CONFIMI Rassegna Stampa del 10/10/2014

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CONFIMI
   Rassegna Stampa del 10/10/2014

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INDICE

CONFIMI
  10/10/2014 Avvenire - Nazionale                                                          6
  Piccole e medie imprese schierate per il «no» al Tfr in busta paga

  10/10/2014 Gazzetta di Modena - Nazionale                                                8
  Export, come costruire un affare

  10/10/2014 L'Arena di Verona                                                             9
  A Verona 700 addetti in meno nelle banche

  10/10/2014 Prima Pagina - Modena                                                         10
  Confimi e Simest per competere sul mercato globale

  10/10/2014 Prima Pagina - Reggio Emilia                                                  11
  "Adesso ripartiamo", successo per il convegno dedicato a Simest e Pmi per la
  crescita e l'internazionalizzazione

CONFIMI WEB
  09/10/2014 www.ravennawebtv.it 08:49                                                     13
  Efficienza, rinnovabili e metano per una nuova fase di sviluppo: sottoscritto il nuovo
  documento sull'energia

  09/10/2014 www.viaemilianet.it 13:02                                                     15
  Confimi e Simest per competere sul mercato globale

SCENARIO ECONOMIA
  10/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale                                               17
  Draghi: chi non crea lavoro sparirà

  10/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale                                               19
  Telecom punta a Metroweb E a 7 miliardi per la fibra ottica

  10/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale                                               20
  La crisi del lavoro e i 14,7 miliardi di sussidi a carico dei contribuenti

  10/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale                                               21
  I dubbi delle banche sul passaggio di Giochi Preziosi a Lee
10/10/2014 Il Sole 24 Ore                                                                22
Se Berlino ritrova l'Europa per interesse

10/10/2014 Il Sole 24 Ore                                                                24
Una dote ridotta

10/10/2014 Il Sole 24 Ore                                                                25
La lezione di Clinton

10/10/2014 Il Sole 24 Ore                                                                27
Due temporali a Francoforte

10/10/2014 Il Sole 24 Ore                                                                29
Dal Lavoro risparmi per 2,1 miliardi

10/10/2014 Il Sole 24 Ore                                                                31
Jobs act, alla Camera delega «blindata»

10/10/2014 La Repubblica - Nazionale                                                     33
Draghi: i governi senza riforme saranno cacciati

10/10/2014 La Repubblica - Nazionale                                                     35
Se anche Berlino rischia la recessione

10/10/2014 La Repubblica - Nazionale                                                     37
La frenata tedesca i tassi americani ei prezzi troppo alti bloccano le Ipo salta anche
Intercos

10/10/2014 La Repubblica - Nazionale                                                     38
Thyssen, niente accordo sul piano dell'azienda in vista 550 licenziamenti

10/10/2014 MF - Nazionale                                                                39
CONTRATTO BANCARI, TRE MESI DA SFRUTTARE PER CAPIRE IL FUTURO

10/10/2014 MF - Nazionale                                                                40
Ai massimi dal 2008 la domanda di prestiti delle aziende. Ma le banche ci sentono
poco

10/10/2014 MF - Nazionale                                                                41
In Italia cresce solo il (finto) lavoro part-time

10/10/2014 L'Espresso                                                                    42
International FIAT

10/10/2014 L'Espresso                                                                    45
Cenerentola al ballo di Wall Street

10/10/2014 L'Espresso                                                                    46
Caro Piketty, di Marx non hai capito niente
SCENARIO PMI
  10/10/2014 Corriere della Sera - Brescia                               48
  Bonomi: «Tasse al 66% Competitività a rischio per le nostre imprese»

  10/10/2014 Il Sole 24 Ore                                              49
  «Servizi e territorio urbano, ecco la ricchezza del futuro»

  10/10/2014 ItaliaOggi                                                  52
  SI PUNTA ALLE PMI E AI PROFESSIONISTI

  10/10/2014 ItaliaOggi                                                  53
  Navi militari Alleanza italiana

  10/10/2014 MF - Nazionale                                              54
  Fincantieri e Finmeccanica uniscono le forze per la nautica militare

  10/10/2014 MF - Nazionale                                              55
  SI PUNTA ALLE PMI E AI PROFESSIONISTI

  10/10/2014 L'Espresso                                                  56
  MANUFACTURING 2.0

  09/10/2014 Banca Finanza                                               59
  II modello di banca dei sindacati

  09/10/2014 Banca Finanza                                               62
  Le nuove sfide del trading on line
CONFIMI

articoli
10/10/2014                               Avvenire - Ed. nazionale                                           Pag. 24
                                          (diffusione:105812, tiratura:151233)

                                                                                                                      La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
 Torino
 Piccole e medie imprese schierate per il «no» al Tfr in busta paga
 Allarme Il 17% delle aziende ha ordini per solo 15 giorni e il 74% soffre ritardi nei pagamenti
 ANDREA ZAGHI

 Arrabbiati e preoccupati, comunque decisi a non essere più, come loro stessi dicono, il "bancomat" del
 Governo. L'umore delle piccole e medie imprese torinesi di fronte alle ipotesi di Tfr in busta paga e in attesa
 di una politica economica nuova, non è dei migliori. Anzi, a Torino - una delle aree più calde dal punto di vista
 occupazionale e produttivo -, tira aria di "ribellione". Con, tuttavia, i modi consoni ad uno stile sabaudo che
 non viene abbandonato. Ma le parole sono chiarissime. «Occorre fare capire al Governo che non è possibile
 compiere le riforme con i soldi delle imprese e di chi lavora», dice Corrado Alberto - presidente di Api Torino
 una delle più rappresentative associazioni di Pmi (Piccole e medie imprese) in Italia -, che è netto nei
 confronti della strategia sul lavoro e per lo sviluppo avviata e che aggiunge subito: «Torino e il Piemonte
 stanno già soffrendo abbastanza per i problemi generati dalla situazione locale. Aggiungere altri problemi è
 semplicemente assurdo e pericoloso anche dal punto di vista sociale. A questo punto è proprio da Torino che
 deve partire un forte moto di ribellione contro programmi calati dall'alto che non tengono conto delle reali
 condizioni delle imprese». I numeri sciorinati dall'ultima indagine dell'Ufficio studi dell'associazione, spiegano
 che il 17% delle imprese ha ordini solo per 15 giorni, circa il 70% pensa di diminuire gli investimenti mentre
 aumenta al 74% il numero delle aziende che soffre di ritardi nei pagamenti. L'ipotesi del Tfr in busta paga,
 quindi, preoccupa e si aggiunge a tutto il resto. «Abbiamo iniziato - dice Alberto -, con il bonus di 80 euro
 recuperato, di fatto, con tagli alla spesa della Pubblica amministrazione che ricadono sui fornitori e quindi
 sulle imprese. L'ipotesi del Tfr in busta paga comporterebbe ulteriori problemi. Senza contare il fatto che, ad
 oggi, rimangono molte incognite sul tipo di tassazione alla quale verrebbe sottoposto e sugli effetti che
 potrebbe avere sul complesso del reddito percepito arrivando anche a mettere a rischio la possibilità di
 usufruire del bonus degli 80 euro. Insomma, l'unico risultato sarebbe confermare il fatto che il Governo
 considera le imprese una sorta di Cassa depositi e prestiti, un bancomat a disposizione di Renzi».

CONFIMI - Rassegna Stampa 10/10/2014                                                                             6
10/10/2014                        Gazzetta di Modena - Ed. nazionale                                          Pag. 8
                                            (diffusione:10626, tiratura:14183)

                                                                                                                       La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
 Export, come costruire un affare Convegno Confimi -Simest sulle strategie d'investimento per gli imprenditori
 Export, come costruire un affare

 Export, come costruire un affare
  Convegno Confimi-Simest sulle strategie d'investimento per gli imprenditori
  Un giro d'affari pari a 390 miliardi di euro. È quanto vale l'export in Italia. Un dato che serva a capire quanto
 importante sia questa voce nell'economia del Paese, Modena compresa, che ha da sempre una vocazione
 all'export. Ed è da sempre su questo che le associazioni di categoria "spingono", affinché le imprese
 scelgano sempre più la strada dell'internazionalizzazione. Ne sanno qualcosa da Apmi Confimi Impresa, che
 ha organizzato un convegno dal titolo "Adesso ripartiamo. Simest e le pmi per la crescita e
 l'internazionalizzazione", dove sono stati presentati una serie di progetti nati dalla collaborazione tra
 l'associazione e Simest, un'alleanza per presidiare paesi difficili, nei quali la concorrenza si intensifica giorno
 dopo giorno. Davanti a una platea gremita di imprenditori (giunti all'auditorium di Apmi Confimi Impresa a
 Modena) il filo conduttore dei vari interventi è stata l'importanza che riveste nel nostro paese l'export che, ha
 ricordato Giovanni Gorzanelli, presidente di Confimi Impresa Modena «nel 2013 ha generato un giro d'affari
 di 390 miliardi di euro (+2,3%) rispetto all'anno passato, di cui ben 200 miliardi in capo alle piccole e medie
 imprese». Ad illustrare l'identikit di Confimi il direttore generale Fabio Ramaioli, che ha affermato: «Siamo nati
 due anni fa con l'obiettivo di riportare l'industria manifatturiera al centro del dibattito e ci stiamo riuscendo.
 Non è un caso se Modena ha la delega nazionale all'internazionalizzazione». È toccato poi all'ad di Simest,
 Massimo D'Aiuto, presentare il quadro di ciò che la società può offrire alle pmi: «Siamo una finanziaria di
 sviluppo che propone principalmente tre filoni di attività: partecipiamo ai capitali delle società, individuiamo
 opportunità di investimento all'estero e in Italia e gestiamo i fondi pubblici per l'internazionalizzazione. Alle
 aziende proponiamo una vera attività di scouting, intesa come lavoro mirato di affiancamento per cercare
 investimenti specifici». Altro servizio di Simest, ha proseguito D'Aiuto, «è prevedere per l'impresa una
 struttura permanente in un determinato mercato. In quest'ultimo caso abbiamo strumenti che nessun'altro ha
 in Europa, in primis la nostra disponibilità a partecipare al capitale di rischio attraverso un fondo di equity».
 Presente all'incontro Dino Piacentini, vicepresidente nazionale di Confimi Imprese, che ha presentato la
 propria personale esperienza. «Davanti a un partner di questo genere non ci sono più alibi per dire "non lo
 sapevamo" - ha spiegato - Come imprenditori abbiamo il dovere di essere responsabili e svolgere il ruolo di
 creazione di sviluppo tramite gli investimenti: non dobbiamo avere paura di questa sfida».

CONFIMI - Rassegna Stampa 10/10/2014                                                                              7
10/10/2014                                     L'Arena di Verona                                                 Pag. 9
                                            (diffusione:49862, tiratura:383000)

                                                                                                                          La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
 BANCHE E CRISI. In Apindustria a confronto sindacati e imprenditori
 A Verona 700 addetti in meno nelle banche

 I relatori del convegno organizzato ad Apindustria Fare in modo che le banche tornino al loro ruolo originario
 di intermediazione creditizia a sostegno delle piccole e medie imprese. È questo l'appello lanciato ieri nel
 corso del convegno «Credito e territorio», organizzato da Unisin (Falcri-Silcea), sindacato dei bancari, nella
 sede di Apindustria. «Piuttosto che dedicarsi ad attività solo di carattere finanziario, gli istituti di credito
 dovrebbero riappropriarsi del loro ruolo di supporto alle imprese», è stato il commento di Emilio Contrasto,
 segretario generale di Unisin, «fornendo servizi finanziari, ma anche di tipo consulenziale». Della stessa
 opinione i segretari Unisin del Veneto, Luca Pinton, e nazionale, Angelo Peretti. «Verona, un tempo tra le
 capitali finanziarie del Paese, ha visto negli anni affievolirsi la presenza di strutture bancarie sul territorio: dal
 2008 a oggi si sono persi 700 addetti del settore su un totale di 12 mila», ha spiegato Peretti. «In tutta Italia
 sono in corso riorganizzazioni, ma a Verona stanno avendo un impatto significativo, come testimoniano i casi
 Ubis e Uccmb». Impatto «significativo», secondo il sindaco Flavio Tosi, perché a Verona la concentrazione di
 addetti del settore è più alta che altrove, ma che è stato gestito in modo non traumatico rispetto ad altri
 comparti. «Non si possono demonizzare le banche per il credit crunch, ma è chiaro che il sistema si sta
 avvitando su se stesso: se le imprese non hanno accesso al credito, chiudono e ciò mette in difficoltà anche
 le stesse banche. Per questo è fondamentale che il sistema bancario torni a dare respiro al sistema
 imprenditoriale». Il presidente di Apindustria Arturo Alberti fa un piccolo mea culpa, ma poi rilancia. «È vero
 che da parte di alcuni imprenditori non sempre c'è stata serietà nel proporsi e nell'operare, ma il problema
 vero è che in questa fase le banche hanno perso il rapporto con il territorio», ha commentato Alberti. «Dopo
 sei anni di crisi, le imprese rimaste sul mercato sono sane e hanno bisogno di fiducia per andare avanti».
 Fiducia, ma non solo. «Il sistema bancario ha disponibilità finanziarie, ma solo per i soggetti che abbiano certi
 parametri di affidabilità, legati anche al modo di presentarsi alla banca», ha concluso Giovanni Maccagnani,
 membro del cda della Fondazione Cariverona. «Oggi infatti c'è grande necessità di professionisti che aiutino
 gli imprenditori ad attingere al credito attraverso un linguaggio che la pmi non ha».M.Tr. © RIPRODUZIONE
 RISERVATA

CONFIMI - Rassegna Stampa 10/10/2014                                                                                 8
10/10/2014                                Prima Pagina - Modena                                              Pag. 23

                                                                                                                       La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
 L'ad di Simest, Massimo D'Aiuto: «Alle aziende proponiamo una vera e propria attività di scouting»
 L'INCONTRO
 Confimi e Simest per competere sul mercato globale
 Il presidente Giovanni Gorzanelli: «Le Pmi protagoniste dell'export italiano»

 Una partnership forte per imporsi sui mercati esteri. Un'a lleanza per presidiare paesi difficili, nei quali la
 concorrenza si intensifica giorno dopo giorn o. Questo il senso ultimo dei progetti presentati al convegno
 organizzato da Apmi Confimi Impresa dal titolo «Adesso... r ipartiamo! Simest e le Pmi per la crescita e l'i nter
 nazionalizzazione», svoltosi mercoledì pomeriggio nell'Aud it or iu m dell'a s s o c i a z i o n e. Presenti l'a m
 m i n i s t r atore delegato di Simest, Massimo D'Aiuto, insieme al vice presidente nazionale di Confimi
 Impresa, Dino Piacentini; il presidente di Confimi Impresa Modena, Giovanni Gorzanelli e il direttore generale
 di Confimi Impresa, Fabio Ramaioli. Davanti a una platea gremita di imprenditori, il filo conduttore dei vari
 interventi è stata l'i mportanza che riveste nel nostro paese l'expor t che, ha ricordato Gorzanelli, «nel 2013
 ha generato un giro d'affari di 390 miliardi di euro (+2,3%) rispetto all'anno passato, di cui ben 200 miliardi in
 capo alle piccole e medie imprese». Ha illustrato l'i de nt ikit di Confimi il direttore generale Fabio Ramaioli:
 «Siamo nati due anni fa con l'obiettivo di riportare l'industria manifatturiera al centro del dibattito e ci stiamo
 riuscendo. Non è un caso se Modena ha la delega nazionale all'inter nazionalizzazione». È toccato poi all'ad
 di Simest, Massimo D'A i uto, presentare il quadro di ciò che la società può offrire alle Pmi: «Siamo una
 finanziaria di sviluppo che propone principalmente tre filoni di attività: partecipiamo ai capitali delle società,
 individuiamo opportunità di investimento all'e s t ero e in Italia e gestiamo i fondi pubblici per l'i nter
 nazionalizzazione. Alle aziende - ha precisato - proponiamo una vera e propria attività di scouting, intesa
 come lavoro mirato di affiancamento per cercare investimenti specifici». Altro servizio di Simest, ha
 proseguito D'A i uto, «è prevedere per l'i mpresa una struttura permanente in un determinato mercato. In
 quest'ultimo caso abbiamo strumenti che nessun'a ltro ha in Europa, in primis la nostra disponibilità a
 partecipare al capitale di rischio attraverso un fondo di equity». In conclusione dell'i ncontro ha presentato la
 propria personale esperienza positiva lo stesso Dino Piacentini: «Davanti a un partner di questo genere non
 ci sono più alibi per dire 'non lo sapevamo' - ha spiegato -. Come imprenditori abbiamo il dovere di essere
 responsabili e svolgere il nostro ruolo di creazione di sviluppo tramite gli investimenti: non dobbiamo avere
 paura di questa sfida».

CONFIMI - Rassegna Stampa 10/10/2014                                                                              9
10/10/2014                              Prima Pagina - Reggio emilia                                             Pag. 26

                                                                                                                            La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
 ESTERO Grande partecipazione all'iniziativa che si è svolta nella sede di Apmi- Confimi
 "Adesso ripartiamo", successo per il convegno dedicato a Simest e Pmi
 per la crescita e l'internazionalizzazione

 L'INCONTRO Alcune immagini del convegno MODENA Si è svolto all'a ud it orium di Apmi-Confimi il
 convegno "Adesso ripartiamo. Simest e le Pmi per la crescita e l'inter nazionalizzazione". L'incontro, molto
 partecipato, ha visto la presenza del presidente di Confimi Modena, Giovanni Gorzanelli, del direttore
 generale di Confimi Impresa. Fabio Ramaioli, dell'a m m i n istratore delegato di Simest, Massimo D'Aiuto, e
 del vicepresidente nazionale di Confimi, Dino Piacentini. Simest, società italiana per le imprese all'estero, è
 nata nel 1991 con lo scopo di promuovere società miste all'estero, fuori dell'Unione Europea e di sostenerle
 sotto il profilo tecnico e finanziario. Nel corso degli anni poi la società ha allargato la propria attività,
 assumendo la gestione di tutti i principali strumenti finanziari pubblici a sostegno dell'inter nazion a l i z z a z i
 o n e. Simest può acquisire partecipazioni di minoranza nelle imprese all'estero sia investendo direttamente,
 che attraverso il Fondo pubblico di Venture Capital. Dal 2011, poi, la società può acquisire a condizioni di
 mercato e senza agevolazioni, partecipazioni di minoranza nel capitale sociale di imprese italiane o loro
 controllate nell 'Unione europea che sviluppino investimenti produttivi e di innovazione e ricerca, con effetti
 positivi sia sulle esportazioni che sull'occupazione. Questa nuova linea di attività ha avuto un notevole
 successo tra le imprese italiane, raggiungendo volumi interessanti e ha permesso alla società di assumere il
 ruolo di finanziaria per lo sviluppo della competitività delle aziende italiane. A questo si affianca la gestione
 dei fondi pubblici finalizzati all'inter nazionalizzazione delle imprese italiane per lo sviluppo commerciale, gli
 studi di fattibilità, l'export credit, il supporto alla patrimonializzazione delle Pmi e la partecipazione a fiere inter
 nazionali.

CONFIMI - Rassegna Stampa 10/10/2014                                                                                   10
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 Efficienza, rinnovabili e metano per una nuova fase di sviluppo:
 sottoscritto il nuovo documento sull'energia
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 09/10/2014 - Provincia, Comune di Ravenna e Camera di Commercio assieme a Confindustria Ravenna,
 Confimi Impresa Ravenna, CNA, Confartigianato, Legacoop Romagna, Confcooperative Ravenna, AGCI
 Ravenna-Ferrara,CGIL-CISL-UIL hanno sottoscritto un nuovo documento sull'efficienza energetica, l'impiego
 del gas naturale nazionale e delle energie rinnovabili.
 In premessa, il documento afferma che "la provincia di Ravenna è un territorio dove negli ultimi 50 anni la
 produzione e la distribuzione dell'energia e le politiche per l' ambiente hanno svolto un ruolo importante nello
 sviluppo economico, per le imprese e il lavoro".
 Sul risparmio e l'efficienza energetica e sull'impiego delle energie rinnovabili il documento auspica, in primo
 luogo, il rinnovo degli ecobonus e delle detrazioni fiscali al 65 e al 50% al fine di rafforzare le politiche per
 l'ambiente e per il lavoro.
 Inoltre si chiede all'UE e al Governo Italiano di eliminare il vincolo del Patto di stabilità per investimenti di
 Regioni ed Enti locali per l'efficienza energetica e le energie rinnovabili che rappresentano un investimento
 sul futuro e un notevole risparmio finanziario nel medio periodo.
 "Per quanto riguarda il tema dell'utilizzo degli idrocarburi e in particolare del gas naturale nel nostro Paese e
 in particolare nell' area adriatica si evidenzia la necessità che il nostro Paese, sulla base degli indirizzi
 dell'Unione Europea, approfondisca la possibilità di riattivare le attività di ricerca e di utilizzo dei giacimenti di
 gas naturale già individuati come previsto dal decreto Sblocca-Italia.
 Il territorio ravennate è da diversi decenni estremamente attento ai temi della subsidenza e dell' erosione
 costiera, legati peraltro a una pluralità di fattori naturali ed antropici, come dimostrano l'impegno pluriennale e
 quasi unico di Ravenna per ridurre progressivamente gli emungimenti di acqua dal sottosuolo, causa primaria
 e accertata del fenomeno della subsidenza, e la presenza di una diffusa rete di monitoraggio del fenomeno
 su tutto il territorio".
 "Sulla base di queste nostre esperienze noi riteniamo che l'elemento chiave sia quella di concordare tra
 Ministeri Competenti e Regioni un sistema di monitoraggio trasparente, omogeneo e diffuso, predisposto e
 garantito da un Ente Scientifico di elevate competenze e di assoluta autonomia, capace di comparare e
 migliorare i modelli previsionali attivati presso le autorità regionali e locali, di interloquire da un lato con i
 cittadini, fornendo dati certi e accessibili, e dall' altro con tutte le Autorità competenti per adottare le misure
 utili per assicurare la piena tutela delle coste adriatiche e dell'intero territorio".
 Le parti firmatarie propongono formalmente di modificare l'intero sistema delle cosiddette "royalties". Va
 sancito che una parte consistente dei vantaggi nazionali legati alla estrazione di gas naturale debba avere
 una ricaduta sui territori interessati, in particolare per predisporre un Piano aggiornato per la difesa della
 costa e del territorio dell' area adriatica e per realizzare interventi e opere organiche e coerenti con gli obiettivi
 dei studi GISC, sia a protezione delle coste e delle spiagge, per tutelare risorse naturali di interesse primario,
 sia a protezione dell'intero territorio emiliano-romagnolo anche potenziando l'insieme del sistema della rete di
 bonifica e della sicurezza idraulica, per investimenti in efficienza energetica e in energie rinnovabili.
 Il documento evidenzia che l'attivazione dell'insieme delle misure proposte - in linea con la strategia dell'UE -
 consentirebbe di attivare investimenti per almeno 10 miliardi di euro producendo centinaia di migliaia di nuovi
 posti di lavoro, migliorando l'autonomia nazionale in materia energetica e contribuendo agli obiettivi europei
 sul clima del 20-20-20.
 Tale documento, che contiene anche precisi impegni di livello nazionale e locale in tema di energia, è stato
 trasmesso ufficialmente ai ministri Federica Guidi (Sviluppo economico) e Gian Luca Galletti (Ambiente) e

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 all'assessore alle Attività produttive e green economy della Regione Emilia Romagna, Luciano Vecchi.

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 Confimi e Simest per competere sul mercato globale

 Una partnership forte per imporsi sui mercati esteri. Un'alleanza per presidiare paesi difficili, nei quali la
 concorrenza si intensifica giorno dopo giorno. Questo il senso ultimo dei progetti presentati al convegno
 organizzato da Apmi Confimi Impresa dal titolo "Adesso... ripartiamo! Simest e le Pmi per la crescita e
 l'internazionalizzazione", svoltosi mercoledì pomeriggio nell'Auditorium dell'associazione. Presenti
 l'amministratore delegato di Simest, Massimo D'Aiuto, insieme al vice presidente nazionale di Confimi
 Impresa, Dino Piacentini; il presidente di Confimi Impresa Modena, Giovanni Gorzanelli e il direttore generale
 di Confimi Impresa, Fabio Ramaioli. Davanti a una platea gremita di imprenditori, il filo conduttore dei vari
 interventi è stata l'importanza che riveste nel nostro paese l'export che, ha ricordato Gorzanelli, "nel 2013 ha
 generato un giro d'affari di 390 miliardi di euro (+2,3%) rispetto all'anno passato, di cui ben 200 miliardi in
 capo alle piccole e medie imprese". Ha illustrato l'identikit di Confimi il direttore generale Fabio Ramaioli:
 "Siamo nati due anni fa con l'obiettivo di riportare l'industria manifatturiera al centro del dibattito e ci stiamo
 riuscendo. Non è un caso se Modena ha la delega nazionale all'internazionalizzazione". Ètoccato poi all'ad di
 Simest, Massimo D'Aiuto, presentare il quadro di ciò che la società può offrire alle Pmi: "Siamo una
 finanziaria di sviluppo che propone principalmente tre filoni di attività: partecipiamo ai capitali delle società,
 individuiamo opportunità di investimento all'estero e in Italia e gestiamo i fondi pubblici per
 l'internazionalizzazione. Alle aziende - ha precisato - proponiamo una vera e propria attività di scouting,
 intesa come lavoro mirato di affiancamento per cercare investimenti specifici". Altro servizio di Simest, ha
 proseguito D'Aiuto, "è prevedere per l'impresa una struttura permanente in un determinato mercato. In
 quest'ultimo caso abbiamo strumenti che nessun'altro ha in Europa, in primis la nostra disponibilità a
 partecipare al capitale di rischio attraverso un fondo di equity". In conclusione dell'incontro ha presentato la
 propria personale esperienza positiva lo stesso Dino Piacentini: "Davanti a un partner di questo genere non ci
 sono più alibi per dire 'non lo sapevamo' - ha spiegato -. Come imprenditori abbiamo il dovere di essere
 responsabili e svolgere il nostro ruolo di creazione di sviluppo tramite gli investimenti: non dobbiamo avere
 paura di questa sfida".

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SCENARIO ECONOMIA

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10/10/2014                         Corriere della Sera - Ed. nazionale                                       Pag. 2
                                          (diffusione:619980, tiratura:779916)

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 Draghi: chi non crea lavoro sparirà
 Il presidente della Bce: i giovani vanno assunti invece che licenziati «I politici che non aumenteranno i
 posti non verranno rieletti»
 Stefania Tamburello

 DALLA NOSTRA INVIATA
  WASHINGTON «Deve essere più facile per le aziende assumere i giovani, non licenziarli», quanto meno non
 più di quanto sia ora, dice il presidente della Bce, Mario Draghi che a Washington nel corso di un dibattito alla
 Brookings Institution, in occasione dei lavori dell'assemblea del Fondo monetario, parla della riforma italiana,
 quel provvedimento che per il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan rappresenta «un risultato molto
 importante che sarà seguito da altre riforme molto ambiziose».
 «Non credo che la revisione delle regole del lavoro in Italia si tradurrà in massicci licenziamenti. Dopo anni di
 recessione, e tassi di disoccupazione elevati, le imprese che hanno voluto o dovuto licenziare lo hanno già
 fatto» afferma il banchiere ricordando che l'eccessiva flessibilità, e non solo in Italia, ha già mostrato le sue
 falle e non rappresenta quindi una soluzione. «Dal 2002 sono stati fatti contratti molto flessibili, posizioni che
 la crisi ha spazzato via» dice. Bisogna ricominciare ad assumere, dunque, ma la crescita potenziale è troppo
 bassa per produrre da sola la riduzione della disoccupazione, aggiunge, e quindi occorre che intervengano
 subito i governi con le riforme sapendo che se non lo faranno, se non combatteranno efficacemente la
 disoccupazione,«non saranno rieletti, spariranno dalla scena politica». E questo dovrebbe essere «un
 importante incentivo» ad agire.
 Draghi si sofferma anche sulla congiuntura europea, che secondo l'Fmi - ieri il direttore generale, Christine
 Lagarde lo ha ripetuto sollecitando la stessa Bce ad acquistare i titoli di Stato se le cose non dovessero
 migliorare - è sull'orlo di una nuova recessione.
 «La crescita ha perso slancio» afferma il presidente dell'Eurotower, ribadendo che la Bce ha fatto già molto e
 che è pronta ad adottare nuove «misure non convenzionali» in caso di necessità. Un'affermazione che ha
 lasciato freddi gli investitori di Wall Street. In ogni caso non tutto è negativo visto che Draghi vede la rapida
 accelerazione della ripresa del credito già dall'inizio del 2015, «perché le banche avranno una maggiore
 capacità di bilancio per i prestiti».
 Padoan ha invece partecipato ad una tavola rotonda con il ministro delle Finanze tedesche, Wolfgang
 Schäuble, d'accordo sul piano di riforme da fare, sia con Draghi sia con Padoan. «La Germania non vuole
 certo essere arrogante e non deve dire all'Italia o ad altri cosa fare» ha detto sostenendo comunque che
 nessun Paese ha chiesto di cambiare le regole di bilancio europee, che contengono in sé la flessibilità
 necessaria. Padoan ha ribadito che le riforme sono necessarie «ma richiedono tempo» per essere realizzate
 soprattutto in Italia in presenza di bassa produttività e recessione.
  A Washington anche il Commissario per la spesa pubblica Carlo Cottarelli, che presto tornerà al Fondo,
 come Direttore esecutivo per l'Italia: La spending review, dice «non è né uno sprint né una maratona ma una
 corsa a staffetta».
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 L'agenda
 Dopo la votazione
 della fiducia
  al Jobs act
  nel corso dell'esame
  al Senato,

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 il ddl sul lavoro andrà la prossima settimana
  alla Camera per la seconda lettura.
 Il governo ha sei mesi di tempo dall'approva-zione definitiva della legge, per emanare i decreti delegati

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 Telecom punta a Metroweb E a 7 miliardi per la fibra ottica
 Il passaggio al Fondo strategico della Cassa depositi. Il gruppo: no comment Fastweb In questi giorni i rumor
 della possibile vendita di Fastweb a Vodafone scaldano la Borsa
 Massimo Sideri

 Milano Telecom Italia «non commenta». Ma il dossier Metroweb sembra volere uscire prepotentemente dai
 tombini. Il timing non è casuale. Metroweb Italia - che controlla Metroweb Milano, società compartecipata
 anche da Swisscom - è per il 53,8% di F2i e per il 46,2% di FSI Investimenti , società costituita, guardacaso,
 lo scorso luglio e controllata per il 77% dal Fondo Strategico di Franco Bassanini e e per il 23% dalla Kuwait
 Investment Authority. Bassanini, non è un mistero, è anche alla guida di Cdp. Ma non è un mistero nemmeno
 che Vito Gamberale pensasse di trasformare Metroweb nella famosa Società della rete partecipata da tutti gli
 operatori. Un progetto che aveva causato un braccio di ferro con Telecom, riluttante a mollare la rete, unico
 asset che garantisce il debito monstre del gruppo telefonico. Con l'uscita di Gamberale da F2i,
 evidentemente, si apre una stagione nuova per il futuro della società. Il passaggio è comunque delicatissimo
 se si considera che Telecom è in piena fase di transizione con gli azionisti, da Telefonica a Mediobanca a
 Intesa a Generali, che hanno ampiamente fatto capire di considerarsi già fuori, psicologicamente, dal capitale
 della società. E un nuovo potenziale azionista, Vivendi, che ha mostrato l'interesse a entrare ma che di fatto
 ha solo un'opzione a trasformare in titoli Telecom parte delle azioni della nuova società che si sta formando
 dalla fusione in Brasile tra Gvt e Vivo.
 Una delle strade possibili potrebbe essere il passaggio dell'intero pacchetto Metroweb nel Fondo Strategico
 per poi trattare l'eventuale passaggio a Telecom. Tra i nodi da sciogliere c'è la partecipazione di Swisscom (e
 dunque Fastweb) al piano di sotto, Metroweb Milano. Fastweb ha comunque dei contratti a lunghissima
 scadenza in Metroweb e, sembra, anche favorevoli alla società svizzera. Dunque, da questo punto di vista
 non ci dovrebbero essere problemi. Certo, non può non colpire che sempre in questi giorni sia riemerso tra i
 rumor che scaldano la Borsa la possibile vendita di Fastweb a Vodafone, dossier ormai sotto la cenere da
 anni ma, comunque, mai negato (il punto è solo la valorizzazione ma se Telecom si prendesse Metroweb il
 valore difensivo di Fastweb per Vodafone sarebbe sicuramente più alto. D'altra parte i contanti non mancano
 al gruppo inglese che ha i famosi 3,7 miliardi del piano «molla»). Resta da capire se per Telecom ci sia un
 altro tipo di molla: quello dello sblocca Italia. All'articolo 6 si legge che per accedere ai benefici da 7 miliardi
 da investire in reti ultraveloci che ci aiutino a colmare il gap con l'Agenda europea 2020 non si possono
 utilizzare investimenti «previsti in piani industriali o finanziari o in altri idonei atti approvati entro il 31 luglio
 2014». Il passaggio in Metroweb potrebbe forse aprire uno spiraglio.
  msideri@corriere.it
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
  La ragnatela Metroweb METROWEB ITALIA Fondi Italiani per Metroweb le Infrastrutture Milano Fondo
 Strategico Italiano Metroweb Genova Swisscom (Fastweb) 10,6% 1,7% 53,8% 46,2% 85% 87,7% Metroweb
 Management d'Arco

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014                                                                        19
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 La Lente
 La crisi del lavoro e i 14,7 miliardi di sussidi a carico dei contribuenti
 Enrico Marro

 Nel 2013 gli ammortizzatori sociali sono costati ai contribuenti ben 14,7 miliardi di euro. Su una spesa totale
 di 23,8 miliardi per cassa integrazione, mobilità, disoccupazione e Aspi, di cui 13,8 per sussidi e 10 miliardi
 per contributi figurativi, solo 9,1 miliardi sono stati finanziati con i contributi pagati da imprese e lavoratori. Il
 resto, appunto, è stato coperto dalle tasse. I numeri del rapporto Uil sugli ammortizzatori curato dal
 dipartimento diretto da Guglielmo Loy dimostrano quanto sia costata alle casse pubbliche la crisi: quasi un
 punto di Pil all'anno. In particolare, la spesa per la cassa in deroga e la mobilità in deroga (a favore delle
 piccole imprese e dei settori non coperti da cassa e mobilità ordinarie), che ammonta a circa 2 miliardi, è
 finanziata interamente dalla fiscalità generale. Le piccole imprese, infatti, non versano nulla per gli
 ammortizzatori in deroga. Passando invece ai sussidi per i quali è prevista la contribuzione e facendo la
 differenza tra versamenti e spesa, solo la cassa ordinaria presenta un saldo positivo di 777 milioni. Tutte le
 altre voci sono in rosso: 8,9 miliardi l'Aspi e la disoccupazione; 2,3 miliardi la mobilità; 2,2 la cassa
 straordinaria. I lavoratori che nel 2013 hanno beneficiato di sussidi sono stati 4,5 milioni, in pratica un
 dipendente privato su tre. In media hanno ricevuto nell'anno 5.191 euro. Prima della crisi, nel 2008, per gli
 ammortizzatori la spesa era stata di 10 miliardi.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014                                                                       20
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 Sussurri & Grida
 I dubbi delle banche sul passaggio di Giochi Preziosi a Lee
 smarteconomy.corriere.it

 (d.pol. ) Le banche frenano la Ocean Global di Michael Lee, ossia l'imprenditore di Shenzen che si è
 candidato a fare la staffetta al fondo Clessidra nel capitale di Giochi Preziosi. Uno stop al negoziato, in
 dirittura d'arrivo, è stato invece imposto dal pool di creditori che include anche Bnp Paribas, Barclays, Credit
 Agricole, Intesa Sanpaolo, Natixis e Unicredit, le banche che hanno finanziato il proprietario Enrico Preziosi ,
 oggi esposte con il gruppo attorno a 350 milioni. Le condizioni, la governance e le garanzie chieste da Lee,
 storico partner commerciale di Preziosi, non sarebbero state soddisfacenti. Malgrado l'impegno a rimanere
 nella compagine dichiarato dal fondo Idea capital promosso dal gruppo De Agostini e socio al 5%, nonché di
 Intesa Sanpaolo, l'azionista finanziario di maggior peso con il 14,2%. L'operazione serviva a favorire il
 disimpegno di Lauro 22, il veicolo partecipato da Clessidra con il 57,6%, Hvb (24,2%) e al 18,2% il fondo
 Hamilton Lane. E che avrebbe ceduto a Ocean Global il 38% di Giochi Preziosi. Lee l'avrebbe rilevata per
 circa 50 milioni, con l'impegno di ricapitalizzare l'azienda. Riuscirà a convincere le banche a riaprire il
 negoziato?
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  De Brabant e il dilemma su Borsa e Alkemy
 ( m. sid. ) Continua la riorganizzazione delle società in casa De Brabant. Dopo la cessione estiva a Ernst&
 Young di Between - nota per l'organizzazione dell'appuntamento autunnale di Capri a cui nessuno del mondo
 delle telecomunicazioni mancherebbe mai - e la fusione di Jakala con Seri ora sembra che i progetti di
 François ( foto )e del figlio Matteo De Brabant si concentrino sulla meno nota Alkemy Spa, una società di
 ecommerce che però non disdegna il buon vecchio metodo della vendita per corrispondenza. Alkemy è
 controllata al 40,6% proprio da Jakala mentre un altro 6,53% è di Between Group. Il momento in Borsa è
 delicato per l'ecommerce: Jack Ma con la sua Alibaba ha segnato un nuovo record storico nelle Ipo, ma si
 trova ad anni luce di distanza. Banzai sembra sempre intenzionata a quotarsi, anche se Rocket Internet, la
 fabbrica dei «cloni» dei geniali fratelli tedeschi Samwer, ha da pochi giorni fatto registrare la seconda
 peggiore partenza in Borsa negli ultimi 5 anni. Dunque, il dilemma dei De Brabant è poco shakespeariano e
 molto pragmatico: quotarsi o non quotarsi?
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  Lisa Su prima donna alla guida dei chip di Amd
 ( c.d.c. ) Una donna a capo di una delle più grosse multinazionali di semiconduttori. Lisa Su, 44 anni, un
 passato di studi in ingegneria al Mit, il Massachusetts Institute of Technology, è diventata il nuovo
 amministratore delegato di Amd, l'Advanced Micro Devices, multinazionale fornitrice di chip per le consolle
 dei videogiochi Sony. Una sorpresa per i mercati (che ha reagito buttando giù il titolo Amd fino al 7%) e a
 quanto pare per lo stesso Rory Read che da appena tre anni ricopriva il ruolo di presidente e Ceo. Lisa è nota
 per la sua attitudine a bruciare le tappe: nel 2002 ad appena 32 anni, finì sulla rivista del Mit perchè in cinque
 anni di lavoro in Ibm, era già diventata un «executive». È arrivata in Amd nel 2012.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 10/10/2014                                                                   21
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 RISCHIO RECESSIONE
 Se Berlino ritrova l'Europa per interesse
 Adriana Cerretelli

 A dispetto delle sue conclamate virtù economiche la congiuntura negativa, a quanto pare, comincia ad
 accanirsi con puntiglio anche contro la Germania, non solo contro i suoi partner renitenti a rigore e riforme. E
 così, molto più dei tanti vertici europei per rilanciare (a parole) crescita e lavoro, molto più delle ricorrenti
 quanto finora fallimentari pressioni italo-francesi, forse alla fine saranno le crude ragioni dell'economia
 tedesca che rischia la recessione tecnica a costringere Angela Merkel al dietrofront, a farle fare crescita in
 Europa: non per l'Europa, s'intende, ma per il suo Paese.
  Prima ordini e produzione industriale in agosto ai minimi da 5 anni. Ieri anche l'export è finito sulla stessa
 china. Dopo l'Fmi, sempre ieri, anche i principali istituti tedeschi hanno drasticamente tagliato le attese di
 crescita: dall'1,9 all'1,3% quest'anno, dal 2 all'1,2% il prossimo. Sono cifre che devono aver scosso anche il
 cancelliere se poco dopo, invece di martellare come di solito sulla priorità del suo governo di raggiungere la
 parità di bilancio nel 2015, ha annunciato l'intenzione di «fare più investimenti, tagliare la burocrazia, puntare
 ai settori del futuro come digitale e energia».
  Da tempo gli economisti tedeschi più attenti suonano l'allarme sulla spompata locomotiva europea, complice
 anche la politica del surplace del troppo cauto cancelliere: senza un nuovo round di riforme, senza massicci
 investimenti nelle reti e nell'innovazione, rischia di finire su un binario morto.
  Negli anni 90 gli investimenti in Germania erano pari al 23% del Pil. Oggi sono scesi al 17 contro il 20% della
 media Ocse. In soldoni ogni anno ne mancherebbero all'appello per 80 miliardi: la distanza tra forte
 competitività globale e crescita robusta e la pallida realtà attuale.
  Se è vero che, di questo passo, nel 2030 il 90% della crescita nel mondo avverrà fuori dall'Europa, quegli
 investimenti come le riforme strutturali rappresentano anche la differenza tra continuare ad esistere e pesare
 sulla scena e nei consessi globali o dissolversi a poco a poco nell'inconsistenza. Il problema è tedesco ed
 europeo.
  Con un distinguo: la Germania da tempo cavalca la mondializzazione dell'economia, tanto che la quota del
 suo export europeo oggi è scesa al 60% del totale. Per questo il suo recupero di competitività è persino
 ancora più urgente che per i suoi partner meno "aperti". Ma per questo Berlino non può ancora permettersi di
 sognare il superamento, indenne, della sua dimensione europea, pur con tutti i problemi che oggi comporta.
 Per questo oggi esiste ancora una finestra temporale per tentare la riconciliazione europea e il ripristino della
 perduta fiducia reciproca. Per riuscirci tutti devono fare la loro parte: la Germania riforme e investimenti,
 Francia e Italia rigore ragionevole e riforme strutturali presto e bene. Illudersi che, se i tedeschi oggi piangono
 un po', domani gli europei rideranno finalmente felici di crescita e lavoro ritrovati, sarebbe un clamoroso
 errore.
  Oggi l'Europa e l'Eurozona marciano con la solidarietà al minimo. Qualsiasi Governo si muove sotto la spinta
 esclusiva dell'interesse nazionale o di quello europeo ma solo quando coincide con il primo. L'Europa si
 riduce a esserne la confusa sommatoria: per questo ha perso peso all'esterno e coesione all'interno, oltre che
 visione condivisa
  del futuro.
  Se questa è l'istantanea del presente sperare, come François Hollande e Matteo Renzi l'altro ieri al vertice di
 Milano sul lavoro, che la Merkel potesse accettare, istituzionalizzandolo e prolungandolo al 2020, di portare
 da 6 a 20 miliardi il Fondo Garanzia per i giovani, era illusorio. Come si è dimostrato. Accontentarsi della
 possibile semplificazione delle modalità di prefinanziamento era riduttivo ma inevitabile.
  Sperare che da qui si salti allo scorporo dal calcolo dei deficit delle quote di cofinanziamento nazionale dei
 fondi strutturali Ue sarebbe bello ma azzardato. Quando il bilancio europeo (140 miliardi all'anno) accusa un
 buco cumulato di 81 miliardi di spese non coperte anche se effettuate per attuare le politiche comuni decise

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 dagli Stati membri, è realistico scommettere su una contabilità europea più comprensiva?
  A sentire la congiuntura che tira e il verbo che la Merkel non cessa di predicare, «tutti devono rispettare i
 patti, che pure hanno elementi di flessibilità», sembra legittimo prevedere due cose: prima o poi la Germania
 userà i suoi surplus per investire massicciamente nella propria crescita e competitività. Tanto più i partner ne
 beneficeranno quanto più avranno fatto i compiti a casa: riforme e conti in ordine. Se così
  sarà, l'Europa potrà mettersi la crisi alle spalle. Ma sarà così?
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 L'ANALISI
 Una dote ridotta
 Marco Rogari

 Rispetto al target di 16 miliardi di tagli indicato nel Def di aprile, sarà una "spending" in formato ridotto quella
 che troverà posto nella legge di stabilità. A confermarlo è l'obiettivo minimo di 3 miliardi, come effetto
 sull'indebitamento netto Pa, che si sono dati i ministeri con le loro proposte di riduzione della spesa.
  A sostenere il peso maggiore dei tagli sembrano destinati
  ad essere, ancora una volta, le Regioni e gli enti locali. Dopo aver deciso di azionare la leva del deficit per
 11,5 miliardi, rimanendo comunque sotto il tetto del 3%, il Governo per completare la prossima legge di
 stabilità da 23-24 miliardi dalla fisionomia "espansiva" conta di recuperare almeno 10 miliardi dalla spending.
 E quasi la metà dei questa dote, ovvero 4-4,5 miliardi, dovrà essere garantita dai Governatori e dai sindaci.
 Questi ultimi avranno comunque in cambio un allentamento del Patto di stabilità interno per un miliardo. Il
 risultato dei ministeri, anche se dovesse essere superiore all'obiettivo minimo di 3 miliardi, appare quindi al di
 sotto delle aspettative, anche alla luce del pressing del premier per rendere operativa sulla maggior parte
 delle voci di spesa la regola del taglio secco del 3%. Regola che comunque in molti casi è stata recepita,
 come al ministero dell'Economia dove proprio con questo strumento sono fine nel mirino Agenzia fiscali e
 Guardia di finanza. La mappa, ancora non definitiva, confezionata sulla base delle ipotesi di intervento mese
 a punto dai singoli dicasteri, e sulla quale sono chiamati a operare le scelte finali il premier Matteo Renzi e il
 ministro Pier Carlo Padoan, mette comunque in evidenza un atteggiamento non passivo come in passato
 rispetto alla necessità di scovare sprechi e spesa inefficiente. Non a caso le proposte di intervento arrivate a
 palazzo Chigi produrrebbe un effetto superiore ai 6 miliardi sul saldo netto da finanziare. Anche se con
 contributi diversi: molto più alto e con scelte non sempre semplici da parte di ministeri come il Lavoro e
 l'Istruzione che hanno elaborato un pacchetto di tagli non del tutto soft, e a volte non proprio mirati, come
 dimostra l'ipotesi di intervento sugli sgravi contributivi per la contrattazione di secondo livello; ridotto al
 minimo e con proposte di intervento non proprio numerose da parte dei ministeri della Salute e delle
 Infrastrutture.
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 ARTICOLO 18 E PD
 La lezione di Clinton
 Sergio Fabbrini

 La battaglia per il superamento dell'articolo 18 ha forti analogie con una storia avvenuta negli Usa nella prima
 metà degli anni Novanta. Il partito democratico, che aveva guidato quel Paese dagli anni Trenta e in
 particolare dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, era entrato in una crisi profonda nel corso degli anni
 Ottanta. Sergio Fabbrini
   Pur mantenendo il controllo del Congresso, il partito di Kennedy e di Johnson era divenuto sempre meno
 competitivo sul piano delle elezioni presidenziali. Nonostante il controllo di alcune roccaforti elettorali negli
 Stati e nelle municipalità, il partito democratico aveva perso il suo carattere di partito nazionale. Il trionfo del
 repubblicano Ronald Reagan nelle elezioni presidenziali del 1980 e la sua conferma in quelle del 1984
 rappresentarono la dimostrazione inequivocabile della fine dell'era democratica.
  Un'era finita per una ragione precisa: il partito democratico era diventato il portavoce di una serie di gruppi di
 interesse particolari, ognuno preoccupato di difendere le posizioni acquisite nella fase precedente di sviluppo
 economico e politico del Paese. I leader democratici che si susseguirono negli anni Ottanta erano infatti
 l'espressione dei gruppi di interesse più forti del partito (come il sindacato dei dipendenti pubblici o delle
 imprese pesanti). Quei gruppi controllavano mezzi finanziari e organizzativi con cui sostenere le campagne
 elettorali dei membri del Congresso a loro vicini. Tuttavia, se ciò era sufficiente per essere eletti in un distretto
 elettorale, non bastava certamente per vincere le elezioni presidenziali. Tant'è che i vari candidati
 presidenziali emersi in quel contesto (si pensi a Walter Mondale e a Michael Dukakis) furono
 clamorosamente sconfitti in elezioni nazionali.
   Prendendo atto delle batoste ricevute nel corso degli anni Ottanta, si affermò all'interno del partito
 democratico una nuova leadership politica, formatasi nel governatorato degli Stati, di cui Bill Clinton ne fu
 l'espressione più compiuta. Divenuto fortunosamente presidente nelle elezioni del novembre 1992, Clinton si
 trovò subito ad affrontare l'opposizione dei gruppi di interesse del suo partito che avevano mantenuto il
 controllo del Congresso. Lo scontro tra le due concezioni del partito democratico (quello di portavoce dei
 gruppi di interesse sostenuto dai leader congressuali e quello di partito nazionale sostenuto dal presidente)
 esplose il 17 novembre del 1993, pochi mesi dopo l'entrata di Clinton alla Casa Bianca. La causa dello
 scontro riguardò l'approvazione legislativa dell'accordo siglato l'anno precedente, tra Stati Uniti, Canada e
 Messico, per l'istituzione del North American Free Trade Agreement (Nafta). L'opposizione dei leader
 democratici del Congresso all'accordo fu furiosa. Sostenuti dalle varie organizzazioni di interesse, quei leader
 sostennero che l'accordo avrebbe messo in discussione i posti di lavoro degli operai americani, indebolito il
 potere dei sindacati, delocalizzato le attività industriali. Al contrario, Clinton sostenne l'accordo in quanto
 forniva vantaggi sistemici al Paese, creando un'area economica integrata che avrebbe reso più competitivo il
 mercato del lavoro, oltre a stabilizzare i rapporti tra gli Stati Uniti e il Messico in particolare. Non diversamente
 dalla battaglia parlamentare sul nostro articolo 18, lo scontro alla Camera dei rappresentanti (controllata dai
 democratici) tra il presidente e una parte del suo partito fu durissimo. Alla fine l'accordo fu approvato di stretta
 misura (234 contro 200) attraverso un'alleanza trasversale tra settori del partito democratico e settori del
 partito repubblicano.
  Quella vicenda fu cruciale sia per gli Stati Uniti che per Clinton. Il Nafta si è rivelato un successo economico
 e politico, consentendo agli Stati Uniti di beneficiare di un mercato più ampio, proprio mentre l'Europa si stava
 avviando verso un'integrazione più stretta con il Trattato di Maastricht del 1992. Allo stesso tempo, il Nafta ha
 aiutato il Messico a svilupparsi economicamente, riducendo quindi le pressioni dell'emigrazione clandestina e
 consolidando la sua fragile democrazia. Il Nafta, poi, consentì a Clinton di ridimensionare il peso dei gruppi di
 interesse particolaristici del suo partito, creando le condizioni per ricostruirlo come partito nazionale. Tant'è
 che Clinton riuscì a vincere le elezioni presidenziali successive, nonostante fosse sottoposto ad un attacco

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 senza precedenti da parte dei repubblicani, che portò al suo mancato impeachment nel 1999. Clinton capì
 che i tradizionali schieramenti non funzionavano più e che il partito democratico doveva liberarsi dai vincoli
 dei suoi particolarismi per ritornare ad essere un partito elettoralmente vincente.
  La battaglia sul superamento dell'articolo 18 ricorda molto quella sull'approvazione del Nafta. Come nel
 Congresso, anche nel nostro Parlamento i rappresentanti dei gruppi di interesse particolari oppongono una
 resistenza all'apertura del mercato del lavoro. Come negli Stati Uniti, i loro rappresentanti hanno l'idea di un
 partito democratico inteso come coalizione di gruppi particolaristici e non già come un partito nazionale.
 L'esito della battaglia sull'articolo 18 è destinato a stabilire la natura aperta o chiusa del nostro sistema
 economico, ma anche la natura particolaristica o nazionale del partito democratico. Ci sono sfide che i leader,
 per essere riconosciuti come tali, debbono affrontare e vincere. Clinton le affrontò e ancora oggi è un
 riferimento indispensabile per il suo partito e per il suo Paese. Una simile sfida attende il premier Renzi.
 sfabbrini@luiss.it
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 L'ANALISI
 Due temporali a Francoforte
 Donato Masciandaro

 Mario Draghi sta aprendo sempre di più l'ombrello della liquidità ed è determinato a continuare. Ma ci sono
 almeno due temporali, che possono rendere vano lo sforzo che la Bce sta attuando: il temporale franco-
 tedesco e quello americano. Donato Masciandaro
  Ieri il presidente della Bce ha ribadito la volontà di riportare sul sentiero di equilibrio una inflazione troppo
 bassa, accentuando la manovra di espansione della liquidità, attraverso operazioni che in parte dipendono
 dalla volontà delle banche di attivarle - i rifinanziamenti vincolati - in parte da un mercato di titoli privati,
 ancora relativamente acerbo rispetto alle necessità di aumento della moneta, ma in cui il grado di autonomia
 della manovra della Bce può aumentare. Inoltre è stato riaffermato l'intento di non lasciare alcuno strumento
 inutilizzato, se il rischio disinflazionistico non verrà domato.
   Serve a qualcosa un'ulteriore espansione monetaria? Dal punto di vista della ripresa economica, se
 pensiamo che l'Unione Europea sia bloccata da una trappola della liquidità, l'unica speranza è che vi sia un
 effetto attraverso il meccanismo delle aspettative. In una trappola della liquidità la politica monetaria
 convenzionale non ha effetti diretti sulla domanda aggregata; può avere effetti indiretti sia sulla domanda che
 sulla offerta se e solo se muove le aspettative di una crescita degli aggregati nominali. Si può provare a
 governare le aspettative con manovre non convenzionali, che allo stesso tempo aiutino a "riparare" il
 meccanismo monetario, uscendo dalla trappola. Ma le aspettative si muovono nella giusta direzione solo se i
 segnali della politica economica sono univoci. Purtroppo mentre l'ombrello della Bce si apre sempre di più,
 almeno due temporali continuano a impensierire: il temporale franco-tedesco ed il temporale americano.
  Il temporale franco-tedesco è ripreso con forza in questi giorni: a Parigi e a Berlino si continuano a sostenere
 approcci opposti alla gestione della politica fiscale. Ma l'Unione ha invece bisogno di un approccio comune.
 Innanzitutto perché in una trappola della liquidità la politica fiscale è l'arma più efficace per stimolare
 direttamente e indirettamente la domanda aggregata. Ma la politica fiscale è efficace solo se chi la attua è
 credibile.
  Quindi le sortite francesi, che di fatto minano la necessità di avere conti tendenzialmente in ordine, sono
 dannose. Inoltre, per avere conti in ordine bisogna far crescere tutte quelle economie che sono in deficit di
 produttività, come l'Italia. Per recuperare il deficit di produttività la condizione necessaria sono le riforme
 strutturali. Da questo punto di vista, è giusta la direzione intrapresa dal governo Renzi.
  Ma allo stesso tempo sono dannose quelle uscite tedesche - Bundesbank in testa - che continuano a negare
 la necessità di assumersi il ragionevole rischio di trovare strade che coniughino la disciplina fiscale di medio
 periodo con una azione congiunturale attiva. Il connubio tra disciplina ed attivismo è l'unico che potrebbe
 consentire alla Bce di attuare in modo credibile un'ulteriore espansione monetaria che utilizzasse anche
 l'acquisto di titoli pubblici.
  Come è tradizione, Draghi non ha speso parole sull'azione delle altre banche centrali, Fed in testa. Ma il
 temporale americano può nascondere più di una insidia. Gli osservatori più ottimisti guardano a quello che
 sta accadendo negli Stati Uniti con ottimismo per l'Europa. Il ragionamento è semplice: la Fed ha iniziato una
 politica restrittiva, quindi l'euro si sta svalutando, perciò ci sarà un impulso alla crescita. Peccato che sia un
 ragionare superficiale.
  In primo luogo, non è vero che la Fed abbia iniziato una politica monetaria restrittiva. Quello che accadrà a
 ottobre sarà - se viene confermato - che l'espansione sistematica, mensile e automatica della quantità di
 dollari a disposizione dei mercati si fermerà. Ma questo non significa che le banche non potranno continuare
 ad alimentare i propri bilanci prendendo a prestito dollari, visto che i tassi saranno a zero per un periodo di
 tempo indefinito. Il tema della "normalizzazione" del bilancio della Fed, che implicherebbe la definizione di un
 percorso di ridimensionamento del suo bilancio e di riqualificazione della sua rischiosità, non viene neanche

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