Centro Militare di Studi Strategici Ricerca 2010 - Difesa

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Centro Militare di Studi Strategici
            Ricerca 2010

          Nuove sfide per l’Italia
       nell’Europa Sud Orientale:
possibili sviluppi della nuova geopolitica
 turca in seguito al mancato ingresso
nell’Unione europea e al rafforzamento
 dei rapporti di vicinato con Iran e Iraq

             Direttore della Ricerca
             Dott. Paolo QUERCIA
Indice della ricerca

1.0   Cambiamenti nella politica estera turca e il concetto di neo-ottomanesimo

2.0   Lo sviluppo dell’Islam politico in Turchia e l’emergere dell’AKP

3.0   L’ambigua collaborazione tra Turchia e Iran

4.0   Turchia e Iraq: sviluppi futuri dello scenario iracheno post-americano

5.0   Altre aree di interesse strategico : UE, Russia, Israele

6.0   Conclusioni

7.0   Bibliografia

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1.0

Cambiamenti nella politica estera turca e il concetto di neo-
ottomanesimo

        Molti sono gli indizi che spingono a ritenere la Turchia nel mezzo di un
cammino di mutamento della propria politica estera o addirittura di un
ricollocamento della propria posizione geopolitica nello spazio balcanico e
mediorientale che fu Ottomano. Spesso vengono citate le recenti azioni della
diplomazia turca diretta dal 2002 dall’AKP, le relazioni sempre più privilegiate
stabilite con Iraq, Iran, Siria e Russia, la rottura dell’alleanza strategica con Israele o
la teoria della “profondità strategica” sostenuta dal Ministro degli Esteri Davutoglu.
Tuttavia, una delle maggiori indicazioni dei mutamenti della politica estera turca può
essere ravvisata anche nella crescente distanza che si ravvisa tra le attuali
convinzioni dell’opinione pubblica turca e la tradizionale immagine che l’Occidente
ha della politica estera di Ankara.

        Un recente sondaggio ha chiesto ad un campione rappresentativo di cittadini
turchi di indicare quali siano i paesi stranieri che rappresentano il maggior pericolo
per la sicurezza della Turchia; con sorpresa, e confermando i segnali dello
slittamento dell’opinione pubblica turca rispetto alle tradizionali linee di politica
estera del paese, il 43% dei cittadini ha risposto che il paese che costituisce il
maggior pericolo sono gli Stati Uniti (43%), seguiti da Israele (23,7%), Iran (3%),
Grecia (2,3%), Iraq (2,1%) ed infine Russia (1,7%) 1. I due principali alleati della
politica estera turca sono dunque oggi percepiti come maggiori minacce alla
sicurezza nazionale.

Ciò in buona parte conferma quanto alcuni osservatori occidentali della realtà turca
sostengono da qualche anno, ossia il fatto che con l’arrivo al potere dell’AKP ha

1
 Sondaggio condotto da Metropoll su un campione significativo della popolazione turca. Vedi Justin Vela
Many Turks see US as a great threat, Southeast Euroepan Times Istanbul, 10 gennaio 2011.

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preso forma politica quel processo di cosiddetta reislamizzazione iniziato nel paese
già a partire dagli anni ottanta, quando il modello kemalista iniziò a mostrare i primi
segnali di crisi del suo modello tradizionale favorendo l’emersione di una
preoccupante crisi di identità che accentuò anche lo sviluppo di forze centrifughe.
La risposta a queste forze centrifughe e alla crisi del modello kemalista vedrà
l’affermarsi di nuove iniziative di tipo sociale e politico che prenderanno varie forme
e che, progressivamente, porteranno alla costituzione dello lo zoccolo conservatore
islamista che costituisce oggi la base elettorale dell’AKP.

      La reislamizzazione è in primo luogo un processo interno alla società turca,
ma che ha un equivalente dal punto di vista delle relazioni internazionali che viene
identificato da un numero crescente di analisti con il concetto di neo ottomanesimo,
ossia il recupero dello spazio geopolitico che appartenne all’impero ottomano e che
si estende dallo spazio anatolico verso i Balcani, il Medio Oriente ed il Nord Africa.

    L’impero Ottomano nella sua massima estensione agli inizi del XVIII secolo

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Da alcuni anni è iniziato in occidente un dibattito sul riposizionamento anti-
occidentale della politica estera turca in nome della riscoperta della vecchia eredità
geopolitica Ottomana. Tale dibattito viene spesso etichettato con il nome di neo
ottomanesimo ed include anche una appendice che ipotizza che l’Occidente “ha
perso la Turchia”. Tale dibattito è ulteriormente aumentato dal dicembre 2008 e in
particolare dalla rottura del rapporto con Israele deterioratosi significativamente a
partire dall’intervento su Gaza.

       Tale dibattito è mosso da una serie di elementi: una nuova base ideologica
della politica estera turca, particolarmente accentuatasi da quando al Ministero degli
Affari Esteri è stato nominato il Ministro Davutoglu, già consigliere di lungo corso
per gli affari internazionali di Erdogan e teorizzatore del concetto di profondità
strategica; i nuovi assetti geopolitici del Medio Oriente delineatisi dopo la
scomparsa dell’Iraq di Saddam Houssein e in particolare la crescita della Turchia
come una potenza regionale emergente che dal 2000 al 2008 ha triplicato il suo
prodotto interno lordo ed ha avviato una intensa attività diplomatica e di mediazione
strategica nei principali conflitti regionali, dai Balcani, all’Iran alla questione
palestinese, al Libano.

       Questi ritrovati spazi di manovra hanno spesso messo in contrasto la Turchia
con Stati Uniti ed Israele, in particolare per quanto riguarda la relazionai intrattenute
con Iran e Siria, per la dimensione islamista di alcuni tratti della politica estera del
paese e per una ritrovata assertività che sembra non riconoscere più vincoli
transatlantici. In particolare, ciò che desta perplessità è la politica di confronto e di
rottura avvenuta con l’antico alleato israeliano verso cui Ankara ha avviato una
politica di aumento della tensione strategica con l’obiettivo di porsi agli occhi del
mondo arabo come il difensore più risoluto della causa palestinese.

       Secondo alcuni, la causa di questa politica è interamente attribuibile
all’elemento islamico e all’ascesa al potere dell’AKP la cui agenda islamica
“nascosta” si sarebbe dispiegata con maggiore evidenza nel campo delle relazioni
internazionali. Anche il rallentamento del processo di adesione all’Unione Europea

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viene ugualmente ritenuto responsabile del processo di islamizzazione interno del
paese e di ottomanizzazione della sua politica estera 2.

        In realtà, tale teoria pur avvincente è difficilmente sostenibile con certezza. In
primo luogo, il processo che ha portato al potere l’AKP è costituito da una dinamica
democratica interna al paese che si è manifestata non appena il processo di
avvicinamento all’Unione Europea ha dato i suoi frutti ampliando gli spazi di libertà
interni a discapito del potere dei militari e della magistratura che hanno dovuto
subire un costante processo di ridimensionamento nel nome dei diritti dell’uomo e
degli standard democratici richiesti da Bruxelles.

        Tale processo di emersione di un movimento conservatore islamico è solo
marginalmente collegato con gli sviluppi di politica estera del paese ed è molto più
riconducibile ai mutamenti avvenuti nel contesto geo-politico internazionale. La fine
della guerra fredda ha reso necessario per Ankara uscire dal ristretto ruolo di
isolamento strategico del paese, costruendo quella profondità strategica con i suoi
vicini. Tale profondità strategia è in primo luogo il risultato della necessità di
migliorare le relazioni economiche particolarmente ridotte con i paesi contermini e di
avviare strategici progetti energetici al fine di trasformare la Turchia in un hub
energetico. Inoltre, nello scorso decennio sono avvenuti due eventi che hanno
ulteriormente spinto la Turchia a sviluppare una politica estera dissonante da quella
statunitense nella regione: il conflitto con l’Iraq, fortemente avversato da Ankara,
che ha sbloccato l’equilibrio militare della regione, costruito attorno al conflitto
permanente tra l’Iraq secolare e sannita di Saddam e l’Iran teocratico e sciita degli
Ajatollah. La rottura di questo equilibrio per il Medio Oriente è equivalsa a qualcosa
di simile al crollo del Muro di Berlino per l’Europa Orientale, riattivando nella regione
forze autoctone di tipo storico religiose e geo-politico.
        Un altro elemento che ha vuto un ruolo di propulsore della nuova politica
estera della Turchia è rappresentato dalla mancata soluzione della questione
palestinese e dal fallimento dei tentativi turchi di giungere ad una mediazione tra le

2
 Come principale sostenitore di questa teoria vedi Michael Rubin, Turkey, from Ally to Enemy, Commentary,
July 2010.

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parti a causa del mantenimento da parte di Israele di una linea strategica e militare
intransigente sulla questione. In un contesto regionale di ritrovata libertà di manovra
Ankara ha deciso di utilizzare tali rinnovati spazi d’iniziativa per andare là dove la
sua opinione pubblica – e quella di buona parte del mondo mussulmano chiedeva –
ovverosia verso una posizione di rottura con Israele.

      Tutti questi elementi non hanno granché a che fare con la geopolitica
Ottomana o con l’eredità dell’Impero, ma piuttosto rappresentano l’attuazione nello
spazio politico che fu dell’Impero Ottomano di una politica post-americana, che ha
come obiettivo finale vincere la sfida tra i paesi della regione per l’egemonia politico
strategica

      Per decifrare correttamente il significato politico di Erdogan e dell’AKP è
necessario considerare che il suo messaggio e spesso la stessa attività
politica dell’AKP si muovono lungo due direttrici, una interna ed una               Le “due
                                                                                 constituency”
esterna al paese. Quasi come Erdogan sviluppasse il suo messaggio                 dell’azione
politico diretto verso due differenti constituency una interna ed una              politica di
                                                                                   Erdogan.
estera. Quella interna turca, rappresenta la sua base elettorale reale, il
paese che l’AKP governa direttamente, quello che è chiamato a
riconfermare con il voto nazionale e locale il potere di Erdogan. Quella
esterna è costituita dal più grande e generale mondo islamico e in particolare la sua
componente araba della regione Medio Orientale. La filosofia dell’islam politico di
Erdogan prevede infatti una politica estera turca con una forte accentuazione della
componente islamista tranfrontaliera a scapito di una riduzione della componente
secolare e nazionale classica. Alcune delle azioni politiche di Erdogan,
specialmente quelle che più vengono qualificate come “populiste” sono in buona
parte dirette verso le opinioni pubbliche dei paesi arabi ed islamici vicini. Ciò è
conseguente alle ambizioni di crescita politica ed economica della Turchia nella
regione, operazione raggiungibile attraverso la costruzione di un soft power
mediatico che, sfruttando la maggiore stabilità e modernità del sistema paese turco
rispetto a quelli dei paesi limitrofi, consenta di aumentare la popolarità del

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messaggio dell’AKP presso le opinioni pubbliche islamiche. L’importanza della
seconda constituency nei disegni espansivi dell’AKP spiega forse una parte della
mediatizzazione della vicenda di Davos (conseguente al conflitto di Gaza) e
soprattutto di quella della flottiglia di Gaza.

       La presenza di questo doppio bacino di destinatari dell’azione politica del
governo turco ha reso necessario anche l’attuazione di una moderna strategia ildisoft power
                                                                                  turco
comunicazione mediatica internazionale. Una strategia che, amplificando il
messaggio dell’azione politica e diplomatica del governo – ma soprattutto
l’immagine personale del premier Erdogan – e adattandola a dei bacini di utenti
islamici selezionati linguisticamente e culturalmente potesse contribuire alla
costruzione di un soft power mediatico turcocentrico, seguendo gli insegnamenti, le
tecniche e le strategie di comunicazione moderne. Strategie che una società
relativamente aperta e moderna come quella turca ha mutuato dal sistema di
broadcasting anglosassone. La forza dei media turchi è una conseguenza del
sistema di competizione, ancorché oligopolista, esistente in Turchia nel settore,
nonché della ricchezza del paese e dell’estensione del suo sistema commerciale ed
economico – finanziario di impronta capitalista che consente il finanziamento della
tv commerciale e del sistema editoriale.

       Due sono gli strumenti che la Turchia ha particolarmente utilizzato negli ultimi
anni per aumentare il proprio soft-power nella regione: la diplomazia e l’economia. I
due strumenti sono stati impiegati in maniera strettamente correlata tra loro con lo
scopo di aumentarne l’efficacia. Le iniziative politiche e diplomatiche hanno
ampliato gli spazi di manovra, gli accordi di libero scambio hanno favorito
l’incremento dei commerci, che sono decollati in seguito all’attuazione degli accordi
di liberalizzazione dei visti e di libera circolazione delle persone. A loro volta, le
positive relazioni economiche stabilite finiscono per creare delle reti di interessi
economici transfrontalieri che spingono i gruppi coinvolti a fare lobby per ulteriori
miglioramenti delle relazioni bilaterali. In altre parole, la politica di “nessun problema
con i vicini”, oltre ad essere un fatto culturale e politico, esso è in buona parte una

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questione economica. Avviata nel 2002 con l’ascesa al potere dell’AKP, si è ben
presto dimostrata essere un utile strumento per far crescere più velocemente il PIL
della Turchia, soprattutto in un periodo di crisi e di rallentamento dell’economia
dell’Occidente. Dall’avvio della politica di buon vicinato, il commercio di Ankara con i
propri vicini è triplicato in poco meno di un decennio al punto che si rende
necessaria l’apertura di 7 ulteriori valichi di frontiera con Siria, Iraq e Iran. Da
quando l’AKP è giunto al potere ben 15 sono i nuovi paesi che hanno accettato la
proposta di Erdogan di eliminare i requisiti dei visti d’ingresso (Turchia Siria, Libano,
Giordania, Pakistan, Albania, Libia, Bosnia Erzegovina, Croazia, Tanzania,
Tajikistan, Serbia, Cameroon, Kosovo e Qatar) portando a 62 il numero totale di
paesi con i quali vige un accordo di libera circolazione. Attualmente, ulteriori accordi
sono in corso di discussione con Russia, Grecia, Portogallo e Ucraina.
L’interscambio commerciale con i paesi vicini nel 2002 ammontava a circa 5 miliardi
di dollari mentre nel 2010 esso supera ormai i 16 miliardi di dollari. Per avere un
punto di riferimento, si può utilizzare il valore dell’interscambio commerciale della
Turchia con Israele che – al netto del valore degli armamenti – era pari a 4 miliardi
di dollari nel 2008 3. L’apertura della frontiera con l’Iraq ha contribuito per buona
parte di questo incremento, soprattutto rilanciano le economie delle aree depresse
di frontiera. Nel 2002 la provincia di Gaziantep aveva un commercio con l’Iraq pari a
620 milioni di dollari, divenuti oltre 1,5 miliardi di dollari nel 2010. Anche con la
Grecia, nonostante gli effetti della crisi finanziaria, l’interscambio commerciale con
la Turchia è triplicato negli ultimi otto anni.

         Naturalmente il commercio estero della Turchia con gli altri paesi del mondo
non riesce a tenere il passo di crescita di quello che si è stabilito con i paesi
contermini. Nel 2002 il commercio estero di Ankara con i paesi vicini contava solo
per il 5% dell’interscambio commerciale globale. Oggi, il valore del commercio con
gli stessi paesi è arrivato a pesare il 16% dell’interscambio commerciale della
Turchia con il resto del mondo ed è destinato nei prossimi anni a raggiungere circa
un terzo del totale, anche se nelle proiezioni del governo di Ankara si parla di
arrivare al 40% per il 2015.
3
    Vedi The Jerusalem Post del 2 febbraio 2009
                                                                                       9
2.0 Lo sviluppo dell’Islam politico in Turchia e l’emergere
            dell’AKP

       I partiti politici predecessori dell’AKP sono ravvisabili nel National Order Party (Milli
Nizam Partisi, MNP), nel National Salvation Party (Milli Selamet Partisi, MSP), nel Welfare
Party (Refah Partisi, RP), e nel Virtue Party (Fazilet Partisi, FP). Tutti questi partiti
portarono avanti un’agenda politica apertamente islamista e tutti subirono interventi da
parte della magistratura e dell’esercito che portarono alla loro chiusura. Nel 2008 l’AKP evoluzione
                                                                                                   dei partiti
riuscì a resistere un procedimento di chiusura da parte della corte costituzionale mentre le islamisti in
forze armate non sono più nelle condizioni di poter porre termine ad un governo Turchia
                                                                                                   fino
democraticamente eletto. In tale contesto in cui il sistema turco sta prendendo la forma di
                                                                                                   all’AKP
una democrazia matura l’AKP ha sviluppato la sua agenda islamista non direttamente solo
parzialmente all’interno della sua azione politica e di governo quanto piuttosto creando
nella società spazi maggiori di libertà per consentire nella società civile l’emersione dei
valori islamisti. Ciò senza rompere formalmente in maniera evidente i capisaldi della
secolarità dello stato turco.

       Un importante precedente per l’AKP dell’islamismo politico in Turchia è stato
rappresentato dall’esperienza di Necmettin Erbakan. Erbakan si affermò inizialmente nel
sistema camerale delle piccole e medie imprese, divenendo presidente della TOBB, un
unione di camere di commercio rappresentante la piccola imprenditoria. L’annullamento
dell’elezione di Erbakan alla presidenza della TOBB portò alla fondazione del MNP, il
partito dell’Ordine Nazionale, che fu chiuso nel 1971 da un intervento delle forze armate.
Erbakan in seguito fondò il Welfare Party (Refah Partisi, RP) a cui fu impedito, dopo il colpo
di stato del 1980, di partecipare alle elezioni nazionali ma a cui fu consentito di operare a
livello locale, partecipando alle elezioni locali del 1987. Il partito del benessere utilizzò
questi spazi di manovra per realizzare un proselitismo molto territoriale, operando
prevalentemente nelle aree rurali e nelle più degradate aree urbane. Il partito MSP fu
membro di minoranza dal 1974 nella coalizione del partito di governo secolare e
nazionalista CHP, erede dell’esperienza politica kemalista. Per lungo tempo, tuttavia, le
sette religiose turche, tarikats, non entravano direttamente in politica né supportavano
esplicitamente un partito ma si distribuivano su vari partiti politici, prevalentemente di
ispirazione conservatrice.

                                                                                             10
Dall’esperienza del Partito del Benessere l’AKP eredita il concetto di un partito molto
radicato sul territorio con una forte organizzazione di stampo sociale che arrivi a fornire la
sua funzione di assistenza e di welfare nelle aree più povere del paese, là dove non arriva
l’assistenza pubblica e tra i perdenti del processo di modernizzazione del paese. Quando il
RP ebbe la possibilità di formare coalizioni governative mise in agenda la questione
dell’educazione e in particolare le scuole religiose e i corsi di Corano. Le scuole teologiche
secondarie superiori İmam Hatip, erano tradizionalmente mirate a formare gli imam ma
nella nuova logica islamista i curricula di studi vennero ampliati con lo scopo di fornire
un’educazione secondaria parallela a quella laica statale, costruita su un impianto di studi
religiosi. Le scuole erano originariamente basate sulla divisione dei sessi, fin quando, negli
anni novanta, ciò fu proibito per legge dello Stato. La preoccupazione che si diffondeva
negli ambienti secolari del paese era legata al numero particolarmente elevato di studenti
coranici che non sarebbero stati assorbiti dalla istituzioni religiose e che sarebbero finiti per
accedere     nel   sistema   universitario,   preparandosi    per    carriere   nella   pubblica
amministrazione. Il 28 febbraio 1997, al culmine di una serie di tensioni e di allarmi su
tentativi presunti degli islamisti di prendere il potere, ebbe luogo l’ultimo colpo di Stato soft
da parte dei militari, che spinsero Erbakan alle dimissioni estromettendo il partito islamista
dalla coalizione governativa. I sostenitori del partito e le ONG religiose del paese ritengono
l’estromissione dal potere di Erbakan e del suo movimento islamista una grave violazione
della libertà religiosa del paese. Nel 1998 il Partito del Benessere fu sciolto per decisione
della Corte costituzionale mentre nel 2001 venne sciolto anche il nuovo partito nato dalle
sue ceneri, ovverosia il Partito della Virtù (FP). Erbakan fu bandito per cinque anni dalla vita
politica mentre i suoi seguaci fondarono un nuovo partito, il Saadet Partisi, (SP), Partito
della Felicità.

                                                                                              11
L’ottantaquattrenne Erbakan, oggi alla guida del Partito della Felicità (Saadet). Nella
       sua storia politica ha presieduto 4 partiti turchi d’ispirazione islamica

       È proprio in questo contesto dell’ultimo capitolo del lungo scontro tra Stato secolare
e formazioni politiche di ispirazione islamica che L’AKP fu fondato nel 2001 sotto la
leadership di una nuova e più giovane generazione di islamisti, guidati da Abdullah Gül and
Recep Tayyip Erdoğan. Il clima politico era cambiato e la società turca, ma in particolare la
nuova classe dirigente islamista, si era aperta alla globalizzazione ed esposta
                                                                                      il percorso
all’esportazione di principi liberali e libertari emanati dall’Unione Europea. Essa aveva  già
                                                                                         politico
interiorizzato molti dei paradigmi postmoderni, probabilmente più di quelli recepitidell’AKP
                                                                                      dallo
Stato turco, ancora ancorato ad una visione tradizionale e moderna della statualità. Inoltre,
l’ascesa al potere dell’AKP coincide con l’emergenza dell’11 settembre e in particolare con
la rinnovata necessità condivisa a livello internazionale di favorire un processo di
modernizzazione dell’Islam politico capace anche di contemplare una sua progressiva
inclusione nella sfera politica per fare argine a movimenti più estremisti e radicali.

       L’AKP ha vinto due consecutive elezioni parlamentari riuscendo, anche in virtù di
una legge elettorale molto selettiva, di formare governi monocolore. Tra le caratteristiche

                                                                                             12
che hanno portato l’AKP al potere ci sono la modernità della classe dirigente rispetto alla
vecchia percepita come corrotta, ma soprattutto la capacità di dare una risposta alla
domanda di recupero della tradizione e di un sentimento di identità religiosa, unita anche ad
una maggiore attenzione alla diversità del territorio del paese e delle sue componenti
etniche. L’AKP ha inoltre portato in Turchia un’apertura degli spazi di libertà nel paese,
facendosi traduttore di un ondata di liberismo economico e di liberalismo politico verso il
vecchio sistema e i suoi caratteri di autoritarismo ravvisabili nel centralismo dello Stato, nel
rifiuto del riconoscimento della identità politica ed etnica delle minoranze, nella proibizione
della libertà di espressione di identità religiosa, e nel controllo capillare dei contenuti
dell’educazione si Stato

         Da un punto di vista di autocollocamento politico l’AKP rifiuta di definirsi come un
partito islamista e mantiene una identità politica conciliabile con lo stato secolare turco 4. Si
definisce un partito di centro destra – secondo le categorie politiche turche che vedono lo
spazio politico della sinistra occupato dalle forze secolari e nazionaliste - erede politico del
ANAP, il partito della Madrepatria di Ozal, ex presidente e primo ministro turco,
caratterizzato da una visione liberista di riduzione del ruolo dello Stato nell’economia unita
ad una visione di conservatorismo sociale e di moderata apertura all’espressione della
religione nelle società del paese. Qualora voglia essere visto come erede dei partiti islamici
precedenti l’AKP, va riconosciuto che esso deve essere visto come un movimento islamista
che ha spostato l’attenzione dal “Islam nello Stato” al “Islam nella società”. Una sorta di via
di mezzo tra alcune forme di islam liberali presenti in Turchia ed altre di tipo più
tradizionale, una posizione che condivide con alcune sette sufi, taricats, come le taricats
Nakşıbendi e Nurcu (a cui appartiene il movimento di Fetullah Gulen). La loro principale
caratteristica sarebbe rappresentata dal rifiuto di inserire nell’azione politica del partito la
volontà di imporre la Sharia nelle leggi dello stato e nell’attività del governo. Ma una delle
caratteristiche dell’AKP resta quella di unire strumentalmente i due concetti di “libertà” e
“religione” contro la laicità dello Stato secolare dai connotati autoritari. Lo stato secolare e
nazionale turco di impianto kemalista viene accusato dagli islamisti di essere politicamente

4
  Vedi in proposito il discorso tenuto dal leader dell’AKP Erdogan del 10 gennaio 2004. “AK Party emphasizes
civil society and group identity but does not bring to the forefront a worldview that emphasizes religious
communitarianism. (… ) AK Party believes religion is important as a social value, but does not think it is right
to use religion as a political tool, change state ideology and organize around religious symbols. (… ). There is a
great difference between a party that thinks religion and religiosity are important, accepting the social functions
of religion, and a party that uses religion as an ideology and a state tool that targets societal change
http://web.akparti.org.tr

                                                                                                               13
illiberale politicamente, anti-religioso, interventista e socialista nell’economia; inoltre viene
ritenuto anti-islamico il suo concetto di esaltazione della nazione turca che divida l’unitarietà
della umma mussulmana ed impedisce di sviluppare solidarietà e condivisione del popolo
turco con altri popoli islamici di altra nazionalità o etnia, in particolare verso il mondo arabo.

       Una caratteristica, su cui si è riflettuto poco in Europa ed in occidente negli anni
passati, è proprio la forza che l’AKP è riuscita ad ottenere aggiornando l’agenda islamica
                                                                                                 il
con quella delle libertà europee. L’AKP difatti si contraddistingue dai precedenti partiti
                                                                                       neoislamismo
                                                                                              liberale
islamisti per fare della questione della libertà religiosa una questione di libertà democratica
                                                                                                 dell’AKP
e di diritti dell’uomo. Dalla sua ascesa al potere l’AKP proporrà pertanto una serie di leggi in
nome della libertà di culto e delle libertà personali per consentire agli studenti provenienti
dalla scuole superiori teologiche di poter accedere all’università paritariamente alle scuole
superiori statali, per abolire il divieto di indossare il velo nei luoghi pubblici, nonché per
modificare il codice penale e quello civile in tema di diritto di famiglia. Nonostante la forte
maggioranza parlamentare alcune di queste leggi non sono state approvate in quanto
hanno trovato opposizione sia nella società civile che nelle corti e l’AKP ha dovuto
rimandare la loro applicazione. Anche tra gli studiosi turchi di questioni politiche non esiste
una concorde posizione sulla definizione dell’AKP, ovvero se definirlo un partito islamista o
un partito islamico, segno anche della fluida realtà politico-sociale del paese e della
difficoltà di definirne i contorni. Resta come punto fermo il fatto che la Corte Costituzionale
turca, guardiano ultimo della secolarità dello Stato, non ha attuato i minacciati
provvedimenti di chiusura nei confronti dell’AKP, segno probabilmente di un rispetto
formale delle leggi Stato da parte del partito di Erdogan ma anche di un progressivo cambio
nella giurisprudenza della corte in tema di pluralismo politico. Cambio che nel lungo periodo
sarà influenzato anche dalla progressiva affermazione all’interno della magistratura (con un
processo lento ma simile a quanto in corso anche all’interno delle Forze Armate) di uomini
vicini al nuovo partito di maggioranza assoluta che governa il paese con successo ormai da
circa un decennio e che inizia già a contare propri uomini all’interno delle tecnostrutture del
paese come magistratura, forze armate e forze di sicurezza.

                                                                                                14
Giudici della Corte Costituzionale turca in visita al Mausoleo di Ataturk

       Qualora non si voglia seguire l’ipotesi della costituzionalità e del rispetto delle leggi
dello Stato da parte della formazione dell’AKP, può essere formulata un'altra ipotesi per
spiegare la mancata sanzione da parte della Corte suprema del paese verso il movimento
di Erdogan, ossia quella del suo fulminante successo politico. Da un punto di vista realista
ed effettivo, salvo fragranti e manifeste violazioni della carta costituzionale, non è ormai più
possibile per la Corte Costituzionale turca bandire l’AKP sulla base di motivazioni
preventive, dubbie o speciose, ma è necessario riscontrare effettiva gravità e “flagranza”
del potenziale reato. Ciò perché l’AKP è oramai saldamente il primo partito del paese per
consensi espressi, forte di una maggioranza assoluta in parlamento. Il contesto dei rapporti
di forza creatisi negli ultimi anni rende oramai impossibile alla magistratura turca di operare
come avvenuto in passato nei confronti di partiti islamisti alleati di minoranza nel governo
intervenendo in quell’ampia area grigia interpretativa che consentiva alle corti di intervenire
nella vita politica del paese. Quest’area grigia si è oramai ridotta, facendo aumentare gli
spazi di manovra a disposizione dell’AKP, ormai de facto al riparo delle interpretazioni più
restrittive delle leggi da parte degli organi giudicanti dello Stato turco.

       La carriera politica di Erdogan ha assunto i caratteri della notorietà con l’elezione
                                                                                          carriera
come sindaco di Istanbul. In questo periodo vengono gettate le basi della sua popolarità,
                                                                                   politica di
                                                                                    Erdogan
ma ad esso risalgono anche le prime condanne per reati d’opinione quando il duro sistema

                                                                                             15
giudiziario turco lo condannò a 10 mesi di carcere per incitamento all’odio religioso avendo
egli recitato pubblicamente una poesia religiosa del poeta nazionalista turco Ziya Gökalp
nel corso di un raduno politico. Erdogan fu uno dei fondatori nel 1998 del Partito della Virtù,
nato dalle ceneri del RP dopo che fu messo fuori legge dalla Corte costituzionale accusato
di svolgere attività politica anti secolare. A sua volta il Partito della Virtù fu dichiarato
fuorilegge nel 2001 sempre per le stesse accuse di attività contrarie al regime secolare del
paese, e fu allora che Erdogan ruppe con il suo mentore Erbakan formando l’AKP,
adottando una postura politica più pragmatica e orientata ad inserirsi dall’interno nel
sistema statale rispettandone le leggi. Erdogan ha moderato considerevolmente la sua
retorica ed il suo linguaggio, candidandosi ad intercettare una vasta fascia dell’elettorato
turco deluso dagli scandali e dalla corruzione dei partiti tradizionali di governo. Alle prime
elezioni politiche Erdogan ha raccolto una maggioranza del 34% dei votanti.

        Da un punto di vista economico l’AKP viene ritenuta una forza liberale,
                                                                                             la battaglia nei
liberista e filo occidentale che tuttavia al tempo stesso persegue anche un azione           settori
politica volta ad erodere alcune delle caratteristiche dello stato laico, secolare e         dell’educazione e
nazionalista costituenti l’anima dalla Turchia di Ataturk. Difatti, una delle costanti       giudiziario

dell’azione politica dell’AKP è stata rappresentata dalle riforme liberali realizzate
con l’obiettivo di ridurre il potere e l’influenza del settore militare sulla società e di
aumentare i diritti per la comunità islamica.

        Una delle prime riforme dell’AKP è stata quella mirante a ridurre l’influenza dei
militari nel Consiglio Nazionale di Sicurezza (MGK) e nel Consiglio per l’Educazione
Superiore (YOK). Ma una delle azioni chiave nel settore dell’educazione portata avanti
dall’AKP è stata rappresentata dal recupero del vecchio cavallo di battaglia del RP mirante
a favorire quote di accesso riservate all’università anche al clero proveniente dalle scuole
teologiche (imam hatip). L’accesso alle università da parte del clero proveniente dalla
scuole coraniche apre la possibilità del loro inserimento nella pubblica amministrazione.

        Naturalmente, l’influenza del partito di governo sull’educazione pubblica che formerà
le prossime classi dirigenti del paese non si limita agli aspetti macronormativi ma una vera
e propria “battaglia” di nomine è in corso per l’inserimento di professori e presidi di idee
islamiste e per l’inserimento nei curricula scolastici di un maggior numero di materie
islamiche. Anche per avere una maggior mano libera nella nomina dei presidi delle

                                                                                                 16
università scavalcando lo YOK il governo ha perseguito la strada della creazione per legge
di nuove università con rettori selezionati dal governo.

       Nel settore giudiziario il governo si è fatto portatore di una legge per accelerare il
pensionamento obbligatorio dei funzionari pubblici, abbassando l’età del fine servizio e
aprendo così l’opportunità per la nomina di migliaia di nuovi procuratori giudici. Lo scontro
sul controllo del sistema giudiziario si è esteso anche al rapporto con il presidente della
Repubblica che ha posto il veto a numerose nomine fatte dall’AKP nel settore giudiziario e
ha rimandato alla corte costituzionale moltissime leggi approvate dal parlamento controllato
dall’AKP.

       Tra gli strumenti di Soft Power di cui dispone la Turchia bisogna sicuramente
considerare il movimento religioso e caritatevole transnazionale Gülen, fondato dal teologo
islamico sufi Fethullah Gülen, uno dei più autorevoli intellettuali turchi dal profilo
internazionale. Il suo movimento è divenuto nel corso degli anni un importante attore sul
piano globale nella proiezione internazionale della Turchia. Tale movimento, la cui
importante influenza è rilevante tanto per le dinamiche politiche interne quanto per quelle
internazionali dello Stato turco, risiede nella forza economica e culturale del gruppo e in
particolare nelle attività di assistenza e proselitismo espressione della versione sufi
dell’Islam. Al tempo stesso, il movimento di Gülen è riuscito a sviluppare una visione
universalistica di un Islam caratterizzato da un agenda modernista e conservatrice al tempo
stesso, non insensibile ai richiami anche della turanicità ma anche ad una visione di dialogo
inter-religioso tra Islam, cristianesimo ed ebraismo. Il movimento Gülen è riuscito a servirsi
dei benefici della globalizzazione economica al fine di raggiungere un’egemonia sociale
all’interno del paese e soprattutto verso la sua proiezione esterna. Il movimento è un attore
economico internazionale con un atteggiamento pro mercato e che investe i ricavi dei
profitti ottenuti in vari settori nel campo dell’educazione e in quello dei media per perseguire
una propria agenda di modernizzazione e di rivalutazione del substrato islamico del paese,
inteso come base per costruire una piattaforma di consenso interno (ad esempio tra turchi,
curdi ed Alawiti), ma anche internazionale intraislamico. In ciò, si può dire che il movimento
Gülen opera in maniera estremamente coerente a quella che è l’azione politica del governo
dell’AKP rappresentando un importante strumento di soft power del potere della Turchia
verso l’estero islamico e ampliando notevolmente con strumenti non statali la portata
dell’outreach di Ankara all’estero.

                                                                                             17
Fethullah Gülen ed Erdogan quando quest’ultimo era sindaco di Istanbul

       Il movimento costruisce da molti anni fuori dalla Turchia ospedali, università,
dormitori per gli studenti, realizza corsi di preparazione per l’ammissione all’università turca,
gestisce un organizzazione umanitaria internazionale. Particolarmente importanti sono le
attività del movimento nel campo dell’informazione e dei media, grazie al controllo di un
gruppo editoriale che include il più letto quotidiano turco “Zaman” e la sua versione inglese
il Today’s Zaman, la rivista Aksiyon, la rete televisiva Samanyolu. Al ramo non profit si
unisce il controllo di importanti holding economiche, come ad esempio il Kaynak Holding
Group, banche e compagnie assicurative, nonché centinaia di imprese in giro per il mondo.
Il settore dell’educazione è sicuramente il più diffuso con oltre mille scuole ed università
attive nelle diverse parti del mondo 5.

       La rete delle scuole del movimento è presente in circa 90 paesi. La maggiore
concentrazione si trova nella regione dell’Asia centrale e in Azerbaijan anche per la
spiccata attitudine del movimento di       focalizzarsi soprattutto sui paesi turcofoni, e in
particolari quelli dell’ex Unione Sovietica e nei Balcani. Uno degli obiettivi di queste
istituzioni educative è quello di formare una vera e propria classe dirigente legata alla

5
 Mapping the Gülen Movement A Multidimensional Approach, Conference Papers, October 7, 2010 Felix
Meritis, Amsterdam, The Netherlands, pag. 119.

                                                                                              18
Turchia e che si ispira alle idee di Gülen. Scuole del movimento si trovano anche in
Armenia, Stati Uniti, Australia, China, Cambogia, Africa Sub Sahariana, India, Pakistan e in
diversi paesi occidentali dove sono presenti consistenti minoranze turche, come per
esempio la Germania.

         Nei paesi del Medio Oriente la presenza del movimento è più diversificata. Esso
vanta una presenza in Iraq, in particolare nel Kurdistan e nelle zone ove si concentrano
minoranze turcomanne, anche se queste sono maggiormente sciite e non sunnite. Anche
grazie alla penetrazione di questo movimento nel paese, il governo turco ha saputo
ricostruire una propria presenza nell’Iraq post Saddam Houssein e in particolare con il
Kurdistan Regional Government, utilizzando in particolare lo strumento della costruzione
nel Kurdistan colpito dalla guerra e dall’abbandono da parte del governo centrale, di scuole,
ospedali e università. Rapporti piuttosto stretti in Kurdistan sono stati costruiti dal
movimento Gülen con il partito della Islamic Union for Kurdistan 6, una piccola formazione
islamista che opera per risolvere il problema curdo all’interno di una visione islamica della
società. Tuttavia una certa resistenza il movimento la trova propria da parte di alcuni partiti
e movimenti curdi radicali che cercano di contrastare la presenza del Movimento Gülen sul
territorio del Kurdistan turco, accusandolo di lavorare segretamente per voler dissolvere
l’identità nazionale curda all’interno di una visione panislamica. Sedi del movimento sono
stati oggetto in passato delle attività di protesta da parte di militanti del ora disciolto DTP e
sono stati identificati come obiettivi potenziali da parte del PKK.

         Oltre all’Iraq una certa attiva presenza si registra in Egitto, Giordania, Yemen e
Tunisia, nonché in Libano. Qui il movimento ha aperto numerose attività e, sul piano
politico, ha preso posizione contro il movimento degli Hazbollah causando tensioni tra i due
gruppi divisi non solo sul piano religioso e politico ma anche da una forte competizione
nelle attività sociali.

         Anche in Iran l’attività del movimento è stata ostacolata dal governo in particolare a
causa del sospetto che esso cercava di insediarsi con le sue opere presso l’etnia azera
iraniana, oltre 15 milioni di persone che rappresentano la seconda etnia del paese con forti

6
   Il moviemnto politico Kurdistan Islamic Union, si autodefinisce come un partito islamico riformista
impegnato a Describes itself as "an Islamic reformative political party that strives to solve all political, social,
economic and cultural matters of the people in Kurdistan from an Islamic perspective which can achieve the
rights, general freedom, and social justice.” The party secretary is Salah al-Din Baha al-Din. The group is
closely tied to the Muslim Brotherhood.

                                                                                                                19
legami culturali e linguistici con la Turchia. A causa dei sospetti del governo iraniano circa
possibili aspirazione panturche, il movimento e’ sempre stato guardato con estremo
sospetto ed il governo non ha mai rilasciato permessi per aprire delle scuole in area abitate
in prevalenza da popolazioni di lingua turca.

                                                                                           20
3.0 L’ambigua cooperazione tra Turchia e Iran

       I rapporti tra Turchia ed Iran sfuggono ad una semplice lettura politica, ma rivestono
una complessa natura in cui il carattere storico e religioso-culturale rappresenta una
dimensione molto importante, rendendo le relazioni bilaterali una rete complessa e
sofisticata. Turchia ed Iran sono gli eredi di due grandi imperi islamici, quello ottomano e
quello persiano, entrambi non arabi e quindi fondamentalmente orientati a una diversa
percezione ideologica e geopolitica del mondo islamico. I rapporti sul confine turco-iraniano
si sono oramai stabilizzati da secoli e tale limes è stato riconosciuto formalmente dai due
paesi nel 1932. La data storica di riferimento a cui si fanno risalire le relazioni frontaliere tra
i due paesi è il 1639, anno in cui fu firmato il Trattato di pace di Kasr i Shrin che definì i
confini tra impero persiano e impero ottomano. Frontiera che, con minori modifiche,
rappresenta ancora oggi il confine che corre tra i due paesi e che è stata ed è tuttora
considerata uno dei confini meno problematici della regione.

       Rapporti sostanzialmente buoni si sono mantenuti tra i due paesi fino al 1979, l’anno
della rivoluzione iraniana. Dalla rivoluzione iraniana in poi si registra un peggioramento in
tutti i campi del rapporto tra Teheran ed Ankara, sostanzialmente dovuto all’irruzione dagli
elementi ideologico-religiosi emanati dalla rivoluzione iraniana e dal rischio di esportazione
di una simile rivoluzione islamista in Turchia.
                                                                          breve excursus storico delle
       Un primo miglioramento delle relazioni tra Ankara e Teheran si ebberelazioni
                                                                           nel corsotra Iran e Turchia
                                                                                      della
lunga guerra tra Iran e Iraq (1980 – 1988), dovuto sostanzialmente al fatto che Teheran
aveva un profondo interesse strategico a che la Turchia non rifornisse l’Iraq di beni
strumentali alle operazioni belliche. In aggiunta, Teheran aveva anche bisogno di uscire
dalla rete di sanzioni economiche che USA, Europa e UN avevano introdotto, rafforzando
su tali basi la cooperazione economica tra i due paesi.

       Un ulteriore elemento di comune interesse strategico tra i due paesi è rappresentato
dalla gestione della questione curda e dalla crescente presenza di basi di addestramento
del PKK in Iran, nel mentre si acuiva la contrapposizione tra le diverse forme di islam turco
ed iraniano, con l’abisso venutosi a creare tra il regime secolare kemalista ed il regime
teocratico degli ayatollah. Naturalmente anche il rapporto con gli Stati Uniti d’America e con

                                                                                                21
la NATO veniva a rappresentare un punto discriminante nel rapporto tra Ankara e Teheran,
capace di allontanare i due paesi ponendoli in fronti contrapposti, soprattutto alla luce del
confronto con l’Iraq

       Questi sono alcuni dei principali elementi che hanno spinto i due paesi verso un
complesso scenario di collaborazione/competizione, caratterizzato sia da una dimensione
religioso – ideologica sia da una competizione per l’egemonia ed il potere su base
regionale.

       L’appartenenza della Turchia alla NATO, e quindi la stretta alleanza strategica con
gli Stati Uniti, ha congelato ulteriormente le divisioni esistenti tra i due paesi creando una
sorta di guerra fredda interna al mondo islamico che ha profondamente condizionato le
relazioni politiche, senza tuttavia alterare gli scambi commerciali ed economici; scambi che
sono proseguiti tra i due paesi anche dopo l’ingresso della Turchia nella NATO. Dopo il
crollo del Muro di Berlino si sono create nuove forme di competizione tra Iran e Turchia
legate al dinamismo geopolitico centroasiatico di Ankara verso l’Asia centrale. Questo
nuovo scenario geopolitico creatosi in Asia centrale portava in competizione strategica
Ankara e Teheran. In questo scacchiere la concorrenza nasceva dal fatto che sia Turchia
che Iran erano (e sono) interessati a colmare il vuoto geopolitico causato dalla ritirata
sovietica; con il ritirarsi ed il rarefarsi della presenza di Mosca nell’area Iran e Turchia
hanno avviato una competizione a distanza dei loro relativi soft power, dando vita ad una
complessa partita a tre sviluppatasi lungo molteplici piani strategici: quello islamico, quello
energetico, quello linguistico culturale. In certi momenti di questo confronto è apparso che
Mosca, in difficoltà nel corso degli anni novanta a gestire la sua ritirata politico-militare
dall’area, abbia addirittura preferito, dovendo scegliere, di favorire una presenza iraniana
ad una turca nell’area dell’Asia centrale. Ciò naturalmente in funzione antiamericana, a
causa del timore rappresentato da un avvicinamento dei paesi dell’area alla NATO, un
avvicinamento che Ankara avrebbe, prima o poi, portato in dote. Negli anni novanta, con la
NATO che ancora non aveva messo piede in Afghanistan, questo scenario veniva visto con
estrema negatività tanto da Mosca quanto da Teheran. Il fatto che la spinta panturca verso
l’Asia centrale si sarebbe rivelata di breve durata ha in buona parte contribuito a
riposizionare sul neutrale le relazioni tra Turchia ed Iran, almeno su questo scenario. La
potenziale collaborazione energetica in Asia centrale – e in particolare in Turkmenistan –
giocava invece in favore di maggiori rapporti tra i due paesi, anche se questa
collaborazione intentata dalle compagnie energetiche turche nel corso degli anni novanta fu

                                                                                            22
vista in maniera molto negativa dagli Stati Uniti d’America anch’essi interessati alla partita
geo-energetica dell’Asia centrale.

          Un altro fattore di connessione tra Turchia e Iran – che può svilupparsi tanto verso
un rapporto di collaborazione quanto verso un forme di ingerenza interna e di conflittualità,
è dato dalle questioni etniche interne ai due paesi. Molte delle popolazioni che vivono tra la
Turchia orientale, il Caucaso e l’Iran settentrionale rappresentano una complessa ragnatela
ed un intreccio etnico linguistico difficilmente districabile, che fa sì che popolazioni di ceppo
turco vivono come importanti minoranze in Iran, mentre Ankara condivide con Teheran la
questione curda. Questi intrecci etnici hanno in passato dato origine ad accuse di ingerenze
nelle questioni interne con Teheran, che denunciava il tentativo turco di aizzare le
minoranze periferiche contro il governo centrale iraniano e la Turchia che accusava l’Iran di
dare ospitalità e sostegno militare alle formazioni guerrigliere del PKK che operavano in
Turchia. Ma anche queste forme di disturbo tattico ed ingerenza negli affari interni tra
Ankara e Teheran erano in buona parte un’eredità della guerra fredda e nel corso degli anni
novanta hanno lasciato il posto a nuovi sviluppi geopolitici.

          La nuova fase nelle relazioni turco iraniane matura nel maggio 2002, nell’imminenza
dell’intervento militare americano in Iraq. In tale contesto, ha luogo la storica visita del
Presidente turco Ahmet Necdet Nezer a Teheran che incontrerà il presidente iraniano
Ahmadinejad. Da quella visita i due paesi daranno vita ad una rinnovata cooperazione
economica che vedrà nel quinquennio successivo i rapporti commerciali crescere di ben 6
volte, raggiungendo i 7,5 miliardi di dollari nel 2007.

          Questi sviluppi finiranno per avvicinare gli interessi dei due paesi dopo la guerra in
Iraq del 2003, quando emerse in maniera evidente l’enorme difficoltà della coalizione
                                            la guerra
alleata a stabilizzare l’Iraq post-Saddam, con        in segnali
                                                evidenti Iraq come   trigger
                                                                 di una      per loimplosione
                                                                         possibile  sviluppo dio
                                                     nuove relazioni tra Turchia e Iran
dissoluzione del paese in più stati frammentati ed in preda a varie tipologie di terrorismo.
Un tale scenario era vissuto con enorme preoccupazione da parte di Ankara, in quanto la
creazione di un Kurdistan iracheno indipendente avrebbe costituito una variabile geopolitica
nuova ed estremamente pericolosa per l’integrità territoriale turca. Inoltre il pantano
iracheno rischiava di portare in rotta di collisione due paesi fondamentali nella geopolitica
turca quali gli USA – principale alleato di Ankara – e l’Iran, il più importante e strategico
vicino.

                                                                                              23
È chiaro che per la Turchia, dopo la guerra in Iraq e il fallimento di un veloce e
rapido regime change a guida americana, l’importanza del rapporto con Teheran è
aumentata notevolmente divenendo il rapporto regionale più strategico per Ankara. È
presto emerso difatti che le chiavi della sicurezza o dell’insicurezza del teatro iracheno
erano tanto nelle mani di Washington quanto nelle mani di Teheran. Anzi, negli anni
immediatamente successivi all’invasione dell’Iraq, in Turchia si è progressivamente diffusa
la convinzione (rafforzata dal cambio di amministrazione americana) che l’influenza di
Washington negli equilibri interni iracheni sarebbe destinata a diminuire considerevolmente
nel lungo periodo con il migliorare della situazione di sicurezza interna; e che comunque
tale influenza non potrà essere della stessa portata di quella che – quasi naturalmente in
forza della sua posizione geografica e del “ponte” sciita – emana da Teheran. Dopo la
caduta di Saddam Houssein l’Iran ha visto rafforzarsi la sua posizione di potenza regionale
sia direttamente, per la scomparsa di un regime ostile che ne bilanciava la potenza, che
indirettamente, perché divenuto uno degli attori in grado di influire in profondità nel quadro
politico e di sicurezza iracheno; rendendo con ciò inevitabile includerlo de facto nei
negoziati di ricostruzione.                            Ankara e Teheran nello scenario iracheno
                                                                    post Saddam
       Il processo di riavvicinamento tra Turchia e Iran è avvenuto in più tappe. Nel 2003,
nel momento dell’intervento armato, Ankara e Teheran si sono ritrovate – naturalmente per
motivi diversi – nella stessa posizione tattica di opposizione alla guerra e alla dissoluzione
del regime iracheno e alla sua sostituzione con un nuovo governo filo occidentale. Nel
periodo del post-conflict le due posizioni si sono differenziate, con la Turchia che ha giocato
sostanzialmente una politica di retroguardia mirante ad impedire la frammentazione
ulteriore dell’Iraq post Saddam mentre l’Iran si è inserito come giocatore in campo nella
violenta e complessa partita del terrorismo e della guerriglia antiamericana; posizione che
ha aggravato ulteriormente la destabilizzazione interna dell’Iraq andando quindi in direzione
contraria agli interessi turchi. Ma l’avvio di una exit strategy americana dall’Iraq e la
necessità per gli USA di coinvolgere nella partita, con le dovute prudenze e filtri, Teheran
ha riallineato – seppur tatticamente e a breve termine – gli interessi di Turchia e Iran. Una
delle interfacce della collaborazione tra Ankara e Teheran nello scenario iracheno potrebbe
essere rappresentata dall’ambigua figura del clerico sciita Muktada al-Sadr, che ha visitato
la Turchia nel maggio 2009.

       L’interesse manifesto di Ankara per un Iran stabile è emerso con chiarezza nel
                                                                                       la Turchia e le
corso delle proteste seguite alle elezioni presidenziali iraniane del 2009, quando la Turchia
                                                                                           proteste di
                                                                                         piazza
                                                                                            24 in Iran
è stato l’unico paese della NATO a mantenere una posizione di comprensione verso le
posizioni del regime di Teheran. Il ministro degli Esteri turco Davutoglu è stato molto rapido
ad esprimere le felicitazioni del governo per il rinnovo del presidente iraniano Ahmadinejad
e tanto il primo ministro Erdogan quanto il presidente della repubblica Gül sono stati tra i
primi capi di stato e di governo a telefonare al leader iraniano per esprimere direttamente le
proprie congratulazioni. Davutoglu ha espressamente chiarito che, per quanto riguarda la
Turchia, le proteste di piazza fanno parte delle vicende di politica interna, nelle quali Ankara
non vuole interferire e anzi ritiene pericolosa questa fase di confronto per la stabilità
regionale 7. Il governo turco, ha accolto in senso positivo le elezioni iraniane che a detta del
Ministro degli Esteri di Ankara sono state caratterizzate da “ an extremely animated and
fiercely contested electoral campaign with an high election turnout that led to a very
different interpretation of the political results after the elections. I think that we should take
this as a sign that the political process in Iran is very healty” 8. Come conseguenza di tale
posizione il governo turco si è rifiutato di pronunciare ogni giudizio in merito alla regolarità
della consultazione ed anche solo di criticare l’uso della forza da parte delle forze di
sicurezza iraniane 9. L’approccio di Ankara è naturalmente un approccio conservatore, che
teme i fenomeni di implosione statuale, soprattutto in quei paesi in cui non esistono salde
maggioranza etniche (e tale è l’Iran, con poco più del 50% della popolazione di origine
persiana). Per evitare possibili scenari in stile balcanico, che metterebbero in pericolo
l’intera regione e la stessa coesione etnica interna, Ankara persegue la politica del non
regime change e del mantenimento dei confini esistenti, di qualunque natura o inclinazione
siano i regimi che li governano.

        Anche in funzione di questo implicito patto, le relazioni tra Iran e Turchia sono
costantemente migliorate negli ultimi anni, in particolare dopo l’ascesa al potere dell’AKP di
Erdogan, rinvigorite da un crescente interesse economico tra i due paesi: all’aumentare
dell’isolamento internazionale e commerciale dell’Iran, la Turchia vedeva aumentare il
proprio ruolo di partner economico privilegiato, con un interscambio commerciale tra i due
paesi, che ha iniziato a decollare dal 2000; nel 2007 il volume dell’interscambio ha superato
gli 11 miliardi di dollari. Nel 2008 le esportazioni turche verso l’Iran hanno registrato
un’impennata di circa il 70% rispetto all’anno precedente, mentre le esportazioni iraniane

7
  Vedi ad esempio l’intervista rilasciata da Davutoglu al settimanale tedesco Spiegel Turkey doesn’t want
chaos in the Middle East, Intervista di Daniel Bednarz del 22 giugno 2009
8
  Daniel Bednarz, supra.
9 Vedi Paolo Quercia, La Turchia guarda la piazza di Teheran con preoccupazione, in Osservatorio Strategico
CeMiSS, giugno 2009.

                                                                                                        25
verso la Turchia sono cresciute di oltre il 40%. All’interno del commercio bilaterale è
cresciuto il peso della partita energetica, divenuta sempre più strategica dall’accordo del
2008 sulla produzione e il trasporto congiunto di gas iraniano, via Turchia, verso
l’Europa 10. Progressivamente, anche i primi investimenti turchi hanno iniziato a prendere
piede in Iran, specialmente nella regione iraniana dell’Azerbaijan orientale, ove si registrano
attive circa 50 aziende a capitale turco, che hanno delocalizzato 11 in Iran per sfruttare il
costo più basso della manodopera e che sono concentrate prevalentemente attorno alla
città di Tabriz. L’interesse della Turchia è anche quello di aprire il confine con l’Iran agli
scambi economici per sollevare le province orientali, come quella di Van, dal ritardo nello
sviluppo economico rispetto al resto del paese.

        La tendenza al rafforzamento dei rapporti bilaterali tra Turchia e Iran è continuata
negli anni successivi. Il 2010 ha fatto registrare più che un ’ulteriore raddoppio
dell’interscambio     commerciale       rispetto   al   2009     che    si   è   avvicinato       al   valore
dell’interscambio con gli USA. Anche le importazioni dalla Iran, in Turchia sono cresciute
del 130,7 % raggiungendo i 5,36 miliardi di dollari 12. La rapidità dell’accelerazione dei
rapporti economici tra i due paesi corrisponde ad una precisa strategia che proprio nel
corso del 2010 è stata ulteriormente ribadita in diverse occasioni, al punto che ci si attende
– qualora dovessero essere ulteriormente liberalizzati gli scambi transfrontalieri con
l’abolizione di dazi e tariffe – che esse possano posizionarsi attorno ai 15 miliardi di dollari
annui. Un rapporto commerciale di primo livello per un paese sotto embargo economico e
finanziario, che si conferma tale anche dopo l’applicazione delle nuove sanzioni
economiche.

                     Valore     dell’interscambio 6,3 miliardi $
                     Turchia - IRAN
                     Valore     dell’interscambio 9,7 miliardi di $
                     Turchia - USA
                     Valore     dell’interscambio 10,6 miliardi di $
                     Turchia – ITALIA

10 Paolo Quercia, art. cit.
11
   Vedi Hurriyet Daily News, 28 luglio 2009, “Turkey investors move factory to iran”
12
   Vedi Ansa del 27 ottobre 2010 “Turchia: sanzioni non frenano scambi, import cresce del 130%”

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