La Copertina d'Artista - Settembre 2018
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La Copertina d’Artista – Settembre 2018 Un lungo, intenso ed avvolgente abbraccio è il tema della Copertina d’Artista di questo settembre 2018 che, come sapete, si intitola “#ripartItalia”. La scelta dell’artista, al secolo Vito Stramaglia, pittore barese, è netta, chiara, inequivocabile: per ripartire abbiamo bisogno dell’amore. L’immagine è sfocata, rarefatta, non è chiaro neanche il sesso, né l’età dei due soggetti ritratti, l’unica cosa che percepiamo è appunto il gesto caldo e rassicurante dell’abbraccio, come a dire che l’amore, quello vero, non si preoccupa di cose superflue, ma è universale, materno ed inclusivo. L’amore per ripartire… non possiamo che essere d’accordo con l’artista, anche perché, come recita il titolo
dell’opera, “Il Buio non aspetta”! Il titolo e l’opera in sé, hanno però anche un lato più impenetrabile, forse anche enigmatico: la scelta
cromatica dell’artista ci lascia perplessi ed un po’ inquieti, il gesto è caldo, l’affetto sincero, l’amore fra i soggetti quasi tangibile, eppure, osservando il quadro non possiamo non notare il fondale dipinto con pennellate decise, furiose quasi, che attingono alla parte più scura della tavolozza. Il buio del titolo sembra ghermire i due soggetti e benché l’abbraccio trasmetta amore, non possiamo non pensare che sia anche un disperato gesto di protezione. Da ultimo, l’artista ha deciso di graffiare tutta la superfice della tela, forse con una spatola, forse con il pennello stesso, è sono questi graffi che ci trasmettono quella sottile sensazione di ansia, quel tremito di pericolo, che fin dal primo sguardo era commisto all’amore, al calore, all’affetto.
V i t o S t r a m a g l i a l ’ a r t i s t a d i q u e s t o m e s e Due facce della stessa medaglia. Potremmo dire che nell’opera dello Stramaglia convivono sia lo
ying che lo yang e che questa è la metafora perfetta della vita. L’arte dello Stramaglia ci offre contemporaneamente diversi punti di vista e l’artista pare essere d’accordo con la giornalista Premio Pulitzer, Mary Schmich, quando afferma: “La buona arte è quella che ti lascia entrare da tante angolazioni diverse e uscire con tante prospettive diverse”. Amore ed odio per l’arte e la pittura, hanno contraddistinto il percorso artistico di Vito Stramaglia che, dopo il diploma al liceo artistico “Pino Pascali” di Bari nel 1996, ad un certo punto abbandona gli studi per dedicarsi alla pratica agonistica del pugilato. Ritorna alla pittura e si laurea con lode all’Accademia di Belle Arti di Bari nel 2006 ed in seguito frequenta un Master presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze fra il 2007 ed il 2009, specializzandosi in tecniche di designo e pittoriche
utilizzate nelle accademie francesi n el diciannovesimo secolo. Ultime mostre: 2018 ■ BATTERSEA AFFORDABLE ART FAIR, LONDON. HATCH GALLERY ■ HATCH GALLERY LONDON ■ PAVOT ART GALLERY LONDON
■ GALLERY19 CHICAGO ■ ARTE GENOVA 2018 International Art Fair 2017 ■ Colorida Art Gallery LISBON ■ “BIENNALE DI GENOVA 2017″ ■ “GENOVA ART EXPO 2017″ ■ “Osservatorio NIT – New Italian Talent” SATURA ART GALLERY ■ ARTE GENOVA 2017 International Art Fair – Satura Gallery ■ Bi-personal “Spiritualità del Gesto” OnArt Gallery FLORENCE Per informazioni e per contattare l’artista Vito Stramaglia: vitostramaglia76@gmail.com www.vitostramaglia.com Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi alla selezione della quarta edizione di questa interessante iniziativa scrivendo ed inviando un portfolio alla nostra redazione: redazione@smarknews.it La Copertina d’Artista – La Scheda Un lungo, intenso ed avvolgente abbraccio è il tema della Copertina d’Artista di questo settembre 2018 che, come sapete, si intitola “#ripartItalia”. La scelta dell’artista, al secolo Vito Stramaglia, pittore barese, è netta, chiara, inequivocabile: per ripartire abbiamo bisogno dell’amore. L’immagine è sfocata, rarefatta, non è chiaro neanche il sesso, né l’età dei due soggetti ritratti, l’unica cosa che percepiamo è appunto il gesto caldo e rassicurante dell’abbraccio, come a dire che l’amore, quello vero, non si preoccupa di cose superflue ma è universale, materno e inclusivo. L’amore per ripartire…, non possiamo che essere d’accordo con l’artista, anche perché, come recita il titolo
#ripartItalia – L’Editoriale di Raffaello Castellano È stato un rientro “strano” quello da quest’estate 2018, mentre scrivo questo editoriale (27 settembre), il sole, il caldo e soprattutto il dolce far niente, non vogliono ancora abbandonarci, anzi, sembra siano ancora più insediati dentro di noi. Eppure il mondo intorno a noi ha acquisito un ritmo tutto nuovo, una marcia in più, una spiccata velocità. Innanzitutto sono riaperte le scuole, molte piccole e medie imprese hanno riaperto i cancelli, sono cambiati i palinsesti televisivi, gli orari dei negozi, le giornate si sono accorciate e il buio arriva prima, perfino il Governo “pare” essersi svegliato ed infatti questi sono i giorni cruciali per l’approvazione del DEF (Documento di Economia e Finanza), che tanto sta spaventando i mercati e l’Unione Europea. Insomma tutto intorno a noi gira più velocemente e, diciamolo, caoticamente, tanto da farci venire voglia di abbandonare le nostre scrivanie e i nostri lavori per tornare di nuovo in spiaggia sotto l’ombrellone o in montagna per una nuova escursione. A dispetto di chi dice che non esistono più le stagioni e le mezze stagioni, noi che intanto siamo tornati al lavoro, a scuola, a casa, alle nostre vecchie routine, noi sì che lo avvertiamo il cambio di stagione. Il mondo intorno a noi ha ricominciato a correre e noi stentiamo, non dico a raggiungerlo, ma addirittura a ripartire. Siamo fermi al palo, con i doveri e gli impegni che ci sovrastano e la
nostra mente ancora in vacanza. Ma c’è una cosa che voglio dirvi: questo disagio, questa sottile ansia che si fa strada dentro di noi, questa stanchezza cronica che ci è caduta addosso, come una vecchia coperta, insieme ai primi malanni di stagione, non sono una punizione per la nostra estate brava, non appartengono solo a noi ed inoltre, sono del tutto normali. Anche se il tempo, il calendario, le stagioni stesse sono, in definitiva, delle convenzioni che ci siamo dati per organizzare la nostre vite, in realtà, quando sono state create, i nostri antenati hanno osservato ed imparato dalla natura. Il Sole per primo ci ha educato, regolando, attraverso gli ormoni, i nostri cicli circadiani di sonno e veglia, proprio sulle 24 ore. Il freddo, il caldo, la luce irradiata dal Sole, le fasi lunari, le maree, hanno condizionato i primi inventori dei calendari astronomici, che cercavano, solo, il periodo migliore per la semina ed il raccolto. Insomma, benché noi “moderni umani 3.0”, perennemente collegati ad internet e chinati senza speranza sui nostri innumerevoli schermi sempre accesi di giorno e di notte, anche noi siamo esseri viventi, apparteniamo a questa Terra e sottostiamo alle regole inventate da Madre Natura, molto prima che Steve Jobs, Bill Gates, Mark Zuckerberg e compagnia bella, ne inventassero di nuove
espressamente per noi. Quindi, se in ufficio ancora non riusciamo a recuperare il passo che avevamo prima delle vacanze, se stentiamo ad alzarci presto la mattina e a addormentarci altrettanto presto la sera, se siamo ancora un po’ svampiti, assonati e svogliati, non facciamone una tragedia; tempo due settimane ed il nostro corpo e la nostra mente, si saranno abituati al cambio di ritmo e noi torneremo alle nostre solite routine. Ma, senza voler scimmiottare un manuale di self – help, voglio darvi almeno un consiglio, non prima di avervi fatto una domanda: chi l’ha detto che tornare alle vecchie routine sia la cosa migliore per noi? Noi dovremmo abbracciare questo torpore autunnale, dovremmo ringraziare per quest’ansia di stagione, dovremmo amare questa partenza ritardata, perché il nostro corpo, prima della nostra mente, sa cosa è giusto per noi e forse il suo rallentare è una strategia per indurci a riflettere sulle nostre scelte, sulle nostre priorità, sulla nostra vita. Noi potremmo pure sbagliare, ma il nostro corpo di certo non sbaglia. Lo aveva già detto Friedrich Nietzsche: “Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza”. E dopo aver riflettuto? Ecco il momento del consiglio: approfittate di questa incertezza che vi pervade e provate a fare cose nuove per dare una “sveglia diversa” alla vostra vita. Iscrivetevi ad un corso di cucina, se non siete mai stati in grado di cucinare neanche due uova al tegamino, voi pigri andate in palestra ed uscite più spesso, voi iperattivi leggete un libro e rimanete a casa, voi paurosi fate pirobazia o paracadutismo. Insomma, approfittate del momento presente, del qui ed ora, per
imboccare e sperimentare tutti quei sentieri e quei bivi che vi siete lasciati alle spalle, perché ciò che davvero ci frena, e non per due o tre settimane, è l’essere legati ed affezionati, senza speranza, alle nostre routine, alle nostre zone di comfort. Se vogliamo che il nostro Paese riparta veramente, per primi dobbiamo cambiare noi, non importa se passo, strada, itinerario, purché si cambi, perché se continueremo a fare le solite cose, otterremo i soliti risultati. Buona vita e buona lettura a tutti voi. Raffaello Castellano Dal meteorite agli zombie: continua la saga del Buondì Motta, firmata Saatchi & Saatchi E’ passato un anno circa da quando lo spot del Buondì Motta faceva parlare di sé. La storia vedeva sterminata una famiglia intera (compresa di postino) da un meteorite, caduto come punizione per non aver creduto all’esistenza di una merendina che coniughi leggerezza e golosità. Da quel momento schiere di consumatori si scatenano perché indignati dal vedere cotanta “violenza” in uno spot per merendine: prima la mamma, poi il papà, poi il postino, tutti morti davanti a una bambina (sorridente, per giunta). Sicuramente a nulla sarà servito cercare di spiegare l’ironia della pubblicità, realizzata, peraltro, da una delle più importanti agenzie pubblicitarie al mondo, la Saatchi & Saatchi; inutile sarà stato il tentativo di dimostrare che altra è la violenza che i bambini guardano e assimilano ogni giorno dalla televisione e dai videogiochi. L’azienda milanese, allora, rincara la dose e ci serve un finale epico, come ultimo episodio della saga dell’asteroide. Un’ultima possibilità per convincere il consumatore offeso? Una provocazione? Non lo sappiamo, ma sappiamo che il risultato è esilarante, pieno di ironia, intelligenza e leggerezza, insomma, da fine del mondo. Ma veniamo ad oggi. Pensavamo che ormai fosse tutto concluso, invece, c’è ancora qualcosa da dire. La nostra famiglia, forse la stessa sterminata (con aggiunta di fratello), forse un’altra, si sveglia, ma non è il solito nucleo familiare allegro e sorridente (stile Mulino Bianco di una volta), bensì una famiglia di zombie, che ha finito le merendine. Chi appena sveglio, infatti, non si sente un morto vivente: prima del caffè, prima di connettere, prima di accettare che sia lunedì, prima del Buondì. Il claim recita:
“Buondì Motta. La colazione golosa e leggera che può rimetterti al mondo”. Staremo a vedere, allora, come proseguirà la saga più divertente e golosa del momento. Sulla mia pelle - Il Film È uscito nelle sale italiane e in contemporanea sulla piattaforma Netflix, “Sulla mia pelle”, il film che racconta l’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi. La pellicola del regista Alessio Cremonini, scelta come film d’apertura della sezione “Orizzonti” alla 75ª Mostra del Cinema di Venezia, parla del caso giudiziario non ancora risolto, accaduto nell’ottobre del 2009, del geometra romano morto durante la custodia cautelare nell’ospedale Sandro Pertini di Roma. “Sulla mia pelle” è un film da vedere, un film necessario; gli ultimi sette giorni di vita del protagonista sono raccontati come una lenta agonia, un disperato susseguirsi di giorni fatti di solitudine e abbandono. Stefano non era un ragazzo facile con una storia leggera alle spalle e proprio per questo motivo avrebbe meritato un’attenzione ancora più grande verso il suo disagio e le
sue scelte. Il clima della sua vita viene da subito mostrato grazie alla rappresentazione della sua famiglia, realizzata da attori calati perfettamente nella parte, cominciando dalla madre e dal padre, interpretati dall’attrice Milvia Marigliano e dall’attore comico Max Tortora, che siamo abituati a vedere in ruoli da commedia, ma che qui trasmette al meglio l’angoscia di un padre che dinanzi ai problemi del figlio non sa che strada intraprendere e probabilmente non ha neanche i mezzi per capirlo. Questo aspetto è lo sfondo che si percepisce per tutta la durata del film e che culmina nel completo abbandono in cui è lasciata la famiglia di Stefano, che non riesce neanche a vederlo
un’ultima volta. Componente fondamentale della famiglia è la sorella Ilaria (interpretata da Jasmine Trinca), che tanto lotta per far luce sulla vicenda del fratello, che ancora oggi, dopo nove anni, non ha ricevuto giustizia. Nove anni fa è l’ottobre del 2009 e Stefano Cucchi viene fermato per possesso di droga e di medicinali (per la sua epilessia), portato in caserma e messo in custodia cautelare; il giorno dopo viene processato con rito direttissimo e in quell’occasione presenta già ematomi sul viso di cui non spiega la causa. In carcere le sue condizioni fisiche si aggravano e dopo la visita in ospedale, in cui rifiuta il ricovero che i medici avevano richiesto, la sua salute peggiora sempre più, finchè muore presso l’ospedale Pertini il 22 ottobre 2009; il suo caso ha visto coinvolti alcuni carabinieri, agenti di polizia penitenziaria e medici del carcere di Regina Coeli. Sicuramente non è stato facile portare sul grande schermo la storia di questo ragazzo, ma il regista riesce magistralmente a rappresentare la vicenda, grazie all’andamento temporale, lento e cadenzato, alla fotografia, cupa e fredda, ad un’accurata ricerca sulle ultime ore di vita di Stefano e grazie, soprattutto, all’attore protagonista, Alessandro Borghi, che si è dimostrato ineguagliabile
nel sostenere il ruolo del trentunenne romano. L’attore Borghi, che negli ultimi anni sta facendo molto parlare di sé per diverse interpretazioni, tutte intense e realistiche, anche in questo film non si smentisce e, di nuovo in coppia con Jasmine Trinca come in “Fortunata” di Sergio Castellitto, ci regala il ritratto di un ragazzo che da subito si sente sconfitto e impotente davanti a ciò che sta vivendo.
La sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, si è così espressa sul film dedicato al fratello “Il film su Stefano dà voce a chi è senza diritti” ed uno dei principali obiettivi della pellicola, infatti, è cercare di far sentire rappresentati coloro i quali si sentono emarginati e sconfitti dalla giustizia e dalla burocrazia. “Sulla mia pelle”, con le sue numerose proiezioni anche presso associazioni e luoghi di aggregazione, sta riaccendendo i riflettori su una storia dimenticata troppo in fretta; rispondendo all’urgenza di raccontare quello che è accaduto a Stefano, il film tiene viva l’attenzione su questo fatto di cronaca che, in un paese che si definisce democratico ed evoluto come il nostro, non dovrebbe mai più accadere.
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