2 LUGLIO - UFFICIO STAMPA - Libero Consorzio Comunale di Ragusa

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lo scandalo università di catania

Il supermarket dei concorsi per premiare i parenti
eccellenti
Ecco le 23 selezioni gestite dai “ padroni” dell’ateneo. C’era chi aveva la cattedra assicurata prima
di finire la specializzazione. Per chi si opponeva la ritorsione era pronta: “ Lo distruggiamo”
di Antonio Fraschilla e Claudio Reale I nomi dei vincitori scelti sempre a tavolino e prima di qualsiasi selezione. Verbali
taroccati e in alcuni casi anche riunioni fantasma delle commissioni. L’obiettivo era sempre teleguidare i futuri docenti
dell’Università di Catania. Un sistema senza alcuna meritocrazia e dove chi si intrometteva veniva comprato con una promessa
oppure « schiacciato » . Ecco i 23 concorsi dell’ateneo finiti nei mirino dei magistrati etnei.
I criteri taroccati
Per disegnare un concorso su misura il passaggio chiave è quello di fissare dei criteri di selezione blindati. Esattamente quello
che secondo i magistrati è avvenuto per la chiamata a ordinario di Georisorse minerarie del professore Paolo Mazzoleni,
cognato del fratello del rettore Francesco Basile. Un ruolo chiave per la sua chiamata ce l’ha il direttore del dipartimento
Carmelo Monaco che, intercettato, prima dei concorsi assicura che «chiameranno come professore di prima fascia Mazzoleni,
per la seconda Giorgio De Guidi e a settembre chiamiamo a Salvo Saccone». Scrivono gli inquirenti: «Si segnala sin d’ora che i
nomi appena fatti da Monaco saranno vincitori dei rispettivi concorsi » . Se qualcuno si mette di trasverso, inizia la guerra. Sul
concorso di De Guidi fa ricorso Francesco Sciuto. Commenta Monaco intercettato al telefono con una collega: «Vabbè lo
distruggeremo » . Altro concorso nel mirino è quello per ordinario di chimica, vinto da Antonino Licciardello « nonostante lo
stesso sia il candidato con un numero minore di pubblicazioni » . A Fisiologia vince Giampiero Leanza: che lui avrebbe vinto
lo dice prima della selezione il direttore del dipartimento Giovanni Puglisi. Il sistema era talmente rodato che, ad esempio, dopo
aver aggiustato i criteri per far vincere a Massimo Libra il concorso in Patologia generale, Basile tranquillizza l’ordinario
Giuseppe Mulone (“I ricorsi? Se hanno trovato l’accordo non ce n’è”), con un ragionamento che si ripete per le selezioni
disegnate per Fabrizio Messina e Christian Napoli a Informatica. Modificare i criteri è quasi una prassi, tanto da non curarsi dei
dettagli, ad esempio per il concorso in Genetica umana costruito per Marco Fichera. A volte i criteri si costruiscono ancora
prima che i titoli arrivino: accade per Alberto Bianchi, scelto per Chirurgia maxillo- facciale prima dell’abilitazione, o per
Gianluca Testa, che prima della specializzazione ha già in caldo una cattedra di Malattie dell’apparato locomotore.
Tutti sanno tutto
Che il sistema sia questo è dato per assodato dai docenti. Per la chiamata di ordinario di Filosofia teoretica, posto già designato
per Matteo Negro, intercettato il professore Felice Giuffrè sa già prima che il vincitore è lui. Basile, poi, si spende per la vittoria
di Salvatore Gruttadauria in Chirurgia generale e l’ordinario dell’università di Catanzaro Stefano De Franciscis commenta “
pacta sunt servanda”, con un refrain di non detti che si coglie spesso: affiora per la vittoria in Anestesiologia di Paolo Murabito,
si intuisce nell’elenco di nomi da “sistemare” che l’ex rettore Antonino Recca fa mentre tratta per far avere a Gianluca Cicala la
cattedra di Scienza e tecnologia dei materiali (“ Appena sistemo Gianluca c’è Alberta, c’è Cinzia”).
Oppure si percepisce nell’irritazione del rettore Basile per aver ricevuto un biglietto con i nomi dei vincitori di un concorso
captato mentre si briga per far ottenere la cattedra di Scienza delle finanze a Silvia Angilella e Calogero Guccio. O, ancora,

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nello scambio ipotizzato fra le cattedre di Maria Alessandra Ragusa e Patrizia Daniele a Matematica.
Figli d’arte
Spesso i prescelti sono figli d’arte. Lo è ad esempio Velia D’Agata, figlia dell’ex procuratore Vincenzo che dall’inizio dell’anno
scorso si è aggiudicata una cattedra da ordinario in Anatomia umana: la sua idoneità sta per scadere, e per mesi si discute come
permetterle di scavalcare Sergio Castorina, che otterrà un’altra cattedra analoga proprio negli stessi giorni. Figli che fanno
carriera all’ombra dei padri, anche con qualche imbarazzo dei colleghi: ad esempio l’ordinario di Economia politica Roberto
Cellini farà notare l’inopportunità di chiamare il figlio del dipartimento di Scienze politiche Giuseppe “ Uccio” Barone,
Antonio, tanto che per l’ex direttore generale Lucio Maggio « non è che il figlio di Barone è un genio... tutt’altro ». Barone jr,
alla fine, otterrà la cattedra di Diritto Amministrativo. Come vincerà un’altra figlia e nipote d’arte: Alberta Latteri, il cui padre
Ferdinando è stato rettore, diventerà ricercatore il 29 agosto 2017 dopo un interessamento dell’ex rettore Antonino Recca.
Anche Basile ha spesso un ruolo chiave. Come per la chiamata a ordinario di biologia: la scelta ricade su Massimo Gulisano.
Ma a quel posto ambisce anche Luca Vanella, un figlio d’arte: il padre è Angelo, noto docente dell’ateneo. Basile convince
Vanella a non creare problemi: « Entro fine anno farai tu il concorso » . E Vanella junior risponde: « Va bene, faccio un passo
indietro». Insomma, più che concorsi sembra un grande mercato delle vacche.
Non è proprio un figlio d’arte, ma è il prediletto del professore. Così Sebastiano Granata diventa ricercatore, perché così vuole
Giuseppe Barone. In questo contesto secondo i magistrati c’è pure la messa in scena di un finto convegno « sui volontari
italiani in Russia» al fine di «anticipare le spese di vitto e alloggio » ad una commissaria che doveva aiutare Granata. Barone
definisce «stronzi » gli altri che partecipano al concorso. Vince Granata e quest’ultimo manda un affettuoso sms a Barone: «
Caro prof, volevo solo dirle grazie perché anche ieri mi ha confermato, una volta di più, non solo di essere un maestro
fantastico, ma anche un vero papà».
f
Spesso i prescelti sono figli d’arte come la primogenita dell’ex procuratore E il commissario d’esame assicura “Pacta sunt
servanda”
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Il rettore dell’università di Catania Francesco Basile indagato

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L’operazione

Gela, auto di lusso riservate agli uomini dei clan
di Francesco Patanè Una famiglia di imprenditori al servizio dei boss di Gela, Catania e di tutta la Sicilia sudorientale per
riciclare e ripulire oltre sessanta milioni di euro di provenienza illecita grazie a concessionarie d’auto, società immobiliari e in
qualche caso con l’acquisto di biglietti vincenti di lotto e scommesse sportive. Questo erano i Luca per gli inquirenti della Dda
di Caltanissetta e per il gip nisseno che ieri ha firmato due misure cautelari nei confronti degli imprenditori gelesi. Imprenditori
che nel 2005 denunciarono di essere vittime del racket e 14 anni dopo finiscono accusati di essere il braccio finanziario dei clan
nisseni e catanesi. I finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria ( Gico) di Caltanissetta ieri hanno eseguito le sette
misure cautelari personali nei confronti dei fratelli Francesco Antonio Luca e Salvatore Luca e del figlio di quest’ultimo Rocco
Luca, finiti in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Meno pesanti le misure nei confronti di altre quattro
persone, Francesco Gallo, Concetta Lo Nigro, Emanuela Lo Nigro e Maria Assunta Luca colpite da divieto di dimora nelle
province di Ragusa e Caltanissetta e accusate di riciclaggio. Il gip nisseno ha poi disposto anche il sequestro preventivo di sette
società, oltre 250 appartamenti, più di 200 auto di lusso, gioielli, cavalli, polizze vita, titoli di stato, denaro contante e opere
d’arte per circa 63 milioni di euro.
Un sistema rodato tanto che nel libro paga dei Luca c’era anche un poliziotto, un primo dirigente della polizia, all’epoca dei
fatti in servizio a Gela e successivamente a Caltanissetta e ad Agrigento, indagato per corruzione, accesso abusivo a sistemi
informatici in uso alla polizia e rivelazione di segreto d’ufficio. «Il ruolo del poliziotto - chiarisce il procuratore capo di
Caltanissetta Amedeo Bertone - è stato quello della talpa per i mafiosi. A richiesta o spontaneamente forniva notizie su indagini
in corso e in cambio di auto di lusso in prestito e qualche altro favore come il soggiorno in alberghi a cinque stelle».
Ieri sera i finanzieri del Gico di Caltanissetta stavano ancora contando le auto di lusso delle concessionarie Lucauto e Car Luca
di Gela, sequestrate dalla guardia di finanza su mandato della Dda nissena. Oltre cento fra Maserati, Porsche, Ferrari, Mercedes
a cui si aggiungono le berline e i Suv Audi, Bmw e Alfa Romeo per un valore di mercato di oltre cinque milioni di euro. Auto
nuove e usate che la famiglia Luca vendeva in tutta la Sicilia e spesso prestava ai mafiosi delle famiglie di Gela, Ragusa e
Catania per tenerli al riparo da intercettazioni e localizzazioni. Erano gli stessi Luca nella loro sede a bonificare le auto che
rientravano dai prestiti ai boss. Un servizio che per gli inquirenti è stato uno dei punti decisivi per contestare ai Luca il
concorso esterno in associazione mafiosa. «Le intercettazioni ci restituiscono l’immagine di un gruppo contiguo non solo con la
mafia nissena dei Rinzivillo ma anche con le famiglie catanesi Santapaola, Mazzei e Carateddi – conferma Bertone - in una
conversazione telefonica, un componente della famiglia Luca parlando con un esponente mafioso catanese, nel manifestare
tutta la sua rabbia per come era stata gestita una pratica, si lamentava e pretendeva il rispetto perché faceva “ girare” tutta la
mafia di Catania, dava cioè macchine in prestito per sfuggire ad eventuali intercettazioni ».
Accanto al business milionario delle auto di lusso, il core business dei Luca era l’immobiliare. I militari del Gico hanno
sequestrato oltre 250 fra appartamenti e villette appartenenti alla Terranova Immobiliare, Immobilluca, Luca Immobiliare, Luca
Costruzioni e Mirto (tutte sequestrate) per un valore complessivo di quasi 25 milioni di euro. Interi residence da quaranta
alloggi sono stati consegnati all’amministratore giudiziario.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
k Il sequestro Un finanziere con una delle auto di lusso sequestrate alla concessionaria Lucauto di Gela

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Il documento economico

Congelati i risparmi su reddito e Quota 100
Un decreto blinda fino all’autunno le risorse non utilizzate per dare un segnale all’Europa. Intervento
da 7,6 miliardi

di Roberto Petrini

ROMA — Doppia operazione sul filo di lana per evitare il “cartellino rosso” di Bruxelles. Il governo mette sul tavolo 7,6
miliardi percorrendo la strada dell’assestamento di bilancio (6,1 miliardi) e di un decreto legge che congela fino all’autunno
prossimo le risorse non utilizzate per il reddito di cittadinanza e quota 100 (1,5 miliardi). In tutto un aggiustamento che vale
circa lo 0,4 del Pil e che consente all’Italia di tornare ad un rapporto deficit- Pil del 2,04 per cento fissato dagli accordi stipulati
dopo il violento scontro del dicembre scorso e rientrare dallo “strappo” contabile del Def che aveva fissato il deficit al 2,4 per
cento del Pil. L’aggiustamento strutturale, al netto della congiuntura, secondo la nota diffusa ieri dal ministero dell’Economia,
arriverebbe a 0,3 punti di Pil.
Bisogna dire che la strada è quella che il ministro dell’Economia Tria, e il premier Conte, hanno percorso e detto ai quattro
venti per quasi tutto il mese appena concluso cominciando dalla lettera di replica del Mef ai rilievi della Ue del 5 giugno: ci
sono minori spese e maggiori entrate. Alla fine è andata così anche se da Bruxelles è arrivata una richiesta dell’ultima ora:
compiere un “freezing”, come si chiama tecnicamente, che ratifichi per legge, cioè con un decreto, che quelle risorse in
“avanzo” restino congelate nel bilancio dello Stato e non vengano indirizzate verso altri utilizzi, come pure avevano chiesto i
gialloverdi.
L’operazione naturalmente non risolve i problemi dell’Italia anche se sembra ormai probabile che la Commissione (domani, in
quanto la riunione di oggi è slittata per la coincidenza con il Consiglio europeo) darà il via libera al pacchetto italiano.
Naturalmente si attende anche un impegno per la legge di Bilancio del 2020, quella della clausola Iva, della flat tax e delle altre
misure che viaggiano verso i 50 miliardi: qui dovrà vedersela la maggioranza che presenterà una risoluzione per via
parlamentare. Al ministero del Tesoro il clima è di fiducia e si pronuncia la parola-chiave in gergo brussellese: «Siamo
compliant con il Patto di stabilità, l’avvio della procedura adesso è ingiustificato».
Il merito numero uno è stato della prudenza della Ragioneria generale dello Stato che lo scorso anno, nel mezzo del marasma
gialloverde, fissò la cifra di reddito e quota 100 a circa 11 miliardi, più in alto di quanto si potesse allora prevedere. Oggi
emerge così un vero e proprio “tesoretto” da un miliardo e mezzo. Naturalmente - come si preoccupano di sottolineare fonti
grilline - il monitoraggio delle misure resterà attivo nel caso si segnalassero improvvise esigenze. Per il resto ci sono maggiori
entrate tributarie per 2,9 miliardi, attribuibili alla fatturazione elettronica, e 2,7 miliardi tra utili di Bankitalia e extradividendo
della Cdp. Probabilmente stavolta, vista la congiuntura politica, ce la faremo ma il nostro debito resta sempre alto e pericoloso.

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Csm, le soffiate a Palamara del procuratore
di Cassazione
Le nuove intercettazioni: “A Perugia ti indagano per le cose con Adele e il viaggio a Dubai” Così
Fuzio invece di esercitare l’azione disciplinare informa il pm di Roma delle indagini su di lui

ROMA — L’inchiesta della Procura di Perugia sul mercato delle nomine al Csm non sembra aver insegnato nulla alla
magistratura italiana. L’abisso in cui sta precipitando la sua reputazione torna infatti a spalancarsi sotto la spinta di nuove
intercettazioni che documentano due circostanze. La prima: Riccardo Fuzio, Procuratore generale della Cassazione, e in quanto
tale membro di diritto del Csm e titolare dell’azione disciplinare promossa nei confronti di Luca Palamara (oggi in Consiglio si
terrà la prima udienza), era nella manica dello stesso Luca Palamara. Diciamo pure una sua appendice di corrente (entrambi
appartengono ad Unicost). Al punto da incontrarlo, il 21 maggio scorso, per discutere dell’operazione e dei voti che avrebbero
dovuto eleggere il Procuratore generale di Firenze Marcello Viola Procuratore di Roma e per metterlo al corrente di alcuni
dettagli dell’inchiesta per corruzione nei suoi confronti a Perugia. La seconda, figlia della prima: per due settimane, dal 16
giugno scorso, quando Repubblica e altri quotidiani avevano reso noto l’esistenza di quell’intercettazione, Fuzio ne ha
dissimulato il contenuto, degradandolo a banali «discussioni sulla vita interna della corrente». E quindi, proteggendosi dietro
l’appello rivolto al Capo dello Stato al plenum il 21 giugno («Si volti pagina») e scommettendo sul silenzio complice del
Consiglio (che il testo di quella intercettazione conosce da quindici giorni), ha confidato che il “segreto” tenuto artificialmente
in vita sul suo contenuto avrebbe consentito di sollevarlo da una decisione non procrastinabile. Quella di dover rassegnare le
proprie dimissioni, come le più elementari ragioni di responsabilità e decoro istituzionale avrebbero dovuto e dovrebbero a
maggior ragione oggi suggerirgli di fare. L’intercettazione del 21 maggio, dunque.
L’amico “Riccardo”
Mancano due minuti alle 22. E Fuzio, che per Palamara è semplicemente “Riccardo” e che Palamara cerca ossessivamente dal
15 maggio, da quando sa di essere indagato a Perugia per corruzione, discute di ciò di cui non dovrebbe. Vale a dire di quello
che il Paese in quel momento ancora ignora. Di un’inchiesta a carico del magistrato che ha di fronte (Palamara), di cui è stata
data comunicazione al suo ufficio e che dunque lui, Pg di Cassazione, potrebbe trovarsi a dover perseguire disciplinarmente
(cosa che farà solo il 14 giugno a scandalo ormai deflagrato). Non solo. Gliene svela i dettagli, rassicurandolo sui buoni uffici
spesi con il vicepresidente del Csm David Ermini affinché quell’indagine non sia un problema nella corsa che Palamara ha
lanciato per ottenere dal Csm la nomina a procuratore aggiunto di Roma. Di più: Fuzio discute con Palamara dell’alchimia
correntizia che deve assicurare la nomina di Viola, di quale potrebbe essere il suo voto e quello dello stesso Ermini e di quanto
ha saputo delle raccomandazioni del Quirinale. Fa anche domande sul dossieraggio che deve deturpare l’immagine del
procuratore uscente Giuseppe Pignatone («il fratello pigliava i soldi da Amara? » ) e sull’esposto del magistrato (Stefano Fava)
che deve saldare i conti con lo stesso Pignatone e il suo procuratore aggiunto Paolo Ielo.
“Ho rassicurato Ermini”
L’intercettazione che il Trojan, lo spyware nello smartphone di Palamara, registra è disturbata da rumori di fondo. Spesso
monca. Fuzio confessa a Palamara che non ha capito bene come debba regolarsi sulla nomina del nuovo Procuratore di Roma:
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«Mi avete detto prima di farlo presto… poi si sono spaventati di questo fatto che può venire fuori uno sputtanamento su di te e
nessuno mi ha detto di questa storia di Fava ». Quindi, lo stesso Fuzio sembra voler rassicurare Palamara riferendogli quanto lui
stesso avrebbe riferito al vicepresidente del Csm Ermini proprio a proposito dell’inchiesta di Perugia: «Io a lui l’ho rassicurato,
perché gli ho detto che quando questa cosa è venuta fuori, a settembre, tu me l’hai detta». Il Pg aderisce all’idea che si tratti di
un’iniziativa a orologeria e riferisce a Palamara quanto avrebbe detto in proposito ad Ermini: «È chiaro che l’informativa è
partita e poi è stata bloccata (…) E tu mi devi dire, come mai dopo un anno non esce nulla? Non solo. Come pensate di gestire
questa tempistica voi che ritenente che sia contro Luca?». Fuzio non si contiene. Perché a Palamara spiega che anche sul conto
di Fabrizio Centofanti, il lobbysta che gli ha pagato alberghi e viaggi, ha fatto sapere che non ci si debba preoccupare: «Te sto a
dì che era uno conosciuto da un sacco di gente. Frequentava i palazzi. Non bisogna confondere». Confida poi le indicazioni che
sono arrivate dal Quirinale sulla procedura da tenere per la nomina del Procuratore di Roma: «Qualche indicazione da
Mattarella. Ma perché non fate le audizioni? Perché dovete dare l’impressione del pacchetto? Perché cominciare dall’ultimo
(dei procuratori scaduti, ndr )? » I due passano dunque a fare i conti del «teatro» — lo chiama così Fuzio — che, in plenum,
deve eleggere Viola. E concordano su come annichilire la mossa con cui Giuseppe Cascini, della corrente Area, vuole provare a
far saltare il tavolo. Se — concordano — Area, una volta compresa che il candidato Lo Voi non avrà i voti, appoggerà la
candidatura di Giuseppe Creazzo, non bisognerà far altro che lui, Fuzio, ed Ermini si astengano per far mancare a Creazzo la
maggioranza.
“I viaggi di Adele”
È tuttavia poco prima di congedarsi, che Fuzio dimentica anche solo l’opportunità del “dover essere” di un giudice. Palamara lo
sollecita sull’informativa della Guardia di Finanza a Perugia che riguarda gli omaggi ricevuti da Centofanti. «L’unico modo per
controbattere l’informativa è poter darle l’archiviazione, se no che cazzo faccio giusto? Però rimane l’informativa che mi
smerda... non l’ho mai letta... qual è l’importo di cui si parla? Si può sapere?». Fuzio non si fa remore: «Si...ci stanno le cose
con Adele... (l’amica Adele Attisani, ndr )... e il viaggio a Dubai...» . Palamara insiste: «Viaggio a Dubai...Quant’è? Ma quanto
cazzo è se io... allora... e di Adele...cioè in teoria...va bè me lo carico pure io... quanto... quant’è, a quanto ammonta?» . Fuzio lo
tranquillizza: «Eh...sarà duemila euro».
L’informativa che mi smerda non l’ho mai letta, quanto è l’importo di cui si parla?
Si può sapere?
IL PM
Luca palamara
Sì ci stanno le cose con Adele...
e il viaggio a Dubai...
A quanto ammonta?
Sarà 2mila euro
IL PG
Riccardo fuzio
Centofanti era uno conosciuto da un sacco di gente.
Frequentava i palazzi.
Non bisogna confondere
Riccardo fuzio f g
Il pg di Cassazione Riccardo Fuzio, 68 anni
GAETANO LO PORTO / AGF

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