Dal 14 maggio al 13 giugno - cinema ambiente natura esplorazione - Filmstudio 90
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“Di Terra e di Cielo” è un progetto in partenariato con in collaborazione con promosso da e la partecipazione di Segreteria organizzativa: Filmstudio 90, Via De Cristoforis, 5 - Varese Tel. 0332.830053 | www.filmstudio90.it Di Terra e di Cielo 2021
TERRA2O I luoghi Il programma potrebbe subire variazioni per cause indipendenti dalla volontà dell’organizzazione. della C I E LO21 rassegna ORGANIZZAZIONE VARESE Giardini Estensi, via Sacco Renato Aldeni, Sara Basaglia, Maddalena Campello, Giovanna Caserta, Dario Cecchin, Marilena Codispoti, Sala Filmstudio 90, Maris Croci Torti, Laura Di Bacco, Jin Feng Goh , Simona via De Cristoforis 5 Ghiraldi, Gianfranco Gorla, Alessandro Leone, Fabrizio Maroni, Valentina Minazzi, Adriano Martinoli, Reto Cinema Nuovo, Medici, Giuseppe Muti, viale dei Mille, 39 Marco Rampi, Stefania Villa, Lino Zaltron BALERNA (SVIZZERA) REDAZIONE CATALOGO E UFFICIO STAMPA Sala ACP, Giulio Rossini, Gabriele Ciglia, Marta Crivelli via San Gottardo 102 GALLARATE MEDIA PARTNER (Cascinetta) Oratorio Cinequanon, VareseNews Via Don G. Frippo, 11 FOTOGRAFIA DI COPERTINA LOZZA Alessandro Zoccarato Palatennistavolo, Via V. Veneto 1 PROIEZIONI E ASSISTENZA TECNICA Martino Babandi, Samuele Danini, Gabriele Ciglia, TERNATE Angelo Sacco, Paolo Matteazzi, Altera snc Parco Berrini, ingresso da via Roma IMPAGINAZIONE TRAVEDONA MONATE FLAI Graphic Design Cinema Sant’Amanzio, via Santa Caterina 32 STAMPA Flyeralarm srl, Bolzano VEDANO OLONA Parco Fara Forni, SI RINGRAZIANO Via Papa Innocenzo XI Tutti i volontari che hanno contribuito all'organizzazione e alla gestione della rassegna Gli orari di GIUGNO sono frutto... della speranza che sia modificato l’orario del coprifuoco. In caso contrario gli orari potrebbero subire variazioni. Con riferimento alle normative sul distanziamento fisico legato all’emergenza Covid e dato il numero limitato dei posti, per la sala Filmstudio 90 è consigliato prenotare scrivendo a prenotazioni@filmstudio90.it. Per le serate in programma ai Giardini Estensi è possibile acquistare i biglietti in prevendita su www.liveticket.it/filmstudio 90 a partire da 48 ore prima della proiezione. Saranno osservate tutte le prescrizioni ministeriali per garantire la sicurezza del pubblico.
Ritornare alla natura Ritornare alla natura, in questo secondo anno segnato dalla pandemia, per Di terra e di cielo (giunta alla 14.ma edizione), non è un vuoto slogan, ma il segno di un sentimento preciso, quello che ha dato vita nel 2004 a un progetto che sembrava effimero e che invece piano piano si è conquistato una continuità ed una valenza di primo piano. Il bisogno di raccontare il mondo nelle sue contraddizioni tra spinte alla modernità e valori antichi, di affrontare l’emergenza ambientale, di guardare in modo appassionato ma critico la vita attorno a noi, ha costruito nel tempo un percorso di conoscenza ricco di stimoli, di immagini, di emozioni da condividere. Nonostante l’emergenza sanitaria, siamo riusciti a riunire anche quest’anno tante forze, per realizzare una manifestazione che, dopo qualche serata al chiuso, in giugno si sposta anche in spazi all’aperto, sempre nell’osservanza di tutte le normative ministeriali, sperando sia spostato l’orario del coprifuoco per consentire le proiezioni ai Giardini Estensi o al Parco Fara Forni. Ci sarebbe dispiaciuto non poter effettuare l’edizione 2021 proprio nell’anno in cui la pandemia ci ha chiuso nelle mura domestiche, riproponendo con drammatica evidenza domande fondamentali che attendono risposte e strategie precise, e cioè come costruire, oggi più che mai, il nostro futuro insieme alla natura sempre più ferita dalle attività umane. Riportare l’economia a produzioni ecocompatibili, ridurre i consumi, cambiare radicalmente stili di vita sono parole d’ordine necessarie per costruire nuovi modelli di sviluppo che implicano la saldatura di scelte culturali e politiche coerenti nella salvaguardia dell’ambiente. Ecco perché la rassegna prosegue nell’intento di mettere in rete cittadini, associazioni ed enti locali e avvicinare tutto il territorio alla ricerca di una corretta informazione e promozione culturale sui temi dell’ambiente e dell’ecologia, dove trovano posto film a soggetto, documentari di grande impatto emotivo, testimonianze, reportages, spesso alla presenza degli autori o di professionisti del settore. Un progetto davvero condiviso, realizzato in partenariato con il Comune di Varese e il patrocinio dell’Università degli Studi dell’Insubria (alcuni docenti introdurranno importanti serate), Comune di Vedano Olona, Parco Del Campo Dei Fiori, Sondrio Film Festival e la partecipazione del Parco Nazionale Val Grande e della Comunità Montana Valli del Verbano. Promuovono il progetto Filmstudio 90, Legambiente Varese Onlus, Lipu Varese, Acli Terra, Animal Trip, Tutela Anfibi Basso Verbano ODV, Africa&Sport, AIIG, Mondi Possibili Varese, ACP Balerna, Yacouba, Fridays For Future Varese, Cineteatro Santamanzio: un variegato mondo di associazioni attive sul territorio, che si mettono in rete con gli enti locali e l’Università per dare forza a una progettualità aperta alle problematiche ambientali e davvero senza confini. Uno sguardo al programma: la rassegna prende il via con Minari, premiato agli Oscar. Tre giorni di proiezione al Cinema Nuovo di Varese, sala dove avremo l’opportunità di vedere anche Honeyland e l’attualissimo I am Greta (proposto anche a Travedona). Alla Sala Filmstudio 90, in anteprima nazionale, l’ultimo documentario del grande poeta per immagini Victor Kossakovsky, Gunda, che vedrà la presenza del varesino Gianmarco Donaggio, che ha lavorato sul set. Molti eventi della rassegna, in questo percorso improntato al rapporto tra globale e locale, raccontano da vicino il nostro territorio, con i film di Eugenio Manghi e Annalisa Losacco, Marco Tessaro (cui é dedicata una serata ai Giardini Estensi), mentre Moka Noir di Erik Bernasconi, che sarà presente alla serata, disegna le zone d’ombra del rapporto tra attività produttiva e ambiente a Omegna. Il cinema di impegno civile irrompe con forza con Semina il vento di Danilo Caputo, con El Olivo di Iciar Bollain presentato da ACP a Balerna, con Il magnifico La cordigliera dei sogni, di Patricio Guzman o con il monito lanciato da Antropocene, viaggio in sei continenti per denunciare l’impatto dell’umanità sull’ambiente, presentato a Lozza proprio nella Giornata della Terra il 5 giugno. A Varese, lo stesso giorno, scopriremo il pensiero ecologico di André Gorz, filosofo e attivista la cui lezione è imperitura. Dal Sondrio Festival arriva quest’anno a Vedano Olona un coinvolgente documentario, Okavango, il fiume dei sogni (in un altra serata, sempre a ingresso libero, il poco conosciuto Sarà un paese di Nicola Campiotti), mente a Balerna e Gallarate Amaranto racconta il bisogno di buone pratiche in ambito ambientale. Grande chiusura, ai Giardini Estensi, in una serata in collaborazione con Ubuntu Festival, con il concerto di Arsene Duevi cui seguirà un’altra prima visione, Matares, alla presenza del regista algerino Rachid Benhadj.
venerdì 14 maggio, ore 19 sabato 15 maggio, ore 16 e 19 domenica 16 maggio, ore 10, 16 e 19 ingresso euro 7,50/rid.6,00/rid. soci under 25 euro 3 Varese, Cinema Nuovo MINARI di Lee Isaac Chung, USA 2021, 116’ Anni ‘80: Jacob e la sua famiglia, immigrati sudcoreani stanchi di sopravvivere grazie a lavori come il sessaggio dei polli, si trasferiscono dalla California all’Arkansas. Jacob vuole avviare una coltivazione in proprio e rivendere i prodotti del suo lavoro nelle grandi città. La sua ambizione richiede enormi sacrifici e la moglie Monica è sempre meno disposta a concederne, specie per le complicazioni cardiache del figlio David. Pur di mantenere la famiglia unita Jacob accetta che si trasferisca da loro la suocera, Soonja: a differenza di Jacob, la donna è rimasta ancorata alle tradizioni coreane e si di-mostra tutto fuorché corrispondente all’immagine tradizionale della nonna. La collocazione temporale del quarto film di Lee Isaac Chung è solo in parte dovuta a un’esperienza autobiografica. Sono anche gli anni del reaganismo e della deregulation, gli anni in cui i piccoli agricoltori d’America soffrono, stritolati da un sistema spietatamente competitivo e sempre meno propenso all’assistenza. Su Jacob però il sogno americano ha attecchito e per lui lo spirito dei pionieri e il riscatto individuale procedono in maniera inscindibile. La sfida che questi ingaggia contro la malasorte e la natura sa di Sisifo che spinge il fatidico masso o di - come il nome proprio suggerisce - Giacobbe che sogna una scala verso Dio e le sue promesse, in un’ossessione che non conosce ostacoli e finisce per contare più di quel che avviene al contorno. Jacob vuole fornire un prodotto che restituisca il sapore della lontana patria a quei 30 mila coreani che ogni anno arrivano negli Stati Uniti. Ma per intraprendere questo viaggio deve immergersi a capofitto nelle contraddizioni d’America e del suo entroterra più isolato e impenetrabile, dove uomini che interpretano la religiosità in senso quasi animista possono rivelarsi di buon cuore e ragazzini apparentemente razzisti rivelarsi buoni amici. (Emanuele Sacchi, MyMovies) Il film ha ottenuto 6 candidature e vinto un premio ai Premi Oscar, ha vinto un premio ai Golden Globes, 6 candidature e vinto un premio ai BAFTA.
giovedì 20 maggio, ore 19.30* sabato 22 maggio, ore 16.30 domenica 23 maggio, ore 16.30 Varese, Sala Filmstudio 90 ingresso (riservato i soci) euro 6,00/rid. soci under 25 euro 3 GUNDA di Victor Kossakovsky, Norvegia/Stati Uniti, 2020, 93’ anteprima nazionale Dalla sezione Encounters arriva invece Gunda di Victor Kossakovsky, il regista dei recenti ¡Vivan las antipodas! e Aquarela. La protagonista del film è una scrofa, la vediamo che si prende cura dei suoi piccoli, li allatta, li accompagna verso l’inizio della vita. Gunda si riposa al sole o al riparo in mezzo al fieno, si avvicina alla telecamera, e sembra guardarla. Cosa pensa? Sa quale sarà il suo destino? Cosa pensa di noi? Gunda è una delle diverse centinaia di milioni di maiali che abitano il pianeta: dobbiamo ricordarci che gli animali sono più degli uomini, nel film vediamo anche due mucche che muggiscono piene di grazia, nel mondo ci sono un miliardo di bovini; e ci sono anche 20 miliardi di polli, che Kossakovsky rappresenta attraverso un pollo con una zampa sola, un pollo meraviglioso che sembra inciampare nel mondo. Gli animali si gettano nel fango, scacciano le mosche o cercano i vermi, sono loro gli eroi del film di Victor Kossakovsky. Gunda è prodotto, tra gli altri, anche dall’attore Joaquin Phoenix, noto vegano e attento agli animali e all’impronta degli esseri umani nel mondo. Kossakovsky osserva questo mondo con minimalismo, sta attaccato agli animali, non dice nulla con le parole né con la musica, non fa proclami ma ci mostra questo mondo nella sua semplicità. Gunda è un film che attribuisce grandiosità ai perdenti, ci fa capire così l’ignoranza di noi esseri umani nel non comprendere lo stato in cui vivono questi animali. L’unica risposta di noi spettatori non può che essere capire e lavorare contro il consumo di carne. Ci fa pensare, e non è facile poi uscire dal cinema e imbattersi negli odori di wurster e salsicce che invadono la zona del festival. (dal Festival di Berlino, Claudio Casazza, Cinequanon.it) D’altro canto la semplicità assoluta cui tende Kossakovsky (in questo senso Gunda assomiglia solo in parte ad altre opere del regista, si pensi a ¡Vivan las Antipodas! o alla vita di San Pietroburgo narrata in Russia from my Window) rende il film un monolito, magari inscalfibile ma allo stesso tempo mai particolarmente teso alla costruzione di un senso dialettico. Non è possibile mettere in discussione quello che accade sullo schermo, perché equivarrebbe a provare a smentire l’impressione, a scartavetrare un acquarello: è ovvio, per chiunque abbia anche solo vaghissimi rudimenti di etologia, o più prosaicamente abbia avuto modo di convivere con un animale domestico, che anche le altre bestie diverse dall’uomo – in particolar modo i mammiferi – provino sentimenti, costruiscano affetti e si prendano cura della prole. (Raffaele Meale, Quinlan.it) *Sarà presente Gianmarco Donaggio, collaboratore alla fotografia nella realizzazione del film.
venerdì 21 maggio, ore 19.30 ingresso euro 7,50/rid.6,00/ rid. soci under 25 euro 3 Varese, Cinema Nuovo LA PROVINCIA a seguire, OPEROSA di Eugenio Manghi MANDURIA, e Annalisa Losacco, 42’ anteprima di Geo-Rai3 TERRA GENEROSA Sulle carte geografiche assomiglia di Annalisa Losacco e Eugenio Manghi, 33’ a un vecchio sacco, stretto in alto anteprima di Geo-Rai3 da un cordone: è la provincia di Un tempo, un fitto bosco si estendeva da Taranto a Varese e, proprio come il sacco Lecce. Era conosciuto come Foresta Oritàna e oggi, ne dei doni di Babbo Natale, è piena di restano poco più di trentacinque ettari, vicino alla città sorprese. In un Paese come il nostro, di Manduria: è il Bosco Cuturi e ha una storia particolare, conosciuto nel mondo per la sua di generosità dei proprietari verso i cittadini e verso geniale e instancabile operosità, chiunque voglia visitarlo. Manduria è indubbiamente nota questo territorio a cavallo tra le per il suo vino Primitivo: questo vino è diventato una vera Alpi e l’Insubria, punteggiato da mille eccellenza internazionale. Tante sono le storie legate al laghi, ne è la degna espressione. Tra Primitivo. C’è addirittura chi lo usa per dipingere, con le pieghe delle sue basse montagne... una tecnica molto particolare, che viene definita “arte nelle sue valli, vive gente che ha enoica”. Manduria ha una storia antichissima, legata interessanti storie da raccontare. alla presenza dei Messapi e ancora oggi, si ricordano Sono vite fatte di scelte talvolta leggende che appartengono a quella tradizione. Come difficili ma generose. Magari insolite, quella delle mandorle d’oro, ora realizzate finemente che riportano a un passato un po’ con la tecnica del gioiello tessile in punto chiacchierino. romantico, caratterizzato però Le storie di queste terre si alternano in un ambiente, sempre da una grande concretezza; che nel tempo è riuscito a tornare a una naturalità scelte ‘’giovani’’, entusiastiche, sempre più apprezzata dai locali e dai tanti visitatori: tese a una maggiore sostenibilità dalle dune di Torre Colimena, coperte da una rigogliosa e fatte anche di sacrificio. In ogni e coloratissima macchia mediterranea; alla Salina dei caso: dignitose e premianti. Tutte Monaci, che ospita una popolazione di fenicotteri contras-segnate da una grande in continua crescita; alle spiagge dai colori caraibici operosità. Storie che vogliamo di Porto Cesareo, che nelle burra-scose giornate di raccontare. Scirocco, attirano centinaia di surfisti. È un lembo di Interverranno i registi Eugenio Puglia speciale, soprattutto perché i suoi abitanti hanno Manghi e Annalisa Losacco. un profondo senso di comunità e di generosità.
venerdì 21 maggio , ore 20.45 ingresso euro 5 Travedona Monate, Cinema Sant’ Amanzio I AM GRETA – Una forza della natura di Nathan Grossman, Svezia 2020, 97’ (versione italiana) Tutti sanno chi è, ma in pochi la conoscono. Pur avendo raggiunto in tempi rapidissimi una popolarità planetaria per il suo tenace impegno a favore del clima, Greta Thunberg ha infatti mantenuto un grande riserbo sulla sua vita privata, trovandosi anche a fronteggiare il “lato oscuro” della popolarità. Quello che, molto spesso, mette alla gogna chiunque passi dalle sue parti. Il documentario I am Greta – Una forza della natura arriva proprio a scostare questo velo e a spazzare via le maldicenze. E lo fa senza retoriche, cliché o toni celebrativi, ma mettendosi in soggettiva e mostrandoci il mondo come appare agli occhi di Greta. Scegliendo un tono pacato, ritmi lenti e musiche evocative, il regista svedese Nathan Grossman, che ha seguito la giovane nel suo primo anno di attivismo, ci mostra il lato genuino e profondamente umano di Greta. Una prospettiva che ci rivela la personalità celata dietro alla Greta guerriera che ci siamo abituati a vedere in questi anni. Una giovane ragazza, pronta ad abbandonare la sua comfort zone e a sopportare haters e scettici, in nome di un grande ideale.(Alice Zucchi, Lifegate.it) Con un pudore non banale Grossman sta con Greta anche nei momenti più difficili, quando i dubbi sono maggiori, come anche nei momenti in famiglia, negli scherzi, nelle risate. Secondo l’autore questo è un documentario tanto su Greta quanto sull’Asperger e su come le persone affette da simili sindromi possano condurre una vita normale. Grossman ha accumulato 200 ore di materiale da scremare, compresi gli eventi più noti della campagna di Greta, come il discorso “How dare you”. Il momento più clamoroso è quello del viaggio attraverso l’Atlantico in barca a vela. Un’impresa importante a livello mediatico e significativa per un’attivista che protesta contro l’inquinamento dei voli aerei, che Grossman ha compiuto con lei filmandola nei momenti più drammatici. È stato il culmine di un anno a tratti incredibile che spiega il bisogno che esisteva ed esiste di una figura come Greta per sensibilizzare l’opinione pubblica nella lotta ai cambiamenti climatici. (Gabriele Niola, Wired) Presentazione a cura di Fridays for Future Varese. info e prenotazioni: info@santamanzio.it replica I AM GRETA – Una forza della natura venerdì 28 maggio, ore 19.30 ingresso euro 6,50/rid.5,00/rid. soci under 25 euro 3 Varese, Cinema Nuovo (versione originale con sottotitoli italiani) Presentazione progetto Orto Sinergico Sociale in via Como a cura di Prospettive Vegetali e Covo. Presentazione del film a cura di Fridays for Future Varese.
sabato 22 maggio, ore 19.30 domenica 23 maggio, ore 19.30 ingresso (riservato i soci) euro 6,00/rid. soci under 25 euro 3 Varese, Sala Filmstudio 90 MONOS – Un gioco da ragazzi di Alejandro Landes, Columbia 2019, 102’ Quando ci troviamo di fronte a film che arrivano dalle periferie del cinema, spesso tendiamo a leggerli alla luce delle storie politiche dei paesi d’origine. A volte si pecca di superficialità ma per molti aspetti è un metodo utile per codificare opere che piombano da noi come degli ufo provenienti da chissà dove. Con il colombiano Monos – Un gioco da ragazzi (rappresentante locale agli Oscar 2020 per il Miglior film straniero) è quasi automatico adottare una chiave di lettura del genere: la guerra civile che ha devastato per anni la nazione funge da spunto, misura, allegoria del terzo film di Alejandro Landes. Landes ha la sapienza di costruire un grande racconto contemporaneo, che dialoga soprattutto con la sua comunità ferita, utilizzando un paradigma mitico che lo rende un’affascinante e ipnotica reinterpretazione di temi noti. Il signore delle mosche è il riferimento più facile, Apocalypse Now il meno modesto. I ragazzi di Monos, smarriti nel cuore di tenebra (beh, chiaro, no?) della foresta subtropicale, fanno parte di un esercito clandestino. Avrebbero l’età per vivere un’ultima guerra dei bottoni o per scontrarsi lungo una locale via Pál, ma sono già in missione per conto di una misteriosa Organizzazione che li sorveglia attraverso l’addestratore detto il Messaggero. Devono proteggere una prigioniera, un’americana che chiamano la Dottoressa (sì, sono tutti funzioni che ambiscono al portato iconico) e che, all’improvviso, scappa dal loro controllo: panico. Perché, dei Monos, lei non è solo nemico ma anche figura materna. Landes parte dal reale e respinge il realismo, lambisce il claustrofobico restando en plein air, costruisce la tensione accumulando angoscia, paranoia, allucinazione. Sull’avamposto della fine di un mondo ipotetico, i ragazzi lottano per permettersi un futuro nel mondo reale. Virtuosismi? Anche. Tre gli accreditati al montaggio: indicativo. Lo sguardo liquido di Landes è l’accesso per comprendere la confusione di un mondo in cui riesce a farti percepire l’umidità devastante, la mancanza d’aria, il silenzio inquietante. Tutto incredibilmente puntellato dalle musiche di Mica Levi: quasi co-autrice. (Lorenzo Ciofani, Cinematografo.it)
domenica 23 maggio, ore 10 - lunedì 24 maggio, ore 19.30 Varese, Cinema Nuovo ingresso euro 7,50/rid.6,00/rid. soci under 25 euro 3 HONEYLAND di Tamara Kotevska, Ljubomir Stefanov, Macedonia 2019, 86’ E’ incontestabilmente vero quello che da più parti si è scritto a proposito di Honeyland - Il regno delle api, confermato del resto dalle dichiarazioni d’intenti dei due registi Tamara Kotevska e Ljubomir Stefanov: che il documentario ci racconta di come un esempio di equilibrio miracoloso e fragilissimo tra presenza umana – Hatidze Muratova, carismatica custode di questo segreto – e mondo animale (qui rappresentato dalle comunità selvatiche di api instancabilmente dedite alla produzione del miele, non a caso considerato nella mitologia greca alimento di Zeus e degli dei) arriva a scontrarsi con l’irruzione di comportamenti che non rispondono a una logica di convivenza riconoscente ma di esplicito sfruttamento, al tempo stesso indotto da circostanze oggettive e brutale sia nelle sue manifestazioni che nei suoi effetti. Hatidze si muove con leggerezza e gentilezza nel suo quotidiano confronto con le api. Le rispetta e, così come le sa circuire con le sue nenie e i suoi essenziali strumenti di lavoro per appropriarsi del prodotto del loro lavoro, contemporaneamente divide con esse quest’ultimo (“metà a voi e metà a me”): un gesto che rimanda alle origini lontanissime del genere umano, consapevole debitore della propria sopravvivenza ad altri esseri viventi, degni per questo di essere continuamente ringraziati e placati per la violenza che sono costretti a subire a tal fine. A sottolineare non soltanto l’appartenenza profonda di Hatidze a questo sistema di riconoscimento ma anche la precarietà cui esso è esposto sta la prima sequenza che ci mostra la donna raggiungere un favo selvatico sull’orlo di un precipizio, muovendosi con la semplicità e la grazia di un animale selvatico eppure cosciente di svolgere un’attività basata su conoscenza e tecnica tramandate di generazione in generazione, necessaria alla sua economia di pura sussistenza. (...) Dopo la partenza degli intrusi, nel cuore dell’inverno la vecchia madre muore. E non dimentichiamo che di vera morte si tratta, poiché Honeyland - Il regno delle api è un documentario: i due registi hanno vissuto in situazione per circa tre anni e il racconto che ci hanno donato è distillato da 400 ore di filmato. Una volta attraversato il momento del dolore, Hatidze è infine sola. Abbandona i luoghi dove ha vissuto per tanti anni, risale un’ultima volta la montagna fino all’alveare che ci era stato mostrato all’inizio, raccoglie il miele che le servirà per il viaggio e parte accompagnata dal cane. Le immagini della sequenza conclusiva sono immerse in una luce trasparente come sa essere soltanto la luce del cielo terso in inverno: Hatidze condivide con il suo cane il miele, cibo degli dei, e fissa il suo sguardo nell’indeterminatezza del futuro. Uno sguardo che sorride. Un’anima libera. (Adriano Piccardi, Cineforum) Il film è stato candidato come Miglior Documentario e Miglior Film Internazionale per la Macedonia del Nord ai Premi Oscar 2020. Presentazione di produttori locali di miele. In collaborazione con Associazione Sir Jhon. replica HONEYLAND giovedì 3 giugno, ore 20.45 ingresso euro 5 Travedona Monate, Cinema Sant’Amanzio per info e prenotazioni: info@santamanzio.it
giovedì 27 maggio, ore 20.45 ingresso euro 5 Travedona Monate, Cinema Sant’Amanzio NOMAD – In cammino con Bruce Chatwin di Werner Herzog, Gran Bretagna 2019, 85’ info e prenotazioni: info@santamanzio.it Sono rimasti pochissimi i registi che sono sempre una garanzia, che sfornano ogni volta opere interessanti, anche quando lavorano a ritmi molto intensi. È il caso di Werner Herzog, un autore già nel mito che non ha bisogno di presentazioni. Pochi mesi fa è uscito l’ottimo Herzog incontra Gorbaciov e ora arriva in sala Nomad – In cammino con Bruce Chatwin, dall’approccio e lo stile molto diverso e ancora più imperdibile. Un documentario da non mancare per chi ama l’avventura, la geografia e il cammino e, naturalmente, un cineasta che non ha corrispettivi. Il regista traccia la biografia di un amico, con il quale condivise progetti e ideali, filtrando attraverso i propri ricordi la breve esistenza (morì di Aids a soli 48 anni d’età nel 1989) di uno dei più celebri e amati scrittori di viaggi. Va nei luoghi che gli furono cari, dalla Gran Bretagna alla Patagonia all’Australia, incontra testimoni a vario titolo, ma ciò che prevale con più forza è il punto di vista personale e il sentimento di amicizia e di mancanza ben percepibile. Si parte da un pezzo di pelle di brontosauro (che poi si rivelò essere un bradipo gigante estinto circa 10.000 anni fa) a casa di sua nonna in Galles. Un reperto trovato da uno zio marinaio in Patagonia che incuriosì il piccolo Bruce e gli instillò il fascino per la preistoria che lo accompagnò sempre: per caso fu presente in Sudafrica nel 1984 quando fu scoperto la più antica traccia di uso del fuoco, risalente a circa un milione d’anni fa. Come in molti suoi documentari, a collegare ed accompagnare c’è la chiara e suadente voce del regista: Chatwin non inventava, “abbelliva i fatti per renderli più reali”, chiarisce per rispondere alle accuse di eccessiva libertà nei racconti. Incontra poi la vedova Elizabeth che spiega: “Bruce era un nomade, ma poi tornava sempre tra le colline del Galles, le Black Hills, il paesaggio della sua anima”. Chatwin cercava pure “le stranezze”, per questo gli piaceva Segni di vita (1968), il primo lungometraggio di Herzog, nel quale “un soldato tedesco in ricognizione impazzisce quando vede una valle con 10.000 mulini a vento”. I due si incontrarono per la prima volta in Australia nel 1983, mentre uno preparava Dove sognano le formiche verdi e l’altro compiva ricerche sui canti aborigeni per Le vie dei canti: entrambi erano affascinati dalla mitologia aborigena. Il passaggio sul modo di muoversi e orientarsi degli indigeni australiani e il canto degli anziani, con i misteri sul loro significato, è una delle parti più affascinanti del film. (...) Il capitolo più emozionante del documentario è Lo zaino di Chatwin, nel quale il regista arriva a commuoversi, con misura ma senza paura delle emozioni, rievocando il loro ultimo incontro, poco prima che lo scrittore cadesse in coma. E spiega che nel successivo Grido di pietra (1991) il protagonista Vittorio Mezzogiorno porta sempre lo zaino di Chatwin in una sorta di omaggio, per un film che aveva a che fare con la morte dell’amico. (Nicola Falcinella, Cinequanon)
venerdì 28 maggio, ore 20.45 ingresso a offerta libera Balerna, Sala ACP AMARANTO di Emanuela Moroni e Manuela Cannone, Italia 2018, 80’ Prologo: il filosofo ed economista Serge Latouche e altri attivisti dei movimenti ecologici globali ammoniscono a ripristinare un rapporto più equilibrato e rispettoso dell’uomo rispetto all’ambiente, ma anche ad ispirarsi a nuovi approcci nella convivenza umana. A seguire, attraverso cinque segmenti concatenati, altrettanti testimoni di stili di vita alternativi al consumismo più meccanico riferiscono la loro esperienza, tra interviste posate e le immagini esemplificative delle proprie attività. In “Venire al mondo” l’ostetrica e saggista Verena Schmid, attiva a Firenze, illustra i perché fisiologici e filosofici del suo sostegno al parto naturale. In “Dare forma al mondo” il maestro elementare Franco Lorenzoni espone i principi che ispirano il suo metodo educativo nella casa laboratorio Cenci ad Amelia (Terni). In “Mettere radici” la contadina e utopista Etain Addey spiega come si è avvicinata alla vita agricola, scoprendola occasione di condivisione anche sociale nella fattoria di Pratale, vicino Gubbio. In “Coabitare” Alida Nepa dettaglia ostacoli e vantaggi del progetto di cohousing in atto a Ferrara. In “Rinascere” vediamo all’opera Saviana Parodi, biologa e divulgatrice della permacultura, disciplina di coltivazione sostenibile. (Raffaella Giancristofaro, MyMovies) Amaranto è una storia fatta di relazioni, di partecipazione, di un ritrovato rapporto con la Natura. Rapporto che alla lunga porta alla salute. Nei rapporti, nel lavoro, nell’alimentazione.”Il percorso dove ci conducono le due registe Emanuela Moroni e Manuela Cannone si condensa in circa un’ora e venti minuti di pellicola ed è straordinario come in così relativamente poco tempo le due riescano a riversare efficacemente sul pubblico un lavoro durato tre anni, alla ricerca di frammenti di vita e di testimonianze sulla possibilità di un’organizzazione diversa da come conosciamo oggi il lavoro, le relazioni, l’economia, la famiglia e la gestione del territorio.” (anonimacinefili.it) replica domenica 30 maggio, ore 20 ingresso gratuito Gallarate, salone oratorio Giovanni Paolo II AMARANTO
sabato 29 maggio, ore 20.45 ingresso a offerta libera Balerna, Sala ACP WONDERFUL LOSERS - a different world di Arunas Matelis, Lituania/It./Svi./Bel./Lett./G.B./Irl./, Sp. 2017, 71’ Otto anni di lavoro in cui ha dovuto affrontare condizioni talora proibitive. Il lituano Arunas Matelis ha infatti scelto un’impresa tutt’altro che semplice: misurarsi con uno sport che richiede spirito di sacrificio e dedizione alla causa come nessun altro. L’ultima autorizzazione a girare un documentario sul Giro d’Italia risale al 1973 di Stars and Watercarriers di Jorgen Leth. 40 anni fa. Ma per Matelis non si tratta semplicemente di un documentario sul Giro d’Italia. Non si parla di campioni in lotta tra di loro, di maglie rosa o ciclamino, né del doping che da decenni affligge le competizioni più prestigiose. Il punto di vista scelto da Matelis è quello di chi costituisce l’ossatura dello sport stesso: i gregari. Portatori di borracce, agnelli sacrificali destinati a far da battistrada per mettere il campione in scia e a interpretare il cosiddetto “gioco di squadra”. Nessuno ne canterà le lodi e a nessuno di loro toccherà il bacio della Miss al traguardo - tanto che, in una esilarante sequenza, un gregario va a prenderselo da sé il bacio di una spettatrice bionda - ma è qui che si può toccare concretamente la materia di cui è fatto il ciclismo su strada. In Wonderful Losers i suoni e i rumori provengono dal basso, in continuazione, come dei disturbi radio in sottofondo. A contare è ciò che avviene sulla strada, in genere nascosto dalle telecronache, ai margini del ciclismo che conta. E a emergere, nelle interviste a vari gregari italiani, è la matrice proletaria e contadina che contraddistingue il più umile tra gli sport competitivi. Un tratto quest’ultimo che spinge più di ogni altro l’appassionato ad amare e seguire il ciclismo su strada. Uno sport spesso sgradevole per tutti e cinque i sensi, fatto di fango e sudore, poco adatto ai merletti di chi ama pavoneggiarsi con la narrazione sportiva. Una faccenda di sputi, urla, cadute rovinose e soste collettive per fare la pipì en plein air, sotto gli occhi di chiunque passi di lì. Wonderful Losers non risparmia niente di tutto questo, anzi lo sottolinea. Perché il ciclismo appartiene a loro, a questi perdenti meravigliosi, che valgono mille Lance Armstrong. (Emanuele Sacchi, MyMovies) Il film è stato candidato dalla Lituania agli Oscar 2019 nella categoria Miglior Film in Lingua Straniera e Miglior Documentario.
lunedì 31 maggio, ore 19 ingresso euro 7,50/ rid.6,00/rid. soci a seguire, SNOWPIERCER under 25 euro 3 di Bong Joon-Ho, Corea del Sud/USA/Francia Varese, Cinema Nuovo 2013, 126’ Oggi, mondo: aerei disperdono le famigerate scie chimiche nei SCIENZE E NATURA. nostri cieli per contrastare il surriscaldamento globale. La cosa ovviamente non funziona ed una nuova glaciazione stermina QUATTRO SCELTE rapidamente gli abitanti del pianeta. Unici sopravvissuti i PER IL FUTURO viaggiatori che si sono aggiudicati il biglietto dello Snowpiercer, di Federico Timelli, treno rompighiaccio che fa il giro del mondo grazie ad una locomotiva che procede per moto perpetuo. I biglietti non sono Italia 2021, 8’ ovviamente tutti uguali ma rispettano rigidissime classificazioni: Un corto realizzato da un spazi ampi nelle prime classi mentre i più poveri stretti stretti giovane laureato in Scienze nei vagoni di coda tipo trenord in orario pendolari. Qualche Biologiche a Varese che ha anno dopo, esattamente nel 2031, dalle carrozze di coda parte svolto la propria attività con una rivolta per ribaltare l’ordine costituito determinato dal il team di ricerca UAGRA. misterioso Wilford (Ed Harris), l’inventore mitologico del treno. In sociologia per mobilità sociale si intende il grado di difficoltà (o di facilità) con cui è possibile passare da uno grado sociale ad un altro all’interno della stratificazione di una società. Il microcosmo di Snowpiercer impedisce qualsiasi tipo di mobilità sociale: in nome di un equilibrio essenziale alla sopravvivenza i miserabili del treno devono accettare questa condizione senza opporre resistenza. Ma i pendolari di tutto il minimondo si uniscono e capeggiati dal loro leader Curtis (Chris Evans) avanzano imperterriti nel treno e nella loro condizione sociale guadagnando acqua, cibo di qualità e vari comfort. Questo procedere lineare si scontrerà ovviamente con i piani del creatore e proprietario del vapore Wilfort. (…) Snowpiercer, presentato come il film coreano piu’ costoso della storia, riduce in un unico micro-cosmo su rotaia un modello di società rigida e ipercontrollata che rimanda alle cupe visioni orwelliane, a tratti alla bizzarra e delirante società del Brazil di Gilliam. In più qui troviamo ottima azione e tanta violenza: sono le spranghe ed i bastoni gli strumenti di redenzione a disposizione dei disperati dei vagoni di coda. Una narrazione rigorosa che si stempera in un finale aperto che risulta essere poco armonico con il corpo complessivo del film. Unico neo per uno dei grandi film della stagione. (Massimo Lazzaroni, Cinequanon.it) Presentazione a cura di Filmhub90.
LE FOTO FINALISTE DEL CONCORSO Mario Mondini Lago di Varese, Cazzago Brabbia Daniela Manfredi Vista del Monte San Giorgio, del Monte Orsa e del Lago di Lugano dal Monte Generoso
LE FOTO FINALISTE DEL CONCORSO Ezio Riboni Parete nord della palestra di roccia al Campo dei Fiori con vista verso la Svizzera Giancarlo Langini Regione di Landmannalaugar in Islanda
LE FOTO FINALISTE DEL CONCORSO Paola Ghiringhelli Intima contemplazione sulla cima del Mottarone Tiziana Barbaro Cascate di Cuasso al Monte
LE FOTO FINALISTE DEL CONCORSO Clara Crivelli Vista del Gruppo Sella da Sass Pordoi, Trentino Alto Adige Elisabetta Soresina Alpeggi di Pigra, Val di Intelvi GRAZIE A TUTTI I PARTECIPANTI!
giovedì 3 giugno, ore 20.30 ingresso euro 6,50/rid.5,00/rid. soci under 25 euro 3 Varese, Cinema Nuovo MOKA NOIR – A OMEGNA NON SI BEVE PIÙ CAFFÈ di Erik Bernasconi, Svizzera 2019, 93’ Andres Pfäffli, che ne è produttore, non ha avuto il tempo di vederlo in sala. Il co-fondatore di Ventura Film se n’è andato lo scorso 16 agosto all’età di 66 anni, dopo aver fatto “parlare il cinema” nelle più importanti rassegne, raccogliendone i premi. “Ci ha lasciati – questo l’intero virgolettato – ma ha sempre voluto far parlare il cinema”, recita il comunicato che annuncia, ricordando Pfäffli, l’uscita in Ticino di ‘Moka noir – A Omegna non si beve più caffè’, martedì 25 agosto alle 21 nel parco di Villa Argentina a Mendrisio. Alla presenza del regista Erik Bernasconi, anche nei passi del detective che in questo documentario-noir (lo dice il titolo) indaga sulla fine (o ‘scomparsa’, in termini investigativi) del distretto casalingo sviluppatosi in pieno boom economico italiano intorno a Omegna, sul Lago d’Orta, non troppo lontano dai nostri confini. Omegna il paese della moka, di Renato Bialetti che nel 1958 la pubblicità aveva trasformato nell’omino coi baffi, stampato sulle sue caffettiere e reso icona dal televisivo ‘Carosello’. L’omino e tutti gli annessi e connessi di un’epoca in cui in Italia, almeno al nord, rischiava di esserci lavoro per tutti. (…) È un thriller, ‘Moka noir’, ed è inutile chiedere al regista il finale in anticipo. «Il colpevole potrebbe non essere uno soltanto. Le cause potrebbero essere multiple e, alla fine, le conosciamo tutti. Con questo film cerchiamo di prenderne coscienza». Un docu-thriller in bianco e nero, per rispetto del genere ma anche «per la volontà di farne un film unitario, possibilmente non databile. Quella delle rivendicazioni dei diritti dei lavoratori è un’esperienza che in altri territori si sta vivendo solo adesso. E quella di Omegna è la storia comune a molti altri distretti industriali, a volte solo traslata di decenni». Storia scritta a quattro mani con Matteo Severgnini, di Omegna, giallista. «Che è uno dei motivi – l’essere giallista – per cui abbiamo scelto insieme questo taglio. È lui che mi ha proposto le storie della sua cittadina, che non conoscevo. È lui che mi ha portato nelle fabbriche abbandonate, e dalla gente del posto». (Beppe Donadio, Laregione.ch) Sarà presente il regista Erik Bernasconi. Presentazione a cura Giuseppe Muti (Università degli Studi dell’Insubria). In collaborazione con Legambiente Castronno, Associazione Sir Jhon, Associazione Italiana Insegnanti di Geografia. Flash mob: portate la vostra moka di casa (meglio se Bialetti) per diventare partecipi di un progetto creativo collettivo... che resterà nella memoria.
venerdì 4 giugno , ore 21.15 ingresso gratuito Vedano Olona, Parco Fara Forni SARÀ UN PAESE di Nicola Campiotti, Italia 2014, 77’ 2 novembre 2014 - Quest’anno la tradizionale ricorrenza del 20 novembre - la giornata che in tutto il mondo celebra l’approvazione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, avvenuta il 20 novembre 1989 - si lega a un’opera cinematografica. L’UNICEF Italia ha infatti deciso di celebrare il 25° anniversario della Convenzione con una serata-evento al Cinema Barberini di Roma, nella quale sarà presentato “Sarà un paese”, il film del giovane regista Nicola Campiotti, al suo esordio nel lungometraggio. Al confine tra documentario e finzione, il film esplora e racconta l’Italia di oggi attraverso lo sguardo curioso e indagatore di Elia, un bambino di 10 anni, alle prese con un Paese saturo di contraddizioni e difficoltà ma anche colmo di speranze e propositi per un futuro migliore. Il diritto al lavoro, l’amore per la terra, il paesaggio e l’ambiente che ci ospitano, il diritto di cittadinanza, il senso del limite, il valore del coraggio e il rispetto delle regole, l’apertura alla conoscenza e all’incontro di culture e credenze diverse, la Costituzione della Repubblica, gli esempi di buon governo. Questi sono alcuni dei temi narrati con grande sensibilità ed efficacia da Nicola Campiotti, nonché le principali tappe del cammino che il giovane protagonista Elia si troverà ad affrontare. (Unicef.it) Si è detto che Sarà un paese è un film per ragazzi. Ciò è vero solo in parte, e comunque non in un’ottica riduttiva. Più che rivolto a un pubblico specifico, genericamente identificabile con una fascia di età, il film di Campiotti è infatti quella che si dice un’opera “a misura di bambino”: l’ottica della narrazione è quella del piccolo Elia Saman, attore che offre una prova fresca e sorprendentemente ricca. Che il film possa essere fruito da un pubblico più giovane, e che possa essere utilizzato in percorsi educativi mirati (comunque da contestualizzare) è senz’altro vero: ma ciò che l’opera stimola è più che altro una limpidezza di visione, il recupero di quell’attitudine alla semplicità nell’approccio ai temi (che non è semplicismo) che è incarnata nel personaggio del piccolo protagonista. Una semplicità che parte da quella comunicazione che il ragazzino, in modo embrionale, comprende essere chiave di volta per la comprensione: lui e suo fratello, che nel film ha il volto dello stesso regista, si mettono semplicemente in ascolto, con un atteggiamento puramente e squisitamente ricettivo. Ciò che ne ottengono sono storie, racconti, vivide immagini: storie di vita vissuta, spesso drammatiche, ma filtrate da quel senso di meraviglia, da quel bisogno di ascolto, e condivisione, che da sempre rappresentano la base per la trasmissione della conoscenza. Il film si muove quindi, costantemente, sul doppio binario del racconto realistico, tradotto nella sua natura più documentaristica, e della trasfigurazione fiabesca, incarnata nella dimensione mitica del viaggio dei due protagonisti. (Marco Minniti, Movieplayer.it) Saluto in video del regista. In collaborazione con LATI S.p.a. Info e prenotazioni sul sito del Comune di Vedano Olona.
sabato 5 giugno, ore 20 ingresso gratuito - GIORNATA MONDIALE DELL’AMBIENTE Lozza, Palatennistavolo ANTROPOCENE di Jennifer Baichwal, Nicholas de Pencier e Edward Burtynsky Canada 2018, 87’ Una meditazione cinematografica sulla massiccia ricostruzione del pianeta da parte dell’umanità, Antropocene – L’epoca umana è un film documentario che avuto una lavorazione di quattro anni ad opera del pluripremiato team composto da Jennifer Baichwal, Nicholas de Pencier e Edward Burtynsky. Terzo in una trilogia che include Manufactured Landscapes (2006) e Watermark (2013), il film segue la ricerca di un gruppo internazionale di scienziati, il gruppo di lavoro Anthropocene che, dopo quasi 10 anni di ricerca, sostiene la teoria secondo cui l’epoca dell’Olocene ha lasciato il posto all’epoca dell’Antropocene a metà del XX secolo in seguito a profondi e duraturi cambiamenti. Dalle pareti di cemento in Cina che ora coprono il 60% della costa continentale, alle più grandi macchine terrestri mai costruite in Germania, alle psichedeliche miniere di potassio negli Urali russi, alle fiere di metallo nella città di Norilsk, alla devastante Grande Barriera Corallina in Australia e surreali stagni di evaporazione del litio nel deserto di Atacama, i cineasti hanno attraversato il globo usando valori di produzione di fascia alta e tecniche fotografiche allo stato dell’arte per documentare le prove e l’esperienza del dominio dell’uomo sul pianeta. All’incrocio tra arte e scienza, Antropocene – L’epoca umana testimonia, attraverso l’esperienza e non la didattica, un momento critico nella storia geologica - portando un’esperienza provocatoria e indimenticabile dell’ampiezza e dell’impatto della nostra specie. (dal pressbook del film). In questo excursus, Antropocene ci porta nella riserva di Ol Pejeta, in Kenia, dove si tenta di preservare l’esistenza di rinoceronti ed elefanti, messa in serio pericolo dal bracconaggio. Qui assistiamo allo straziante rituale della cremazione di migliaia di zanne di elefante, sottratte ai sanguinosi bottini della criminalità. Un funereo falò che diventa il simbolo del documentario stesso, raccontando tutta la miseria e il paradosso dell’avidità umana. Un’avidità che stermina e distrugge e a cui solo l’uomo stesso può rimediare, invertendo la rotta delle proprie azioni. Dall’Africa ci spostiamo a Norilsk in Siberia, uno dei luoghi più inquinati al mondo e noto come città del nichel, in cui tutto ruota attorno all’industria dell’estrazione mineraria. Da lì si va in Europa, in luoghi dove l’intervento umano ha ormai irrimediabilmente mutato l’aspetto della superficie terrestre, come le cave di marmo di Carrara, dove oggi le macchine riescono a strappare alla montagna in un giorno quello che una volta ne richiedeva manualmente almeno quindici. (Alice Zampa, Lifegate.it)
sabato 5 giugno, ore 21 ingresso (riservato ai soci) euro 6,00/rid. soci under 25 euro 3 GIORNATA MONDIALE DELL’AMBIENTE Varese, Sala Filmstudio 90 LETTRE À G. – RIPENSARE LA NOSTRA SOCIETÀ CON ANDRÉ GORZ di Charline Guillaume, Julien Tortora, Pierre-Jean Perrin, Victor Tortora, Francia 2019, 72’ (versione originale con sottotitoli italiani) Un film dedicato ad André Gorz, uno degli intellettuali più stimolanti del XXI secolo. Discepolo di Sartre, fortemente influenzato da Ivan Illich, è stato al tempo stesso filosofo, giornalista impegnato, critico economico, pensatore dell’ autonomia e pioniere dell’ecologia politica in Francia. Manon, 26 anni, raggiunge la casa di famiglia a Vosnon, nella campagna dell’Auboise, per prendere le distanze da Parigi, dove ha studiato. Laureata e senza un lavoro fisso, la prospettiva della precarietà la soffoca. Mentre cammina nel paese della sua infanzia si imbatte in un camion della televisione tedesca davanti a una casa vicina. Apprende per caso che un grande pensatore di ecologia politica è vissuto lì per vent’anni e vi ha trascorso i suoi ultimi momenti: Andre Gorz. Manon decide di indagare su questo misterioso filosofo di cui nessuno le ha mai parlato. Legge i suoi libri, si interessa alla sua vita e le sue scelte quotidiane ne vengono stravolte. Sotto forma di lettera immaginaria, si instaura un dialogo tra Manon e André Gorz sulla decrescita, il lavoro, il reddito universale e l’autonomia. Manon scopre questo pensatore e decifra la società in cui lei vive. Manon esprime i dubbi, i desideri e le domande della nostra generazione. Si interroga sul significato dei nostri atti, in un contesto di crisi ecologica. Attraverso le sue letture e le interviste filmate con Hervé Kempf, Dominique Bourg, Christophe Fourel, Willy Gianinazzi e Adeline Barbin, Manon incarna il prisma attraverso il quale scoprire André Gorz: l’uomo e il teorico; il filosofo e il giornalista; l’essere torturato che era fino a quando non ha trovato il suo posto accanto a Doreen, la sua compagna. Sarà in collegamento telefonico il regista Pierre-Jean Perrin, intervistato da Gabriele Ciglia e Gian Marco Martignoni.
domenica 6 giugno, ore 9 Ternate, Parco Berrini CORRI CON SAMIA – Lago di Comabbio Run Una corsa (ma anche camminata, nordic walking e plogging) per riflettere e documentarsi sui temi del-la migrazione, dell’integrazione e del vivere comune. Iscrizioni: www.endu.net, info@africasport.it
domenica 6 giugno, ore 21.15 ingresso gratuito Varese, Giardini Estensi FLORA, FAUNA E ALTRE VITE a seguire, di Marco Tessaro, 15’ SERPENTI E UOMINI Un viaggio che dal Ticino al lago di Varese e al lago Maggiore, arriva fino alla Forcora, DELLA VAL GRANDE, realizzato in 4K, per conoscere i pregi e i difetti dei nostri ecosistemi.Il documentario INSOSPETTABILI COMPAGNI è prodotto da Lipu ed è parte del piano di DI VIAGGIO comunicazione del progetto Corridoi Insubrici di Marco Tessaro, Italia 2021,15’ – il network a tutela de capitale naturale insubrico. Il progetto nasce per tutelare prod. Parco Nazionale Val Grande. Può suonare strano, ma l’uomo per secoli ha e dare continuità ecologica ad alcuni dei favorito i serpenti. La graduale colonizzazione luoghi più rilevanti delle Prealpi varesine. delle Alpi per l’inalpamento del bestiame ha Il coordinatore del progetto è il Parco del significato l’apertura di radure, prati da sfalcio Campo dei Fiori, con il coinvolgimento di un e pascoli. Un lento processo di trasformazione partenariato composto da Provincia di Varese, del paesaggio che ha diversificato l’ambiente Comune di Varese, Comunità Montana Valli del naturale, creando condizioni favorevoli di vita Verbano, Università dell’Insubria, Lipu, Oikos, per numerose specie e relazioni tutt’altro che Legambiente, con il sostegno della Fondazione scontate. Cariplo. Sarà presente Cristina Movalli, Parco Nazionale “Le Prealpi varesine - dice Massimo Soldarini - Val Grande. sono un serbatoio di biodiversità unico grazie a un’interazione di elementi naturali che crea ambienti molto diversi tra loro. In una regione PROGETTO DI come la nostra, con una densità umana tra le più elevate, mantenere la connessione delle RIQUALIFICAZIONE aree naturali significa consentire il flusso FLUVIALE IDROLIFE vitale di flora e fauna, che sono in perenne movimento. Solo la tutela capillare di preziosi di Marco Tessaro, Italia 2021, 15’ Pesci e gamberi di fiume sono i proganisti di ecosistemi come laghi, paludi, selve castanili, questo cortometraggio, prodotto da CNR ISE e prati da sfalcio di pianura e pascoli in quota Graia, su motivazioni e strategie del progetto può portare ad un’effettiva salvaguardia europeo LIFE IdroLife svolto tra Toce, Lago della rete ecologica e degli elementi che la Maggiore, Lago di Mergozzo e Parco Nazionale popolano”. Val Grande. Presentazione a cura di Adriano Martinoli Sarà presente il regista. (Università degli Studi dell’Insubria) e Massimo Soldarini (LIPU).
martedì 8 giugno, ore 21.30 ingresso euro 6,50/rid.5,00/rid. soci under 25 euro 3 Varese, Giardini Estensi SEMINA IL VENTO di Danilo Caputo, Italia/Francia/Grecia 2020, 91’ Semina il vento di Danilo Caputo racconta dei casi di xylella, il batterio che ha flagellato il Salento negli ultimi anni. Siamo vicino all’Ilva, la più grande acciaieria europea che ha danneggiato l’ambiente della regione per decenni. La protagonista è Nica, una giovane studentessa di agronomia che ritorna a casa dei suoi genitori nel sud Italia dopo una lunga assenza. È profondamente legata alla terra di sua nonna e ai suoi ulivi secolari, che non danno frutti da tre anni. Sono infestati da insetti che nessun pesticida è stato finora in grado di sradicare. Nica è decisa a trovare una soluzione. Ma il tempo sta scadendo perché i suoi genitori pensano solo al denaro e vogliono abbattere gli alberi. Semina il vento è incentrato sul conflitto modernità-tradizione che tanto piace al cinema italiano ambientato al Sud, il film è a tratti molto interessante ha il coraggio di prendere posizione ed è decisamente un omaggio alla natura nel senso più assoluto. Quel che è problematico è l’accumulo di troppi materiali, infatti il conflitto tra modernità e tradizione diventa presto anche uno scontro familiare, ma anche ambiente contro malaffare, e scienza contro credenze pagane. Proprio per questo eccesso di conflitti la costruzione e la sceneggiatura sono spesso zoppicanti, nonostante ciò emerge con forza il personaggio di Nico, che sembra l’unica persona in grado di capire cosa bisogna fare, ma l’ostilità e l’oscurità del paese sono fortissime, la sua lotta è un po’ la lotta di tutti noi: se vogliamo cambiare questi tempi dobbiamo prendere delle posizioni. (Claudio Casazza, Cinequanon) Berlino 2020, Panorama. Semina il vento è dunque una parabola che fa davvero spavento, perché atterrisce quel che mostra normalmente, anche al bordo di inquadrature che sembrano quadri per la composizione e la cura cromatica. Gli alberi sono infatti creature sovrannaturali, data anche la loro longevità, che solo l’inciviltà umana, istituzionalizzata come la criminalità, teme e cerca di distruggere. Dunque la protagonista, novella prescelta, congiura con questi esseri dalla corteccia e dall’anima in percolo. Visto L’albero del male? Bene, Semina il vento ne mantiene l’impianto e ne capovolge l’asse etico in termini di sostenibilità ambientale e culturale. Il paradigma degli horror tradizionali è dunque ribaltato: le entità arboree, di cui l’autore ci regala acute soggettive o ad esse si avvicina con movimenti suggestivi e inquietanti, sono la controparte buona del racconto. E Nica la loro “indemoniata”, che sin dal principio viene irretita e posseduta dall’ancestrale richiamo verso un mondo che sta scomparendo. (Anton Giulio Mancino, Cineforum.it) Prima del film, proiezione di un breve video realizzato da “Terre di Puglia - Libera Terra” per raccontare la coltivazione delle olive in terreni confiscati alla mafia. In collaborazione con Libera Varese. Presentazione del film a cura di Alessandro Leone
giovedì 10 giugno, ore 21.30 ingresso euro 6,50/rid.5,00/rid. soci under 25 euro 3 Varese, Giardini Estensi LA CORDIGLIERA DEI SOGNI di Patricio Guzman, Cile/Francia 2019, 84’ Le carrellate lente, talvolta combinate con un ralenti. La voce narrante pacata, quasi rassegnata, che scandisce ogni parola in modo sommesso. Lo stile di Patricio Guzmán, celebre documentarista cileno ormai vicino alla soglia degli ottant’anni - oltre la metà dei quali passati in esilio in Europa, dove si è rifugiato dopo il golpe di Pinochet -, è riconoscibilissimo, fin dalle prime sequenze di “La cordillera de los sueños”, terzo capitolo di una trilogia che mescola suggestioni geografiche alla storia tormentatissima del Cile, funestato nell’ultima parte del Novecento da una spietata dittatura, che ancora oggi lascia le sue scorie su quei cittadini che non vogliono e non riescono a voltare pagina. Una trilogia che ha per oggetto proprio la memoria, il fardello di chi vuole conservarla, l’ipocrisia di chi vuole oscurarla. Una trilogia accomunata dall’utilizzo, come pretesto narrativo, di tre elementi della geografia cilena, quelli che contribuiscono a fondare l’isolamento di un Paese che costituisce, nelle nostre menti assuefatte al planisfero eurocentrico, l’estrema propaggine Sud-occidentale del pianeta. (...) Il resoconto è ovviamente quello della storia cilena dal 1973 in avanti, quella che inizia con il golpe che pose fine all’utopia di Allende, dando il via a un regime di oppressione, di omicidi e di torture, di gente scomparsa, gettata nell’Oceano (come si narrava in “El bóton de nácar”) o seppellita nel deserto (come raccontava “Nostalgia de la luz”). Le Ande, tuttavia, hanno un ruolo più simbolico in “La cordillera de los sueños”: sono testimoni della barbarie, ma non per qualche aspetto in particolare, o per qualche episodio specifico legato agli anni della dittatura. Lo sono per definizione - afferma Guzmán - per la loro posizione, per la loro storia millenaria di baluardi che avvolgono il territorio del Paese. La metafora è calzante, quasi ovvia, ma non può che rappresentare un passo indietro rispetto alla più concreta focalizzazione che il regista aveva saputo trasmettere nei suoi due precedenti lungometraggi, dove l’elemento geografico diventava, per l’appunto, un fattore direttamente coinvolto nell’orrore rappresentato. (Vincenzo Chieppa, Ondacinema.it) Attraverso le conversazioni con gli amici artisti di Santiago, Guzmán porta in superficie un sentire comune rispetto alla catena montuosa: l’idea che isoli il Cile dal resto del mondo, così come la sua dittatura lo ha reso un caso, non unico, ma tragicamente singolare. E isolato, solitario, è anche lui stesso, condannato ad un sogno ricorrente che si è fatto tormento, fantasma, condivisibile fino in fondo solo con chi, come lui, ha dedicato la vita al lavoro duro del fare memoria. (Marianna Cappi, MyMovies.it) Presentazione a cura di Antonio Orecchia (Università degli Studi dell’Insubria)
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