CONFINI LINGUISTICI - Magazine Press
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CONFINI LINGUISTICI La lingua italiana di Destra e di Sinistra L'italiano è un bene culturale stratificato, nel quale si possono cogliere, accanto ai molti elementi nuovi, i segni evidenti e preziosi di un fortissimo legame con il passato. Nel panorama europeo, l'Italia di oggi si distingue, infatti, per l'accentuato multilinguismo e la lunga durata della lingua nazionale. Tuttavia, anche se il nostro Paese vanta una straordinaria diversità culturale e linguistica, tutti noi sentiamo che la lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio ancora ci appartiene, e coincide nei tratti fondamentali con la nostra. Una simile ricchezza, particolarmente apprezzata all'estero (come dimostra la crescente domanda di italiano nel mondo), merita di essere maggiormente conosciuta dalle giovani generazioni, e tutelata e valorizzata con strumenti adeguati, a cominciare da un deciso ripensamento della politica linguistica nazionale. La lingua della nostra Patria dunque è antica e al tempo stesso giovane con un completamento della italianizzazione che si è compiuto tardi ed in più tappe con forti iniziative statali volte alla sua diffusione, alla sua tutela e alla scolarizzazione. Sono tappe storiche che dal Regno d’Italia (con un 10% del Paese che conosceva l’italiano) passando per il Ventennio e arrivando alla Repubblica con il completamento del processo attuato negli anni Settanta (anche grazie alla penetrazione mediatica della televisione) hanno (tutte) determinato ciò che noi siamo, ciò che la nostra lingua è oggi. Malgrado la corsa degli ultimi decenni alla protezione delle minoranze linguistiche e dialettali la particolarità tutta italiana è che le diversità linguistiche e i dialetti non solo sono vive e vitali ma condivise nella conoscenza delle loro diversità da tutta la penisola. Questo perché il multilinguismo e il multiculturalismo ci appartengono da sempre e costituiscono la ricchezza e la vitalità creativa del nostro presente. A questo punto di arrivo della nostra storia linguistica va finalmente sedimentato senza facili schieramenti di parte che la lingua ha di per sé una posizione di assoluta centralità nella complessità multietnica delle società moderne e che l’impegno non deve basarsi solo sulla diffusione ma sulla consapevolezza e sulla conoscenza di quanto la lingua nazionale sia un tassello basilare della vita di una Nazione. È pertanto necessario percorrere oggi due fondamentali strade. Quella verso il riconoscimento attraverso la Costituzione del valore identitario espresso dalla lingua di un popolo e quella verso l’impegno di diffusione al maggior numero di soggetti internamente ed esternamente alla nazione delle potenzialità espresse dalla lingua nazionale al fine di migliorare qualunque livello di integrazione. La lingua, va ricordato, non è solo lo strumento per comporre meravigliosi versi, ma quello per favorire il dialogo tra le persone, per comprendere le leggi, i regolamenti, le usanze, per difendere i propri diritti ma anche riconoscere i propri doveri. 1
«Crediamo che rendere le scritture professionali più chiare e semplici sia una questione di grande rilevanza sociale e politica. A cominciare dalla scrittura dei testi normativi e amministrativi. L'Accademia insieme all'ITTIG (Istituto del CNR) ha elaborato una Guida per aiutare chi voglia muoversi in questa direzione». Con queste parole concludeva il suo mandato l'unica donna della Accademia della Crusca Nicoletta Maraschio e iniziava un periodo fondamentale che portava tutte le componenti politiche italiane a discutere su un problema ideologicamente dimenticato che passa necessariamente attraverso un'operazione di tutela (protezione potremmo dire se la parola non rilevasse imbarazzi nostalgici) che deve riconoscere alcuni punti fondamentali della nostra epoca: Ø identificazione di una lunga storia linguistica nazionale consolidata dal 1300 Ø impossibilità che le lingue dialettali possano subire regressi provocati dal riconoscimento linguistico nazionale Ø necessità sociale di definire regole di integrazione linguistica per il mutato scenario multietnico nazionale Ø consapevolezza dei risulati ottenuti da ogni tipo di intervento di tutela linguistica compreso il protezionismo fascista Ø consapevolezza della distorsione attuata per ideologia post bellica sulla scelta di non inserire nella costituzione la tutela della lingua Ø consapevolezza che dal Risorgimento in poi la questione della lingua si è spostata dal piano prettamente culturale al piano politico Ø consapevolezza del ruolo economico e sociale fornito dalla lingua Ø consapevolezza unita alla necessità di superamento del tentativo posto in atto dal 2011 dall'intelligentia di sinistra nel riadattare processi e simboli politico sociali propri della destra offrendo una rilettura degli stessi, con il rischio di indebolirli e massificarli - soprattutto questo punto pone ogni iniziativa della destra italiana di fronte all'impellente necessità di ricostruire un pensiero culturale e di riunire la propria forza di pensiero attraverso obiettivi comuni, utilizzando sturmenti non solo populisti. Per realizzare questi obiettivi è necessario prima di attuare ogni passo che porterebbe solo ai pesanti errori di valutazioni compiuti nel passato rispetto a proposte vuote di contenuto, non supportate da elementi della propria storia politico culturale, esclusivamente rivolte alla gestione di problemi contingenti e soprattutto non realizzate in rete con la società civile e intellettuale. Ogni valutazione pertanto deve partire dalla precisa conoscenza di alcune situazioni e dalla consapevolezza di quanto ad oggi sta realizzando la sinistra italiana (in cui si uniscono cattolici e laici su questo tema non divisi) per la rilettura della lingua italiana nella funzione di realizzare il substrato culturale su cui si poggia la società di un domani non molto lontano. In particolare: 2
Ø Situazione della lingua all’unità nazionale e sua trasformazione da elemento culturale a elemento di scontro politico tra destra e sinistra storica sulla questione risorgimentale Ø Divulgazione reale delle misure messe in atto nel periodo fascista per determinare la oggettiva posizione storica in relazione al problema della lingua italiana e al contempo definire la effettiva posizione politica della Costituente che ha storicamente dettato il non inserimento della lingua nella Costituzione Italiana. Ø Situazione alla unione europea che favorisce il rispetto delle lingue nazionali Ø Precedenti proposte di salvaguardia attuate e loro finalità reali - dalla prima proposta del 1998 dell'Accademia della Crusca alle successive proposte e ai loro errori valutativi e di obiettivo Ø valutazione della forza culturale dell'Accademia della Crusca e del suo attuale posizionamento politico Ø assoluta non congruità (provata dalle recenti statistiche) del timore di scomparsa dei dialetti in caso di protezionismo della lingua nazionale Ø valutazione del caso francese Ø valutazione delle necessità attuali sociali economiche e politiche di una tutela della lingua che muova i propri passi dalla necessità di creare un sistema funzionale ad una società multietnica per favorire integrazione razziale, controllare le forme di terrorismo internazionale, sostenere la maggior comprensibilità del sistema economico; rivalutare il sistema scuola, dare maggior sostegno agli atti amministrativi, giudiziari ed economici. 3
Premesse necessarie e principi di metodo Nel 1933 lo storico francese Lucien Febvre affermava che lo storico non può vagare a caso tra il passato cercando ciò che più gli aggrada ma “deve avere un disegno ben preciso in testa con un problema da risolvere e una tesi da verificare”. Questa è la posizione che dovrebbe mantenere chiunque approcci l’ormai annoso problema del riconoscimento della lingua. Fare una precisa scelta in funzione non di un vezzo politico o accademico ma per la verità storica, prefiggendosi un obiettivo a favore del futuro delle nostre generazioni. Attualmente chi approccia il problema della lingua italiana lo ha fatto o con poca concezione della potenza che essa esprime riducendola a un valore da difendere come una specie in via di estinzione o (più recentemente) come un obiettivo politico di cancellazione storica rivolto sostanzialmente ad una ennesima riproposizione per l’Italia di un iato storico che va dalla fine della Grande Guerra al 1945. Un funanbolico salto nella Storia in cui la difesa della lingua serve ancora una volta a far comprendere errori di un periodo e di una “ideologia” che ancora sembra non totalmente cancellata. Questa appropriazione del termine Patria, del Tricolore, del Risorgimento, e del Papato da parte di un sistema ideologico di sinistra risiede non solo nell’evidente perdita di basi ideologiche dopo la caduta di ogni forma di comunismo ma al processo inevitabile che il mondo occidentale sta compiendo verso una visione conservatrice e di destra che non è solo quella sempre sbandierata con terrore delle frange più estreme. Pertanto la questione della lingua in questa alba del nuovo millennio acquisisce un preciso significato politico e l’approccio di chiunque intenda riacquisire dignità a un mondo di valori di per sé sempre oltraggiati e negati dalla sinistra italiana deve forzatamente passare da una precisa chiarificazione storica, deve unire i propri intellettuali sul fronte della trasparenza, deve avere un obiettivo rivolto al bene comune e futuribile da non apparire (o essere usato) come nostalgico. Ma soprattutto, deve maggiormente lottare per la visibilità delle proprie idee, per la verità in un sistema evidentemente controllato da altre idee. Corre l’obbligo di premettere che la questione della lingua italiana ha qualche secolo di vita – almeno cinque se ci si attiene all’attività riconosciuta dell’Accademia della Crusca – e che confonde strettamente le sue tracce con le vicende storico/sociali di un territorio e di un popolo che da tempi immemorabili aspira a riacquisire un primato culturale che gli spetta di diritto su tutta la civiltà occidentale. Nell’aspro dibattito combattuto a suon di penna nei primi anni del Regno d’Italia anche i denigratori più feroci alla tesi manzoniana dell’utilizzo del fiorentino non potevano esimersi dal constatare chesi andava formando un’uniformazione linguistica spontanea, “un gergo proprio, il quale senza somigliare ad alcun dialetto esistente ne costituisca uno nuovo come se lo fecero i comici e come se lo stanno facendo i soldati dell’esercito” come rifletteva il politico triestino Pacifico Valussi. 1 Lo stesso teorico Alessandro Manzoni 1 Pacifico Valussi, giornalista triestino e politico italiano della Destra storica tra il 1866 e il 1874. Valussi, originario di una terra che storicamente rappresentava un punto di incontro e di scambio di molte parlate, rifiuta sostanzialmente la tesi di una lingua nazionale idealizzata in quanto ritiene che è la stessa realtà storica dell’Italia che porterà automaticamente al punto di incontro verso una lingua nazionale che sia in grado di rispettare l’anima dialettale delle singole comunità senza per questo farle morire nel loro ristretto ambito rurale o di borgo. Se la lingua è un organismo vivente – secondo Valussi - “la lingua scritta per farsi docile strumento ad una letteratura che vuole essere nazionale e popolare deve immedersimarsi con la vita civile di un popolo, deve prendere proprietà”. 4
era maldestro nell’uso della pronuncia e nei suoi discorsi in italiano univa una cadenza lombarda significativa di una lingua che andava evolvendosi attraverso la commistione dei vari dialetti italiani se “chiamava Niculini – con tanto d’u lombarda che pareva uno scorpione a chele aperte – il fiero Niccolini”2. In considerazione di queste premesse è evidente come le vicende della nostra lingua nazionale si determinarono non solo attraverso le righe di scritti celebri ma tra i banchi parlamentari, nella satira, nelle file dell’esercito, tra i giornalisti, nella circuitazione di idee, dalle necessità unitarie di un territorio e dalla sua evoluzione storica. La negazione di questa riflessione - che riporta la lingua al vivo confronto con la storia - è il motivo stesso su cui si basa la scelta dei padri costituenti di non inserire la tutela della lingua nella Costituzione (non dimenticat, ma messa all’indice) e la ragione per cui nei pochi, ma comunque non pochissimi, anni di vita della nostra Repubblica su tale argomento si siano reiterati una serie di aborti costituzionali: la non accettazione di riconoscere la lingua italiana come un'entità viva e direttamente confrontabile con gli eventi storici che l'hanno creata. La negazione della memoria storica ne ha bloccato l’evoluzione naturale rendendo l'italiano maggiormente apprezzato all'estero proprio in ragione dello stesso protezionismo che storicamente si condanna. Dovrebbe scoraggiare in tal senso la valutazione sotto gli occhi di tutti che al concludersi delle celebrazioni dell’unità italiana un’ampia percentuale dei nostri giovani non distingue la differenza tra Unità d’Italia e Costituzione. La domanda da porsi, al di là di attuare leggi o tutele alla nostra lingua, se i nostri giovani saranno in grado di comprenderne il valore, in un mondo che solitamente quando tutela ha già dato per scontato la rapida ed inevitabile estinzione del soggetto da tutelare a parte la sua sopravvivenza in riserve protette. Sulla seconda questione, quella dell’inutilità di ogni proposta parlamentare, è sufficiente ricordare le modalità politiche che ne hanno contraddistinto l’iter. Sarà facile comprendere come lo scontro politico preclude una necessità ovvia come l’inserimento della lingua nella Costituzione italiana (che ogni paese ha nella propria Costituzione). 2 Lo ricorda nel 1911 L. Barboni in Geni e capi ameni dell’Ottocento, Firenze. 5
La questione della lingua italiana Fu Dante nel “De vulgari eloquentia” a identificare nella lingua volgare lo sviluppo delle varietà delle parlate plebee locali. 3 Il latino, utilizzato come lingua internazionale ufficiale, rappresentava secondo il poeta una convenzione artificiosa e perfetta, ma lontana dalla vitalità di una lingua parlata e alle necessità sociali. Anche se il volgare aveva avuto l’opportunità (grazie alla Scuola poetica siciliana) di affermarsi nell’uso scritto era necessario, secondo Dante, arrivare alla creazione attraverso il fiorentino di un “volgare illustre” grazie all’apporto di tutti i dialetti italiani. Venuta meno la speranza in un’unificazione della penisola, solo con il Cinquecento riemerse la questione sulla necessità di un’unica lingua italiana con tre correnti di pensiero: quella cortigiana che sosteneva la lingua parlata nelle corti; quella fiorentina che appoggiava l’uso del volgare fiorentino di Dante e Petrarca; quella arcaicizzante che proponeva una lingua realizzata attraverso l’utilizzo del meglio di ciascun volgare. L’avvento della stampa condusse la questione nell’ambito pratico per la necessità di mercato e di vendita. Su questo filone che vedeva avverse Venezia, quale capitale europea dell’editoria, e Firenze, quale città natale della letteratura in volgare si ispirò Niccolò Machiavelli nel Discorso intorno alla nostra lingua. La vera svolta, che determinò il primato della lingua letteraria toscana, fu segnata dalla pubblicazione delle Prose della volgar lingua del veneziano Pietro Bembo che propose il toscano del Trecento come lingua letteraria d’eccellenza per la trasmissione della cultura del passato greco e latino verso i posteri 4 Tra alterne vicende la questione della lingua italiana esce dal campo puramente letterario con l’unificazione nazionale e la pubblicazione della Relazione di Alessandro Manzoni per il ministro dell’Istruzione Broglio sulla modalità e gli strumenti per unificare la lingua del regno. La questione – praticamente chiusa con la definizione di un vocabolario della lingua italiana 5 - prosegue ancora oggi in termini accademici, ma la cosa particolare di un paese come l’Italia che ha dato i natali ai grandi autori della letteratura mondiale, la cosa prosegue ancora in termini politici tanto che l’Italia è tra i pochi stati del mondo a non avere la protezione della propria lingua all’interno della Costituzione. Per comprenderne il motivo bisogno fare qualche passo indietro e valutare le motivazioni che alla costituzione del Regno sono andate di pari passo con il riconoscimento di una lingua unitaria dettate da ragioni economiche e politiche in senso stretto al di là delle ragioni sociali 6 che hanno portato le parlate dialettali ad un progressivo arretramento rispetto alla lingua ormai riconosciuta da tutto il mondo come italiano tranne che dalla nostra Costituzione. 3 Dante si riferiva alla teoria della monogenesi di tutte le lingue del mondo derivate dall’ebraico di Adamo e identificava la lingua volgare in quella parlata correntemente dal popolo dopo l’episodio biblico della Torre di Babele. 4 Soprattutto Petrarca di cui Bembo possedeva l’autografo del Canzoniere 5 realizzato su commissione del Ministro della Pubblica Istruzione nel 1870 che gettò le basi per la lingua parlata e scritta insegnata nel Regno (Emilio Broglio e Giovan Battista Giorgini, Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, 1870). 6 L’ambito militare in genere con le dirette necessità belliche e il servizio di leva obbligatorio; l’alfabetizzazione e la scuola; le migrazioni interne; le migrazioni esterne e la riconoscibilità della comunità italiana all’estero; la carta stampata e in particolar modo la televisione che determinò la conoscenza della lingua italiana anche in alcuni paesi confinanti. 6
L’Unità nazionale e la definizione del problema pratico della lingua italiana Se il problema della lingua aveva nei secoli precedenti toccato piccole élite culturali, assumendo spesso caratteristiche di raffinato scambio intellettuale 7, con l’Unità nazionale apparve improvvisamente evidente come la questione andasse improvvisamente ad assumere una portata estremamente vasta, interessando una stragrande maggioranza di popolazione in gran parte analfabeta e spesso ostile all’apprendimento. Le necessità legislative, amministrative e divulgative oltre a quelle economiche necessitavano di una diffusione su larga scala dello strumento linguistico, mezzo comune dello Stato unitario. Certo si perde con questa affermazione il carattere poetico della lingua, ma essenzialmente si va a cogliere quella che è la necessità attuale in cui nuove ondate migratorie ci pongono la necessità di introdurre etnie diverse in un sistema linguistico unitario costituisce il punto fondante della comprensione, della capacità di ottenere risposte e di rispettare diritti e doveri del comune cittadino. La questione della lingua nella definizione del nuovo assetto italiano post unitario si aggravò notevolmente con il trasferimento della capitale a Firenze. Si cominciava ad affacciare un dualismo politico che portava la vessata questio su filoni prima inesplorati in cui la lingua si come strumento politico che vedeva nel risorgimento un modello di politica “cospiratrice e di secondi fini” 8 che dal Risorgimento proseguiva la propria opera sul campo dell’educazione su un modello non condiviso e non condivisibile. Da quel momento Torino non perde solo il ruolo di capitale ma subisce un rapido declino dei propri studi linguistici che verrà evidentemente recuperato solo nel periodo post bellico grazie agli sforzi di Einaudi e alla necessità di un controllo sui mezzi di informazione da parte di alcuni grandi imprenditori del territorio schiacciati dalla predominanza milanese. 9 Non a caso in tal senso ha un forte significato dopo anni di governo di centro destra la nomina nel 2014 di un torinese alla presidenza dell’Accademia della Crusca e le sue dirette scelte culturali (di cui si approfondirà successivamente). Non a caso è il primo indirizzo di Luciano Violante in accordo con l’Accademia della Crusca di effettuare modifiche costituzionali in materia di lingua e minoranze linguistiche senza toccare il tema del protezionismo sulla lingua nazionale che appare sempre “politicaly no correct”. Una tale concomitanza di fattori va letta nella considerazione che la lingua di una nazione (come ben dimostra il caso francese) non rappresenta come spesso si vorrebbe far intendere solo un aspetto culturale o accademico ma porta con sé risvolti commerciali, interessi territoriali, valutazioni sociali e internazionali di dimensioni molto ampie. Sono frutto di particolari intese e non a caso i fondi tesi a finanziare tale sviluppo 7 Non solo raffinato se pensiamo che 8 Era il 1867 quando la bolognese Rivista di Scienze Lettere Arti e Scuole pubblicava queste parole schierandosi contro le posizioni manzoniane sulla lingua 9 La Commissione parlamentare voluta dal Ministro dell’Istruzione, il milanese Broglio, nel 1868 vedeva non solo Manzoni come Presidente di Commissione ma su sette componenti nessun toscano e tre milanesi con lo svolgimento dei lavori in contemporanea a Firenze e a Milano. Furono segnali di una scelta politica di suddivisione di potere culturale come la decisione del senatore Brioschi (milanese) negli stessi anni di unire la rivista Politecnico (fondata da Cattaneo nel 1859) nella sola veste scientifica alla toscana Nuova Antologia per definire una volta per tutte l’eliminazione di Torino nell’ambito delle scelte linguistiche (quindi legislative, normative, economiche, scolastiche ecc.) per lasciare a Firenze le “chiacchiere” politico letterarie e lasciare a Milano il diritto di rappresentare la nazione come capitale economico tecnica e rappresentante sulla scena internazionale. 7
derivano direttamente dal Ministero degli Esteri. Le determinazioni di interesse linguistico sono strettamente correlate a specifiche motivazioni economiche e di scambio. L’Accademia della Crusca Le recenti ondate migratorie, il fenomeno terroristico islamico, il mantenimento dei costumi e della lingua d’origine in molte comunità straniere a scapito della stessa identità e memoria italiana, la circolazione di un linguaggio economico bancario cifrato che mette a repentaglio inadatti risparmiatori, l’utilizzo dilagante di internet e dei social ha reso necessaria una posizione precisa sulla “bastardizzazione” della lingua italiana nei confronti del resto del mondo. Commentatori, giornalisti, opinion leader di sinistra si lanciano in battaglie a favore della lingua italiana (non utilizzando mai la parola protezionismo) ormai consci che anche le specie protette sono destinate all’estinzione. “Per invitare il governo italiano, le amministrazioni pubbliche, i media, le imprese a parlare un po’ di più, per favore, in italiano”. Questo è lo slogan urlato sul web dalla nuova sinistra interessata al problema della lingua questo è il modello ormai intrapreso da chi culturalmente non possiede gli elementi storici interpetativi, come la notizia del prossimo sciopero della fame annunciato dal radicale Pagano contro il l'uso dell'inglese come lingua esclusiva per i corsi magistrali e dottorali al Politecnico di Milano. In un tale contesto che da gennaio sta assumendo sui social aspetti virali l'operazione mediatica "Dillo in italiano" operazione hashtag lanciata da Anna Maria Testa (fondatrice di Progetti Nuovi e ideologa comunicatrice della sinistra chich italiana) e subito supportata da Gramellini della Stampa, da Michele Serra di Repubblica e ovviamente dell’Accademia della Crusca . E non basta. Il nuovo e torinese Presidente della Crusca Marazzini nel presentare al Festival del Cinema di Venezia il documentario “Me ne frego! Il fascismo e la lingua italiana” (visibile su you tube per le scuole) 10 cerca di offrire a un pubblico di sinistra abituato a sostenere gli arrembaggi stranieri alla nostra lingua e alla apertura incondizionata dell’identità nazionale a minoranza straniere. “Il vero nodo è proprio quello del fascismo. Un linguista italiano prima di condannare un forestiero non portà fare a meno di esitare, perché sa che il precedente non può essere dimenticato”. Così è raggiunta la laica assoluzione per il peccato di plagio fascista. (ancora più pesante è il messaggio del Presidente Marazzini in occasione della visita alla Crusca del Presidente della Repubblica il 18 novembre 2015 11) 10 Realizzato da Valeria Valle (La Sapienza di Roma) con il regista Vanni Gandolfo con i materiali (gratuiti) del Luce per spiegare la differenza del protezionismo italiano voluto dal fascismo che intendeva creare una lingua unica (non viva) un italiano nuovo adeguato ai dogmi di una dittatura. (sic dal Comunicato Stampa) 11 “Sappiamo che questa spinta verso la modernità dello stato unitario ebbe anche momenti di deviazione, che già si manifestarono alla fine dell’Ottocento, sviluppatisi in maniera più grave con la svolta autoritaria del fascismo. Mi riferisco in particolare alla politica linguistica nei confronti delle minoranze, al mancato rispetto per i dialetti, alla xenofobia, alla battaglia contro i forestierismi. Tutti gli interventi del regime fascista nel campo della lingua trovano un precedente in altri momenti della storia linguistica italiana, tutti, anche quelli che appaiono più ridicoli, come la campagna contro il “Lei” reputato allocutivo personale servile, non italiano perché spagnolo, e poco romano. È nota la reazione di Benedetto Croce di fronte all’imposizione del “Voi”, è meno noto che la polemica contro il “Lei” era stata inaugurata nelle pagine del “Caffè” dall’illuminista Pietro Verri. Le devianze nella politica linguistica durante gli anni del fascismo ci furono, e gravi, e tuttavia non possiamo negare che nella prima metà del Novecento il 8
Per queste ragioni, prima di raccontare la storia della nuova ondata di italianofili di sinistra - che dopo la bandiera, il risorgimento, il concetto di patria, il Papa adesso si appropriano anche della difesa dell’italiano - è fondamentale dare un accenno sulla Accademia della Crusca e sulla nuova linea programmatica che si sta in questi giorni mettendo in scena. L’Accademia della Crusca fu fondata nel gennaio del 1583 da un gruppo di dotti fiorentini che si riunivano per trattare temi di letteratura e di lingua per proteggere il volgare fiorentino. Per questo fine venne realizzato un vocabolario la cui prima edizione venne stampata a Venezia nel 1612. Nel corso dei secoli ebbe in totale 1200 membri tra cui Galilei, Voltaire, Leopardi, Manzoni, Carducci, d’Annunzio. Attualmente è formata da 49 Accademici. In tutto le edizioni del vocabolario furono cinque (1612, 1623, 1691, 1729/38 in sei volumi, 1863/1923 in undici volumi e incompiuta). Prima finanziata dai soci nel 1811 Napoleone la rese pubblica. Nel 1923 il Ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile dispose con Regio Decreto la chiusura della compilazione del vocabolario. Attualmente è finanziata dallo Stato e retta da uno Statuto realizzato nel 1987 - dopo l'appello agli intellettuali per il suo salvataggio attuato con appello pubblico di Indro Montanelli - con la specifica finalità di ricerca, divulgazione e promozione della lingua italiana. Gli Accademici ordinari devono essere 20 nominati per cooptazione di cui almeno 5 devono risiedere a Firenze e possono proporre l'aggregazione di 20 corrispondenti italiani e 20 stranieri L'attuale presidente è Claudio Marazzini, torinese classe 1949, eletto il 23 maggio 2014 con Decreto del ministro per i Beni e le Attività Culturali. La particolarità di questa nomina è il fatto di essere il primo presidente nominato senza aver avuto una vita dedicata all'Accademia ed eletto presidente solo due anni dopo la sua affiliazione all'Accademia. Claudio Marazzini diversamente dai predecessori svolge intensa attività giornalistica per "Famiglia cristiana", ed è autore del Mulino. Significativa è la sua attività che ha dato un impulso politico all'Accademia con i convegni realizzati in collaborazione con UNICOOP e BIBLIOCOOP, con l'Istituto Gramsci. Particolarmente politicizzati gli interventi al Salone del Libro di Torino con RCS e ABI sulla finanza. Di forte impatto politico l'attuale lancio del programma sul Controllo della lingua nei regimi totalitari, con convegni, programmi per le scuole e il Documentario Me ne Frego presentato al Festival di Venezia. Nato da processo di modernizzazione che investiva il nesso lingua-società continuò senza arrestarsi. La diminuzione dell’analfabetismo si accompagnava a una crescita dell’uso dell’italiano anche tra le masse popolari, non necessariamente secondo il modello manzoniano, e tuttavia con un’influenza del toscano talora molto forte, anche per effetto di alcune opere scritte, libri che riuscirono a raggiungere un numero enorme di lettori: non solo i Promessi sposi, diventato libro di scuola, ma anche Cuore di De Amicis, Pinocchio di Collodi e L’arte di mangiar bene e la scienza in cucina di Artusi. Come si vede, non erano tutti libri scritti da toscani, anche se tutti diffondevano una lingua italiana di marca profondamente toscana. Perché non sono stati i toscani, mai, a imporre la loro lingua, ma sono sempre stati gli altri italiani a sceglierla: così accadde durante e dopo l’Unità, come era accaduto al tempo di Dante e di Petrarca”. 9
un’idea della linguista Valeria Della Valle con la regia di Vanni Gandolfo, il documentario è stato presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e racconta la storia delle iniziative del fascismo nei confronti della lingua italiana, attraverso la testimonianza delle immagini e delle voci dell’archivio dell’Istituto Luce. Passato sotto silenzio invece nel 2015 (22 ottobre) a NY Istituto di Cultura l'incontro con Jovanotti e Lorenzo Coveri (UniGenova) in occasione della Settimana della Lingua italiana nel mondo, storico evento della Crusca. Il precedente Presidente Nicoletta Maraschio (Presidente dal 2008 al 2014; eletta il 16 maggio 2008) allieva di Nencioni presidente dal 1972 e ispettore centrale del MIUR a cui apportò i principali orientamenti didattici del dopoguerra, è la prima donna a ricevere tale titolo ottenuto anche grazie agli stretti contatto con ambienti legati a Coletti e alla Presidenza della Repubblica. Francesco Sabatini abbruzzese con esperienze nell’Università di Lecce, fu il presidente che svolse l'attività più intensa realizzando importanti progetti con il Ministero degli Esteri e RAI per la promozione dell'italiano all'estero, ideando e dirigendo il Programma della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, che dal 2001 si svolge annualmente in tutti gli Istituti di Cultura dei cinque continenti, d'intesa con il Ministero per gli Affari Esteri, e il Progetto Firenze, Piazza delle Lingue d'Europa, che fa dell'Accademia uno dei centri più attivi per seguire gli sviluppi del multilinguismo nell'Unione Europea. Ha coordinato fin dall’inizio il progetto “VIVIT – Vivi italiano”, che collega all’Accademia le Università di Firenze, Modena-Reggio Emilia e Padova e propone a studiosi e cultori della lingua e della cultura italiana un ampio sistema di percorsi di studio e di ricerca in tali campi. Ha inoltre stabilito un rapporto particolare con la Presidenza della Repubblica Italiana nel settennato di Carlo Azeglio Ciampi, che ha concesso all'Accademia il Patronato permanente per le sue iniziative, tra le quali si rammentano la sezione dedicata alla storia dell'italiano nel Museo del Risorgimento al Vittoriano di Roma e il "Programma Giovani" realizzato nel 2006 con il Quirinale, il Ministero della Pubblica Istruzione. • Giovanni Nencioni (Presidente dal 1972 al 2000) • Giacomo Devoto (Presidente dal 1964 al 1972) • Bruno Migliorini (Presidente dal 1949 al 1963) «L'Accademia della Crusca è stata salvata in dicembre dalla legge cosiddetta “Salva Italia” del Governo Monti. Abbiamo finalmente una dotazione ordinaria che ci consente di uscire dallo stato di precarietà assoluta in cui siamo stati per molti anni. Dal momento della mia elezione alla presidenza ho cercato una soluzione normativa e mi sembrava impossibile che mi si rispondesse sempre che non c'erano soldi per sostenere un'istituzione come l'Accademia della Crusca! Ora possiamo finalmente avviare una nuova fase». 10
Attività sulla tutela della lingua italiana 1. La Settimana della Lingua Italiana nel Mondo - è l’evento di promozione dell’italiano come grande lingua di cultura classica e contemporanea, che la rete culturale e diplomatica della Farnesina organizza ogni anno, nella terza settimana di ottobre, intorno a un tema che serve da filo rosso per conferenze, mostre e spettacoli, incontri con scrittori e personalità. La prima edizione si è tenuta nell'ottobre 2001 - anno europeo delle lingue - su iniziativa di Francesco Sabatini, assieme alla Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale del Ministero degli Affari Esteri. L'organizzazione è curata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, dall'Accademia della Crusca e, all'estero, dagli Istituti Italiani di Cultura, dai Consolati italiani, dalle cattedre di Italianistica attive presso le varie Università, dai Comitati della Società Dante Alighieri e da altre Associazioni di italiani all'estero, sotto l'alto Patronato del Presidente della Repubblica. Di anno in anno, l'iniziativa ha riscosso un successo crescente, dimostrando la vitalità dell'interesse per la lingua e la cultura italiana in tutto il mondo. Il tema scelto per la XV edizione dal 19 al 24 ottobre 2015 della Settimana della Lingua Italiana nel Mondoè Italiano della musica, musica dell'italiano. 2. Gli Stati generali della lingua italiana nel mondo (realizzati dalla presidenza di Marazzini a Firenze, 21-22 ottobre 2014) L’iniziativa, promossa dal Ministero degli Esteri (Giro) e della Cooperazione Internazionale in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MIBACT) e con il Comune di Firenze, è stata l’occasione per delineare nuove strategie di diffusione dell'italiano all'estero. I temi che saranno discussi nelle sessioni plenarie di Firenze comprendono: le nuove sfide e i nuovi strumenti della comunicazione linguistica; le strategie di promozione linguistica per le diverse aree geografiche e per i Paesi prioritari; il ruolo delle Università con particolare attenzione alle cattedre di italianistica; il ruolo degli italofoni e delle comunità italiane all'estero; la gestione e gli strumenti della promozione della lingua italiana. Firenze si è candidata ad ospitare la prossima sessione degli Stati Generali nel 2016, lanciando anche la proposta di “creare un osservatorio permanente della lingua italiana all’estero proprio a Firenze sfruttando le nostre eccellenze come l’Accademia della Crusca”. 3. Giornata Internazionale per la Lingua Madre - è stata proclamata dalla Conferenza Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) nel novembre 1999 per la formazione dell'identità attraverso la lingua. Il 16 maggio 2009 l'Assemblea Generale invita gli stati membri "a promuovere la tutela e la conservazione di tutte le lingue parlate dai popoli del mondo". La Giornata internazionale della lingua madre, celebrata ogni anno da febbraio 2000, intende promuovere la diversità linguistica e culturale e il multilinguismo. Slogan è La lingua è sviluppo 11
Italiano di destra e italiano di sinistra Se certo non esiste un italiano di destra e uno di sinistra sicuramente esiste una diversa visione della lingua. Per la destra una lingua è un fenomeno storico e sociale: cioè l' insieme delle cose che sono state scrittee dette, nel corso di decine di secoli. Per la sinistra è un' idea, una possibilità, una forma, che sta nascosta nelle profondità della lingua reale. L'influenza dell'inglese sulla lingua italiana dal 1945 in poi fu molto più lenta di quanto avvenne in altri paesi che non avevano avuto il protezionismo fascista. Venne colpita soprattutto nel lessico non nella forma come avvenne invece in Francia dove negli anni Ottanta venne pubblicato un libro ironico dal titolo Franglais per ironizzare sull'ampia modifica derivata dall'influenza dell'inglese sulla lingua francese. Recentemente l'Italia si interroga nuovamente attraverso i media sul valore della lingua e gli intellettuali italiani hanno chiesto che la lingua italiana sia espressamente indicata nella nostra costituzione come lingua ufficiale. I quotidiani hanno citato la proposta di integrare l'art. 9 cost. con la proposizione: "L'italiano è la lingua della Repubblica" (così il Corriere della Sera del 18 febbraio a p. 36, per la penna di Dario Fertilio). L'Italia si collocherebbe in tal modo nel novero degli Stati che indicano la lingua o le lingue ufficiali del rispettivo Paese. Così avviene nella maggior parte dei ventotto Paesi che fan parte dell'Unione Europea. L'art. 8, c. 1 della costituzione austriaca afferma che "la lingua tedesca, fatti salvi i diritti riconosciuti [...] alle minoranze linguistiche, è la lingua ufficiale [Staatssprache] della Repubblica". E al c. 3 si riconosce, nella sua specificità (eigenständig), anche la "lingua austriaca dei segni" (Österreichische Gebärdensprache). Pari riconoscimento è attribuito dalla costituzione ungherese (art. H dei Fondamenti) al magiaro e alla lingua magiara dei segni. Meno comprensivo, l'art. 6 della costituzione estone enuncia, sobriamente: "La lingua ufficiale dell'Estonia è l'estone" (Eesti riigikeel on eesti keel). Nulla si dice del russo, che è lingua di un terzo della popolazione (immigrata per lo più in epoca sovietica). Anche l'art. 4 della costituzione lettone (che risale al 1922) dichiara solo l'ufficialità della lingua lettone. Del pari, l'art. 14 della costituzione lituana afferma: Valstybine kalba - lietuviu kalba "la lingua dello Stato è la lingua lituana". Null'altro. Laconica è anche la Carta rumena (art. 13: În România, limba oficiala este limba româna). Non si cita il magiaro, che pure ha tradizioni antiche in Transilvania e in Banato; si tralascia anche il romaní, lingua dei Rom, mal tollerati ovunque. Invece, la costituzione bulgara afferma, all'art. 36, che lo studio e l'uso del bulgaro sono un diritto e un obbligo di ogni 12
cittadino; inoltre, i cittadini di altra lingua (p.es. il turco) hanno sì il diritto allo studio e all'uso della propria, ma sono tenuti a studiare anche il bulgaro. A Cipro, la costituzione del 1960 riconosce al greco e al turco la dignità di lingue ufficiali. La costituzione greca, invece, non fa cenno alla lingua. La Legge fondamentale della Finlandia, all'art. 17, indica due lingue ufficiali: il finnico e lo svedese (circa un quarto dichiara di parlare, a qualche titolo, lo svedese; di questi, un buon numero si dichiara bilingue). Nei centocinquant’anni di vita dello Stato unitario la realtà linguistica italiana ha conosciuto un rinnovamento profondo. Si tratta di un caso particolare nel confronto con i mutamenti linguistici d’altre parti del mondo. In effetti, in particolare nell’ultimo mezzo secolo, tutti i paesi hanno conosciuto mutamenti intensi della loro situazione linguistica. In parte i mutamenti sono stati conseguenza di grandi fenomeni non linguistici: alcuni di natura politica, come la decolonizzazione o la crisi dello Stato tradizionale e la nascita di organismi «oltre lo Stato»; altri, del resto intrecciati ai precedenti, di natura economica e tecnologica, che hanno accentuato l’interdipendenza finanziaria e produttiva dei diversi paesi; altri di natura ancor più profonda, come la crescente migrazione dalle aree più povere verso le ricche o il risveglio della coscienza delle identità etniche e dei diritti linguistici d’ogni gruppo umano, anche minore. Nella complessiva realtà linguistica mondiale una delle conseguenze dei mutamenti è stata l’espansione dell’uso dell’inglese nei rapporti internazionali e, per una sessantina di paesi, anche nella vita amministrativa e pubblica. È il fenomeno più vistoso per l’osservatore comune. Negli Anni Settanta qualche sociologo si spinse ad affermare che l’anglizzazione di tutto il genere umano era ormai una realtà e che le migliaia di diverse lingue umane si sarebbero dissolte nel nulla. Così non è avvenuto e non sta avvenendo. Certamente sono in pericolo di estinzione (ma non per colpa dell’uso dell’inglese e non da questo sostituite) quelle lingue la cui base demografica, ristretta talora a poche decine di individui, è in via di dispersione o di assorbimento. Ma, pur meno vistosi e meno seguiti dall’informazione giornalistica, sono avvenuti fenomeni di segno contrario. Negli Anni Settanta le lingue affidate non solo all’oralità, ma alla scrittura erano poco più di settecento, oggi sono oltre duemilacinquecento. L’adozione nella scrittura accompagnata da un’estesa alfabetizzazione conferisce a una lingua una stabilità nel tempo e nello spazio sociale e culturale che lingue di uso solo orale non conoscono. L’unificazione innescò i reali processi che diffusero l’italofonia. L’accumulo di competenze restò sotto un terzo di popolazione fino al secondo conflitto mondiale. Dagli Anni Cinquanta e Sessanta del Novecento il conseguimento diffuso della licenza elementare, l’avvio di una meno inconsistente scolarità media e, dagli Anni Novanta, mediosuperiore, l’inurbamento e spostamento della popolazione dalle regioni agricole e meridionali verso le città e il Centro-Nord e la diffusione dell’ascolto televisivo hanno concorso a un 13
decisivo incremento della convergenza degli usi parlati verso il comune patrimonio linguistico italiano specie nella vita di relazione, dove l’adozione dell’italiano coinvolge ormai più del 90% della popolazione. Al multilinguismo endogeno dei dialetti italiani negli ultimi anni un gran numero di lingue, circa duecento, importate dall’immigrazione. Ma gli immigrati quasi tutti si assimilano rapidamente a italiano e parlate locali e per ora non paiono incidere sull’uso dell’italiano. La lingua italiana è stata una rivoluzione nascosta, non governata, poco compresa. La modestia della componente antropologica e demografica degli studi storici italiani e l'assenza di un revisionismo storico hanno occultato nella coscienza anche dei ceti colti l’enorme rivolgimento linguistico vissuto dal e nel paese dall'unità d'Italia ad oggi. Tuttavia si tratta di una rivoluzione incompleta: per la povertà della lettura, per il peso dei residui di analfabetismo primario e per la formazione di imponenti sacche di analfabetismo di ritorno. Gli adulti, in una percentuale stimata tra il settanta e l’ottanta per cento, anche dopo aver raggiunto una buona scolarizzazione, dagli stili di vita sono portati a non praticare più la lettura e quindi hanno difficoltà di comprensione di un testo scritto, con conseguenti difficoltà di adoperare in modo appropriato una lingua di grammatica complicata e vocabolario fondamentale d’antica tradizione, che quasi per otto parole su dieci è fatto delle parole usate da Dante nella Commedia. Alcuni sperano che per le future generazioni questa stato di arretratezza alfabetica possa essere corretto dalla diffusione delle tecnologie informatiche. Come è successo altrove nel mondo, per esempio per gli inuit o per gli eroici curdi, la tradizione e Dante potrebbero trovare un alleato in internet. 14
La tutela della lingua. Ovvero, il tentativo della Crusca di motivare il furto di un tema di destra 1. documentario per le scuole e convegno Me ne frego! Me ne frego! è il titolo del documentario dell'Istituto Luce a cura della linguista Valeria Della Valle e del regista Vanni Gandolfo, presentato questa mattina alla Mostra del Cinema di Venezia. Raccontato dalla stampa come "Un efficace viaggio nel tempo, il recupero di un'Italia dimenticata, ridicola nel suo purismo nazionalistico e anche drammatica per la violenza dei divieti, grottesca nelle sue liste di proscrizione e insieme terribile, lunarmente lontana nelle maestose coreografie littorie eppure paradossalmente vicina, perché c'è ancora chi invoca provvedimenti legislativi a tutela dell'italiano". Il vero problema è che altri si sono sostituiti nel racconto di una storia di cui a mala pena esistono i rappresentanti e queste sono le frasi lasciate ai posteri dall'Accademia della Crusca e dopo la lettura di queste parole rimane ben poco da poter fare se non ricorstuire e difendere la memoria storica stessa della destra italiana che sta avendo sempre più i contorni di una scena dal film di Chaplin Il Grande Dittatore: "E sono le imponenti scenografie ducesche a trasportarci in quel delirio imperiale che abbiamo ormai rimosso, immense scolaresche mineralizzate in maestose "M" o in forma di "DUX", oppure fatte sciamare in piazza Bernini a Torino tra gli allestimenti della "Mostra anti-Lei", le cui immagini scovate al Luce rappresentano una vera rarità: caricature, vignette, disegni satirici che riducono il pronome allocutivo a un bubbone da estirpare, severamente bandito dalla lingua perché considerato "femmineo" e "straniero". In realtà "era una forma italianissima in uso fin dal Cinquecento", corregge Valeria Della Valle, docente di Linguistica italiana alla Sapienza e direttrice scientifica dell'ultima edizione del Vocabolario Treccani. L'impazzimento era tale che il settimanale di Rizzoli Lei dovette rinunciare al suo nome. Invano tentarono di spiegare a Mussolini che in quel caso era sinonimo di ella o essa, insomma di donna. Achille Starace, infiammato artefice dei "fogli di disposizioni", ne impose la correzione in Annabella: sempre meglio di Voi, devono aver pensato al giornale. Anche il cinema dovette conformarsi al nuovo costume, ma qualche volta gli attori inciampavano nel "lei" interdetto, prontamente corretto nella più maschia allocuzione. A teatro per fortuna c'era Totò che ironizzava sfigurando Galileo Galilei in Galileo Galivoi. Una volta incappò in un gerarca seduto in prima fila, che mostrando un humour squisito decise di denunciarlo. Ma il procedimento fu bloccato da Mussolini. "Fesserie!", liquidò. E non se ne parlò più. In realtà gli italiani nel privato continuarono a usare il "lei" e molti, pur di non darsi il "voi", si buttarono sul confidenziale "tu". E mentre il duce e i suoi gerarchi inseguivano il purismo nazionalistico, il novanta per cento della popolazione parlava ancora dialetto. I materiali del Luce mostrano questo "italiano nascosto", il parlato vero della presa diretta, che proprio perché non in linea con le direttive ufficiali venne 15
occultato dietro voci narranti ufficiali, asettiche e impostate. Inutile aggiungere che la bonifica mussoliniana non aiutò affatto l'alfabetizzazione degli italiani, che rimase tragicamente arretrata nel dopoguerra. "E in un certo senso", aggiunge Della Valle, "scontiamo ancora quei vent'anni persi dietro inutili miti nazionalistici". Di quell'esperimento linguistico oggi è rimasto poco, quasi nulla. "Le parole straniere non sono state debellate da decreti legge", dice la studiosa. "Le minoranze linguistiche hanno reagito con insofferenza ai provvedimenti del regime, mettendo anche in atto tentativi di separatismo. I dialetti continuano a essere usati come lingua degli affetti e delle origini famigliari: nei film, nelle canzoni e nella poesia. E il pronome "lei" ha ripreso il suo posto, mentre il "voi" è usato solo nell'italiano regionale del Mezzogiorno". Resta come ricordo il Vocabolario della Reale Accademia d'Italia, rimasto interrotto per sempre alla lettera C: quanto basta per leggere sotto alcuni lemmi il nome di Mussolini accostato ad Ariosto, Machiavelli e Petrarca. E restano pochissime formule care al duce come "colli fatali", "bagnasciuga" e "colpo di spugna", tra tutte la più fortunata. Di fronte alla crisi dell'italiano - che ha perso il suo status di lingua di cultura internazionale, scivolando al ventiduesimo posto per l'ampiezza del bacino di parlanti - perfino tra gli studiosi c'è chi rimpiange una robusta politica in sua difesa. "Ci sono dei nostalgici che invocano provvedimenti legislativi. Di tanto in tanto viene riproposto qualche consiglio superiore della lingua italiana che dovrebbe difenderla dal barbaro dominio delle parole straniere. Ma per fortuna a occuparsi della nostra lingua ci sono istituzione solide come l'Accademia della Crusca, l'Enciclopedia Italiana e la Dante Alighieri, del tutto estranee a queste nostalgie". La lingua è uno strumento in continua evoluzione, nessuna politica dovrebbe mai pensare di imbrigliarla. Me ne frego! serve a ricordarcelo". 2. Convegno La lingua italiana di fronte agloi anglicismi È sufficiente leggere il comunicato stampa: L’Accademia della Crusca, in collaborazione con Coscienza Svizzera e con la Società Dante Alighieri, organizza il convegno La lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi che si terrà a Firenze lunedì 23 e martedì 24 febbraio 2015. La partecipazione è libera e gratuita. Possiamo, o non possiamo, dirlo in italiano? Uno degli obiettivi principali dell’Accademia è restituire agli italiani la piena fiducia nella loro lingua in tutti gli usi, compresi quelli scientifici e commerciali, senza combattere battaglie di retroguardia contro l’inglese e consapevoli che il lessico è di per sé la parte più sensibile al mutamento e alle innovazioni di ogni lingua. Questo convegno cercherà di fare il punto sulla diffusione dei neologismi e soprattutto degli anglicismi, anche in riferimento alla situazione degli altri paesi 16
europei di lingua romanza. Ci si chiederà se la reazione delle diverse lingue di fronte al forestierismo sia analoga, o se ci siano differenze da nazione a nazione, da idioma a idioma. Al termine del convegno, in una riunione specifica, si discuterà della possibilità di creare un Gruppo per il monitoraggio dei neologismi incipienti, per una valutazione delle parole nuove “allo stato nascente”. 3. Salviamo la lingua italiana. È sufficiente riportare articolo di Repubblica. “Con questo grido la rete – attraverso il sito Change.org – si è rivolta all’Accademia della Crusca, l'istituto nazionale per la salvaguardia e lo studio del nostro idioma, affinché si facesse portavoce e autorevole testimone - presso il governo, le amministrazioni pubbliche, i media, le imprese - della necessità di “dirlo in italiano”. L’idea è venuta ad Annamaria Testa – pubblicitaria, creativa e docente universitaria – “scossa” dall’uso (e abuso) di termini anglofoni negli atti pubblici, nei giornali, nella scrittura quotidiana. “Perché dire “form” quando si può dire modulo, “jobs act” quando si può dire legge sul lavoro, “market share” quando si può dire quota di mercato?”, si è interrogata la Testa. E a sostenere la sua posizione sono arrivate oltre 70.000 firme in poche ore. In fondo – dati alla mano - la lingua italiana è la quarta più studiata al mondo. E le parole italiane portano con sé la nostra cultura. Una cultura bella e raffinata anche nelle sue declinazioni popolari. Dove sono finiti i tempi in cui gli statunitensi per abbellire le loro canzoni inserivano parole italiane, più belle e musicali delle loro e non avveniva mai (o quasi) il contrario? Alle mille domande sollevate, implicitamente ed esplicitamente, da Annamaria (ma sempre con un unico e solo obiettivo, difendere l’italica eloquenza) non ha tardato a rispondere Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca che si è impegnato a lanciare, nelle prossime settimane, «un sito internet, di facile accesso e consultazione, per aiutare tutti a orientarsi tra vecchie e nuove parole straniere entrate nel nostro lessico, per capire quali sono i significati, gli usi, le alternative valide e possibili». Non andremo a lezione di “itanglese”, quel gergo che ci rende spesso un po’ goffi nell’espressione scritta e parlata. Piuttosto, e senza in alcun modo fare guerra alla lingua di Shakespeare, scopriremo da «parlanti italiani», come ci definisce Marazzini, che esistono parole “nostrane” utilizzabili, comode e trasparenti. Potremo così essere noi per primi a farci promotori della grande ricchezza lessicale ed espressiva della nostra lingua. Un bello strumento di conoscenza e condivisione, che si affiancherà all’Osservatorio sui neologismi incipienti, e fungerà da pungolo per sollecitare Governo, Pubbliche Amministrazioni, media e imprese a un uso più consapevole della lingua italiana. Perché a quanto pare è proprio il nostro governo, soprattutto negli ultimi anni, ad abusare un po’ troppo di anglismi e neologismi di “dubbio” (o almeno non piacevole) gusto. Senza “taskare” più nessuno, “schedulare” gli appuntamenti, “staffare” il personale, riempendo moduli, curando la soddisfazione dell’utente e accedendo a quote di mercato, forse riscopriremo davvero quanto è bella la lingua di Dante e Galileo, di Manzoni e Leopardi, di Fellini e Sorrentino. Così da parafrasare quest’ultimo che, di 17
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