CONFIMI Rassegna Stampa del 04/10/2017
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CONFIMI Rassegna Stampa del 04/10/2017 La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio.
INDICE CONFIMI 04/10/2017 Il Quotidiano del Sud - Basilicata 5 I motivi del no alla tassa di soggiorno CONFIMI WEB 03/10/2017 sassilive.it 15:49 7 Aumento tassa di soggiorno a Matera, conferenza stampa di Consorzio Albergatori e associazione B&B SCENARIO ECONOMIA 04/10/2017 Corriere della Sera - Nazionale 9 La nuova stretta di Nouy (Bce) sulle garanzie delle banche 04/10/2017 Il Sole 24 Ore 11 Una difesa più «mirata» 04/10/2017 Il Sole 24 Ore 12 Il bonus mobili ha mosso acquisti per 4,5 miliardi in tre anni e mezzo 04/10/2017 Il Sole 24 Ore 14 Spesometro sotto processo Sistema ancora in tilt 04/10/2017 La Repubblica - Nazionale 15 Evasione, i record dell'Italia in fuga dal Fisco 111 miliardi 04/10/2017 La Repubblica - Nazionale 18 Web tax, il Tesoro apre "Uno strumento utile" Ma resta il nodo sanità 04/10/2017 La Repubblica - Nazionale 20 Energia, la denuncia dell'Autorità troppe tasse occulte in bolletta 04/10/2017 La Repubblica - Nazionale 22 Dazi antidumping per fermare la Cina l'Italia riesce a evitare l'affondo tedesco 04/10/2017 La Stampa - Nazionale 23 Amazon, Bruxelles presenta il conto delle tasse evase 04/10/2017 La Stampa - Nazionale 24 Manovra da 19,6 miliardi di euro "Priorità a giovani e povertà"
04/10/2017 Il Messaggero - Nazionale 25 Nuove tensioni Bankitalia-Vigilanza Bce SCENARIO PMI 04/10/2017 Il Sole 24 Ore 28 Pd e Ap: indispensabile completare le riforme per il lavoro e la crescita 04/10/2017 Il Sole 24 Ore 30 Le imprese: adesso vigileremo per fare rispettare gli impegni 04/10/2017 Il Sole 24 Ore 31 I macchinari per vetro ritrovano la domanda interna 04/10/2017 Il Sole 24 Ore 33 Illumia rileva da Bkw il controllo di Elettra Italia 04/10/2017 Il Sole 24 Ore 34 I Pir hanno già portato un miliardo di investimenti
CONFIMI 1 articolo
04/10/2017 diffusione:5970 Pag. 15 tiratura:14720 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato A L B E R G AT O R I I motivi del no alla tassa di soggiorno Oggi alle ore 10.30, nella sala Bagnale della Camera di Commercio di Matera, è in programma una conferenza stampa indetta dal Consorzio Albergatori e dall'associazione B&B per illustrare le ragioni della contrarietà al raddoppio della tassa di soggiorno.All'incontro parteciperanno anche i rappresentanti locali di Federalberghi e delle sezioni Turismo di Confindustria, Confapi, Cna, Confcommercio, Confesercenti Legacoop e Confimi. CONFIMI - Rassegna Stampa 04/10/2017 5
CONFIMI WEB 1 articolo
03/10/2017 15:49 Sito Web sassilive.it La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Aumento tassa di soggiorno a Matera, conferenza stampa di Consorzio Albergatori e associazione B&B Aumento tassa di soggiorno a Matera, conferenza stampa di Consorzio Albergatori e associazione B&B 3 ottobre, 2017 13:49 | Dal mondo del lavoro Evidenza 0 Mercoledì 4 ottobre 2017 alle ore 10.30, nella sala Bagnale della Camera di Commercio di Matera, è in programma una conferenza stampa indetta dal Consorzio Albergatori e dall'associazione B&B per illustrare in modo dettagliato le ragioni della contrarietà al raddoppio della tassa di soggiorno decisa nei giorni scorsi dal Consiglio comunale di Matera, su impulso della Giunta, e le iniziative che si intende intraprendere. All'incontro parteciperanno anche i rappresentanti locali di Federalberghi e delle sezioni Turismo di Confindustria, Confapi, Cna, Confcommercio, Confesercenti Legacoop e Confimi. CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 04/10/2017 7
SCENARIO ECONOMIA 11 articoli
04/10/2017 diffusione:231083 Pag. 34 tiratura:321166 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La nuova stretta di Nouy (Bce) sulle garanzie delle banche Francoforte vuole innalzare fino al 100% la copertura sui crediti a rischio Addendum Oggi l'aggiunta dell'Eurotower alle linee guida sui crediti deteriorati Federico Fubini La presentazione è attesa per stamattina dall'Eurotower della Kaiserstrasse di Francoforte, sede della vigilanza bancaria della Banca centrale europea. Eppure le anticipazioni filtrate ieri sulle «Aggiunte» della Bce alle proprie stesse istruzioni su come gestire i crediti bancari in default hanno già spiazzato i mercati, non solo in Italia. Sull'indice di Milano Unicredit ha perso l'1%, Intesa Sanpaolo lo 0,35% e tutte le altre banche hanno chiuso deboli. A Parigi Société Générale è arretrata dello 0,56% e anche Deutsche Bank a Francoforte ha ceduto terreno. Probabilmente ha pesato un'indiscrezione di Reuters sulle intenzioni della Bce, che sembra correggere molte delle scelte più recenti degli stessi regolatori e dei governi europei sul trattamento dei crediti bancari in difficoltà. Oggi l'Eurotower pubblicherà infatti il suo «Addendum» alle linee-guida del marzo scorso sulla gestione dei prestiti di cattiva qualità. Quel documento fa seguito anche a un secondo rapporto sul tema, che gli sherpa finanziari dei governi europei avevano concordato appena tre mesi fa. Secondo quando emerge dalle indiscrezioni di Reuters , l'aggiunta di oggi fornisce indicazioni diverse da entrambi quei testi che l'avevano preceduta. L'intenzione generale è imprimere un'ulteriore stretta al bilancio delle banche che hanno prestiti in default o di difficile recupero. Gli aspetti controversi rischiano però di annidarsi nei dettagli. A luglio i governi europei avevano suggerito infatti che le banche accantonassero nuove riserve di capitale per coprire al 100% l'esposizione verso debitori in difficoltà del futuro. Secondo l'accordo degli sherpa, questa misura doveva riguardare solo i default sui prestiti che sarebbero stati concessi dal 2018 in poi. Oggi la Bce muove un passo un po' più in là: chiede alle banche di costruire riserve di capitale al 100% anche sui crediti pre- esistenti che entrano in default nel 2018. L'aspetto più controverso però è altrove, perché la stretta sul capitale non si limiterebbe unicamente ai crediti in difficoltà del futuro. Nella sostanza, il nuovo requisito di un accantonamento di patrimonio al 100% rischia di riguardare anche i prestiti di cattiva qualità che si trovano già oggi nei bilanci delle banche. Reuters spiega infatti quale sia un'opzione allo studio nella Bce nell'idea di far costruire riserve di capitale per l'intero ammontare di ogni esposizione cattiva: considerare i prestiti in difficoltà da tempo quali posizioni in default all'anno zero, tali cioè che entrano in insolvenza il primo gennaio 2018. Se così fosse, in base alle raccomandazioni espresse nell'«Addendum» in pubblicazione, le conseguenze legate allo stock di sofferenze e incagli delle banche sarebbero evidenti. Per i prestiti non garantiti in difficoltà (per esempio, il credito al consumo quando una famiglia è in ritardo sui rimborsi della rata per il frigorifero) entro due anni la banca dovrebbe mettere da parte riserve pari al totale di quell'esposizione. Invece per i crediti garantiti (una famiglia in ritardo sulla rata del mutuo casa, un'azienda in ritardo nel ritmo di rientro sul fido), la riserva del 100% di capitale andrebbe costituita entro sette anni. Come se le case o i macchinari o gli impianti produttivi presentati in garanzia dal debitore non valessero niente. I tempi di sette anni sembrano lunghi ma, se questa linea inedita e senza paragoni al mondo verrà confermata, l'impatto può essere immediato. Con la conseguenza di una nuova stretta al credito e di una nuova caduta dei titoli bancari in Borsa nel timore di nuovi aumenti di capitale. È infatti molto grande l'ammontare di patrimonio delle banche che misure del genere possono assorbire. Gli istituti della Ue hanno infatti 1062 miliardi di euro di crediti deteriorati, quelli dell'area euro 990 miliardi, quelli italiani 240 miliardi. Gli accantonamenti a fronte di queste esposizioni sono al 52% in Italia e poco sotto al 50% nell'area euro. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 9
04/10/2017 diffusione:231083 Pag. 34 tiratura:321166 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Una svolta del genere della Bce riaprirebbe dunque la questione bancaria, non solo in Italia, proprio mentre stava finendo il credit crunch. È dunque possibile che per smorzare le polemiche oggi la Bce si pronunci solo sui prestiti futuri, prendendo tempo quanto alle scelte sulla montagna di quelli esistenti. Ma anche così tornerebbe il grande nemico della ripresa: l'incertezza. © RIPRODUZIONE RISERVATA Rapporto prezzo/ patrimonio Rendimento 2017 (RoTEstima) Rendimento 2018 (RoTEstima) Crediti deteriorati lordi(npl) Tasso dicopertura deglinpl Totalecrediti deteriorati lordi (inmiliardi dieuro) Bancheitaliane Bancheeuropee 0,77x 6% 8,5% 6,4%9,3% 17% 5% 52% 44%1, 08x 240, Vigilante Danièle Nouy, 67 anni, francese, presidente del consiglio di sorveglianza unico della Bce (SSM) Proposta Bce propone che le banche rafforzino i criteri sui nuovi crediti deteriorati alzando fino al 100% le coperture dopo 2 anni di ina-dempimento se i crediti sono non garantiti e dopo 7 anni se sono garantiti SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 10
04/10/2017 diffusione:97980 Pag. 1 tiratura:140038 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IMPRESE EUROPEE Una difesa più «mirata» Giorgio Barba Navaretti L'impossibilità di stabilire cosa sia davvero un'economia di mercato ha indotto l'Unione Europeaa varare una nuova normativa per il calcolo di dazi antidumping fondata su un'identificazione accurata, caso per caso, delle distorsioni che possono dare origine alla concorrenza sleale degli esportatori. La necessità di varare una nuova normativa nasce dalla Cina. Con il suo ingresso nella Wto nel 2001,e la conseguente apertura degli scambi, alle economie avanzate venne concessa un'arma per difendersi da un'eventuale concorrenza sleale: l'attribuzione all'impero di mezzo dello status di economia non di mercato. Distinzione non solo formale. Nel caso di economie di mercato, la verifica dell'esistenza del dumping (esportazione a prezzi sotto-costo) viene effettuata sulla base dei costi effettivi del produttore. Se un'economia è non di mercato, invece, dato che i prezzi domestici sono distorti, si deve ricorrere ad altri parametri, come i costi di produzione in altri Paesi analoghi. Ad esempio, confrontando la Cina ai costi di produzione del Brasile. Grazie a questa procedura l'Unione Europea ha in attivo dazi antidumping per una cinquantina di prodotti cinesi. Il sub-paragrafo 15(a)(ii) del protocollo di accessione alla Wto della Cina, che le attribuisce appunto lo status di economia non di mercato, è però scaduto nel dicembre 2016. Di conseguenza, l'Ue non può mantenere la procedura basata sui prezzi del Paese analogo. Insomma non c'è più spazio istituzionale per considerare la Cina un'economia non di mercato. E dunque l'applicazione delle misure antidumping diventa molto più complessa. Continua pagina 5 Continua da pagina 1 Il problema è che non è chiaro cosa sia oggi l'impero di mezzo. L'intreccio tra comando e mercato rimane fortissimo. La crescita delle imprese cinesi dipende anche da condizioni di contesto garantite da una classe politica intrusiva che ha ancora moltissime leve per favorire i propri produttori e per concedere vantaggi non compatibili con le regole della libera concorrenza. Trattare la Cina come qualunque altro membro della Wto darebbe alle imprese cinesi un vantaggio non equo. Il quadro è però diverso da quello di quindici anni fa. Il ruolo del mercato è cresciuto moltissimo e i margini competitivi dovuti al basso costo del lavoro e al dumping ambientale si sono erosi nel tempo. Quindi, cercare di convincere gli altri membri della Wto a prorogare lo status di economia non di mercato sarebbe stata una missione impossibile La nuova proposta Ue è un'ingegnosa quadratura del cerchio. Il punto di partenza è neutrale: viene meno la definizione ex ante tra economia di mercato o non di mercato: tutti i paesi sono uguali. E la Cina è come gli altri membri della Wto. Ma viene introdotto un meccanismo puntuale per difendersi dai concorrenti che distorcono i mercati (chiunque, non solo la Cina). Se imprese europee o sindacati o altri stakeholders hanno dei sospetti di possibili distorsioni, possono fare una segnalazione alla Commissione, che avvia un'indagine e redige un rapporto. Se si stabilisce che le distorsioni ci sono davvero, allora il vecchio metodo del paese analogo può essere applicato. E insomma rientrano dalla finestra le stesse regole che valevano per le economie non di mercato. A questo punto compatibili con la Wto. Con due differenze sostanziali, però. La prima, è che sarà possibile essere selettivi, distinguendo anche tra settori e non solo tra paesi. Sarà così possibile trattare esportazioni cinesi non soggette ad eccessive distorsioni come quelle di qualunque economia di mercato. Le seconda, è che è stato allargato considerevolmente il principio di distorsione, includendo anche dumping sociale ed ambientale. Si potrà sostenere che c'è distorsione se i lavoratori non sono trattati secondo i criteri dell'Ilo o se non vengono rispettate le convenzioni sull'ambiente. Queste regole sminano le più inique fonti di concorrenza sleale, ma aprono la porta a maggiore aleatorietà nella identificazione della distorsione. Il meccanismo di difesa dell'industria europea ne esce più mirato e in parte rafforzato. La sua effettiva applicazione non sarà però semplice e richiederà molto equilibrio per evitare che venga usato a fini protezionistici, diventando noi distorti per difenderci dalle distorsioni altrui. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 11
04/10/2017 diffusione:97980 Pag. 1 tiratura:140038 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato AGEVOLAZIONI CONCESSE A 860 MILA PERSONE Il bonus mobili ha mosso acquisti per 4,5 miliardi in tre anni e mezzo Giovanna Mancini Circa 4,5 miliardi di euro di spesa per l'acquisto di arredi in tre anni. Le proiezioni di FederlegnoArredo e Federmobili sull'effetto del bonus mobili nel 2016, elaborate a partire dalle dichiarazioni dei redditi 2017 dei Caf dei sindacati (circa 7 milioni di cartelle), confermano l'efficacia di questo strumento, utilizzato finora da 860mila persone. pagina 15 MILANO Circa 4,5 miliardi di euro di spesa per l'acquisto di arredi in tre anni e mezzo e un "appeal" che non sembra ancora essersi esaurito. Le proiezioni di FederlegnoArredo e Federmobili sull'effetto del bonus mobili nel 2016, elaborate a partire dalle dichiarazioni dei redditi 2017 dei Caf dei sindacati (circa 7 milioni di cartelle), confermano l'efficacia di questo strumento, utilizzato finora da 860mila persone. Le stime («prudenziali») parlano, per il 2016, di quasi 280mila nuovi beneficiari dell'incentivo introdotto nel 2013 e confermato negli anni successivi, che consente di detrarre, in dieci anni, il 50% della spesa per l'acquisto di mobilie grandi elettrodomestici, legato alle ristrutturazioni nella propria abitazione, finoa un massimo di 10mila euro. Un numero elevato e tanto più significativo perché segna un aumento del 45% rispetto alle richieste di sgravio del 2015, per un un totale di 1,4 miliardi euro complessivi destinati all'acquisto di mobili nel 2016, ovvero il 19% in più dell'anno prima, complice anche il contributo del bonus per le giovani coppie (slegato dalle ristrutturazionie con un plafond innalzatoa 16mila euro), introdotto proprio lo scorso anno. Il beneficio non siè limitato alla filiera industriale del legno-arredoo ai cittadini che hanno goduto della detrazione Irpef, ma ha interessato anche lo Stato, visto che tale spesa siè tradotta in un gettito d'Iva aggiuntivo, per il solo 2016, di 252 milioni di euro. Per questo FederlegnoArredo chiede al governo di confermare questo incentivo anche per il 2018, nella legge di Bilancio in corso di definizione,e per gli anni successivi. Si tratta, spiegano dall'associazione delle imprese, di una misura di politica fiscalea sostegno delle famiglie che, in que- sti tre annie mezzo, ha contribuito in modo determinante al superamento della crisi per il comparto: 79mila aziende della filiera del legno-arredo, che con 41 miliardi di fatturato rappresentano il 5% del fatturato manifatturiero legato alle "quattro A" del made in Italy (arredo, alimentare, automotive e arredamento); a cui si aggiungono le 15.500 imprese della distribuzioneei loro 48mila addetti. In tre anni e mezzo si stima che il bonus abbia salvaguardato 10mila posti di lavoro, facendo risparmiare circa 40 milioni di euro sulla cassa integrazione. Inoltre, è merito soprattutto del bonus mobili se- oltre ai mercati esteri, che hanno sostenuto le aziende italiane durante la crisi - nel 2015 anche le vendite in Italia sono ripartite, dopo sette anni di cali ininterrotti. Proprio nel 2016 la ripresa del mercato interno ha registrato un consolidamento importante, con una crescita del 3,1%. E per l'anno in corso le previsioni del Centro studi Fla (basate su un'indagine tra le aziende associate) segnano per l'arredo un indice di crescita sul mercato domestico dell'1,9% in valore. Insomma, la ripresa c'è, ma necessita ancora di un sostegno, è l'appello di FederlegnoArredo al governo: tanto più che, per la stragrande maggioranza delle aziende del comparto (circa l'80%), l'Italia rimanea tutt'oggi il principale mercato. C'è poi la partita decisiva del bonus destinato ai giovani: introdotto nel 2016, questa misura non è stato prorogatoa nel 2017: troppo breve il periodo di applicazione, dicono da Fla, perché questo strumento potesse dimostrare in pieno la propria efficacia. Ma comunque una leva importante per il settore, se si considera che in Italia le coppie under 35 sono circa 2,3 milioni e assorbono il 15% dei consumi privati per l'arredamento. Per questo la federazione ne chiede la reintroduzione nella prossima legge di Bilancio. Secondo le stime sulle dichiarazioni dei redditi infatti, in circa sei mesi di reale applicazione l'incentivo per ha mosso acquisti per 187 milioni di euro, con una spesa media di 7.200 euro da parte di quasi 26mila contribuenti. © RIPRODUZIONE RISERVATAGli effetti dell'incentivo SPESA E BENEFICIARI Secondo le stime elaborate dal Centro studi Fla, dalla sua introduzione nel giugno 2013 fino a tutto il 2016, il bonus mobili ha mosso acquisti per un totale di 4,5 miliardi di euro, interessando circa 860mila SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 12
04/10/2017 diffusione:97980 Pag. 1 tiratura:140038 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato contribuenti. Una cifra che ha consentito di salvaguardare 10mila posti di lavoro e di far tornare a crescere anche l'asfittico mercato interno IL VALORE AGGIUNTO 4,5 Il mercato interno Arredo bagno 398 1.395 miliardi Cucine 34 1.455 Fonte: Rapporto Fla 2016 Camere da letto e bedding 303 1.855 RITORNO PER IL FISCO Un punto su cui insistono le imprese del comparto è che l'applicazione del bonus ha portato benefici anche allo Stato. Il mancato gettito Irpef dovuto all'incentivo fiscale, è stato infatti compensato da un gettito Iva aggiuntivo (pari a 252 milioni di euro solo nel 2016), ma anche dal risparmio sugli ammortizzatori sociali grazie ai posti di lavoro salvati GETTITO IVA 2016 252 2.035 milioni Produzione interna e import di arredamento nel 2016, per settore (in milioni di euro) Import arredo Produzione per mercato interno Arredi commerciali 435 Sedie e living 381 1.092 GIOVANI COPPIE Le imprese chiedono al governo di reintrodurre, nella prossima legge di Bilancio, il bonus alle giovani coppie, cheè stato in vigore troppo poco tempo (solo nel 2016) per esprimere una piena efficacia. Le potenzialità sono dimostrate dalle stime sul 2016: in sei mesi l'incentivo agli under 35 ha generato una spesa di 187 milioni, da parte di quasi 26mila contribuenti Ufficio 105 UNDER 35 187 658 milioni Complementi e vari 986 1.390 Illuminazione 911 541 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 13
04/10/2017 diffusione:97980 Pag. 1.2 tiratura:140038 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Fisco e contribuenti Si torna al punto di partenza Chi si è visto rifiutare i dati negli ultimi giorni dovrà procedere a un nuovo invio Vertice al Mef Ieri ancora un incontro con l'ad di Sogei Si lavora al decreto per il rinvio al 16 ottobre LO SCONTRO SULL'INVIO DELLE FATTURE Spesometro sotto processo Sistema ancora in tilt I commercialisti: clima surreale Cresce l'allarme sulla privacy, il Garante scrive a Gentiloni Federica Micardi Marco Mobili Non c'è pace per lo spesometro. Quando tutto sembrava quasi risolto sui monitor di molti studi professionaliè comparsa la ricevuta che non ti aspettie che in due parole annunciava: «file scartato». Il tutto senza alcuna motivazione. La stessa agenzia delle Entrate ha avvisato la Sogei del nuovo intoppo che, questa volta, ha coinvoltoi cosiddetti "gestionali", ossiai software acquistati dai professionisti per eseguire le comunicazioni Iva. La soluzione al nuovo problema? Dopo l'ennesimo vertice al Mef con l'ad di Sogei nel pomeriggio, siè deciso che tutti coloro che si sono visti scartare gli invii effettuati tra le 17 di lunedì e le 10,30 di ieri senza l'indicazione dell'errore commesso dovranno rinviarei dati. «Siamo molto contrariati dai messaggi comunicati dal call center dell'agenzia delle Entrate - commenta il direttore generale di AssoSoftware Roberto Bellini - perché flussi corretti già inviati non dovrebbero essere rinviati. Questo, se fosse confermato, oltre a creare disagio e problemi agli utenti, porrebbe un ombra sul funzionamento del sistema di interscambio che in questo caso non sarebbe stato in grado di elaborare correttamente i dati ricevuti chiedendo all'utente un nuovo invio». Questi "rifiuti non motivati" si erano già verificati in precedenza, ma in misura contenuta, e l'indicazione che era stata data era di considerare questi invii "validi". Ora l'"errore" ha riguardato moltissimi gestionali, probabilmente troppi per essere "rielaborati". Dal vertice di via Venti Settembre è spuntata anche la bozza del Dpcm che dovrebbe portare al 16 ottobre prossimo la scadenza per l'invio dello spesometro (si veda il Sole 24 Ore di ieri). Il condizionale resta d'obbligoe la firma del decreto da parte del titolare dell'Economiae successivamente di Gentiloni arriveranno solo dopo che il sistema sarà tornato pienamente operativo.E su questo aspetto oggi Sogei dovrà scoprire le carte. La commissione di Vigilanza dell'Anagrafe tributaria ha chiamato in audizione il presidente Biagio Mazzotta e l'ad Andrea Quacivi per chiarire al Parlamento e indirettamente a professionisti e imprese da doveè nato il "baco" dello spesometro, comee seè stato risolto. Inevitabile la protesta del Consiglio nazionale dei commercialisti e dei rappresentanti di categoria che parlano di un «surreale clima di incertezza». A completare il quadro, forse un po' a sorpresa, nella tarda mattina di ieri è giunta anche la lettera del Garante della privacy Antonello Soro che, saltando i soggetti istituzionalmente interessati dall'affaire spesometro ha scritto direttamente al presidente del Consiglio Gentiloni per sottolineare come la trasformazione tecnologica del Paese non possa prescindere dal rispetto e dalla tutela dei dati personali. Il garante della Privacy va oltre lo spesometro e soprattutto ai problemi legati ad una singola banca dati. Il tilt che ha investito il nuovo adempimento fiscaleè per Soro l'occasione per ricordare al governo che la privacy è un «problema paese». «La presa di posizione di Soro - commenta il presidente dei commercialisti Massimo Miani - certifica di fatto la gravità della situazione creatasi in queste settimane sullo spesometro. Un adempimento sulla cui complessità avevamo immediatamente messo in guardia tutti i nostri interlocutori istituzionali». Inutilmente. L'EXIT-STRATEGY Questa storia deve finire Proroghe ripetute e incerte. File inviati, scartati e da rispedire. Dati non in sicurezza, ma raccolti in grande quantità per poi farne un uso limitato. Operatori sotto stress con coordinate che cambiano continuamente. Questo il quadro che fa emergere il caos-spesometro. Resta un'unica considerazione da fare: questa storia deve chiudersi al più presto. Con date certe, canali telematici funzionanti, scelte differenti per il futuro e senza sanzioni per gli invii di questi giorni. (j.m.d.) Foto: ILLUSTRAZIONE DI UMBERTO GRATI SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 14
04/10/2017 diffusione:194011 Pag. 1 tiratura:288313 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato INCHIESTA/ TUTTE LE FALLE, DALL'IVA ALLA RISCOSSIONE Evasione, i record dell'Italia in fuga dal Fisco 111 miliardi SERGIO RIZZO COPRIRE le spese sanitarie della nazione per un anno intero. Oppure mettere in sicurezza tutto il patrimonio edilizio italiano. O ancora, tagliare almeno un quinto delle tasse. Lasciamo alla fantasia ciò che si potrebbe fare con più di cento miliardi. Quei soldi appartengono solo alla sfera dell'immaginario. SEGUE ALLE PAGINE 6 E 7 SECONDO i calcoli della commissione governativa sull'economia sommersa sono i denari che ogni dodici mesi sfuggono al fisco. Sottratti alla collettività da un esercito di evasori: quel che è più grave, senza colpo ferire. Perché qui lottare contro i furbetti è come svuotare il mare con il colabrodo. In Italia si riscuote appena l'1,13 per cento del carico fiscale affidato all'esattore, contro una media Ocse del 17,1 per cento. Anno dopo anno, infatti, il maltolto aumenta: 107,6 miliardi nel 2012, 109,7 nel 2013, 111,7 nel 2014. E sia pure in diminuzione i dati provvisori del 2015, contenuti nella nota di aggiornamento al Def, non fanno presagire un cambio sostanziale di rotta come ha anticipato qualche giorno fa il nostro Roberto Petrini. Il calo risulterebbe infatti di 3,9 miliardi e non c'è ancora una valutazione esatta del mancato introito Irpef dei lavoratori dipendenti irregolari, pari nel 2014 a 5,1 miliardi. Ben che vada, si tornerebbe quindi ai livelli del 2012. Una situazione tale da far dire ieri al presidente dell'Istat Giorgio Alleva che la lotta all'evasione «è strategica». Ovvio. Il problema è come farla. Perché il sostegno al conseguimento del risultato è corale, come fa capire una relazione del sostituto procuratore di Pistoia Fabio Di Vizio, uno dei più esperti magistrati del ramo evasione, riciclaggio & affini. Quelle 50 pagine piene di numeri e tabelle scritte in occasione di un suo intervento alla bolognese InsolvenzFest, organizzata ogni anno dall'Osservatorio sulla crisi d'impresa, tracciano lo scenario di un Paese che in tutte le sue componentei ha coscientemente deciso che la lealtà fiscale non fa parte dei valori della convivenza civile. È bastato mettere in fila circostanze, fatti e dati per nulla riservati, rintracciabili negli atti e nei documenti ufficiali. A patto, naturalmente, di saperli e volerli leggere. Si scoprirebbe, per dirne una, che la propensione a evadere l'Irpef da parte del lavoro autonomo ha raggiunto nel 2014 un impressionante 59,4 per cento. Significa che entrano nelle casse pubbliche solo quattro euro su dieci delle imposte sul reddito dovute da chi esercita un'attività non dipendente. Il 3,5 per cento non viene versato, ma il 55,9 per cento neppure dichiarato. Trenta miliardi e 736 milioni evaporati ogni anno, ma la cosa davvero preoccupante è che in cinque anni l'aumento di questa evasione, dicono i dati della commissione presieduta da Enrico Giovannini, ha superato il 50 per cento. Nel 2010 la calcolatrice si era fermata a 20 miliardi e 149 milioni. Per non parlare dell'Iva. Qualche giorno fa da Bruxelles è arrivata la brutta notizia che l'Italia è il Paese europeo che detiene il record dell'evasione di questa imposta. Ma purtroppo non è una notizia nuova, perché è così da sempre. Il differenziale fra l'Iva dovuta e quella effettivamente pagata sfiora il 30 per cento: 29,7, esattamente. Altri 40,1 miliardi sfumati. Cinque anni prima erano 37,4. È colpa della crisi, deduzione ovvia. Ma fino a un certo punto. Perché la crisi da sola non spiega il fatto che l'Italia rappresenti quasi un quarto dell'evasione Iva dell'Unione europea, contro il 15,3 per cento della Francia e il 3,9 per cento della Spagna, che dalla stessa crisi non sono state certo risparmiate. Se a quelli delle imposte dei lavoratori autonomi e dell'Iva si aggiungono i buchi sui redditi d'impresa, dell'Irap e dei contributi previdenziali, arriviamo appunto ai 111,7 miliardi cui sopra. Una cifra enorme. Che in più si riferisce per oltre due terzi alle tasse non pagate dai fantasmi: cioè da coloro che per il fisco nemmeno esistono. In media, 75 miliardi e mezzo l'anno. Somma pari al 15 per cento di tutte le entrate tributarie. Basterebbe questo per mettere in dubbio la tesi di chi assolve l'infedeltà fiscale considerandola alla stregua della legittima difesa contro uno Stato ingordo. E assolvendola, per giunta, dai vertici dello Stato SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 15
04/10/2017 diffusione:194011 Pag. 1 tiratura:288313 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato stesso. «L'evasione di chi paga il 50 per cento dei tributi non l'ho inventata io. È una verità che esiste. Un diritto naturale che è nel cuore degli uomini»: sono le parole memorabili pronunciate da Silvio Berlusconi ai microfoni di Radio Anch'io il 18 febbraio 2004. Ripetute più volte dal Cavaliere prima, durante e dopo le sue permanenze a palazzo Chigi. Senza che in tutti quegli anni la pressione fiscale sia calata e gli evasori si siano dati una regolata. Sul fatto che in Italia l'imposizione fiscale sia per tutti troppo pesante, davvero non ci piove. La stessa Corte dei conti certifica un dato mostruoso che era stato già calcolato da Confartigianato: su un'impresa di medie dimensioni grava un carico fiscale complessivo del 64,8 per cento, superiore di quasi 25 punti alla media europea (40,6). Né le cose vanno meglio per il cuneo fiscale, che con il 49 per cento oltrepassa di dieci punti il valore medio continentale (39). E se la pressione del fisco, che statisticamente si è aggirata negli anni più recenti intorno al 43 per cento (decimale più, decimale meno), risulta inferiore a quella di Danimarca, Francia, Belgio, Finlandia e Austria, non si può non considerare che a sostenerla è una platea di contribuenti in proporzione nettamente più ridotta. Per non parlare della qualità dei servizi offerti con quel costo ai cittadini italiani. Ma ciò non può giustificare affatto quanti si sottraggono ai propri obblighi verso la collettività. Né, a maggior ragione, giustificare chi li giustifica. Certo, qualcuno potrebbe tirare in ballo questioni che sconfinano nell'indole degli italiani. Come la storica avversione per le tasse, oggetto persino di proverbi popolari. Ma se quel sentimento esiste, va detto pure che è stato sempre coccolato dalla politica, fin dai tempi antichi. Con i condoni. Il primo è del 118 dopo Cristo. Autore l'imperatore di origini iberiche Adriano, che rinunciò a riscuotere le tasse ancora non pagate dai cittadini dell'impero nei 16 anni precedenti: 900 milioni di sesterzi. Ricorda Di Vizio che dall'unità d'Italia a oggi si possono contare 80 (ottanta) condoni fiscali sotto varie forme. Anche la rottamazione delle cartelle esattoriali, a modo suo, può rientrare in questa fattispecie. E per avere un'idea del rapporto fra gli italiani e il fisco basti dire che ne 2016 erano 21 milioni i residenti con una pendenza aperta a Equitalia: che in ogni caso, per il 54 per cento di loro, non superava i mille euro. Il fatto è che all'evasione contribuisce un sistema pubblico obeso e inefficiente che affoga nelle follie burocratiche. Cervellotico e strampalato al punto da imporre a chi vuol pagare le tasse rateizzandole un interesse di dilazione pari al 4,50 per cento, cioè addirittura più alto rispetto a quello di mora a carico di chi le imposte non le paga affatto: 3,50. E questo semplicemente perché quei tassi sono fissati da due leggi diverse, che nessuno ha mai pensato di rendere coerenti l'una con l'altra. Troppa fatica. Succede così, sottolinea Di Vizio nel suo studio, che in un Paese nel quale l'economia sommersa vale il 21,1 per cento del prodotto interno lordo e l'evasione fiscale incide per il 24 per cento sul gettito potenziale, siano necessarie mediamente 269 ore l'anno per adempiere a tutti gli obblighi fiscali, contro le 173 della media europea. Mentre il sistema di riscossione fa acqua da tutte le parti. Inaccettabile il balletto che avviene fra l'accertamento e la riscossione. Dal 2000 al 2016 gli enti creditori hanno affidato a Equitalia 1.135 miliardi di euro da riscuotere: una cifra pari alla metà dell'attuale debito pubblico. Di questi, una parte è stata annullata dagli stessi creditori e una piccola fetta riscossa negli anni, con un residuo contabile che oggi ammonta a 817 miliardi. Ma 147,4 riguardano soggetti falliti, 85 i morti, 95 i presunti nullatenenti, 348 posizioni per cui si è già tentato invano il recupero, 26,2 sono oggetto di rateizzazioni e 32,7 non sono riscuotibili a causa di norme favorevoli ai debitori. Di quella enorme massa, grazie anche al contributo dei ricorsi tributari che hanno visto nel 2016 l'amministrazione soccombente in terzo grado nel 62 per cento dei casi, restano così aggredibili 51,9 miliardi, con una previsione di concreto realizzo che si riduce a 29 miliardi. Nella migliore delle ipotesi potrebbe rientrare il 3,5 per cento. Da chiarire come ciò si possa conciliare con i roboanti risultati nella lotta all'evasione (una ventina di miliardi introitati, secondo Maria Elena Boschi). E veniamo ai controlli. Di Vizio segnala che nel 2016 gli accertamenti dell'Agenzia delle entrate sono calati del 33,8 per cento, passando da 301.996 a 199.990. Logico, perciò, che gli introiti siano diminuiti del 17,2 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 16
04/10/2017 diffusione:194011 Pag. 1 tiratura:288313 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato per cento, da 7,4 a 6,1 miliardi. Al netto, va precisato, della cosiddetta "voluntary disclosure". Qui sta il bello. Perché dietro a quelle due paroline inglesi apparentemente misteriose si nasconde la spiegazione di dove sparisce una bella fetta dei soldi rubati al Paese. Ma questa è un'altra storia. IL CONFRONTO LA BUROCRAZIA Per adempiere agli obblighi fiscali un'impresa che ha sede in Italia deve mettere in conto 269 ore di lavoro l'anno, negli altri Paesi dell'Unione ne bastano mediamente 173. Una differenza che pesa sui costi IL CARICO FISCALE Il confronto con l'Europa è imbarazzante. In Italia su una impresa di medie dimensioni grava un carico fiscale e contributivo complessivo pari al 64,8% del fatturato, quasi 25 punti in più rispetto al 40,6 della media dei Paesi Ue L'IVA L'Italia, da sola, copre quasi un quarto dell'evasione Iva dell'Unione europea, contro il 15,3% totalizzato dalla Francia e il 3,9% messo assieme dalla Spagna. La crisi economica non basta a spiegare questo andamento Gap nelle entrate fiscali e contributive in Italia, miliardi di euro Totale evasione tributaria Totale evasione tributaria e contributiva Totale evasione contributiva Quanto manca nelle casse dello Stato 2013 2014 2012 2011 109,7 111,7 107,6 105,5 stima 10,5 10,6 nd 94,3 95,8 97,0 10,3 99,4Le imposte più evase (propensione all'inadempimento per tipo di tassa) Irpef lavoro dipendente 2013 3,0% Irpef lavoro autonomo 2014 59,5% Ires 2014 34,1% Iva 2014 29,7% FONTE: Relazione sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva, Mef Irap 2014 23,3% Imu 2014 27,2% Accertamenti meno ecaci (introiti derivati da attività di controllo dell'Agenzia delle Entrate- in miliardi di euro) 6,8 2012 7,2 2013 FONTE: elaborazione Corte dei conti su dati Rgs 7,7 2014 7,4 2015 6,1 preconsuntivo 2016 ©RIPRODUZIONE RISERVATAI NUMERI 109,2 Azzerando l'evasione l'Italia riuscirebbe a coprire per intero la sua spesa sanitaria per un anno 93,7 La somma basterebbe anche per rendere tutte le case degli italiani a prova di terremoti e calamità 182 mld mld mld Il gettito Irpef complessivo nel 2016: il recupero del nero permetterebbe un netto taglio delle tasse SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 17
04/10/2017 diffusione:194011 Pag. 2 tiratura:288313 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La manovra. La legge di bilancio sarà composta al 60 per cento da nuove entrate, al 40 da tagli alla spesa e più deficit Web tax, il Tesoro apre "Uno strumento utile" Ma resta il nodo sanità ROBERTO PETRINI ROMA. Potrebbe essere la web tax la sorpresa della legge di Bilancio 2018. Dopo le aperture del premier Gentiloni a Tallin, che non ha escluso una via nazionale alla tassa sulle web company e il ricorso ad una accordo separato tra Germania, Francia, Spagna e Italia, ieri anche il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha dato il suo semaforo verde. «È estremamente utile pensare ad una web tax a livello nazionale, è nostro impegno proseguire il dialogo con il Parlamento nelle prossime settimane», ha assicurato ieri, rispondendo ad una sollecitazione del presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia, sulla eventualità di inserire la nuova tassa nella legge di Bilancio. La misura può essere declinata tecnicamente in vari modi, da una semplice, e più soft, tassa sul fatturato fino all'imposizione obbligatoria della «stabile organizzazione» fiscale in Italia in modo da costringere le web company a pagare Iva e Ires come gli altri. Comunque vada, se la web tax passerà, si potrà contare su un gettito da 2 a 5 miliardi. GIOVANI E POVERI I nuovi interventi sull'economia alla fine si limitano a 3,8 miliardi: si tratta di estendere la decontribuzione per i giovani (per il 2018 bastano 300 milioni ma dal 2019 si passa a 2,1 miliardi), di fare maggiori investimenti (300 milioni), di finanziare l'assegno anti-povertà (600 milioni) e di onorare il contratto degli statali (2,6 miliardi). Ma è probabile che un «tesoretto» di circa 1 miliardo sarà a disposizione del Parlamento. IVA, AUMENTO EVITATO Spesso è dimenticata ma i vecchi impegni - come ha ricordato il presidente dell'Upb Giuseppe Pisauro in audizione - pesano nel 2018 e peseranno anche per i prossimi anni. La cosiddetta clausola di salvaguardia, una sorta di cambiale di Stato, prevede un aumento dell'Iva di 2 punti dal prossimo 1° gennaio a meno che non si trovino risorse alternative. L'aumento avrebbe dato un gettito 15,7 miliardi che viene scongiurato sostituendolo con un aumento del deficit (dall'1 all'1,6 per cento) pari a 10,9 miliardi e 4,7 miliardi con misure alternative di entrate e tagli. E-FATTURA E ROTTAMAZIONE Per ora le coperture per interventi sull'economia e per l'Iva (alla quale non si provvede con il deficit), arrivano a 8,6 miliardi: per il 60 per cento lotta all'evasione e per il 40 per cento tagli e risparmi. Si tratta di 5,1 miliardi che verranno dalla fattura elettronica obbligatoria, dalla riapertura della rottamazione delle cartelle, dalla estensione dello split payment (lo Stato trattiene l'Iva dei propri fornitori). I tagli sono di 3,5 miliardi, di cui 1 di spending review in senso stretto. Con la Web tax o con la lotta alle truffe sulla benzina questa cifra potrà salire. SUPERTICKET E PENSIONI Naturalmente la partita non è finita anche perché ci sono molte questioni aperte. La prima è la sanità: ieri Padoan ha detto che la spesa sul Pil sta diminuendo solo perché cresce il Pil. Sarebbe dunque stretto il percorso per le richieste di Mdp di abolizione del superticket per 600 milioni. Resta invece sul tavolo la proposta della ministra della Sanità Lorenzin che ha bisogno di 700 milioni per assunzioni, farmaci e vaccini e che chiede di recuperarli con la tassa di 1 centesimo a sigaretta. Stop, invece, con il via libera di Bankitalia e Corte dei Conti, per qualsiasi congelamento dell'età pensionabile. QUANT'È LA MANOVRA? Prima della flessibilità europea la manovra era una rincorsa al taglio del deficit: tagli e tasse. Da qualche tempo, il deficit può aumentare, rispetto agli andamenti inerziali, con il consenso dell'Europa. Per convenzione si può chiamare «manovra» anche questa che sostanzialmente sterilizza l'Iva per 15,7 miliardi e dà ossigeno all'economia per 3,8 miliardi. Dove si trovano i soldi? Circa 10 dal deficit e 10 circa da tagli e nuove entrate. Se si vuole si può dire che il governo, in un modo o nell'altro, provvede per 20 miliardi. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 18
04/10/2017 diffusione:194011 Pag. 2 tiratura:288313 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato ©RIPRODUZIONE RISERVATA I NUMERI 5,1 mld NUOVE ENTRATE Verranno da fatturazione elettronica, nuova rottamazione cartelle, split payment e probabilmente da web tax 3,5 mld TAGLI E RISPARMI In tutto 3,5 miliardi di cui 1 di spending review sulla spesa dei ministeri. Il resto riguarderà altre spese dello Stato 10,9 mld PIÙ DEFICIT Sarà destinato alla sterilizzazione del previsto aumento dell'Iva. Grazie allo "sconto" di Bruxelles il deficit sale all'1,6% SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 19
04/10/2017 diffusione:194011 Pag. 26 tiratura:288313 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Energia, la denuncia dell'Autorità troppe tasse occulte in bolletta Oggi ultima relazione di Bortoni, si rischia il blocco sulla successione Il prezzo della materia prima si è dimezzato ma i consumatori quasi non ne hanno beneficiato LUCA IEZZI ROMA. Una bolletta più trasparente e meno pesante, ma anche certezza sul futuro dello stesso regolatore. Guido Bortoni sta mettendo a punto l'ultima relazione da presidente dell'Autorità dell'energia che oggi presenterà davanti al Capo dello Stato Sergio Mattarella. Dai lavori preparatori emerge chiara una considerazione: è ora che i consumatori capiscano cosa stanno pagando attraverso le loro fatture bimestrali. I prezzi nella borsa elettrica sono scesi: nel 2012 il prezzo del kwh viaggiava tra 70 e 80 euro, oggi è a 40, ma gli utenti se ne sono accorti appena perché la "materia prima" elettricità pesa per 47% della tariffa effettivamente pagata, e nel metano si scende a meno del 40%. Infatti, complice la facilità di riscossione, le bollette sono diventate un canale diretto tra le casse dello Stato e i conti correnti degli italiani. La tariffa elettrica finanzia gli incentivi alle rinnovabili, la spesa per le centrali nucleari da dismettere, il risparmio energetico, ma anche gli sgravi alle ferrovie, alle grandi industrie energivore e a tutte le società elettriche delle piccole isole. Li chiamano "Oneri di sistema", ma con le normali attività del mondo energetico c'entrano poco. Gli esempi non mancano: i grandi operatori di energia rinnovabile, sole e vento, hanno ormai costi bassi e aiutano a tenere basso il prezzo generale dell'energia, per loro gli incentivi sono marginali. Ma in bolletta la componente A3 ha distribuito nel 2016 14 miliardi soprattutto ai piccoli impianti, sotto forma di esenzioni di vario tipo che invece dovrebbero più correttamente finire nella fiscalità generale. Stesso discorso per il nucleare che pesa 563 milioni l'anno sulle tasche degli italiani, ma sia la Sogin, sia i comuni che ospitano le vecchie centrali ne ricevono poco più della metà mentre 135 milioni li incassa direttamente lo Stato. Infine i clienti elettrici aiutano con 245 milioni la rete ferroviaria o garantiscono un miliardo e 400 milioni di rimborso ai distributori per i certificati bianchi. Tasse occulte che hanno un ulteriore effetto, quello di deprimere la concorrenza, un po' come succede per la benzina o per le sigarette, l'alto prelievo fisso permette a tutti gli operatori di allinearsi a prezzi più alti. Così si vanifica, è il ragionamento che fanno dall'Autorità, anche quanto di buono può arrivare dalla regolazione. Nel gas le aste su stoccaggi e capacità di rigassificazione così come il tentativo di legare il più possibile il prezzo ai grandi mercati del metano del resto d'Europa ha ridotto il divario con i nostri concorrenti europei, ma gli oneri pesano e il gap resta pesante. Basterebbe un piccolo intervento legislativo e il regolatore sarebbe pronto a "ripulire" le bollette da questi elementi. Invece, ed è l'elemento più delicato, la prospettiva è opposta: il futuro parla di un pericolo concreto di paralisi dell'attività dell'Autorità. Bortoni e il resto dei componenti Alberto Biancardi, Rocco Colicchio e Valeria Termini - scadranno l'11 febbraio, le forze politiche già nelle prossime settimane dovrebbero presentare i nomi dei successori alle commissioni parlamentari competenti, ma le maggioranze necessarie, due terzi dei componenti, rendono al momento improbabile un accordo tra le varie anime di maggioranza e opposizione. Così la prospettiva è che Bortoni debba continuare per mancanza di successori. Ma la legge prevede solo 60 giorni di proroga possibile ed esclusivamente per la "normale amministrazione" (aggiornamento trimestrale delle tariffe e poco più), oltre non si sa cosa possa succedere, con l'aggravante che a marzo la legislatura finirà complicando ulteriormente il quadro. Tanto che nel governo già qualcuno pensa ad una leggina in extremis, ma che secondo gli stessi operatori energetici certificherebbe solo la paralisi del sistema. I PUNTI LE QUOTE L'elettricità pesa solo per il 47% sulla tariffa effettivamente pagata, mentre nel metano la quota scende al di sotto del 40 % L'EFFETTO Gli oneri di sistema deprimono la concorrenza, perché SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 20
04/10/2017 diffusione:194011 Pag. 26 tiratura:288313 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato l'alto prelievo fisso permette a tutti gli operatori di allinearsi al prezzo più alto Cosa si paga nella bolletta del gas 39,35% Spesa per la materia gas naturale Imposte 38,88% 18,39% Spesa per il trasporto e la gestione del contatore 3,38% Spesa per oneri di sistema Cosa si paga nella bolletta dell'elettricità 47,65% Spesa per la materia energia 20,18% Spesa per il trasporto e la gestione del contatore 18,96% Spesa per oneri di sistema 13,21% Imposte 77,03% Incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate 0,94% Bonus elettrico Fonte: Autorità per l'Energia 8,97% Promozione dell'ecienza energetica 0,94% Regimi tariari speciali per la società Rete Ferroviaria Italiana 6,70% Agevolazioni per le imprese manifatturiere a forte consumo di energia elettrica 3,32% Messa in sicurezza del nucleare 1,05% Sostegno alla ricerca 1,05% Compensazioni per le imprese elettriche minori SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 21
04/10/2017 diffusione:194011 Pag. 27 tiratura:288313 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'accordo. Compromesso con la Germania che aveva stretto un'intesa con Pechino Dazi antidumping per fermare la Cina l'Italia riesce a evitare l'affondo tedesco ALBERTO D'ARGENIO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES. Dopo mesi di aspri negoziati l'Unione alza barriere difensive contro il dumping cinese che avrebbe potuto schiacciare le piccole e medie imprese europee. Non è stato facile trovare l'accordo tra Commissione, governi e Parlamento Ue, anche se alla fine Strasburgo è riuscita ad evitare un trattamento favorevole per Pechino. Ma è stato anche un derby Italia-Germania: dietro le quinte, raccontano i protagonisti del negoziato, Berlino aveva stretto un accordo con Pechino che avrebbe portato l'Europa a chiudere un occhio sulla concorrenza sleale del Dragone in cambio di porte aperte all'auto (elettrica) tedesca in Cina. Scenario che avrebbe travolto le imprese italiane, più di altre in diretta competizione con quelle della Repubblica popolare. Alla fine ieri è stata siglata l'intesa che permetterà alle aziende di difendersi di fronte ai casi di dumping, specialmente per acciaio e alluminio. Pechino è stata ammessa nell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) nel 2001 con l'accordo che per i successivi 15 anni sarebbe stata considerata una economia non di mercato e pertanto sottoposta a dazi antidumping per contrastare la concorrenza sleale dei suoi prodotti. Spirato il termine, gli europei hanno continuato a difendersi dalle pratiche scorrette cinesi, anche se non avrebbero potuto resistere a lungo visto che nel frattempo Pechino ha fatto ricorso al Wto. Per aggirare il problema la Commissione ha scritto un regolamento con la nuova metodologia antidumping, testo che l'Italia ha subito definito debole. Così il Parlamento europeo si è impuntato (relatore il forzista Salvatore Cicu) ed è riuscito a tenere il punto per una volta grazie al lavoro comune di tutto il sistema italiano, dal governo alle imprese, dai gruppi parlamentari a Strasburgo (Pd e Fi) fino al presidente dell'Eurocamera Antonio Tajani. Solo così la pressione dell'industria e della politica tedesca, Spd e Cdu insieme, non ha sfondato. La nuova metodologia antidumping, valida per tutti i paesi terzi ma pensata per la Cina, permetterà alla Commissione di scrivere una serie di rapporti in caso di sospetta distorsione del mercato sulla base dei quali le aziende potranno chiedere misure antidumping. Bruxelles prenderà in considerazione l'influenza dello Stato nell'economia, la presenza di imprese pubbliche, la mancata indipendenza del settore finanziario, il dumping sociale e ambientale. Fino all'ultimo si è combattuto sull'onere della prova, con il Parlamento che è riuscito ad evitare che questo cadesse sulle imprese Ue che ne sarebbero uscite con le ossa rotte. Alla fine invece saranno questi ultimi a dover dimostrare la loro non colpevolezza e a sostenere i costi dell'istruttoria. Le regole saranno ratificate dall'aula di Strasburgo ed entreranno in vigore entro il 2017: fino ad allora l'Europa continuerà a considerare la Cina economia non di mercato. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 22
04/10/2017 diffusione:145421 Pag. 1 tiratura:210804 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato NEW ECONOMY Amazon, Bruxelles presenta il conto delle tasse evase Il colosso del web nel mirino dell'Unione «Centinaia di milioni di euro non versati» MARCO BRESOLIN Bresolin A PAGINA 19 Dopo Apple, ora tocca ad Amazon. La Commissione europea presenterà oggi il conto alla società di Jeff Bezos, che per un decennio ha usufruito di un sistema fiscale "ad hoc" in Lussemburgo che le ha concesso di risparmiare parecchio. «Diverse centinaia di milioni di euro», secondo i calcoli del Financial Times, una cifra pari alle tasse dovute e non versate che ora dovrebbero andare nelle casse del Granducato. «Aiuti di Stato illegittimi», per l'Antitrust europeo, che ne chiede la restituzione. Molto probabilmente sia l'azienda che il piccolo Stato fondatore dell'Ue contesteranno l'accusa. Perché lo "sconto", o meglio il trattamento di favore, è frutto di un regolare accordo fiscale (tax ruling) stipulato tra la società e il Lussemburghese nel 2003. In quegli anni a capo del governo lussemburghese c'era Jean- Claude Juncker, attuale presidente della Commissione europea. La stessa istituzione che oggi - al termine di un'inchiesta iniziata tre anni fa - contesterà l'accordo perché avrebbe c o n c e s s o benefici indebiti al gigante dell 'e - c o m merce. La vicenda ricalca grossomodo quanto successo un anno fa con il maxi- provvedimento ad Apple, condannata dalla Commissione a versare 13 miliardi di euro di tasse arretrate al governo irlandese. Anche in quel caso il "trucco" usato dal colosso di Cupertino era frutto di accordi stipulati con il governo di Dublino. A breve dovrebbe concludersi un'altra indagine avviata da Bruxelles contro McDonald's, sempre per tasse non pagate nel piccolo Granducato. La sfida della web tax Questi casi non hanno nulla a che vedere con la maxi-multa inflitta a Google all'inizio dell'estate: 2,4 miliardi di euro per abuso di posizione dominante (secondo l'accusa, il servizio Google Shopping avrebbe sfavorito i concorrenti). Casi diversi, ma che vedono tutti contrapporsi Bruxelles con le grandi aziende americane. E lo scontro è destinato ad accentuarsi se mai dovesse vedere la luce la proposta della Web Tax, il provvedimento spinto da Francia, Italia, Germania e Spagna che punta a far pagare alle aziende digitali le tasse nei Paesi in cui fanno profitti. Una sfida non semplice, vista l'attività "immateriale" di queste società che consente loro di far figurare i profitti nei Paesi con un regime fiscale più conveniente. L'idea avanzata dai quattro - che però raccoglie ancora molte resistenze all'interno della stessa Ue - prevede di tassare il fatturato. Ma non affronta quello che è il vero problema alla base delle scorciatoie fiscali: la differenze nei sistemi di imposizione tra gli stessi Paesi Ue. Finché alcuni Stati continueranno a offrire regimi più conveniente, le aziende continueranno a stabilire lì le loro sedi fiscali. La lotta alle frodi Iva Sempre oggi la Commissione presenterà un altro provvedimento che riguarda la sfera fiscale, ma nel campo dell'Iva. Bruxelles ha messo a punto una proposta per combattere le frodi nelle transazioni transfrontaliere. A oggi - per esempio - se un'azienda francese vende a un'azienda italiana, la transazione è esente da Iva. Attraverso un meccanismo di compravendite, molte società usano questa falla a scopo fraudolento: la Commissione ha stimato danni pari a 50 miliardi di euro l'anno. L'idea è di allineare il sistema delle transazioni transfrontaliere a quelle nazionali, introducendo l'aliquota Iva in vigore nel Paese dell'acquirente e un sistema di compensazione tra le agenzie fiscali degli Stati. Per Bruxelles la misura è in grado di ridurre le frodi dell'80%. c 50 miliardi di euro L'evasione dell'Iva negli scambi transfrontalieri secondo la Commissione Foto: AFP L'impianto Amazon di Amiens-Boves nel Nord della Francia SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 04/10/2017 23
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