Da Napoli a Liverpool: un viaggio chiamato traduzione - Università degli Studi di Salerno
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Università degli Studi di Salerno Facoltà di Lingue e Letterature Straniere Da Napoli a Liverpool: un viaggio chiamato traduzione di Rosaria Pappalardo Relatore: Prof.ssa Linda Barone A. A. 2009-10
Introduzione Quasi un anno fa si concludeva la mia esperienza Erasmus presso l’Università di Warwick, in Inghilterra. A distanza di tutti questi mesi, le immagini di quei giorni bellissimi e tutte le esperienze meravigliose vissute, sono ancora vive e impresse nella mia mente. Il soggiorno Erasmus è una delle esperienze più straordinarie che uno studente, in particolar modo uno studente di lingue, possa vivere durante la sua carriera universitaria. L’Erasmus mi ha resa libera culturalmente, mi ha aperto orizzonti infiniti e prima nemmeno lontanamente immaginabili, mi ha dato l’opportunità unica di vivere e studiare in un contesto internazionale, mi ha resa internazionale. Ricordo che quando chiedevo alle persone che incontravo ogni giorno, agli studenti provenienti da ogni parte del mondo, cosa li avesse spinti a scegliere di vivere quest’esperienza, il perché di tanti mesi (in alcuni casi diventati poi anni) di studio lontano da cosa, la loro risposta era sempre la stessa “To be international”. L’Erasmus mi ha insegnato a camminare con le mie gambe, a lottare per dimostrare quanto valgo, mi ha insegnato a sognare, a volare libera sui cieli d’Europa e non, e non solo fisicamente. Mi ha resa una persona migliore, mi ha regalato rapporti che saranno per la vita, e soprattutto la voglia di continuare a crescere, vivere e studiare, in contesti multiculturali. Anche il fatto di essere partita ormai alla fine del mio percorso accademico ha contribuito molto, avendo una maturità linguistica e personale decisamente differenti. Ed è proprio durante quest’esperienza all’estero che ho maturato l’idea di questa tesi. Ricordo che passavo tante ore in library, spulciando un’infinità di testi, alla ricerca di un argomento che mi appassionasse e che allo stesso tempo potesse anche avere un legame con quest’esperienza. E poi un giorno, durante una classe di traduzione, rigorosamente anglo-italiana, lo spunto per questo lavoro. Si parlava di traduzione, di dialetti, e davanti a noi avevamo un testo in siciliano da tradurre. I nostri colleghi inglesi ci guardavano perplessi, inconsapevoli del fatto che una traduzione di questo tipo fosse una bella sfida anche per noi. In seguito partecipammo a un’altra lezione, durante la quale noi italiani dovevamo parlare nel nostro dialetto e gli inglesi dovevano capire di quale dialetto si trattasse e individuare la nostra provenienza. Ricordo che da quelle lezioni vennero fuori considerazioni linguistiche di un certo peso, ma soprattutto, avendo visto l’interesse che gli studenti
inglesi mostravano per la traduzione di alcuni tipi di testo in dialetto, il mio desiderio di iniziare questo lavoro: la traduzione del teatro dialettale del mio paese. Non è stato semplice, soprattutto perché la prima cosa che ho riscontrato, è stata la mancanza di materiale bibliografico recente. Inoltre nella maggior parte dei testi consultati, si utilizzavano esempi quasi esclusivamente sul teatro del Nord Europa, e sul teatro italiano i testi erano davvero molto pochi, e soprattutto tutti ad opera di autori italiani. Questo come ulteriore testimonianza del fatto che l’atteggiamento generale verso la traduzione teatrale è davvero superficiale, e ancor di più nei confronti del teatro dialettale di una certa parte d’Europa. Nel primo capitolo ho analizzato la traduzione teatrale e dialettale da un punto di vista teorico, tracciandone le origini e cercando di dare un’immagine precisa di quella che è la sua situazione attuale, nell’epoca del doppiaggio, dei sottotitoli e addirittura da un po’ di anni a questa parte dei surtitles. Nel secondo capitolo mi sono concentrata sulla traduzione del teatro napoletano in Inghilterra e in America, con precisione sulla traduzione dei testi di Eduardo De Filippo, studiandone non soltanto la traduzione from page to page ma soprattutto quella from page to stage. Come vedremo in seguito è questo secondo tipo di traduzione per il teatro che deve maggiormente interessare un traduttore. Infine io stessa mi sono impegnata in un lavoro di traduzione di un testo di Eduardo. Ho scelto di concentrarmi sulla traduzione di alcuni estratti di Napoli Milionaria! e in seguito ho confrontato le mie traduzioni con un adattamento del testo di Peter Tinniswood, autore per tv, radio e teatro, di origine inglese. Avendo visto quanti pregiudizi ci sono sul teatro napoletano, quanti cliché e preconcetti, ho provato nel mio piccolo a tradurre Napoli per un ipotetico pubblico inglese, cercando di cancellare quell’immagine stereotipata che di questo teatro, è emersa dalla lettura dei testi consultati. Ed è per questo che la traduzione per il teatro, da tutti trascurata, è per me un valido strumento di riduzione delle barriere culturali. È assurdo, ma soprattutto doloroso pensare che, ancora oggi, esista ‘il discorso del sud’, un concetto di cui parleremo in seguito, che ci dimostra quanta e quanta strada ancora ci sia da fare prima di raggiungere l’obiettivo precedentemente citato: “to be international”!
Capitolo uno Teatro e Traduzione 1. Teatro e Traduzione: introduzione “Here lies the responsibility of the theatre: what a book cannot convey, what no philosopher can truly explain, can be brought into our understanding by the theatre. Translating the untranslatable is one of its roles”.1 La traduzione, come il teatro, è un‟arte. Un‟arte meravigliosa, sconosciuta ai più e fonte di piacere puro per pochi, il cui significato, ancora oggi, a distanza di anni dall‟apparizione della definizione di Translation Studies di André Lefevere2, e dopo che la pratica della traduzione è stata riconosciuta attorno al 1990 come disciplina indipendente e non più considerata quindi solo come una branca della linguistica, non è ancora chiaro o universalmente definibile. Passando in rassegna i numerosi testi in materia dei più importanti studiosi, potremmo trovare una serie di definizioni, alcune più o meno simili, altre assolutamente divergenti, ma alla fine dovremmo sempre riconoscere che “quella cosa che ha titolo ad essere chiamata traduzione è in fondo 1 Brook, P., The Shifting Point, Perennial Library, 1987, pag. 164 (citato da Taviano, S., Italians on the twentieth century stage: theatrical representations of Italianness in the English-speaking world, Thesis (Ph-d), University of Warwick, 2001, pag. 23). 2 Lefevere, A., in Translation Studies: The Goal of the Discipline in James S. Holmes, José Lambert and Raymond van den Broeck (Eds), Literature and Translation, ACCO, 1978, pp. 234-235 (citato da Bassnett, S., Translation Studies, Routledge, 2002, pag. 11) 1
imprendibile in una formula”.3 Quando poi l‟attenzione si sposta su branche e settori d‟applicazione molto specifici della disciplina, quali la traduzione teatrale e ancor di più la traduzione teatrale dialettale, la situazione si complica ulteriormente e le prospettive di studio si arricchiscono di una molteplicità di varianti e possibilità, al punto di rendere questo tipo di traduzione, uno dei più difficili, ma allo stesso tempo uno dei più stimolanti e avvincenti anche per i traduttori più esperti. Il patrimonio teatrale di una nazione è una ricchezza inestimabile, fonte di cultura e crescita perenni, orgoglio nazionalistico ma allo stesso tempo strumento indispensabile per il confronto e il contatto tra più culture. “Translation is like a living interacting organ by which the intellects of differing cultures communicate with one another”.4 Compito del traduttore è mediare questo contatto, agevolando l‟accesso al patrimonio culturale straniero e favorendone l‟integrazione nella comunità d‟arrivo. Il traduttore, con la consapevolezza che molti ritengono la traduzione dei testi teatrali un‟attività presuntuosa e impossibile, cercherà di far rivivere nella target language il connubio di emozioni, idee, gesti e sentimenti, che l‟autore ha voluto e portato sulla scena nella sua lingua di appartenenza, avendo cura di prestare molta attenzione ad ogni singola possibile sfumatura, sia linguistica sia culturale (“I am suggesting that some kind of accuracy must be the only criterion of a good translation in the future (…) ” 5). In fondo, l‟obiettivo di entrambe le discipline è lo stesso: translating the untranslatable. 3 Fazi, M.C., Aspetti linguistici dell‟italiano e dell‟inglese nella teoria della traduzione,Guerra edizioni, 1990, pag. 3 4 Schadewaltd,1960, (citato da Zuber – Skerritt, O., in Translation science and drama translation, in Zuber – Skerritt, O., (Ed), Page to stage: theatre as translation, Rodopi, 1984, pag. 3). 5 Newmark, P., A textbook of translation, Prentice-Hall International, 1988, pag.173. 2
2. Drama Translation Science Il testo teatrale è un testo particolarmente anomalo rispetto ad altre tipologie testuali, sia in prosa sia in versi. La sua particolarità sta soprattutto nel fatto che il testo nasce per essere recitato, è un testo quindi costruito in funzione della scena e degli attori. È infatti fondamentale che sia actable e speakable e quindi nella traduzione, ma non solo, “non-verbal and cultural aspects as well as staging problems have to be taken into consideration”.6 Zuber – Skerritt ha infatti dimostrato che “the meaning of a play can be distorted and misinterpreted if the translator fails to appropriately transpose the whole network of symbolic signs into the target culture: visual and acoustic as well as linguistic signs”.7 L‟attenzione deve essere concentrata più sulla produzione e messa in scena finale, che non sul testo in sé. Questa considerazione porta alla distinzione tra il testo teatrale pubblicato e il testo utilizzato invece per la rappresentazione, ciò che è comunemente definita la performance finale. La performance è la fonte dei problemi, a causa della sua “ephemity and its being subject to changes according to audience reaction, acting performance, physical environment, and other factors. Whereas the published drama text remains irrevocable and permanent, each theatre performance based on this text is different and unique”.8 6 Zuber – Skerritt, O., (Ed), ibidem, pag. 1. 7 Zuber – Skerritt, 1980, (citato da Zuber – Skerritt, O., (Ed), ibidem, pag. 8). 8 Zuber – Skerritt, O., (Ed), ibidem, pag.1. 3
Nell‟avvicinarsi ad un testo teatrale, il traduttore deve considerare i seguenti aspetti: “the nature of theatre dialogue as an artificial language characterized by special forms of cohesion, semantic density, rapid changes of theme and special deictic interaction; the multiple perspectives introduced by elements such as paradox, irony, allusion, anachronism and wordplay; the particular role played by rhythm and tempo; the identification of language with actors, of whom it becomes a sort of „mask‟; and, finally, the role of spectators, who are likely to be emotionally involved in the performance”.9 La nozione di traduzione teatrale risulta a questo punto ancora più complicata di quella della traduzione stessa, poiché si tratta di un‟attività strettamente collegata all‟ambiente del teatro e a tutto ciò ad esso inerente, ma soprattutto è un qualcosa di molto soggettivo e di continuamente mutabile, imprescindibile quindi dall‟idea di traduzione di attori, autori, produttori, registi, drammaturghi, adattatori, sceneggiatori, linguisti e traduttori. La traduzione per il teatro è infatti un‟attività particolarmente complessa e soprattutto di carattere interdisciplinare. Link10 è stato il primo che si è impegnato per dimostrare il legame esistente tra traduzione, adattamento e interpretazione, e soprattutto la necessità della collaborazione tra queste figure. Il prodotto finale risente infatti, positivamente e negativamente, della partecipazione attiva, a volte intrusiva e limitativa per il traduttore, di tutte queste persone. Come vedremo in seguito, il ruolo del traduttore per il teatro è molto sottovalutato, al punto che in alcuni casi il suo nome non è nemmeno menzionato. 9 Snell-Hornby, 1996, (citato da Palumbo, G., Key terms in translation studies, Continuum,2009, pag.116). 10 Link, 1980, (citato da Zuber – Skerritt, O., (Ed), ibidem, pag.9). 4
Zuber – Skerritt afferma che “yet according to our definition of drama translation as the transposition of the original, translated, or adapted text on to the stage (of the target language and culture), Drama Translation Science must be concerned both with the text as the basis for the stage production and the individual theatrical performances”.11 Il traduttore deve quindi avere ben chiari i suoi obiettivi. Il suo scopo è una doppia traduzione: la prima è la traduzione dalla source alla target language, la seconda invece è la traduzione per la performance. La traduzione per il teatro è una disciplina molto giovane e ancora in fase di assestamento. I primi scritti importanti risalgono infatti agli anni ‟8012, e comunque si è scritto pochissimo, soprattutto per la paura di avvicinarsi a un argomento così complesso. Molti traduttori, pur di superare l‟ostacolo, arrivano ad affermare che la metodologia da utilizzare sia la stessa usata per la traduzione di testi in prosa, negando quindi l‟innegabile, e cioè il fatto che il testo teatrale sia un testo completamente differente. A questo proposito, Susan Bassnett afferma “to begin with, a theatre text is read differently. It is read as something incomplete, rather than as a fully rounded unit, since it is only in performance that the full potential of the text is realized. And this presents the translator with a central 11 Zuber – Skerritt, O., (Ed), ibidem, pag.1. 12 Zuber-Skerritt, O., (1980), Zuber-Skerritt, O., (1984), Scolnicov, H., Holland, P., (Eds), (1989), Brisset, A.,(1989-1990), Pavis, P., (1992), Aaltonen, S., (2000), Upton, C.A., (2000), (citati in Espasa, E., in Theatre and Translation-Unequal exchanges in a supermarket of cultures in Branchadell, A., West, L.M., (Eds), Less Translated Languages, John Benjamins, 2005, pp.137-141). 5
problem: whether to translate the text as a purely literary text, or to try to translate it in its function as one element in another, more complex system”.13 Anne Ubersfeld14 concorda sull‟impossibilità di separare il testo dalla performance, evidenziando come purtroppo la maggior parte degli studiosi tenda ancora a considerare il testo scritto superiore al prodotto finale e degno quindi di maggiore attenzione. In questo modo, l‟idea sbagliata che leggere e mettere in scena un testo siano la stessa cosa, fa si che il traduttore per il teatro sia ancora più limitato di quello per la poesia. La questione merita di essere ulteriormente approfondita e infatti André Lefevere suggerisce che gli studi debbano concentrarsi principalmente su due punti: a) the pragmatics of production, in which the way a play is produced can also be seen as a type of text processing and b) the way in which certain productions influence the target dramatic literature.15 Sulla base di quanto affermato da Lefevere, risulta quindi evidente che la fase della produzione finale, il suo studio e la sua schematizzazione, sono fondamentali nell‟ambito della ricerca sulla traduzione per il teatro. 3. Translation Process Facendo nuovamente riferimento alle difficoltà intrinseche all‟atto traduttivo, Schleiermacher 16 afferma che il problema principale della traduzione stia nella sua 13 Bassnett, S., ibidem, 2002, pp. 119-120. 14 Ubersfeld, A., (citata da Bassnett, S., ibidem, 2002, pag. 120). 15 Lefevere , 1980, (citato da Zuber – Skerritt, O., (Ed), ibidem, pag.10). 6
“irrazionalità”. Ritiene infatti impossibile trovare sempre l‟equivalente perfetto nella lingua di arrivo, e quindi di conseguenza impossibile garantire l‟autenticità di un‟opera d‟arte in traduzione, poiché tale originalità dipende strettamente dall‟autore del testo originale, dalla sua lingua e dalla sua cultura, tutte cose che il traduttore non potrà mai riuscire a portare nel proprio testo. Propone quindi, pur riconoscendone l‟inadeguatezza, due metodi risolutori: la parafrasi e l‟adattamento. Secondo lui il primo risolverebbe il problema dell‟irrazionalità, il secondo garantirebbe invece la conservazione del contenuto e del significato originali. Egli stesso riconosce l‟inadeguatezza di questi metodi, giacché renderebbero il target text una mera forma di imitazione del testo originale. La sua conclusione è che per il traduttore non esistono compromessi, e che deve scegliere se essere “fedele” all‟autore o al lettore/pubblico. Queste due possibilità sono note con i nomi di verfremdung e entfremdung. “Verfremdung means distancing, estrangement or alienation of one‟s own language by understanding, following and adapting the language of the original. Entfremdung is dealienation of the foreign language by translating it into a language which the author would have used if he had lived in the time and place of the target language”.17 Rose 18 propone una serie di steps per il processo traduttivo definito “fase 1”, che rappresentano i passi da compiere per la prima delle due traduzioni (“from page to page”) di cui abbiamo parlato. La “fase 2” fa invece riferimento alla traduzione “from page to stage”. 16 Schleiermacher, 1838, (citato da Zuber – Skerritt, O., (Ed), ibidem, pag. 3). 17 Zuber – Skerritt, O., (Ed), ibidem, pag. 4. 18 Rose, 1981, (citato da Zuber – Skerritt, O., (Ed), ibidem, pag. 4). 7
Fase 1: Preliminary analysis; Exhaustive style and content analysis; Acclimation of the text; Reformulation of the text; Analysis of the translation; Review and comparison. La seconda fase è importante quanto la prima nella traduzione teatrale “For drama does not only exist as a literary work of art expressed in written language and to be appreciated through reading, thinking and discussing; but drama lives in its theatre performance, the total experience expressed in oral and non-verbal language and appreciated by all physical senses as well as the intellect and emotions”.19 Fase 2: Analysis of suitability for the stage; Decision on the basis for the translation from page to stage. Quando il traduttore conosce la lingua da cui sta traducendo, esistono tre tipi di traduzione. La prima è la traduzione letterale. Si tratta di un tipo di traduzione poco 19 Zuber – Skerritt, O., (Ed), ibidem, pag. 5. 8
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