Studiare, Propagandare, Agire
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LOTTA DI CLASSE, (AUT)ORGANIZZAZIONE, RIVOLUZIONE Fino a quando gli uomini non avranno imparato a discernere, sotto qualunque frase, dichiarazione e promessa morale, religiosa, politica e sociale, gli interessi di queste o quelle classi, essi in politica saranno sempre, come sono sempre stati, vittime ingenue degli inganni e delle illusioni. [V.I. Lenin] Chi siamo Siamo un gruppo di compagni dell’area nord di Napoli, provenienti da varie esperienze di militanza che, mossi dalla necessità di costruire un collettivo di impostazione marxista sul nostro territorio, abbiamo deciso di intraprendere un percorso comune fondando il Laboratorio Politico Kamo. L'obiettivo è quello di partire da un lavoro di radicamento sul territorio, per cercare poi di generalizzare il conflitto e di collegarsi a tutte quelle lotte che mirano ad aggredire le principali contraddizioni (in particolare quella capitale-lavoro) del sistema capitalistico. Perché Kamo? Kamo inforcò la bicicletta. Passò da Attarbertzkov, il capo della Ceca, poi si avviò per la strada di Vejris che scende bruscamente verso il ponte sul Kura. Il ciclista prendeva le curve strette e spingeva sui pedali con tutte le sue forze. Aveva quarant'anni, ma la velocità lo inebriava sempre. L'aria della sera era di una tenerezza materna. La terra era felice di portarlo e gli rideva perché sapeva ancora amarla. Quando l'automobile nera comparve, a fari spenti, né il ciclista né lei cambiarono direzione. Era come se avessero un vecchio appuntamento. Erano le undici di sera. Il sangue sprizzò dalla gola e stillò dalle orecchie. Onde di luce danzavano davanti agli occhi di Kamo. Incomprensibili brusii arrivavano alle sue orecchie. Aveva freddo. L'ospedale Mikhailovskij, ancora una volta. L'ultima. Alle tre del mattino fu la fine. Il 18 luglio 1922 all'estremità di Piazza Erivan, in quel giardino Puskin che aveva risuonato per le esplosioni del leggendario colpo del giugno 1907, le corone si accumulavano. Quella di Lenin diceva semplicemente: "All'indimenticabile Kamo” [da 'Kamo - l'uomo di Lenin'] Kamo era un rivoluzionario bolscevico, un uomo di fiducia di Lenin, che ha dedicato tutta la sua vita alla causa del socialismo e della liberazione del proletariato dall’oppressione.
Abbiamo deciso di intitolare il laboratorio politico proprio a lui in quanto, sebbene fosse un uomo d’azione, ha sempre agito seguendo le direttive leniniste, dimostrando come un buon militante debba riuscire a coniugare teoria e prassi. Analisi della fase La crisi che stiamo vivendo, causata dalla caduta tendenziale del saggio medio di profitto, ha trasformato e continuerà a trasformare radicalmente la nostra società. Il vecchio mondo è ormai solo un ricordo del passato. Anche se sembra che nulla si muova, in realtà i cambiamenti sono profondi e sempre più rapidi. Il grande capitale ha l'assoluta necessità di accelerare i processi di concentrazione per rilanciare un nuovo ciclo di accumulazione; nuovi blocchi imperialisti vanno formandosi, si modifica la divisione internazionale del lavoro, i sistemi politici socialdemocratici basati su democrazia (borghese) rappresentativa e Welfare State falliscono miseramente, ovunque aumentano miseria e sfruttamento, i capitali si concentrano e i “piccoli” vengono schiacciati e/o assorbiti. Naturalmente questi processi non sono né privi di tensioni né tanto meno lineari; è in atto, infatti, un violento scontro tra varie anime della classe dominante. Nel nostro paese questi cambiamenti impongono alla borghesia un “salto di qualità” notevole per continuare ad essere competitiva a livello internazionale; pertanto dal punto di vista capitalistico tutto il modello produttivo nazionale deve essere ridisegnato e riorganizzato: le classi dominanti non possono più permettersi una rete così diffusa di piccole e medie imprese, una burocrazia così macchinosa e costosa, una tassazione “eccessiva” che rende i mercati italiani poco appetibili per i capitali stranieri, una rete di corruzione diffusissima e una classe operaia che, grazie ad un ventennio di lotte (anni ’60 e ’70), è riuscita a strappare condizioni di lavoro e di salario che limitano i margini di profitto. L’obiettivo dichiarato del padronato italiano, come del resto “ci chiedono i mercati” e i media ossessivamente ripetono, è quello di rilanciare la crescita che, in un regime capitalista, equivale – gioco forza – all’aumento dello sfruttamento della forza lavoro. Un aumento dello sfruttamento perseguito attraverso l’attacco alle condizioni dei lavoratori, sia in termini salariali che di diritti: è in quest’ottica, infatti, che vanno analizzati gli accordi sulla rappresentanza stipulati nel corso degli ultimi anni (su tutti quello del 31 Maggio 2013) che, se da un lato cercano di emarginare i sindacati di base, dall’altro vanno a colpire direttamente il diritto allo sciopero dei lavoratori, cercando di “prevenire” e “anestetizzare” qualsiasi forma di lotta e di conflitto sociale. In questo contesto i sindacati confederali hanno definitivamente gettato la maschera, rivelandosi esplicitamente per quello che sono:
i “cani da guardia” del padronato. Sindacati confederali che, ormai, non solo non rappresentano più gli interessi dei lavoratori ma che vanno considerati a tutti gli effetti dei nemici di classe. I padroni per rilanciare la crescita hanno, anche, bisogno di una maggiore stabilità politica che sia garanzia del mantenimento di determinate condizioni di “profittabilità”. Stabilità politica che, però, il grande capitale stenta a trovare visto il feroce scontro tra varie fazioni della classe dominante e l’eccessivo peso che la piccola borghesia (soprattutto rispetto ad altri paesi a capitalismo avanzato) ha nel sistema produttivo italiano. I vari governi tecnici e di larghe intese, quindi, rappresentano il punto di mediazione che le varie anime della borghesia trovano sulla pelle dei lavoratori, pur di continuare a conservare i loro privilegi nell’ottica di un massacro sociale sempre più bieco e cinico. Crisi delle istituzioni borghesi L’attuale contesto di crisi ha totalmente azzerato ogni margine di riformismo, portando alla luce il reale ruolo delle istituzioni democratico-borghesi. Infatti, in periodi di accumulazione e crescita il capitale può permettersi di fare qualche piccola concessione al proletariato pur di tenerlo buono, alimentando la falsa coscienza di uno Stato neutrale nello scontro tra le classi e tutore degli interessi della collettività. In fasi come quella attuale, invece, i padroni si limitano ad utilizzare il bastone dimenticandosi della carota, dimostrando come, in realtà, lo Stato e le sue strutture (rappresentative e repressive) non siano altro che uno strumento di dominio e oppressione di una classe su un’altra. Di conseguenza le istituzioni borghesi sono ormai completamente screditate agli occhi delle masse, sebbene queste non abbiano ancora maturato una piena consapevolezza politica, concentrandosi su questioni secondarie piuttosto che su quelle che sono le reali contraddizioni che caratterizzano l’attuale crisi del sistema rappresentativo delle democrazie liberali. Il nostro ruolo, quindi, non deve essere quello di difensori dell’ordine “democratico” e/o della costituzione, ma dobbiamo lavorare per far crescere questo sentimento di rabbia indirizzandolo nella giusta direzione, cioè nella lotta che punti alla presa del potere, evitando che il proletariato sia vittima di sbandate reazionarie e populiste. Comunisti oggi L’attuale frammentazione della classe proletaria vede oggi sempre più centrale e necessario il ruolo dei Comunisti nella società capitalistica. Essi hanno l’arduo compito di mettere in piedi processi che siano ricompositivi della classe stessa, frammentata da oltre
20 anni di riforme del lavoro e da una mancanza di un’organizzazione comunista forte e credibile capace di porsi come punto di riferimento per essa. Tutto questo ha fatto si che oggi parte del proletariato, incapace di distinguere tra i propri interessi e quelli della controparte, abbia subito passivamente e “inconsapevolmente” attacchi padronali che l’hanno indebolito e diviso ulteriormente. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se oggi assistiamo ad una frammentazione delle lotte ed un arretramento economicista e corporativo delle rivendicazioni, in quanto ognuno è “stato portato” a concentrarsi sulla propria vertenza senza percepire l’urgenza – politica e materiale – di dover unire le singole lotte con l’obiettivo finale di portare avanti la lotta di classe contro il sistema capitalistico. Ebbene, per far sì che ciò avvenga è necessario che i comunisti riprendano il proprio ruolo egemonico e di radicamento all’interno della classe. Certo non è un compito facile. Le difficoltà oggettive e il pensiero borghese dominante rendono ancora più elevati gli sforzi di ricomposizione da parte dei comunisti. Troppo spesso, infatti, si è caduti nell’errore di fare proprie parole d’ordine subalterne allo scontro inter-borghese che è in atto, allontanandosi da quelli che sono i reali interessi del proletariato. Dunque se in un periodo di crisi e ristrutturazione del sistema capitalistico è facile confondersi facendo proprie divisioni e contrapposizioni che non appartengono alla classe (come ad esempio la “troika” contro i P.I.I.G.S. e il dibattito sulla fuoriuscita dall’euro), l’obiettivo primario di chi si pone l’ambizione di organizzare quest’ultima deve essere proprio quello di indicare in maniera chiara e netta la linea di demarcazione tra noi e loro. I comunisti, attraverso un impegnativo lavoro di analisi della società attuale avvalendosi degli strumenti analitici del pensiero marxiano e recuperando le categorie del socialismo scientifico (materialismo dialettico e materialismo storico), si trovano da un lato a dover condurre una battaglia ideologica contro l’anticomunismo, dall’altro a ricomporre la classe creando una connessione ed un radicamento in essa. Mai come in questo momento, in cui la crisi del sistema capitalistico dilaga dimostrando tutti i limiti dell'attuale modo di produzione ed è sempre più accentuata la tendenza alla guerra è necessario e di primaria importanza che i comunisti incentrino le questioni politiche sulla contraddizione capitale-lavoro, affinché si possa creare un’unione solidale e internazionalista tra tutti i soggetti appartenenti alla classe. La crisi pur nascondendo tante insidie, infatti, può rappresentare l’occasione per individuare dei punti di partenza da cui ricominciare per aprire un nuovo ciclo di lotte, come sta accadendo in tanti paesi del mondo (Turchia, Egitto, Brasile), che punti all’emancipazione del proletariato e dunque alla liberazione dell’intera umanità da ogni sfruttamento e oppressione.
Antifascismo è Anticapitalismo L’antifascismo, lungi dall’essere l’istituzionale commemorazione del cimitero degli elefanti, rappresenta un ambito di lavoro importante per i comunisti solo se direttamente legato all’anticapitalismo. Il fascismo altro non è che il braccio armato della borghesia che, in determinati periodi storici, vista l’avanzata del movimento operaio, ha preferito abbandonare l’involucro della democrazia liberale pur di conservare i propri privilegi e di continuare ad accumulare capitale, rafforzando la coercizione mirata allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Di conseguenza solo il proletariato organizzato contro il modo di produzione capitalistico può debellare per sempre ogni pericolo di riproposizione della barbarie nazi-fascista. Così come durante gli scioperi del 1943 che inaugurarono la resistenza, anche oggi il proletariato è chiamato ad organizzarsi e a rifiutare le parole d’ordine del padrone e della sua borghesia nazionale; così come nel 1943, grazie all’organizzazione clandestina dei quadri comunisti si bloccarono gli stabilimenti ausiliari della guerra imperialista, anche oggi è compito dei comunisti unire la classe e costruire presidi che sappiano spedire al mittente i tentativi padronali di dividere i lavoratori con ideologie xenofobe e razziste. Non è un mistero, infatti, che in periodi di crisi – come oggi – movimenti e partiti di estrema destra, dietro una facciata apparentemente anti-sistemica e di rottura, assolvano ad un ruolo ben preciso e funzionale a quelli che sono gli interessi delle classi dominanti. Il compito dei comunisti in questo senso deve essere altrettanto chiaro: diffondere cultura antifascista senza cadere nella retorica della borghesia, senza nessuna apologia della costituzione e delle istituzioni “democratiche”. Il proletariato non ha istituzioni amiche e anche l’antifascismo politicamente corretto sarà accantonato senza troppi preamboli non appena non sarà più funzionale ai grossi profitti del padronato. E per questo ribadiamo che non può esserci antifascismo senza anticapitalismo. Prospettive: l’organizzazione Dal quadro che abbiamo delineato, ci sembra evidente l’esigenza di dotarci di un’organizzazione rivoluzionaria degna di questo nome, capace di rappresentare realmente gli interessi della classe. Infatti, nonostante il buon lavoro militante di diverse strutture e di tanti compagni è innegabile che vi sia una dispersione di forze, di energie intellettuali e spesso una sovrapposizione degli ambiti di lavoro e delle iniziative, che favoriscono solo la controparte. Vogliamo precisare, per evitare ogni tipo di equivoco, che noi non ci sentiamo né l’organizzazione né tanto meno il suo embrione ma che, semplicemente, avvertiamo la necessità della sua costruzione.
Nel nostro piccolo vogliamo provare a contribuire ad un processo ricompositivo delle forze rivoluzionarie. Vogliamo farlo radicandoci sul territorio aggregando pezzi di proletariato e cercando di aprire una dialettica schietta e costruttiva tra tutti i compagni che si riconoscono su posizioni di classe. Naturalmente siamo consapevoli che questo processo non può essere costruito a tavolino ma che va sviluppato mettendo in piedi percorsi di lotta e di conflitto sociale. Non è semplice ma riteniamo che sia l’unica strada percorribile se vogliamo provare a mettere in piedi un’opzione politica capace di rispondere all’attacco padronale e di rilanciare un’offensiva che miri ad abbattere il sistema capitalistico. "Le classi lavoratrici rimangono povere davanti all'aumento della ricchezza, restano diseredate nonostante il diffondersi del lusso. Le loro privazioni materiali ne riducono la statura morale, oltre che fisica. Per porre rimedio a questa situazione non possono fare affidamento su altri. Quindi, per loro, prendere in mano il proprio destino è diventato un imperativo". [Marx, Intervista al The World, 18 luglio 1871]
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