umana nella sua radice e nella sua espressione religiosa. Essa permette
di comprendere, infatti, la dimensione costitutiva, cioè la verità, dell’essere umano
in quanto aperto alla trascendenza. La coscienza dell’uomo che si apre alla realtà si
riconosce intrinsecamente sempre interpellata dalla trascendenza, a partire dalle
domande ultime che la inquietano. Di fronte all’esperienza religiosa essa si sente
provocata all’incontro e al dialogo in forza di tale struttura veritativa del suo essere,
che è costitutivamente aperto e in rapporto con la trascendenza. «L’istanza veritati-

       64
            Cf. G.L. Brena, Teologia delle religioni e dialogo, ib., 248-266.
       65
            Cf. A. Cozzi, Gesù Cristo tra le religioni. Mediatore dell’originario, Cittadella, Assisi 2005,
125-129.

                                                        12
va costituisce, pertanto, il fondamento ultimo della religione e la molla del dialogo
interreligioso» 66.
        La fede cristiana possiede le condizioni per intendere questa struttura, poi-
ché il suo concetto di verità ha un carattere concreto, anzi personale; infatti coinci-
de con la persona del Verbo fatto uomo in Gesù Cristo. Egli è la verità in persona,
nella quale si mostra «la profonda unità tra assolutezza e storicità, tra necessità e li-
bertà» 67, poiché si compie nella forma di un evento. Il carattere di evento protegge e
rivela la natura indeducibile dell’essere, il quale non può essere appropriato e pos-
seduto, ma solo accolto quando esso si conceda. L’evento rivela l’essere nei segni
del suo accadere che interpellano la coscienza, chiamata a riconoscere e accogliere
nella libertà la realtà e il suo senso. L’evento del manifestarsi della verità come per-
sona in Gesù Cristo è strutturalmente rispondente alla natura dell’essere umano, il
quale può accedere alla verità di sé e del fondamento della realtà soltanto attraverso
il suo riconoscimento e la sua accoglienza nei segni che storicamente incontra e che
gli richiedono di mettersi in gioco con la sua libertà. Soltanto là dove la libertà vie-
ne investita l’evento diventa il luogo dell’incontro della persona con la sua destina-
zione trascendente, con il suo fine ultimo. Libertà e ragione non possono essere,
perciò, separate, ma si attivano simultaneamente, precisamente nell’atto
dell’incontro con l’evento della verità in persona che appare storicamente e chiede
riconoscimento e accoglienza.
        Ciò significa che la persona umana non accede alla verità ultima di se stesso
e della realtà attraverso un ragionamento o una dimostrazione scientifica, ma
nell’atto di un incontro in cui egli risveglia se stesso nello stesso momento come ra-
gione e come libertà. Questa simultanea attivazione della ragione e della libertà non
è altro che la forma della fede. In un senso radicalmente umano, la fede è la modali-
tà propria del rapporto della persona con il fondamento ultimo di se stessa e della
realtà. La fede cristiana si presenta come l’attuazione compiuta di tale strutturale
dinamismo dell’essere umano e, come tale, il criterio ermeneutico per riconoscere
lo stesso dinamismo in tutti gli esseri umani, realizzato in modo esplicito nelle di-
verse forme storiche dell’esperienza religiosa.
        Per essere tale, la fede cristiana riconosce di dovere se stessa alla rivelazione
di Dio che si è compiuta in Cristo. Perciò sussiste un nesso intimo tra evento, rive-
lazione e atto della coscienza, che la fede cristiana è capace di leggere perché in essa
si danno in modo compiuto tutti gli elementi strutturali che rendono possibile il
rapporto dell’uomo con il fondamento trascendente della realtà o, più semplicemen-
te, l’esperienza religiosa. Recuperiamo in questa maniera quella unità che mette in-
sieme assoluto e storia, necessità e libertà. È una unità resa possibile dalla rivela-
zione, che fa comprendere come umanamente non sarebbe possibile l’accesso alla
verità al di fuori della storia e senza l’adesione personale profonda dell’essere uma-
no. Ciò si compie in Gesù Cristo, nel cui evento singolare (che teologicamente as-

         66
            A. Scola, I principi del dialogo interreligioso nella teologia cattolica, in P. Coda, a cura di,
L’unico e i molti. La salvezza in Gesù Cristo e la sfida del pluralismo, Mursia-PUL, Roma 1997, 210.
         67
            Ib., 212.

                                                        13
sume valenza salvifica e storicamente si prolunga sacramentalmente nella Chiesa) si
realizza simultaneamente la pienezza, e della rivelazione di Dio e della risposta di
fede dell’uomo 68.
        Proprio la rivelazione cristiana così compresa permette di cogliere una in-
tenzionalità divina che avvolge e accompagna il cammino dell’uomo verso Dio, che
le religioni evidenziano in maniera esplicita anche se differenziata. L’orizzonte del
disegno di Dio abbraccia in unità tale cammino, armonizzando le distinzioni tra
natura e soprannaturale, tra creazione e redenzione. L’iniziativa di Dio che rivela il
dinamismo e l’orientamento a Lui del cammino religioso dell’uomo, realizzandolo
storicamente in modo pieno in Cristo e nella Chiesa, non può che essere ultima-
mente all’origine di tutte le forme di esperienza religiosa, le cui contraddizioni e i
cui limiti non possono annullare quella spinta originaria che le convoca alla loro
adeguata destinazione ultima, rivelata e realizzata nel Verbo incarnato. Da questa
visione scaturiscono quei criteri che assicurano un dialogo nel quale l’identità della
fede cristiana non viene in alcun modo dissimulata (per cui essa abbraccia sempre
in sé il compito missionario), ma nemmeno quella delle altre religioni, che diven-
gono termine di un incontro, di conoscenza e di apprezzamento,
nell’approfondimento della natura profonda dell’esperienza religiosa di cui ciascuna
partecipa con le proprie peculiarità.
        Alla luce di queste considerazioni possiamo aggiungere, conclusivamente,
che la realizzazione concreta, e molteplice nelle forme, del dialogo tra persone di
diverse religioni, diventa essa stessa una fonte di approfondimento teologico del fe-
nomeno del pluralismo delle religioni e del loro incontro. Così che diventa possibile
parlare non solo di una teologia delle religioni e del dialogo interreligioso, ma an-
che di una teologia dal dialogo interreligioso, che si arricchisce della maturazione
della coscienza di sé e dell’altro che l’incontro incessantemente genera.

         68
             Cf. K. Lehmann, Il cristianesimo: una religione tra le altre? Sul dialogo interreligioso in prospetti-
va cattolica, in «Il Regno documenti» 48/1 (2003) 42-53.

                                                            14
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