Il ruolo della Turchia nella crisi ucraina - N 17 - MAGGIO 2014 - www.bloglobal.net - Osservatorio di Politica ...

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N°17 – MAGGIO 2014

Il ruolo della Turchia
 nella crisi ucraina

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BloGlobal Research Paper
Osservatorio di Politica Internazionale (OPI)

© BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, maggio 2014

ISSN: 2284-0362

Autore
Filippo Urbinati

Filippo Urbinati è Dottorè magistralè in prèsso l’Univèrsita di Bologna con una tèsi sulla politica èstèra dèlla Tur-
chia durantè i govèrni dèll’AKP (2002-2011). Sèmprè prèsso lo stèsso Atènèo ha frèquèntato un Mastèr in Diplo-
mazia è Politica Intèrnazionalè èd ha succèssivamèntè svolto un internship prèsso il Global Political Trènds Cèn-
tèr (GpoT) di Istanbul. I suoi studi si concèntrano sulla Turchia è l’Europa mèditèrranèa.

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I porti di Chabahar e Gwadar al centro dei “grandi giochi” tra Asia Centrale e Oceano Indiano, Osservatorio di Poli-
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INTRODUZIONE
Guardando allo sviluppo della crisi in Ucraina il dato che più di ogni altro sembra
aver attratto l'attenzione dei media e degli analisti occidentali è la rinnovata asser-
tività della Russia di Putin. Nelle cronache di politica internazionale si è parlato di un
vero e proprio ritorno del mondo alle logiche della Guerra Fredda [1] e di un recu-
pero da parte della NATO del proprio ruolo originale di garante della difesa [2] dei
Paesi aderenti, in particolare coloro che si trovano ai confini con la Federazione Rus-
sa. In questa suggestiva narrazione una nota sembra stonare con un contesto di ri-
torno alla contrapposizione tra l'Alleanza Atlantica ed una rediviva Armata Rossa in
salsa putiniana; si tratta della posizione ambigua assunta dalla Turchia all'interno
della stessa crisi. Ankara, infatti, è stata, e continua ad essere, molto più silente e
meno solerte nel condannare l'azione di Mosca rispetto ai suoi alleati della NATO ac-
cogliendo molto freddamente la proposta di sanzioni nei confronti di alcuni alti fun-
zionari del Cremlino. Il Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoğlu spiega il basso
profilo tenuto dal suo Paese come una questione di prudenza dovuta al legame
geografico con l'Ucraina e la Crimea. Nelle parole del Ministro «La Turchia si trova
in una posizione unica all'interno di questi sviluppi. Noi siamo l'unico vicino di en-
trambi Russia e Ucraina che ha anche accesso diretto alla Crimea […]. E' molto im-
portante per noi che tutte le questioni vengano risolte nell'ambito del diritto inter-
nazionale, della diplomazia e attraverso negoziazioni che rispettino le buone rela-
zioni di vicinato» [3].

Sicuramente il legame che unisce Turchia, Russia e Crimea è estremamente ricco e
variegato e merita di essere esplorato nei suoi numerosi aspetti: esiste un legame
storico che prende le mosse dalla secolare rivalità che ha visto contrapposti l'Impe-
ro Ottomano e la Russia zarista in numerosi conflitti, uno su tutti la “Guerra di Cri-
mea”; etnico-religioso con la Russia alle prese con le proprie minoranze musulmane
tra cui i Tatari di Crimea, che oltre ad essere musulmani fanno riferimento alla
grande famiglia delle etnie turcomanne; un legame geopolitico che dal Mar Nero,
tradizionalmente legato all'atavica necessità di Mosca di guadagnare un accesso ai
mari caldi, si estende sino alla zona del Caucaso meridionale dove i due Paesi sono
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impegnati da anni in una lotta per estendere la propria influenza politica e cultura-
le; un legame economico che ha visto Russia e Turchia sviluppare nell'ultimo quin-
dicennio un rapporto di collaborazione/competizione tra l'esplosione del commercio
bilaterale e la corsa all'accaparramento delle risorse energetiche presenti nel bacino
del Mar Caspio, con la mai del tutto abbandonata ambizione turca di fare della peni-
sola anatolica il corridoio necessario a spezzare la morsa della dipendenza energeti-
ca con cui Mosca tiene in scacco l'intero continente europeo, Turchia compresa.

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Qual è dunque la posizione di Ankara all'interno di questa crisi? Come spiegare le
dichiarazioni con cui la Turchia difende l'unità territoriale dell'Ucraina e l'apparte-
nenza al contesto della NATO [4] mentre rivendica un ruolo di amicizia e di partena-
riato con la Russia? Come valutare la telefonata con cui Putin, primo leader a farlo,
si complimenta con Erdoğan per il risultato delle elezioni amministrative del 30
marzo scorso proprio nei giorni di maggiori tensioni tra Mosca e l'Occidente?

Senza la presunzione di poter dare una risposta esaustiva, questo Research Paper si
pone l'obiettivo di fornire una panoramica di tali questioni per poter gettare una lu-
ce su questo complesso tema. Nelle sezioni successive si cercherà di analizzare le
varie sfaccettature del rapporto tra Russia Turchia e Crimea con lo scopo di delinea-
re in maniera più chiara qual è la posizione di Ankara all'interno di questa crisi e le
ragioni per il mantenimento di questa postura ambigua.

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PARTE I

                           IL LEGAME STORICO

Dal punto di vista storico la Turchia e la Russia sono sempre state attraversate da
un profondo legame che nel corso dei secoli ha visto queste due potenze collabora-
re e scontrarsi a fasi alterne. Nel tracciare in maniera sintetica, e inevitabilmente
approssimativa, una parabola di questo rapporto, due fattori appaiono come diri-
menti.

Il primo è l'importanza cruciale del bacino del Mar Nero. Questo mare ha sempre
rappresentato un punto fondamentale per la Russia (fosse essa zarista o sovietica)
in quanto primo e principale punto di accesso per l'ingresso nei mari caldi. In que-
sta dimensione il controllo degli stretti esercitato per ragioni geografiche da Costan-
tinopoli, l'odierna Istanbul, ha finito inevitabilmente per rappresentare un tasto
estremamente dolente per la leadership di Mosca che vedeva le proprie capacità di
proiezione navale sempre condizionate al benestare turco in grado, in ogni frangen-
te, di impedire alla flotta del Cremlino di estendere la propria azione al di là dello
stretto del Bosforo. Valutare però il legame della Turchia ottomana con il Mar Nero
semplicemente in chiave di contenimento sarebbe estremamente riduttivo. Il Mini-
stro degli Esteri Davutoğlu, nel delineare la propria teoria della profondità strategi-
ca, vede proprio in questo bacino un'area verso cui la Turchia possa vantare anche
una profondità storica [5], ovvero un legame storico-culturale estremamente forte a
causa del suo passato imperiale.

Il secondo fattore è invece strettamente legato alla questione ucraina ed in partico-
lare alla penisola di Crimea. Si tratta della presenza in questo territorio dei Tatari.
Questo ceppo etnico, di lingua e cultura turcomanna, ha giocato nei secoli un ruolo
importante ed è stato storicamente ostile al dominio russo sulla penisola. I loro an-
tenati, discendenti di Gengis Khan, fondarono un loro proprio Stato nella regione
nel XV Secolo. Strettamente legato all'Impero Ottomano, il Khanato di Crimea è
servito come Stato cuscinetto per gli Ottomani e ha sfidato i moscoviti per il con-
trollo del Mar Nero e delle steppe che si estendono sui due lati di quello che oggi è il
confine turco-ucraino. Nel 1783 la zarina Caterina la Grande smembrò il Khanato
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annettendo la regione all'interno dell'Impero russo [6].

Un momento chiave, e per certi versi emblematico della relazione qui considerata, è
fornito dalla Guerra di Crimea che si è svolta tra il 1853 e il 1856. Questo conflitto
ha visto coinvolte da una parte la Russia dello Zar Nicola e dall'altra l'Impero Turco-
Ottomano supportato da alcune delle principali potenze europee dell'epoca: Gran
Bretagna, Francia e Regno di Sardegna. Il casus belli è stato rappresentato da un
violento alterco tra monaci avvenuto nel monastero di Betlemme per il possesso di

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una stella d'argento e delle chiavi d'ingresso della basilica della natività. Durante
questi scontri i monaci non disdegnarono l'uso della violenza e diversi prelati, ap-
partenenti per lo più alla Chiesa Ortodossa, finirono per perdere la vita. Autopro-
clamatosi difensore degli ortodossi in terre ottomane, lo Zar Nicola decise di dichia-
rare guerra all'Impero turco «non per invaderlo ma per accorrere in difesa della re-
ligione ortodossa» [7]. Al di là delle ragioni ufficiali, fu da subito chiaro come la
Russia zarista fosse interessata all'epoca a combattere Costantinopoli per poter
estendere la propria influenza al di là dei confini del Bosforo, e, per farlo, come fos-
se interessata ad usare la flotta ormeggiata nel porto di Sebastopoli. Il risultato di
questo conflitto, che racchiude in sé molti degli elementi decisivi nell'analisi della
relazione tra Russia e Turchia, fu da un lato la sconfitta della flotta zarista, dall'altro
la cacciata di circa 100.000 Tatari dalla penisola crimeana [8].

Con l'avvento dell'Unione Sovietica i due punti centrali di questo discorso sono ri-
masti sostanzialmente immutati. Durante l'occupazione tedesca della Crimea, infat-
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ti, una parte consistente dei Tatari decise di unirsi alle forze speciali in un'ottica di
collaborazionismo nei confronti degli occupanti nazisti. Nel 1944, dopo la riconqui-
sta della penisola da parte dell'Armata Rossa, Stalin ordinò un operazione di polizia
finalizzata a spazzare via l'intera popolazione tatara (oltre ai greci e ai tedeschi), in-
teri villaggi e città tatare vennero deportati forzatamente e spediti verso l'Asia Cen-
trale e altre zone dell'Unione Sovietica [9]. Dello stesso periodo sono le cosiddette
Stalin's Demand, ovvero la richiesta esplicita da parte del leader sovietico di aver
accesso e controllo degli stretti in un periodo in cui il clima internazionale della

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Guerra Fredda non si era ancora sedimentato e, di conseguenza, la collocazione
della Turchia era ancora incerta [10]. Dopo la morte di Stalin coloro che erano so-
pravvissuti alla deportazione erano determinati a porre fine al loro esilio ma lo Stato
represse le loro proteste ed ignorarono le petizioni. Alcuni appartenenti alle comuni-
tà tatare cominciarono a ritornare in Crimea in numeri significativi solamente verso
la fine degli anni Ottanta.

Dopo il collasso dell'Unione Sovietica nel 1991 il movimento nazionalista tataro virò
le proprie rimostranze verso lo Stato ucraino ma, tanto da Kiev quanto dalla mag-
gioranza russofona presente in Crimea, vennero in larghissima parte disattese
quando non ignorate [11]. Negli stessi anni tra le due madre patrie, Russia e Tur-
chia, si sviluppava quello che è stato chiamato il virtual rapprochement. Con esso si
intende uno stato di relazioni bilaterali in cui le manifestazioni di ostilità sono com-
pletamente scomparse, l'importanza della cooperazione in determinati settori è en-
fatizzata pubblicamente da entrambi, la retorica è di basso profilo e le linee di co-
municazione rimangono aperte. Nello stesso tempo un alone di timore, sfiducia e
sospetto rimane nelle menti dei decision-makers e delle elites politiche [12].

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PARTE II

                    IL LEGAME RELIGIOSO ED ETNICO:
                                 LA CAUSA TATARA

Il 18 marzo scorso, durante la cerimonia in cui è stata annunciata l'annessione della
Crimea alla Federazione Russa, Vladimir Putin ha fatto riferimento a Vladimir il
Grande, Principe di Kiev convertitosi al Cristianesimo di rito bizantino sul finire del X
Secolo. Questi riferimenti però sono stati complicati dall'assenza alla cerimonia di
Kirill I, il Patriarca della Chiesa ortodossa, e dalla presenza dei due clerici musulma-
ni di più alto grado tra quelli presenti in Russia. Nonostante Putin non abbia mai fat-
to riferimento all'Islam durante il suo discorso, il messaggio è stato chiaro: la crisi
di Crimea non riguarda solo la relazione della Russia con l'Occidente, è anche ine-
stricabilmente connessa con il ruolo dell'Islam in Russia. Le elite musulmane hanno
giocato un ruolo importante nel corso dell'espansione storica della Russia. Nei pas-
saggi chiave della storia russa, e sovietica, i chierici musulmani della regione del
Volga persuasero le popolazioni correligionarie alle frontiere sudorientali dell'Impero
a sottomettersi al dominio degli Zar. L'espansione formale era spesso seguita da
un'ondata di mercanti tatari che aiutavano l'incorporazione di questi territori nella
rete del commercio imperiale. Nel periodo sovietico invece la popolazione tatara ha
prodotto notevoli sforzi per creare una sintesi intellettuale di socialismo ed Islam,
nonché un ponte tra l'URSS e il mondo islamico [13].

Sin dai primi giorni della
crisi ucraina membri pro-
minenti     della   comunità
islamica presente in Rus-
sia hanno supportato l'a-
zione del Presidente cer-
cando di esercitare pres-
sioni sulla comunità tata-
ra utilizzando svariate ar-
gomentazioni: la possibili-
                                                                                                 Research Paper, N°17 – Maggio 2014

tà   di    ricongiungimento
con i propri correligionari
russi;    l'accettazione   del
volere della maggioranza;                         POPOLAZIONE TATARA IN CRIMEA
la maggiore sicurezza per         FONTE: REUTERS / DATI: STATE STATISTICS COMMITTEE OF UKRAINE
le popolazioni musulmane
grazie alla legge presente in Russia, e non in Ucraina, che vieta la predicazione da
parte delle sette che minano l'unità della comunità, quali Salafiti e Wahabiti [14].

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Ciononostante, come è stato evidenziato nel paragrafo precedente, i Tatari di Cri-
mea sono stati storicamente ostili alla dominazione russa. Con l'esplosione delle
proteste del Maidan svariati membri del nazionalismo tataro hanno fatto proprie al-
cune rivendicazioni dei manifestanti. L'incursione russa in Crimea ha di fatto incre-
mentato l'ansia dei Tatari che per questo si sono in larga parte opposti a tali svilup-
pi (almeno un Tataro è stato ucciso in un caso in cui i leader islamici crimeani mani-
festavano contro i militanti filo-russi). Un ex dissidente sovietico, e militante tataro,
Mustafa Dzhemilev, ha dichiarato che la Russia potrebbe fronteggiare una vera e
propria “Jihad” nel caso in cui maltrattasse la popolazione tatara. Altri hanno
espresso timori riguardo ad una nuova, possibile, ondata di espulsioni. Delegazioni
musulmane provenienti dalla Russia si sono recate in Crimea per dissipare i timori
dei Tatari e per convincerli a supportare l'annessione. Il tentativo però non è basta-
to ad eliminare i sospetti nei confronti di Mosca, tant'è che la maggioranza della po-
polazione di religione islamica ha preferito disertare il referendum sull'annessione.
Nonostante questi timori, nel suo discorso post-annessione Putin ha dichiarato che il
tataro sarebbe stata dichiarata lingua ufficiale della Crimea al pari del russo e
dell'ucraino, ha riconosciuto le colpe sovietiche nella deportazione degli anni Qua-
ranta (pur rimarcando la maggiore sofferenza delle popolazioni russofone nelle per-
secuzioni dell'epoca) e ha promesso di prendere tutte le decisioni necessarie a livel-
lo politico e legislativo per completare il processo di riabilitazione della popolazione
tatara di Crimea e di restaurare i loro diritti ed il loro buon nome. In risposta il 20
marzo il Parlamento ucraino ha dichiarato i Tatari come popolazione indigena, esau-
dendo una richiesta da lungo tempo portata avanti dai nazionalisti tatari, aprendo
così le porte per la concessione dei diritti connessi con la Dichiarazione delle Nazioni
Unite sui diritti delle popolazioni indigene del 2007 [15].

Il destino della popolazione tatara è di importanza cruciale per i rapporti della Rus-
sia con le varie nazioni a maggioranza islamica (Iran, Siria ecc.) ma assume una ri-
levanza ancora maggiore per quanto riguarda le relazioni con la Turchia. La popola-
zione tatara che oggi vive in Crimea infatti conta circa 250.000 individui, un numero
di poco superiore al dato relativo al 1944. La maggior parte dei Tatari di Crimea pe-
rò oggi vive in Turchia (circa 5 milioni di persone) discendenti dei rifugiati scappati
dalla penisola nel 1783, quando Caterina la Grande occupò militarmente il Khanato
di Crimea. Dopo oltre due secoli essi si sono perfettamente integrati nel sistema so-
ciale turco raggiungendo in alcuni casi i più alti gradi della scala sociale (ministri,
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parlamentari, uomini d'affari, generali, professori ecc.). Questo rende la posizione
di Ankara estremamente complicata e contribuisce a comprendere il comportamen-
to, a tratti “schizofrenico” della sua leadership. Tralasciando le questioni geopoliti-
che ed economiche – di cui parleremo nei paragrafi successivi – il destino dei Tatari
pone delle enormi difficoltà ai decision-makers di Ankara. Molti di essi, che oggi vi-
vono in Turchia, ricordano con orrore i tempi del secondo conflitto mondiale quando
i propri connazionali hanno dovuto subire le deportazioni da parte dei sovietici. Il
leader del Mejlis (Consiglio) dei Tatari crimeani, Refat Chubarov, è stato un fermo

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sostenitore del Maidan definendo la Rada (il Parlamento ucraino) come l'unico orga-
no legittimato a governare sulla penisola. Allo stesso tempo però il vice Primo Mini-
stro della Repubblica autonoma di Crimea Temirgaliev, di origine tatara, ha proposto
una serie di riforme che hanno in parte tranquillizzato la popolazione garantendo
una serie di diritti politici. La decisione di Mosca di favorire questi sviluppi ed adot-
tare le tre lingue in via ufficiale, in contrasto con l'intolleranza linguistica del Maidan
espressa dalle frange dell'estrema destra nazionalista, sembra essere una mossa
dettata dalla necessità di tranquillizzare Ankara su questo tema [16]. Durante una
conferenza stampa tenuta congiuntamente con il suo omologo turkmeno alla vigilia
del referendum del 16 marzo, il Ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu ha espresso
la propria preoccupazione per la sorte della comunità tatara e l'intenzione di fare
tutto il possibile per difenderne l'integrità e la sicurezza [17]. Mentre lo stesso Mini-
stro visitava Kiev e si incontrava con i leader tatari, il Primo Ministro Erdoğan tele-
fonava al Presidente Putin reiterando la propria volontà di non lasciare sola la co-
munità di origine turcomanna [18]. Inoltre Ankara non ha potuto fare a meno di
esprimere la propria condanna dopo che il Parlamento crimeano ha impedito il rien-
tro in patria del leader tataro Kırımoğlu e in seguito all'apertura di un fascicolo da
parte del procuratore, di nomina russa, ai danni dell'“Assemblea Nazionale della Po-
polazione Tatara di Crimea” citandola per attività illegale di massa [19].

Per quel che riguarda la causa tatara, Ankara si è dimostrata estremamente attiva
cercando di far valere in tutte le occasioni il proprio peso diplomatico a favore della
popolazione sunnita di Crimea, volontà resa ancora più forte dai molteplici appun-
tamenti elettorali (30 marzo, 10 agosto, 24 agosto) a cui il Paese è sottoposto. Dal
canto suo Mosca si è resa perfettamente come un accordo con la Turchia fosse ne-
cessario per gestire in maniera efficiente il dipanarsi della crisi [20].

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PARTE III

                         IL NODO GEOPOLITICO

Per un Paese di medie dimensioni, con un'economia in ascesa ma non di prima fa-
scia ed un portato storico rilevante come la Turchia, adottare un approccio impron-
tato al confronto con un Paese come la Russia non è mai un affare semplice. La re-
ticenza non è dovuta solo alla vasta cooperazione economica, e all'altrettanto vasta
dipendenza energetica, ma anche dal semplice fatto che la Russia è una superpo-
tenza ai suoi confini, con la quale è consigliabile mantenere relazioni prudenti [21].
La rilevanza dell'attore coinvolto è stata sin da subito percepita da tutti i Paesi e, di
conseguenza, sono stati prontamente convocati dei meeting d'emergenza tanto in
ambito NATO quanto in quello delle Nazioni Unite [22] per condannare immediata-
mente l'atto.

La Turchia, che si è unita alla NATO nel 1952, ha sempre seguito i dettami dell'Al-
leanza per quel che riguarda la postura nei confronti dell'ex Unione Sovietica. Con
la sua dissoluzione, e la fine della Guerra Fredda, Ankara è stato uno dei primi Pae-
si, per lo meno in ambito NATO, a siglare accordi con Mosca sulla lotta al terrorismo
e alla cooperazione in ambito militare [23]. All'inizio degli anni Duemila, e in parti-
colare dal 2003 con l'invasione americana dell'Iraq, questa cooperazione si è fatta
ancora più forte, portando addirittura alcuni analisti dell'epoca a speculare sull'e-
ventuale creazione di un axis of excluded [24] in Eurasia. Anche se questo scenario,
a posteriori, non si è realizzato, non stupisce una reazione di Ankara più tiepida nei
confronti della Russia di quanto si sarebbero aspettati gli alleati della NATO [25]. In
Turchia non sono state accolte di buon grado le sanzioni previste per alcuni perso-
naggi eminenti della politica russa, al punto da spingere il Ministro Davutoğlu a di-
chiarare, durante un'intervista al network filo-governativo TV-Net, che essere un
membro della NATO non significa necessariamente adottare un atteggiamento con-
flittuale nei confronti della Russia [26]. Diverso, come abbiamo visto in precedenza,
l'atteggiamento quando il terreno di scontro si è spostato dall'Ucraina generalmente
intesa alla Crimea, per cui la Turchia non ha mancato di far sentire la propria voce
in supporto della minoranza tatara [27].
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Dal punto di vista strettamente geopolitico un dato di assoluta rilevanza è la rinno-
vata centralità acquisita dal Mar Nero. Gli scenari più catastrofici in questo ritorno in
auge di una retorica di confronto si spingono sino ad ipotizzare lo scoppio di una
“Seconda Guerra Fredda” tra la Russia e l'Occidente in cui il Mar Nero potrebbe di-
ventare il terreno di scontro privilegiato [28]. Al di là delle dichiarazioni retoriche,
un recupero di centralità del Mar Nero non può non tenere in conto il ruolo della
Turchia in quanto il suo portato storico, suggellato dalla Convenzione di Montreux
[29], ne fa il guardiano della porta d'ingresso, ovvero gli Stretti del Bosforo e dei

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Dardanelli, con il compito di regolarne il traffico marino. La storia recente ci dimo-
stra come in realtà questo compito non sia mai venuto meno per la Turchia spe-
cialmente in momenti in cui la tensione internazionale subiva un'escalation a causa
dei movimenti russi ai propri confini. Nei giorni immediatamente successivi al con-
flitto russo-georgiano Mosca aveva esercitato una serie di pressioni affinché non
fosse concesso il passaggio di navi contenenti aiuto umanitario nei confronti della
Georgia, per il timore che esse in realtà contenessero equipaggiamento militare.
Tutto questo dopo aver denunciato la presenza di mercenari stranieri, tra cui alcuni
turchi, tra le fila dell'esercito di Tbilisi. La Turchia all'epoca decise di assecondare le
pressioni del Cremlino applicando alla lettera la Convenzione di Montreux, impe-
dendo quindi il passaggio di navi inviate dagli Stati Uniti e spingendosi sino a nega-
re l'accesso ad una nave ospedale battente bandiera americana [30].

Un secondo quadrante che, seppur non coinvolto direttamente, potrebbe subire
conseguenze a seguito di un eventuale deterioramento dei rapporti tra Turchia e
Russia è quello del Caucaso. Questo legame è stato da subito molto chiaro ai deci-
sori di Ankara che all'indomani dell'annessione della Crimea, mentre cominciavano
le tensioni nell'est del Paese, hanno espresso in maniera chiara questa preoccupa-
zione. Intervistato dal Magazine giapponese Nikei Asian Review, il Ministro degli
Esteri Davutoğlu ha dichiarato che «La nostra preoccupazione non riguarda solo l'U-
craina. Se questa modalità, un atto contro il principio dell'integrità territoriale, si af-
ferma, il rischio è che si espanda ai molti altri conflitti congelati come la Transni-
stria, l'Abkhazia e il Nagorno-Karabakh. Noi non vogliamo che la crisi ucraina dia
l'avvio ad un effetto domino nel Mar Nero e nelle altre regioni che confinano con la
Turchia» [31]. Il timore che tali conflitti vengano intaccati dal prosieguo della crisi
ucraina è molto forte per Ankara che, sin dalla fine della Guerra Fredda, è impegna-
ta in una difficile partita con Mosca nel settore caucasico. Oltre al già citato caso
georgiano, non bisogna dimenticare le complicate relazioni con l'Armenia sul ricono-
scimento del genocidio (su cui Mosca si è spesa a livello internazionale), la lotta per
la sovranità sul Nagorno-Karabakh che vede contrapposta la stessa Armenia all'A-
zerbaigian, da sempre alleato stretto della Turchia, e le tensioni legate all'Abkhazia
e alla Cecenia inserite nel quadro dell'islamismo russo. Una quadratura del cerchio
in quest'area si è dimostrata estremamente difficile specialmente in quanto essa si
va ad inserire all'interno della difficile partita energetica (di cui si parlerà nel para-
grafo successivo) che vede Ankara e Mosca in un rapporto dai tratti equivoci a metà
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strada tra la cooperazione e la competizione [32].

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PARTE IV

                       IL FATTORE ECONOMICO

Nonostante le tensioni di cui si è dato conto precedentemente, la Russia e la Turchia
hanno entrambe molto da perdere da un eventuale inasprimento del loro rapporto.
Quello geopolitico, infatti, non è l'unico fattore che invita entrambi alla prudenza,
ma esiste anche un importante condizionamento economico. I due Paesi hanno di-
fatti sviluppato nel corso degli anni un grande legame in questo settore che si è di-
panato lungo le direttrici del commercio bilaterale, del rifornimento energetico e nel
settore turistico.

Il commercio bilaterale, che una decina di anni fa si attestava su un volume di
scambio di poco superiore ai 5 miliardi di dollari, nell'ultima decade ha subito un
impennata vertiginosa con i volumi che, anno dopo anno, sono aumentati esponen-
zialmente. Lo scorso novembre nella città di San Pietroburgo si è riunito il Turkey-
Russia High-Level Cooperation Council nel corso del quale si è fissato il ragionevole
obiettivo di portare questo interscambio alla cifra record di 100 mld. di dollari entro
il 2020 [33]. Una variabile importante nell'interscambio è quella legata agli investi-
menti diretti all'estero in entrambe le direzioni. Da una parte le imprese edili turche
sono state tra le più attive nella costruzione del villaggio olimpico di Sochi, portando
circa 14.000 lavoratori turchi ad essere adoperati nella cittadina sul Mar Nero, espe-
rienza che potrebbe ripetersi nella preparazione dei mondiali di calcio Russia 2018.
Dall'altra parte, gli investimenti di imprese russe sul suolo turco non sono state da
meno, raggiungendo la ragguardevole cifra di 843 milioni di dollari [34]. Questa si-
tuazione ha portato alla messa in campo di una retorica stigmatizzata dalla dichia-
razione di amicizia tra i due popoli [35].

La leva migliore nella mani di Mosca rimane però quella della dipendenza energeti-
ca. La Turchia negli ultimi dieci anni ha subito una vera e propria rivoluzione indu-
striale che ha innalzato notevolmente il proprio fabbisogno energetico. Nonostante
l'implementazione di nuove infrastrutture, il 60% del gas naturale di cui l'industria
turca necessita proviene dalla Russia [36]. Circa il 50% di questo gas passa attra-
verso il Blue Stream, 13,7 mld di metri cubi su un totale di 26,7 mld.. Quest'opera
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consiste in una pipeline che, partendo da dalla Russia, attraversa tutto il Mar Nero
sino a giungere al terminale di Durusu, sulla costa turca, prima di proseguire verso
Ankara [37]. Questo dato non deve portarci a giungere conclusioni affrettate sulla
posizione succube in cui si verrebbe a trovare la Turchia. Se da un lato è vero che
Ankara necessita di mantenere attivo il canale del Mar Nero per non mandare le
proprie industrie in deficit energetico, è altrettanto vero che, in un periodo in cui le
relazioni con l'Ucraina sono al minimo storico, la Russia non può permettersi di per-
dere clienti nella zona sud dell'Europa pena il rischio di minare in maniera seria la

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propria capacità di esportazione con perdite quantificabili in centinaia di migliaia di
dollari. Anche se a causa della crisi economica che si è abbattuta sul settore indu-
striale il fabbisogno energetico dell'Europa è in calo, rendendo il nostro Continente
un po' meno vulnerabile di quanto non lo fosse nel 2009 [38], la chiusura del canale
sul Mar Nero sarebbe una disfatta per tutti gli attori coinvolti.

                                   BLUE STREAM PIPELINE
                                     FONTE: GAZPROM

Un ultimo settore di rilevante interscambio tra Russia e Turchia è quello del turismo.
Nell'anno appena trascorso oltre 4 milioni di turisti russi si sono recati in Turchia, in
particolare nelle località balneari dell'Egeo [39]. Questo fenomeno, congiuntamente
al maggior potere d'acquisto dei turisti russi, e al florido mercato nero presente nel
Paese, ha favorito l'emergere di quello che è stato chiamato suitcase trade, ovvero
l'acquisto di manufatti da parte di privati in Turchia e la loro rivendita in Russia ad
un prezzo maggiorato [40]. Anche in questo caso però l'annessione della Crimea
pone una sfida alla Turchia. Data la somiglianza dal punto di vista naturale e pae-
saggistico, numerose agenzie in Russia stanno suggerendo ai propri clienti di sce-
gliere la Crimea piuttosto che Antalya (località balneare sul Mediterraneo) ponendo
                                                                                            Research Paper, N°17 – Maggio 2014

una sfida al più che consolidato rapporto di interscambio turistico tra i due Paesi
[41].

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PARTE V

                               CONCLUSIONI

Il ruolo della Turchia nella crisi ucraina è un processo ancora in via di definizione,
che deve tenere necessariamente conto di tanti fattori e che fatica a trovare una
posizione univoca. La Turchia è legata a doppio filo tanto alla Russia quanto alla
Crimea da un rapporto che è stato influenzato da fattori storici, geografici, etnico-
religiosi, geopolitici ed economici. A causa di questo portato Ankara ha sviluppato,
all'indomani della Guerra Fredda, un rapporto molto più profondo e contradditorio di
qualsiasi altro membro della NATO; questo, unito alle variabili economiche, in primis
quella energetica, ha impedito al Paese di adottare una linea basata sul confronto
preferendo invece posizioni più morbide. Al contempo, però, il legame con le popo-
lazioni di religione islamica, in particolare con i Tatari di Crimea, l'ha costretta ad
ergersi a paladina dei loro diritti incrinando la presa di posizione precedente. Le
possibili ripercussioni sul Mar Nero e nel Caucaso, zone in cui la Turchia persegue
numerosi interessi, hanno aggiunto ulteriori complicazioni rendendo la posizione del
Paese sempre più flessibile ed incerta.

Le cronache degli ultimi mesi riguardo alla crisi ucraina hanno risollevato dopo oltre
un ventennio la retorica e le suggestioni della Guerra Fredda. La posizione di Anka-
ra in questo contesto appare, oggi più che mai, indefinita e mutevole. Risolvere le
contraddizioni e trovare la quadratura del cerchio rappresenta una delle sfide più
importanti che si presenteranno davanti ai decisori di Ankara. Le prossime elezioni
presidenziali previste per agosto, le prime ad elezione diretta, potrebbero giocarsi in
parte anche su questo tema.

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NOTE ↴

[1] Si veda a titolo di esempio: Heuvel, Katrina vanden e Cohen, Stephen F., Cold War
Against Russia – Without Debate, “The Nation”, 26 marzo 2014; Taylor, Paul, Cold War re-
flexes return to Europe over Ukraine, “Reuters” 17 marzo 2014,; Trenin Dmitri, Welcome to
Cold War II, “Foreign Policy”, 4 marzo 2014

[2] Apps, Peter e Croft, Adrian, Crimean crisis pushes NATO back to Russian focus, “Reuters”,
19 marzo 2014

[3] Hurriyet Daily News, Ukraine crisis may trigger 'domino effect': FM Davutoğlu, “Hurriyet
Daily News”, 11 aprile 2014

[4] Idiz, Semih, Turkey, Russia tread cautious line over Ukraine, “Al Monitor”, 15 aprile 2014

[5] Aras, Bülent, Davutoğlu Era in Turkish Foreign Policy, “SETA Policy Brief”, n°32, 2009

[6] Crews, Robert D. Putin's Khanate: How Moscow is Trying to Integrate Crimean Muslims,
“Foreign Affairs”, 7 aprile 2014

[7] Brighton, Terry, Balaklava: La vera storia della più famosa carica di cavalleria di tutti i
tempi, Trad. Sergio Mancini, Longanesi Editore, Milano 2008, pp. 24-25

[8] Crews, op.cit.

[9] ibid.

[10] Coş, Kivanç e Bilgin, Pinar, Stalin's Demands: Constructions of the "Soviet Other" in
Turkey's Foreign Policy, 1919-1945, "Foreign Policy Analysis", Vol. 6, 2010

[11] Crews, op.cit.

[12] Sezer, D.B., Russia: The Challenges of Reconciling Geopolitical Competition with
Economic Partnership, in Rubin, Barry e Kirisci, Kemal (ed.), “Turkey in World Politics: an
                                                                                                  Research Paper, N°17 – Maggio 2014

Emerging Multiregional Power”, London, Lynne Rienner Pubblisher, 2001, p. 154

[13] Crews, op.cit.

[14] Ibid.

[15] Ibid.

                                                                                                      14
[16] Naumkin, Vitaly, Russia manages Turkey, Crimean Tatars in Ukraine, “Al Monitor”, 11
marzo 2014

[17] Today's Zaman, Turkey will continue to protect Crimean Tatars' rights, says Davutoğlu,
“Today's Zaman”, 7 marzo 2014

[18] AFP, Turkey fears for Tatar minority in Ukraine, “Bangkok Post”, 14 marzo 2014

[19] Anadolu Agency, Turkey condemns Crimea for denying Kırımoğlu's entry, “Hurriyet Daily
News”, 6 maggio 2014

[20] Naumkin, op.cit.

[21] Idiz, op.cit.

[22] Keyman, Fuat, Ukrayna-Kırım krizi: Türkiye'nin iktidar kavgası yapma lüksü yok,
“Radikal” 5 Marzo 2014, consultato nella traduzione inglese ad opera di Bila, Sibel Utku,
Ukraine-Crimea crisis will affect Turkey, “Al Monitor”, 6 marzo 2014

[23] Winrow, Gareth, Turkey, Russia and the Caucasus: Common and Diverging Interests,
“Chatham House Briefing Paper”, novembre 2009, n°1

[24] Hill, Fiona e Taspinar Omer, Turkey and Russia: Axis of the Excluded?, "Survival", Vol.
XLVIII, Spring 2006, n°1

[25] Idiz, Semih, Turkey boxed in by Russian moves in Crimea, Al monitor, trad. Akin, Ezgi, 4
marzo 2014

[26] Idiz, Semih, Turkey, Russia tread... cit.

[27] Aydıntaşbaş, Aslı, 160 yıl sonra Kırım için ‘seferberlik’ , “Milliyet”, 2 marzo 2014,
consultato nella traduzione inglese ad opera di Goksel, Timur, Turkey mobilizes for Crimea
after 160 year, “Al Monitor”, 4 marzo 2014 e Idiz, Semih, Turkey boxed in... cit.
                                                                                                  Research Paper, N°17 – Maggio 2014

[28] Keyman, op.cit.

[29] “Convenzione di Montreux sul regime degli Stretti”, siglata il 20 luglio 1936 e registrata
presso la Società della Nazioni l'11 dicembre dello stesso anno. Per una versione inglese del
testo si veda http://sam.baskent.edu.tr/belge/Montreux_ENG.pdf

[30] Winrow, op.cit.

                                                                                                      15
[31] L'intervista è riportata da Hurriyet Daily News, op.cit. la traduzione dall'inglese è
dell’autore.

[32] Per una panoramica su questi temi si veda ad es: Aras, Bülent e Akpınar, Pınar, The
Relations between Turkey and the Caucasus, “Perceptions”, vol XVI n. 3, Autunno 2011, pp.
53-68; Mikhelidze, Nona, The Azerbaijan-Russia-Turkey Energy Triangle and its Impact on
the Future of Nagorno-Karabakh, "Documenti IAI", September 2010, n°10/18; Oskanian,
Kevork, Turkey and the Caucasus, “LSE Reports” n. 7; Winrow, op.cit.

[33] Today's Zaman, Turkey seeks $100 billion trade volume with Russia by 2020, “Today's
Zaman”, 22 Novembre 2013

[34] Anadolu Agency, Russian trade leader praises Turkey, “Anadolu Agency”, 14 marzo 2014

[35] Adilgizi, Lamiya, Old rivals or regional partners: Russia, Turkey and Crimea, “Al Jazeera
English”, 16 marzo 2014, e Hurriyet Daily News, Turkey is our primary partner: Russia's
Putin, “Hurriyet Daily News”, 8 febbraio 2014

[36] US. Energy Information Administration, Turkey, Country Report, “EIA”, 17 aprile 2014

[37] Gazprom, About Blue Stream Project, “Gazprom website”

[38] Okumuş, Olgu, Turkey dependent on Russian gas via Ukraine, “Al Monitor”, 5 marzo
2014

[39] Hurriyet Daily News, Turkey is our primary... cit.

[40] Robins, Philip, Suits and Uniforms: Turkish Foreign Policy since the Cold War, London,
Hurst &co., 2002

[41] Kanbolat, Hasan, Will the situation in Crimea have an effect on Antalya?, “Today's
Zaman”, 5 maggio, 2014
                                                                                                  Research Paper, N°17 – Maggio 2014

                                              A cura di
                               OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

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