Centro Militare di Studi Strategici Ricerca 2010 - Difesa
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Centro Militare di Studi Strategici Ricerca 2010 Nuove sfide per l’Italia nell’Europa Sud Orientale: possibili sviluppi della nuova geopolitica turca in seguito al mancato ingresso nell’Unione europea e al rafforzamento dei rapporti di vicinato con Iran e Iraq Direttore della Ricerca Dott. Paolo QUERCIA
Indice della ricerca 1.0 Cambiamenti nella politica estera turca e il concetto di neo-ottomanesimo 2.0 Lo sviluppo dell’Islam politico in Turchia e l’emergere dell’AKP 3.0 L’ambigua collaborazione tra Turchia e Iran 4.0 Turchia e Iraq: sviluppi futuri dello scenario iracheno post-americano 5.0 Altre aree di interesse strategico : UE, Russia, Israele 6.0 Conclusioni 7.0 Bibliografia 2
1.0 Cambiamenti nella politica estera turca e il concetto di neo- ottomanesimo Molti sono gli indizi che spingono a ritenere la Turchia nel mezzo di un cammino di mutamento della propria politica estera o addirittura di un ricollocamento della propria posizione geopolitica nello spazio balcanico e mediorientale che fu Ottomano. Spesso vengono citate le recenti azioni della diplomazia turca diretta dal 2002 dall’AKP, le relazioni sempre più privilegiate stabilite con Iraq, Iran, Siria e Russia, la rottura dell’alleanza strategica con Israele o la teoria della “profondità strategica” sostenuta dal Ministro degli Esteri Davutoglu. Tuttavia, una delle maggiori indicazioni dei mutamenti della politica estera turca può essere ravvisata anche nella crescente distanza che si ravvisa tra le attuali convinzioni dell’opinione pubblica turca e la tradizionale immagine che l’Occidente ha della politica estera di Ankara. Un recente sondaggio ha chiesto ad un campione rappresentativo di cittadini turchi di indicare quali siano i paesi stranieri che rappresentano il maggior pericolo per la sicurezza della Turchia; con sorpresa, e confermando i segnali dello slittamento dell’opinione pubblica turca rispetto alle tradizionali linee di politica estera del paese, il 43% dei cittadini ha risposto che il paese che costituisce il maggior pericolo sono gli Stati Uniti (43%), seguiti da Israele (23,7%), Iran (3%), Grecia (2,3%), Iraq (2,1%) ed infine Russia (1,7%) 1. I due principali alleati della politica estera turca sono dunque oggi percepiti come maggiori minacce alla sicurezza nazionale. Ciò in buona parte conferma quanto alcuni osservatori occidentali della realtà turca sostengono da qualche anno, ossia il fatto che con l’arrivo al potere dell’AKP ha 1 Sondaggio condotto da Metropoll su un campione significativo della popolazione turca. Vedi Justin Vela Many Turks see US as a great threat, Southeast Euroepan Times Istanbul, 10 gennaio 2011. 3
preso forma politica quel processo di cosiddetta reislamizzazione iniziato nel paese già a partire dagli anni ottanta, quando il modello kemalista iniziò a mostrare i primi segnali di crisi del suo modello tradizionale favorendo l’emersione di una preoccupante crisi di identità che accentuò anche lo sviluppo di forze centrifughe. La risposta a queste forze centrifughe e alla crisi del modello kemalista vedrà l’affermarsi di nuove iniziative di tipo sociale e politico che prenderanno varie forme e che, progressivamente, porteranno alla costituzione dello lo zoccolo conservatore islamista che costituisce oggi la base elettorale dell’AKP. La reislamizzazione è in primo luogo un processo interno alla società turca, ma che ha un equivalente dal punto di vista delle relazioni internazionali che viene identificato da un numero crescente di analisti con il concetto di neo ottomanesimo, ossia il recupero dello spazio geopolitico che appartenne all’impero ottomano e che si estende dallo spazio anatolico verso i Balcani, il Medio Oriente ed il Nord Africa. L’impero Ottomano nella sua massima estensione agli inizi del XVIII secolo 4
Da alcuni anni è iniziato in occidente un dibattito sul riposizionamento anti- occidentale della politica estera turca in nome della riscoperta della vecchia eredità geopolitica Ottomana. Tale dibattito viene spesso etichettato con il nome di neo ottomanesimo ed include anche una appendice che ipotizza che l’Occidente “ha perso la Turchia”. Tale dibattito è ulteriormente aumentato dal dicembre 2008 e in particolare dalla rottura del rapporto con Israele deterioratosi significativamente a partire dall’intervento su Gaza. Tale dibattito è mosso da una serie di elementi: una nuova base ideologica della politica estera turca, particolarmente accentuatasi da quando al Ministero degli Affari Esteri è stato nominato il Ministro Davutoglu, già consigliere di lungo corso per gli affari internazionali di Erdogan e teorizzatore del concetto di profondità strategica; i nuovi assetti geopolitici del Medio Oriente delineatisi dopo la scomparsa dell’Iraq di Saddam Houssein e in particolare la crescita della Turchia come una potenza regionale emergente che dal 2000 al 2008 ha triplicato il suo prodotto interno lordo ed ha avviato una intensa attività diplomatica e di mediazione strategica nei principali conflitti regionali, dai Balcani, all’Iran alla questione palestinese, al Libano. Questi ritrovati spazi di manovra hanno spesso messo in contrasto la Turchia con Stati Uniti ed Israele, in particolare per quanto riguarda la relazionai intrattenute con Iran e Siria, per la dimensione islamista di alcuni tratti della politica estera del paese e per una ritrovata assertività che sembra non riconoscere più vincoli transatlantici. In particolare, ciò che desta perplessità è la politica di confronto e di rottura avvenuta con l’antico alleato israeliano verso cui Ankara ha avviato una politica di aumento della tensione strategica con l’obiettivo di porsi agli occhi del mondo arabo come il difensore più risoluto della causa palestinese. Secondo alcuni, la causa di questa politica è interamente attribuibile all’elemento islamico e all’ascesa al potere dell’AKP la cui agenda islamica “nascosta” si sarebbe dispiegata con maggiore evidenza nel campo delle relazioni internazionali. Anche il rallentamento del processo di adesione all’Unione Europea 5
viene ugualmente ritenuto responsabile del processo di islamizzazione interno del paese e di ottomanizzazione della sua politica estera 2. In realtà, tale teoria pur avvincente è difficilmente sostenibile con certezza. In primo luogo, il processo che ha portato al potere l’AKP è costituito da una dinamica democratica interna al paese che si è manifestata non appena il processo di avvicinamento all’Unione Europea ha dato i suoi frutti ampliando gli spazi di libertà interni a discapito del potere dei militari e della magistratura che hanno dovuto subire un costante processo di ridimensionamento nel nome dei diritti dell’uomo e degli standard democratici richiesti da Bruxelles. Tale processo di emersione di un movimento conservatore islamico è solo marginalmente collegato con gli sviluppi di politica estera del paese ed è molto più riconducibile ai mutamenti avvenuti nel contesto geo-politico internazionale. La fine della guerra fredda ha reso necessario per Ankara uscire dal ristretto ruolo di isolamento strategico del paese, costruendo quella profondità strategica con i suoi vicini. Tale profondità strategia è in primo luogo il risultato della necessità di migliorare le relazioni economiche particolarmente ridotte con i paesi contermini e di avviare strategici progetti energetici al fine di trasformare la Turchia in un hub energetico. Inoltre, nello scorso decennio sono avvenuti due eventi che hanno ulteriormente spinto la Turchia a sviluppare una politica estera dissonante da quella statunitense nella regione: il conflitto con l’Iraq, fortemente avversato da Ankara, che ha sbloccato l’equilibrio militare della regione, costruito attorno al conflitto permanente tra l’Iraq secolare e sannita di Saddam e l’Iran teocratico e sciita degli Ajatollah. La rottura di questo equilibrio per il Medio Oriente è equivalsa a qualcosa di simile al crollo del Muro di Berlino per l’Europa Orientale, riattivando nella regione forze autoctone di tipo storico religiose e geo-politico. Un altro elemento che ha vuto un ruolo di propulsore della nuova politica estera della Turchia è rappresentato dalla mancata soluzione della questione palestinese e dal fallimento dei tentativi turchi di giungere ad una mediazione tra le 2 Come principale sostenitore di questa teoria vedi Michael Rubin, Turkey, from Ally to Enemy, Commentary, July 2010. 6
parti a causa del mantenimento da parte di Israele di una linea strategica e militare intransigente sulla questione. In un contesto regionale di ritrovata libertà di manovra Ankara ha deciso di utilizzare tali rinnovati spazi d’iniziativa per andare là dove la sua opinione pubblica – e quella di buona parte del mondo mussulmano chiedeva – ovverosia verso una posizione di rottura con Israele. Tutti questi elementi non hanno granché a che fare con la geopolitica Ottomana o con l’eredità dell’Impero, ma piuttosto rappresentano l’attuazione nello spazio politico che fu dell’Impero Ottomano di una politica post-americana, che ha come obiettivo finale vincere la sfida tra i paesi della regione per l’egemonia politico strategica Per decifrare correttamente il significato politico di Erdogan e dell’AKP è necessario considerare che il suo messaggio e spesso la stessa attività politica dell’AKP si muovono lungo due direttrici, una interna ed una Le “due constituency” esterna al paese. Quasi come Erdogan sviluppasse il suo messaggio dell’azione politico diretto verso due differenti constituency una interna ed una politica di Erdogan. estera. Quella interna turca, rappresenta la sua base elettorale reale, il paese che l’AKP governa direttamente, quello che è chiamato a riconfermare con il voto nazionale e locale il potere di Erdogan. Quella esterna è costituita dal più grande e generale mondo islamico e in particolare la sua componente araba della regione Medio Orientale. La filosofia dell’islam politico di Erdogan prevede infatti una politica estera turca con una forte accentuazione della componente islamista tranfrontaliera a scapito di una riduzione della componente secolare e nazionale classica. Alcune delle azioni politiche di Erdogan, specialmente quelle che più vengono qualificate come “populiste” sono in buona parte dirette verso le opinioni pubbliche dei paesi arabi ed islamici vicini. Ciò è conseguente alle ambizioni di crescita politica ed economica della Turchia nella regione, operazione raggiungibile attraverso la costruzione di un soft power mediatico che, sfruttando la maggiore stabilità e modernità del sistema paese turco rispetto a quelli dei paesi limitrofi, consenta di aumentare la popolarità del 7
messaggio dell’AKP presso le opinioni pubbliche islamiche. L’importanza della seconda constituency nei disegni espansivi dell’AKP spiega forse una parte della mediatizzazione della vicenda di Davos (conseguente al conflitto di Gaza) e soprattutto di quella della flottiglia di Gaza. La presenza di questo doppio bacino di destinatari dell’azione politica del governo turco ha reso necessario anche l’attuazione di una moderna strategia ildisoft power turco comunicazione mediatica internazionale. Una strategia che, amplificando il messaggio dell’azione politica e diplomatica del governo – ma soprattutto l’immagine personale del premier Erdogan – e adattandola a dei bacini di utenti islamici selezionati linguisticamente e culturalmente potesse contribuire alla costruzione di un soft power mediatico turcocentrico, seguendo gli insegnamenti, le tecniche e le strategie di comunicazione moderne. Strategie che una società relativamente aperta e moderna come quella turca ha mutuato dal sistema di broadcasting anglosassone. La forza dei media turchi è una conseguenza del sistema di competizione, ancorché oligopolista, esistente in Turchia nel settore, nonché della ricchezza del paese e dell’estensione del suo sistema commerciale ed economico – finanziario di impronta capitalista che consente il finanziamento della tv commerciale e del sistema editoriale. Due sono gli strumenti che la Turchia ha particolarmente utilizzato negli ultimi anni per aumentare il proprio soft-power nella regione: la diplomazia e l’economia. I due strumenti sono stati impiegati in maniera strettamente correlata tra loro con lo scopo di aumentarne l’efficacia. Le iniziative politiche e diplomatiche hanno ampliato gli spazi di manovra, gli accordi di libero scambio hanno favorito l’incremento dei commerci, che sono decollati in seguito all’attuazione degli accordi di liberalizzazione dei visti e di libera circolazione delle persone. A loro volta, le positive relazioni economiche stabilite finiscono per creare delle reti di interessi economici transfrontalieri che spingono i gruppi coinvolti a fare lobby per ulteriori miglioramenti delle relazioni bilaterali. In altre parole, la politica di “nessun problema con i vicini”, oltre ad essere un fatto culturale e politico, esso è in buona parte una 8
questione economica. Avviata nel 2002 con l’ascesa al potere dell’AKP, si è ben presto dimostrata essere un utile strumento per far crescere più velocemente il PIL della Turchia, soprattutto in un periodo di crisi e di rallentamento dell’economia dell’Occidente. Dall’avvio della politica di buon vicinato, il commercio di Ankara con i propri vicini è triplicato in poco meno di un decennio al punto che si rende necessaria l’apertura di 7 ulteriori valichi di frontiera con Siria, Iraq e Iran. Da quando l’AKP è giunto al potere ben 15 sono i nuovi paesi che hanno accettato la proposta di Erdogan di eliminare i requisiti dei visti d’ingresso (Turchia Siria, Libano, Giordania, Pakistan, Albania, Libia, Bosnia Erzegovina, Croazia, Tanzania, Tajikistan, Serbia, Cameroon, Kosovo e Qatar) portando a 62 il numero totale di paesi con i quali vige un accordo di libera circolazione. Attualmente, ulteriori accordi sono in corso di discussione con Russia, Grecia, Portogallo e Ucraina. L’interscambio commerciale con i paesi vicini nel 2002 ammontava a circa 5 miliardi di dollari mentre nel 2010 esso supera ormai i 16 miliardi di dollari. Per avere un punto di riferimento, si può utilizzare il valore dell’interscambio commerciale della Turchia con Israele che – al netto del valore degli armamenti – era pari a 4 miliardi di dollari nel 2008 3. L’apertura della frontiera con l’Iraq ha contribuito per buona parte di questo incremento, soprattutto rilanciano le economie delle aree depresse di frontiera. Nel 2002 la provincia di Gaziantep aveva un commercio con l’Iraq pari a 620 milioni di dollari, divenuti oltre 1,5 miliardi di dollari nel 2010. Anche con la Grecia, nonostante gli effetti della crisi finanziaria, l’interscambio commerciale con la Turchia è triplicato negli ultimi otto anni. Naturalmente il commercio estero della Turchia con gli altri paesi del mondo non riesce a tenere il passo di crescita di quello che si è stabilito con i paesi contermini. Nel 2002 il commercio estero di Ankara con i paesi vicini contava solo per il 5% dell’interscambio commerciale globale. Oggi, il valore del commercio con gli stessi paesi è arrivato a pesare il 16% dell’interscambio commerciale della Turchia con il resto del mondo ed è destinato nei prossimi anni a raggiungere circa un terzo del totale, anche se nelle proiezioni del governo di Ankara si parla di arrivare al 40% per il 2015. 3 Vedi The Jerusalem Post del 2 febbraio 2009 9
2.0 Lo sviluppo dell’Islam politico in Turchia e l’emergere dell’AKP I partiti politici predecessori dell’AKP sono ravvisabili nel National Order Party (Milli Nizam Partisi, MNP), nel National Salvation Party (Milli Selamet Partisi, MSP), nel Welfare Party (Refah Partisi, RP), e nel Virtue Party (Fazilet Partisi, FP). Tutti questi partiti portarono avanti un’agenda politica apertamente islamista e tutti subirono interventi da parte della magistratura e dell’esercito che portarono alla loro chiusura. Nel 2008 l’AKP evoluzione dei partiti riuscì a resistere un procedimento di chiusura da parte della corte costituzionale mentre le islamisti in forze armate non sono più nelle condizioni di poter porre termine ad un governo Turchia fino democraticamente eletto. In tale contesto in cui il sistema turco sta prendendo la forma di all’AKP una democrazia matura l’AKP ha sviluppato la sua agenda islamista non direttamente solo parzialmente all’interno della sua azione politica e di governo quanto piuttosto creando nella società spazi maggiori di libertà per consentire nella società civile l’emersione dei valori islamisti. Ciò senza rompere formalmente in maniera evidente i capisaldi della secolarità dello stato turco. Un importante precedente per l’AKP dell’islamismo politico in Turchia è stato rappresentato dall’esperienza di Necmettin Erbakan. Erbakan si affermò inizialmente nel sistema camerale delle piccole e medie imprese, divenendo presidente della TOBB, un unione di camere di commercio rappresentante la piccola imprenditoria. L’annullamento dell’elezione di Erbakan alla presidenza della TOBB portò alla fondazione del MNP, il partito dell’Ordine Nazionale, che fu chiuso nel 1971 da un intervento delle forze armate. Erbakan in seguito fondò il Welfare Party (Refah Partisi, RP) a cui fu impedito, dopo il colpo di stato del 1980, di partecipare alle elezioni nazionali ma a cui fu consentito di operare a livello locale, partecipando alle elezioni locali del 1987. Il partito del benessere utilizzò questi spazi di manovra per realizzare un proselitismo molto territoriale, operando prevalentemente nelle aree rurali e nelle più degradate aree urbane. Il partito MSP fu membro di minoranza dal 1974 nella coalizione del partito di governo secolare e nazionalista CHP, erede dell’esperienza politica kemalista. Per lungo tempo, tuttavia, le sette religiose turche, tarikats, non entravano direttamente in politica né supportavano esplicitamente un partito ma si distribuivano su vari partiti politici, prevalentemente di ispirazione conservatrice. 10
Dall’esperienza del Partito del Benessere l’AKP eredita il concetto di un partito molto radicato sul territorio con una forte organizzazione di stampo sociale che arrivi a fornire la sua funzione di assistenza e di welfare nelle aree più povere del paese, là dove non arriva l’assistenza pubblica e tra i perdenti del processo di modernizzazione del paese. Quando il RP ebbe la possibilità di formare coalizioni governative mise in agenda la questione dell’educazione e in particolare le scuole religiose e i corsi di Corano. Le scuole teologiche secondarie superiori İmam Hatip, erano tradizionalmente mirate a formare gli imam ma nella nuova logica islamista i curricula di studi vennero ampliati con lo scopo di fornire un’educazione secondaria parallela a quella laica statale, costruita su un impianto di studi religiosi. Le scuole erano originariamente basate sulla divisione dei sessi, fin quando, negli anni novanta, ciò fu proibito per legge dello Stato. La preoccupazione che si diffondeva negli ambienti secolari del paese era legata al numero particolarmente elevato di studenti coranici che non sarebbero stati assorbiti dalla istituzioni religiose e che sarebbero finiti per accedere nel sistema universitario, preparandosi per carriere nella pubblica amministrazione. Il 28 febbraio 1997, al culmine di una serie di tensioni e di allarmi su tentativi presunti degli islamisti di prendere il potere, ebbe luogo l’ultimo colpo di Stato soft da parte dei militari, che spinsero Erbakan alle dimissioni estromettendo il partito islamista dalla coalizione governativa. I sostenitori del partito e le ONG religiose del paese ritengono l’estromissione dal potere di Erbakan e del suo movimento islamista una grave violazione della libertà religiosa del paese. Nel 1998 il Partito del Benessere fu sciolto per decisione della Corte costituzionale mentre nel 2001 venne sciolto anche il nuovo partito nato dalle sue ceneri, ovverosia il Partito della Virtù (FP). Erbakan fu bandito per cinque anni dalla vita politica mentre i suoi seguaci fondarono un nuovo partito, il Saadet Partisi, (SP), Partito della Felicità. 11
L’ottantaquattrenne Erbakan, oggi alla guida del Partito della Felicità (Saadet). Nella sua storia politica ha presieduto 4 partiti turchi d’ispirazione islamica È proprio in questo contesto dell’ultimo capitolo del lungo scontro tra Stato secolare e formazioni politiche di ispirazione islamica che L’AKP fu fondato nel 2001 sotto la leadership di una nuova e più giovane generazione di islamisti, guidati da Abdullah Gül and Recep Tayyip Erdoğan. Il clima politico era cambiato e la società turca, ma in particolare la nuova classe dirigente islamista, si era aperta alla globalizzazione ed esposta il percorso all’esportazione di principi liberali e libertari emanati dall’Unione Europea. Essa aveva già politico interiorizzato molti dei paradigmi postmoderni, probabilmente più di quelli recepitidell’AKP dallo Stato turco, ancora ancorato ad una visione tradizionale e moderna della statualità. Inoltre, l’ascesa al potere dell’AKP coincide con l’emergenza dell’11 settembre e in particolare con la rinnovata necessità condivisa a livello internazionale di favorire un processo di modernizzazione dell’Islam politico capace anche di contemplare una sua progressiva inclusione nella sfera politica per fare argine a movimenti più estremisti e radicali. L’AKP ha vinto due consecutive elezioni parlamentari riuscendo, anche in virtù di una legge elettorale molto selettiva, di formare governi monocolore. Tra le caratteristiche 12
che hanno portato l’AKP al potere ci sono la modernità della classe dirigente rispetto alla vecchia percepita come corrotta, ma soprattutto la capacità di dare una risposta alla domanda di recupero della tradizione e di un sentimento di identità religiosa, unita anche ad una maggiore attenzione alla diversità del territorio del paese e delle sue componenti etniche. L’AKP ha inoltre portato in Turchia un’apertura degli spazi di libertà nel paese, facendosi traduttore di un ondata di liberismo economico e di liberalismo politico verso il vecchio sistema e i suoi caratteri di autoritarismo ravvisabili nel centralismo dello Stato, nel rifiuto del riconoscimento della identità politica ed etnica delle minoranze, nella proibizione della libertà di espressione di identità religiosa, e nel controllo capillare dei contenuti dell’educazione si Stato Da un punto di vista di autocollocamento politico l’AKP rifiuta di definirsi come un partito islamista e mantiene una identità politica conciliabile con lo stato secolare turco 4. Si definisce un partito di centro destra – secondo le categorie politiche turche che vedono lo spazio politico della sinistra occupato dalle forze secolari e nazionaliste - erede politico del ANAP, il partito della Madrepatria di Ozal, ex presidente e primo ministro turco, caratterizzato da una visione liberista di riduzione del ruolo dello Stato nell’economia unita ad una visione di conservatorismo sociale e di moderata apertura all’espressione della religione nelle società del paese. Qualora voglia essere visto come erede dei partiti islamici precedenti l’AKP, va riconosciuto che esso deve essere visto come un movimento islamista che ha spostato l’attenzione dal “Islam nello Stato” al “Islam nella società”. Una sorta di via di mezzo tra alcune forme di islam liberali presenti in Turchia ed altre di tipo più tradizionale, una posizione che condivide con alcune sette sufi, taricats, come le taricats Nakşıbendi e Nurcu (a cui appartiene il movimento di Fetullah Gulen). La loro principale caratteristica sarebbe rappresentata dal rifiuto di inserire nell’azione politica del partito la volontà di imporre la Sharia nelle leggi dello stato e nell’attività del governo. Ma una delle caratteristiche dell’AKP resta quella di unire strumentalmente i due concetti di “libertà” e “religione” contro la laicità dello Stato secolare dai connotati autoritari. Lo stato secolare e nazionale turco di impianto kemalista viene accusato dagli islamisti di essere politicamente 4 Vedi in proposito il discorso tenuto dal leader dell’AKP Erdogan del 10 gennaio 2004. “AK Party emphasizes civil society and group identity but does not bring to the forefront a worldview that emphasizes religious communitarianism. (… ) AK Party believes religion is important as a social value, but does not think it is right to use religion as a political tool, change state ideology and organize around religious symbols. (… ). There is a great difference between a party that thinks religion and religiosity are important, accepting the social functions of religion, and a party that uses religion as an ideology and a state tool that targets societal change http://web.akparti.org.tr 13
illiberale politicamente, anti-religioso, interventista e socialista nell’economia; inoltre viene ritenuto anti-islamico il suo concetto di esaltazione della nazione turca che divida l’unitarietà della umma mussulmana ed impedisce di sviluppare solidarietà e condivisione del popolo turco con altri popoli islamici di altra nazionalità o etnia, in particolare verso il mondo arabo. Una caratteristica, su cui si è riflettuto poco in Europa ed in occidente negli anni passati, è proprio la forza che l’AKP è riuscita ad ottenere aggiornando l’agenda islamica il con quella delle libertà europee. L’AKP difatti si contraddistingue dai precedenti partiti neoislamismo liberale islamisti per fare della questione della libertà religiosa una questione di libertà democratica dell’AKP e di diritti dell’uomo. Dalla sua ascesa al potere l’AKP proporrà pertanto una serie di leggi in nome della libertà di culto e delle libertà personali per consentire agli studenti provenienti dalla scuole superiori teologiche di poter accedere all’università paritariamente alle scuole superiori statali, per abolire il divieto di indossare il velo nei luoghi pubblici, nonché per modificare il codice penale e quello civile in tema di diritto di famiglia. Nonostante la forte maggioranza parlamentare alcune di queste leggi non sono state approvate in quanto hanno trovato opposizione sia nella società civile che nelle corti e l’AKP ha dovuto rimandare la loro applicazione. Anche tra gli studiosi turchi di questioni politiche non esiste una concorde posizione sulla definizione dell’AKP, ovvero se definirlo un partito islamista o un partito islamico, segno anche della fluida realtà politico-sociale del paese e della difficoltà di definirne i contorni. Resta come punto fermo il fatto che la Corte Costituzionale turca, guardiano ultimo della secolarità dello Stato, non ha attuato i minacciati provvedimenti di chiusura nei confronti dell’AKP, segno probabilmente di un rispetto formale delle leggi Stato da parte del partito di Erdogan ma anche di un progressivo cambio nella giurisprudenza della corte in tema di pluralismo politico. Cambio che nel lungo periodo sarà influenzato anche dalla progressiva affermazione all’interno della magistratura (con un processo lento ma simile a quanto in corso anche all’interno delle Forze Armate) di uomini vicini al nuovo partito di maggioranza assoluta che governa il paese con successo ormai da circa un decennio e che inizia già a contare propri uomini all’interno delle tecnostrutture del paese come magistratura, forze armate e forze di sicurezza. 14
Giudici della Corte Costituzionale turca in visita al Mausoleo di Ataturk Qualora non si voglia seguire l’ipotesi della costituzionalità e del rispetto delle leggi dello Stato da parte della formazione dell’AKP, può essere formulata un'altra ipotesi per spiegare la mancata sanzione da parte della Corte suprema del paese verso il movimento di Erdogan, ossia quella del suo fulminante successo politico. Da un punto di vista realista ed effettivo, salvo fragranti e manifeste violazioni della carta costituzionale, non è ormai più possibile per la Corte Costituzionale turca bandire l’AKP sulla base di motivazioni preventive, dubbie o speciose, ma è necessario riscontrare effettiva gravità e “flagranza” del potenziale reato. Ciò perché l’AKP è oramai saldamente il primo partito del paese per consensi espressi, forte di una maggioranza assoluta in parlamento. Il contesto dei rapporti di forza creatisi negli ultimi anni rende oramai impossibile alla magistratura turca di operare come avvenuto in passato nei confronti di partiti islamisti alleati di minoranza nel governo intervenendo in quell’ampia area grigia interpretativa che consentiva alle corti di intervenire nella vita politica del paese. Quest’area grigia si è oramai ridotta, facendo aumentare gli spazi di manovra a disposizione dell’AKP, ormai de facto al riparo delle interpretazioni più restrittive delle leggi da parte degli organi giudicanti dello Stato turco. La carriera politica di Erdogan ha assunto i caratteri della notorietà con l’elezione carriera come sindaco di Istanbul. In questo periodo vengono gettate le basi della sua popolarità, politica di Erdogan ma ad esso risalgono anche le prime condanne per reati d’opinione quando il duro sistema 15
giudiziario turco lo condannò a 10 mesi di carcere per incitamento all’odio religioso avendo egli recitato pubblicamente una poesia religiosa del poeta nazionalista turco Ziya Gökalp nel corso di un raduno politico. Erdogan fu uno dei fondatori nel 1998 del Partito della Virtù, nato dalle ceneri del RP dopo che fu messo fuori legge dalla Corte costituzionale accusato di svolgere attività politica anti secolare. A sua volta il Partito della Virtù fu dichiarato fuorilegge nel 2001 sempre per le stesse accuse di attività contrarie al regime secolare del paese, e fu allora che Erdogan ruppe con il suo mentore Erbakan formando l’AKP, adottando una postura politica più pragmatica e orientata ad inserirsi dall’interno nel sistema statale rispettandone le leggi. Erdogan ha moderato considerevolmente la sua retorica ed il suo linguaggio, candidandosi ad intercettare una vasta fascia dell’elettorato turco deluso dagli scandali e dalla corruzione dei partiti tradizionali di governo. Alle prime elezioni politiche Erdogan ha raccolto una maggioranza del 34% dei votanti. Da un punto di vista economico l’AKP viene ritenuta una forza liberale, la battaglia nei liberista e filo occidentale che tuttavia al tempo stesso persegue anche un azione settori politica volta ad erodere alcune delle caratteristiche dello stato laico, secolare e dell’educazione e nazionalista costituenti l’anima dalla Turchia di Ataturk. Difatti, una delle costanti giudiziario dell’azione politica dell’AKP è stata rappresentata dalle riforme liberali realizzate con l’obiettivo di ridurre il potere e l’influenza del settore militare sulla società e di aumentare i diritti per la comunità islamica. Una delle prime riforme dell’AKP è stata quella mirante a ridurre l’influenza dei militari nel Consiglio Nazionale di Sicurezza (MGK) e nel Consiglio per l’Educazione Superiore (YOK). Ma una delle azioni chiave nel settore dell’educazione portata avanti dall’AKP è stata rappresentata dal recupero del vecchio cavallo di battaglia del RP mirante a favorire quote di accesso riservate all’università anche al clero proveniente dalle scuole teologiche (imam hatip). L’accesso alle università da parte del clero proveniente dalla scuole coraniche apre la possibilità del loro inserimento nella pubblica amministrazione. Naturalmente, l’influenza del partito di governo sull’educazione pubblica che formerà le prossime classi dirigenti del paese non si limita agli aspetti macronormativi ma una vera e propria “battaglia” di nomine è in corso per l’inserimento di professori e presidi di idee islamiste e per l’inserimento nei curricula scolastici di un maggior numero di materie islamiche. Anche per avere una maggior mano libera nella nomina dei presidi delle 16
università scavalcando lo YOK il governo ha perseguito la strada della creazione per legge di nuove università con rettori selezionati dal governo. Nel settore giudiziario il governo si è fatto portatore di una legge per accelerare il pensionamento obbligatorio dei funzionari pubblici, abbassando l’età del fine servizio e aprendo così l’opportunità per la nomina di migliaia di nuovi procuratori giudici. Lo scontro sul controllo del sistema giudiziario si è esteso anche al rapporto con il presidente della Repubblica che ha posto il veto a numerose nomine fatte dall’AKP nel settore giudiziario e ha rimandato alla corte costituzionale moltissime leggi approvate dal parlamento controllato dall’AKP. Tra gli strumenti di Soft Power di cui dispone la Turchia bisogna sicuramente considerare il movimento religioso e caritatevole transnazionale Gülen, fondato dal teologo islamico sufi Fethullah Gülen, uno dei più autorevoli intellettuali turchi dal profilo internazionale. Il suo movimento è divenuto nel corso degli anni un importante attore sul piano globale nella proiezione internazionale della Turchia. Tale movimento, la cui importante influenza è rilevante tanto per le dinamiche politiche interne quanto per quelle internazionali dello Stato turco, risiede nella forza economica e culturale del gruppo e in particolare nelle attività di assistenza e proselitismo espressione della versione sufi dell’Islam. Al tempo stesso, il movimento di Gülen è riuscito a sviluppare una visione universalistica di un Islam caratterizzato da un agenda modernista e conservatrice al tempo stesso, non insensibile ai richiami anche della turanicità ma anche ad una visione di dialogo inter-religioso tra Islam, cristianesimo ed ebraismo. Il movimento Gülen è riuscito a servirsi dei benefici della globalizzazione economica al fine di raggiungere un’egemonia sociale all’interno del paese e soprattutto verso la sua proiezione esterna. Il movimento è un attore economico internazionale con un atteggiamento pro mercato e che investe i ricavi dei profitti ottenuti in vari settori nel campo dell’educazione e in quello dei media per perseguire una propria agenda di modernizzazione e di rivalutazione del substrato islamico del paese, inteso come base per costruire una piattaforma di consenso interno (ad esempio tra turchi, curdi ed Alawiti), ma anche internazionale intraislamico. In ciò, si può dire che il movimento Gülen opera in maniera estremamente coerente a quella che è l’azione politica del governo dell’AKP rappresentando un importante strumento di soft power del potere della Turchia verso l’estero islamico e ampliando notevolmente con strumenti non statali la portata dell’outreach di Ankara all’estero. 17
Fethullah Gülen ed Erdogan quando quest’ultimo era sindaco di Istanbul Il movimento costruisce da molti anni fuori dalla Turchia ospedali, università, dormitori per gli studenti, realizza corsi di preparazione per l’ammissione all’università turca, gestisce un organizzazione umanitaria internazionale. Particolarmente importanti sono le attività del movimento nel campo dell’informazione e dei media, grazie al controllo di un gruppo editoriale che include il più letto quotidiano turco “Zaman” e la sua versione inglese il Today’s Zaman, la rivista Aksiyon, la rete televisiva Samanyolu. Al ramo non profit si unisce il controllo di importanti holding economiche, come ad esempio il Kaynak Holding Group, banche e compagnie assicurative, nonché centinaia di imprese in giro per il mondo. Il settore dell’educazione è sicuramente il più diffuso con oltre mille scuole ed università attive nelle diverse parti del mondo 5. La rete delle scuole del movimento è presente in circa 90 paesi. La maggiore concentrazione si trova nella regione dell’Asia centrale e in Azerbaijan anche per la spiccata attitudine del movimento di focalizzarsi soprattutto sui paesi turcofoni, e in particolari quelli dell’ex Unione Sovietica e nei Balcani. Uno degli obiettivi di queste istituzioni educative è quello di formare una vera e propria classe dirigente legata alla 5 Mapping the Gülen Movement A Multidimensional Approach, Conference Papers, October 7, 2010 Felix Meritis, Amsterdam, The Netherlands, pag. 119. 18
Turchia e che si ispira alle idee di Gülen. Scuole del movimento si trovano anche in Armenia, Stati Uniti, Australia, China, Cambogia, Africa Sub Sahariana, India, Pakistan e in diversi paesi occidentali dove sono presenti consistenti minoranze turche, come per esempio la Germania. Nei paesi del Medio Oriente la presenza del movimento è più diversificata. Esso vanta una presenza in Iraq, in particolare nel Kurdistan e nelle zone ove si concentrano minoranze turcomanne, anche se queste sono maggiormente sciite e non sunnite. Anche grazie alla penetrazione di questo movimento nel paese, il governo turco ha saputo ricostruire una propria presenza nell’Iraq post Saddam Houssein e in particolare con il Kurdistan Regional Government, utilizzando in particolare lo strumento della costruzione nel Kurdistan colpito dalla guerra e dall’abbandono da parte del governo centrale, di scuole, ospedali e università. Rapporti piuttosto stretti in Kurdistan sono stati costruiti dal movimento Gülen con il partito della Islamic Union for Kurdistan 6, una piccola formazione islamista che opera per risolvere il problema curdo all’interno di una visione islamica della società. Tuttavia una certa resistenza il movimento la trova propria da parte di alcuni partiti e movimenti curdi radicali che cercano di contrastare la presenza del Movimento Gülen sul territorio del Kurdistan turco, accusandolo di lavorare segretamente per voler dissolvere l’identità nazionale curda all’interno di una visione panislamica. Sedi del movimento sono stati oggetto in passato delle attività di protesta da parte di militanti del ora disciolto DTP e sono stati identificati come obiettivi potenziali da parte del PKK. Oltre all’Iraq una certa attiva presenza si registra in Egitto, Giordania, Yemen e Tunisia, nonché in Libano. Qui il movimento ha aperto numerose attività e, sul piano politico, ha preso posizione contro il movimento degli Hazbollah causando tensioni tra i due gruppi divisi non solo sul piano religioso e politico ma anche da una forte competizione nelle attività sociali. Anche in Iran l’attività del movimento è stata ostacolata dal governo in particolare a causa del sospetto che esso cercava di insediarsi con le sue opere presso l’etnia azera iraniana, oltre 15 milioni di persone che rappresentano la seconda etnia del paese con forti 6 Il moviemnto politico Kurdistan Islamic Union, si autodefinisce come un partito islamico riformista impegnato a Describes itself as "an Islamic reformative political party that strives to solve all political, social, economic and cultural matters of the people in Kurdistan from an Islamic perspective which can achieve the rights, general freedom, and social justice.” The party secretary is Salah al-Din Baha al-Din. The group is closely tied to the Muslim Brotherhood. 19
legami culturali e linguistici con la Turchia. A causa dei sospetti del governo iraniano circa possibili aspirazione panturche, il movimento e’ sempre stato guardato con estremo sospetto ed il governo non ha mai rilasciato permessi per aprire delle scuole in area abitate in prevalenza da popolazioni di lingua turca. 20
3.0 L’ambigua cooperazione tra Turchia e Iran I rapporti tra Turchia ed Iran sfuggono ad una semplice lettura politica, ma rivestono una complessa natura in cui il carattere storico e religioso-culturale rappresenta una dimensione molto importante, rendendo le relazioni bilaterali una rete complessa e sofisticata. Turchia ed Iran sono gli eredi di due grandi imperi islamici, quello ottomano e quello persiano, entrambi non arabi e quindi fondamentalmente orientati a una diversa percezione ideologica e geopolitica del mondo islamico. I rapporti sul confine turco-iraniano si sono oramai stabilizzati da secoli e tale limes è stato riconosciuto formalmente dai due paesi nel 1932. La data storica di riferimento a cui si fanno risalire le relazioni frontaliere tra i due paesi è il 1639, anno in cui fu firmato il Trattato di pace di Kasr i Shrin che definì i confini tra impero persiano e impero ottomano. Frontiera che, con minori modifiche, rappresenta ancora oggi il confine che corre tra i due paesi e che è stata ed è tuttora considerata uno dei confini meno problematici della regione. Rapporti sostanzialmente buoni si sono mantenuti tra i due paesi fino al 1979, l’anno della rivoluzione iraniana. Dalla rivoluzione iraniana in poi si registra un peggioramento in tutti i campi del rapporto tra Teheran ed Ankara, sostanzialmente dovuto all’irruzione dagli elementi ideologico-religiosi emanati dalla rivoluzione iraniana e dal rischio di esportazione di una simile rivoluzione islamista in Turchia. breve excursus storico delle Un primo miglioramento delle relazioni tra Ankara e Teheran si ebberelazioni nel corsotra Iran e Turchia della lunga guerra tra Iran e Iraq (1980 – 1988), dovuto sostanzialmente al fatto che Teheran aveva un profondo interesse strategico a che la Turchia non rifornisse l’Iraq di beni strumentali alle operazioni belliche. In aggiunta, Teheran aveva anche bisogno di uscire dalla rete di sanzioni economiche che USA, Europa e UN avevano introdotto, rafforzando su tali basi la cooperazione economica tra i due paesi. Un ulteriore elemento di comune interesse strategico tra i due paesi è rappresentato dalla gestione della questione curda e dalla crescente presenza di basi di addestramento del PKK in Iran, nel mentre si acuiva la contrapposizione tra le diverse forme di islam turco ed iraniano, con l’abisso venutosi a creare tra il regime secolare kemalista ed il regime teocratico degli ayatollah. Naturalmente anche il rapporto con gli Stati Uniti d’America e con 21
la NATO veniva a rappresentare un punto discriminante nel rapporto tra Ankara e Teheran, capace di allontanare i due paesi ponendoli in fronti contrapposti, soprattutto alla luce del confronto con l’Iraq Questi sono alcuni dei principali elementi che hanno spinto i due paesi verso un complesso scenario di collaborazione/competizione, caratterizzato sia da una dimensione religioso – ideologica sia da una competizione per l’egemonia ed il potere su base regionale. L’appartenenza della Turchia alla NATO, e quindi la stretta alleanza strategica con gli Stati Uniti, ha congelato ulteriormente le divisioni esistenti tra i due paesi creando una sorta di guerra fredda interna al mondo islamico che ha profondamente condizionato le relazioni politiche, senza tuttavia alterare gli scambi commerciali ed economici; scambi che sono proseguiti tra i due paesi anche dopo l’ingresso della Turchia nella NATO. Dopo il crollo del Muro di Berlino si sono create nuove forme di competizione tra Iran e Turchia legate al dinamismo geopolitico centroasiatico di Ankara verso l’Asia centrale. Questo nuovo scenario geopolitico creatosi in Asia centrale portava in competizione strategica Ankara e Teheran. In questo scacchiere la concorrenza nasceva dal fatto che sia Turchia che Iran erano (e sono) interessati a colmare il vuoto geopolitico causato dalla ritirata sovietica; con il ritirarsi ed il rarefarsi della presenza di Mosca nell’area Iran e Turchia hanno avviato una competizione a distanza dei loro relativi soft power, dando vita ad una complessa partita a tre sviluppatasi lungo molteplici piani strategici: quello islamico, quello energetico, quello linguistico culturale. In certi momenti di questo confronto è apparso che Mosca, in difficoltà nel corso degli anni novanta a gestire la sua ritirata politico-militare dall’area, abbia addirittura preferito, dovendo scegliere, di favorire una presenza iraniana ad una turca nell’area dell’Asia centrale. Ciò naturalmente in funzione antiamericana, a causa del timore rappresentato da un avvicinamento dei paesi dell’area alla NATO, un avvicinamento che Ankara avrebbe, prima o poi, portato in dote. Negli anni novanta, con la NATO che ancora non aveva messo piede in Afghanistan, questo scenario veniva visto con estrema negatività tanto da Mosca quanto da Teheran. Il fatto che la spinta panturca verso l’Asia centrale si sarebbe rivelata di breve durata ha in buona parte contribuito a riposizionare sul neutrale le relazioni tra Turchia ed Iran, almeno su questo scenario. La potenziale collaborazione energetica in Asia centrale – e in particolare in Turkmenistan – giocava invece in favore di maggiori rapporti tra i due paesi, anche se questa collaborazione intentata dalle compagnie energetiche turche nel corso degli anni novanta fu 22
vista in maniera molto negativa dagli Stati Uniti d’America anch’essi interessati alla partita geo-energetica dell’Asia centrale. Un altro fattore di connessione tra Turchia e Iran – che può svilupparsi tanto verso un rapporto di collaborazione quanto verso un forme di ingerenza interna e di conflittualità, è dato dalle questioni etniche interne ai due paesi. Molte delle popolazioni che vivono tra la Turchia orientale, il Caucaso e l’Iran settentrionale rappresentano una complessa ragnatela ed un intreccio etnico linguistico difficilmente districabile, che fa sì che popolazioni di ceppo turco vivono come importanti minoranze in Iran, mentre Ankara condivide con Teheran la questione curda. Questi intrecci etnici hanno in passato dato origine ad accuse di ingerenze nelle questioni interne con Teheran, che denunciava il tentativo turco di aizzare le minoranze periferiche contro il governo centrale iraniano e la Turchia che accusava l’Iran di dare ospitalità e sostegno militare alle formazioni guerrigliere del PKK che operavano in Turchia. Ma anche queste forme di disturbo tattico ed ingerenza negli affari interni tra Ankara e Teheran erano in buona parte un’eredità della guerra fredda e nel corso degli anni novanta hanno lasciato il posto a nuovi sviluppi geopolitici. La nuova fase nelle relazioni turco iraniane matura nel maggio 2002, nell’imminenza dell’intervento militare americano in Iraq. In tale contesto, ha luogo la storica visita del Presidente turco Ahmet Necdet Nezer a Teheran che incontrerà il presidente iraniano Ahmadinejad. Da quella visita i due paesi daranno vita ad una rinnovata cooperazione economica che vedrà nel quinquennio successivo i rapporti commerciali crescere di ben 6 volte, raggiungendo i 7,5 miliardi di dollari nel 2007. Questi sviluppi finiranno per avvicinare gli interessi dei due paesi dopo la guerra in Iraq del 2003, quando emerse in maniera evidente l’enorme difficoltà della coalizione la guerra alleata a stabilizzare l’Iraq post-Saddam, con in segnali evidenti Iraq come trigger di una per loimplosione possibile sviluppo dio nuove relazioni tra Turchia e Iran dissoluzione del paese in più stati frammentati ed in preda a varie tipologie di terrorismo. Un tale scenario era vissuto con enorme preoccupazione da parte di Ankara, in quanto la creazione di un Kurdistan iracheno indipendente avrebbe costituito una variabile geopolitica nuova ed estremamente pericolosa per l’integrità territoriale turca. Inoltre il pantano iracheno rischiava di portare in rotta di collisione due paesi fondamentali nella geopolitica turca quali gli USA – principale alleato di Ankara – e l’Iran, il più importante e strategico vicino. 23
È chiaro che per la Turchia, dopo la guerra in Iraq e il fallimento di un veloce e rapido regime change a guida americana, l’importanza del rapporto con Teheran è aumentata notevolmente divenendo il rapporto regionale più strategico per Ankara. È presto emerso difatti che le chiavi della sicurezza o dell’insicurezza del teatro iracheno erano tanto nelle mani di Washington quanto nelle mani di Teheran. Anzi, negli anni immediatamente successivi all’invasione dell’Iraq, in Turchia si è progressivamente diffusa la convinzione (rafforzata dal cambio di amministrazione americana) che l’influenza di Washington negli equilibri interni iracheni sarebbe destinata a diminuire considerevolmente nel lungo periodo con il migliorare della situazione di sicurezza interna; e che comunque tale influenza non potrà essere della stessa portata di quella che – quasi naturalmente in forza della sua posizione geografica e del “ponte” sciita – emana da Teheran. Dopo la caduta di Saddam Houssein l’Iran ha visto rafforzarsi la sua posizione di potenza regionale sia direttamente, per la scomparsa di un regime ostile che ne bilanciava la potenza, che indirettamente, perché divenuto uno degli attori in grado di influire in profondità nel quadro politico e di sicurezza iracheno; rendendo con ciò inevitabile includerlo de facto nei negoziati di ricostruzione. Ankara e Teheran nello scenario iracheno post Saddam Il processo di riavvicinamento tra Turchia e Iran è avvenuto in più tappe. Nel 2003, nel momento dell’intervento armato, Ankara e Teheran si sono ritrovate – naturalmente per motivi diversi – nella stessa posizione tattica di opposizione alla guerra e alla dissoluzione del regime iracheno e alla sua sostituzione con un nuovo governo filo occidentale. Nel periodo del post-conflict le due posizioni si sono differenziate, con la Turchia che ha giocato sostanzialmente una politica di retroguardia mirante ad impedire la frammentazione ulteriore dell’Iraq post Saddam mentre l’Iran si è inserito come giocatore in campo nella violenta e complessa partita del terrorismo e della guerriglia antiamericana; posizione che ha aggravato ulteriormente la destabilizzazione interna dell’Iraq andando quindi in direzione contraria agli interessi turchi. Ma l’avvio di una exit strategy americana dall’Iraq e la necessità per gli USA di coinvolgere nella partita, con le dovute prudenze e filtri, Teheran ha riallineato – seppur tatticamente e a breve termine – gli interessi di Turchia e Iran. Una delle interfacce della collaborazione tra Ankara e Teheran nello scenario iracheno potrebbe essere rappresentata dall’ambigua figura del clerico sciita Muktada al-Sadr, che ha visitato la Turchia nel maggio 2009. L’interesse manifesto di Ankara per un Iran stabile è emerso con chiarezza nel la Turchia e le corso delle proteste seguite alle elezioni presidenziali iraniane del 2009, quando la Turchia proteste di piazza 24 in Iran
è stato l’unico paese della NATO a mantenere una posizione di comprensione verso le posizioni del regime di Teheran. Il ministro degli Esteri turco Davutoglu è stato molto rapido ad esprimere le felicitazioni del governo per il rinnovo del presidente iraniano Ahmadinejad e tanto il primo ministro Erdogan quanto il presidente della repubblica Gül sono stati tra i primi capi di stato e di governo a telefonare al leader iraniano per esprimere direttamente le proprie congratulazioni. Davutoglu ha espressamente chiarito che, per quanto riguarda la Turchia, le proteste di piazza fanno parte delle vicende di politica interna, nelle quali Ankara non vuole interferire e anzi ritiene pericolosa questa fase di confronto per la stabilità regionale 7. Il governo turco, ha accolto in senso positivo le elezioni iraniane che a detta del Ministro degli Esteri di Ankara sono state caratterizzate da “ an extremely animated and fiercely contested electoral campaign with an high election turnout that led to a very different interpretation of the political results after the elections. I think that we should take this as a sign that the political process in Iran is very healty” 8. Come conseguenza di tale posizione il governo turco si è rifiutato di pronunciare ogni giudizio in merito alla regolarità della consultazione ed anche solo di criticare l’uso della forza da parte delle forze di sicurezza iraniane 9. L’approccio di Ankara è naturalmente un approccio conservatore, che teme i fenomeni di implosione statuale, soprattutto in quei paesi in cui non esistono salde maggioranza etniche (e tale è l’Iran, con poco più del 50% della popolazione di origine persiana). Per evitare possibili scenari in stile balcanico, che metterebbero in pericolo l’intera regione e la stessa coesione etnica interna, Ankara persegue la politica del non regime change e del mantenimento dei confini esistenti, di qualunque natura o inclinazione siano i regimi che li governano. Anche in funzione di questo implicito patto, le relazioni tra Iran e Turchia sono costantemente migliorate negli ultimi anni, in particolare dopo l’ascesa al potere dell’AKP di Erdogan, rinvigorite da un crescente interesse economico tra i due paesi: all’aumentare dell’isolamento internazionale e commerciale dell’Iran, la Turchia vedeva aumentare il proprio ruolo di partner economico privilegiato, con un interscambio commerciale tra i due paesi, che ha iniziato a decollare dal 2000; nel 2007 il volume dell’interscambio ha superato gli 11 miliardi di dollari. Nel 2008 le esportazioni turche verso l’Iran hanno registrato un’impennata di circa il 70% rispetto all’anno precedente, mentre le esportazioni iraniane 7 Vedi ad esempio l’intervista rilasciata da Davutoglu al settimanale tedesco Spiegel Turkey doesn’t want chaos in the Middle East, Intervista di Daniel Bednarz del 22 giugno 2009 8 Daniel Bednarz, supra. 9 Vedi Paolo Quercia, La Turchia guarda la piazza di Teheran con preoccupazione, in Osservatorio Strategico CeMiSS, giugno 2009. 25
verso la Turchia sono cresciute di oltre il 40%. All’interno del commercio bilaterale è cresciuto il peso della partita energetica, divenuta sempre più strategica dall’accordo del 2008 sulla produzione e il trasporto congiunto di gas iraniano, via Turchia, verso l’Europa 10. Progressivamente, anche i primi investimenti turchi hanno iniziato a prendere piede in Iran, specialmente nella regione iraniana dell’Azerbaijan orientale, ove si registrano attive circa 50 aziende a capitale turco, che hanno delocalizzato 11 in Iran per sfruttare il costo più basso della manodopera e che sono concentrate prevalentemente attorno alla città di Tabriz. L’interesse della Turchia è anche quello di aprire il confine con l’Iran agli scambi economici per sollevare le province orientali, come quella di Van, dal ritardo nello sviluppo economico rispetto al resto del paese. La tendenza al rafforzamento dei rapporti bilaterali tra Turchia e Iran è continuata negli anni successivi. Il 2010 ha fatto registrare più che un ’ulteriore raddoppio dell’interscambio commerciale rispetto al 2009 che si è avvicinato al valore dell’interscambio con gli USA. Anche le importazioni dalla Iran, in Turchia sono cresciute del 130,7 % raggiungendo i 5,36 miliardi di dollari 12. La rapidità dell’accelerazione dei rapporti economici tra i due paesi corrisponde ad una precisa strategia che proprio nel corso del 2010 è stata ulteriormente ribadita in diverse occasioni, al punto che ci si attende – qualora dovessero essere ulteriormente liberalizzati gli scambi transfrontalieri con l’abolizione di dazi e tariffe – che esse possano posizionarsi attorno ai 15 miliardi di dollari annui. Un rapporto commerciale di primo livello per un paese sotto embargo economico e finanziario, che si conferma tale anche dopo l’applicazione delle nuove sanzioni economiche. Valore dell’interscambio 6,3 miliardi $ Turchia - IRAN Valore dell’interscambio 9,7 miliardi di $ Turchia - USA Valore dell’interscambio 10,6 miliardi di $ Turchia – ITALIA 10 Paolo Quercia, art. cit. 11 Vedi Hurriyet Daily News, 28 luglio 2009, “Turkey investors move factory to iran” 12 Vedi Ansa del 27 ottobre 2010 “Turchia: sanzioni non frenano scambi, import cresce del 130%” 26
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