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6/6/2018 Digesto Online Digesto COMMERCIALE » BUSINESS JUDGMENTRULE (DIRITTO STATUNITENSE) Danilo Semeghini (anno di pubblicazione: 2015 — aggiornamento: ) Mostra bibliografia Mostra legislazione Sommario: I. INQUADRAMENTO GENERALE. 1. Premessa. 2. La centralità della giurisprudenza delle Corti del Delaware. La formulazione tradizionale utilizzata da queste Corti e i suoi tratti essenziali. 3. La collocazione della business judgment rule nel quadro dei possibili standards of review. II. IL RAPPORTO CON IL DUTY OF CARE. 4. La contrapposizione della business judgment rule con il duty of loyalty e la problematicità del suo rapporto con il duty of care. Le consolidate giustificazioni della business judgment rule sul piano dell'efficienza. 5. (Segue). Le possibili repliche a tali giustificazioni. L'influenza di ulteriori fattori e lo scetticismo verso l'enforcement del duty of care. 6. Il persistente interrogativo circa uno spazio autonomo di responsabilità per sola negligenza. Il caso Van Gorkom. 7. I due diversi modi di intendere il rapporto tra business judgment rule e duty of care. L'introduzione delle clausole statutarie di esonero dalla responsabilità per negligenza e la conseguente assenza di chiare prese di posizione nella giurisprudenza del Delaware. Gli ambiti di ipotetica permanenza del problema. 8. L'ulteriore sviluppo in tema di duty of care nel caso Technicolor: l'intreccio delle valutazioni dei profili di care e loyalty nell'unitario standard of fairness. 9. Il conseguente problema dell'incidenza della clausola statutaria di esonero sullo svolgimento del processo. La riconduzione della buona fede al duty of loyalty e la tendenza delle Corti a consolidare la portata delle clausole di esonero. III. IL RAPPORTO CON IL DUTY OF LOYALTY. 10. La tendenza delle Corti del Delaware a ridimensionare l'antitesi tra business judgment rule e situazioni in conflitto di interessi, a favore dell'espansione del non review standard. Il trattamento dei conflitti tra amministratori e soci. 11. (Segue). Il trattamento dei conflitti tra socio di controllo e minoranze e tra soci e creditori sociali. La rimessione alla discrezionalità degli amministratori del contemperamento dei diversi interessi coinvolti nella società. 12. La discrepanza di trattamento delle diverse forme di going private transactions negli sviluppi giurisprudenziali del Delaware. 13. La recente ricomposizione di tale divergenza: l'applicazione della business judgment rule anche alle cashout mergers. La conferma della deferenza verso business judgments imparziali. La riemersione del duty of care: il tradeoff tra diligenza e fairness nella valutazione delle operazioni in conflitto di interessi. IV. L'AMBITO DI APPLICAZIONE. 14. L'ambito oggettivo: i business judgments e i casi di oversight liability. La sostanziale coincidenza di trattamento nella giurisprudenza del Delaware e la conferma del tendenziale rifiuto a condannare per responsabilità gli amministratori in mancanza di mala fede o conflitto di interessi. 15. L'ambito soggettivo: l'applicabilità ai corporate officers. Le recenti spinte verso l'applicazione di un più esigente standard of liability per tali soggetti. Il problema sottostante: la persistente vaghezza in merito alla concezione dei diversi ruoli nell'ambito della gestione della società. V. LA GIUSTIFICAZIONE SUL PIANO GIURIDICOFORMALE. 16. L'interrogativo circa la necessità di ricorrere al filtro della business judgment rule per dare applicazione ai fiduciary duties. 17. L'inadeguatezza delle spiegazioni ipotizzate nella dottrina statunitense. 18. La peculiare dimensione equitativa dei giudizi sulla responsabilità degli amministratori nel contesto statunitense. 19. La business judgment rule come contromisura al connotato equitativo dei fiduciary duties. 20. L'ulteriore ragione della diffidenza verso l'applicazione del duty of care: la difficoltà di adattamento del paradigma di negligence liability dall'ambito dei torts all'ambito societario. I. INQUADRAMENTO GENERALE. 1. Premessa. L'espressione business judgment rule viene impiegata, secondo un uso consolidato nell'orizzonte internazionale, per indicare un criterio che guida l'interpretazione e applicazione della disciplina di responsabilità civile inerente alla gestione delle imprese capitalistiche. In particolare, questo canone è stato e continua a essere oggetto della più ampia riflessione ed elaborazione nel contesto giuridico statunitense, ove costituisce uno dei cardini del diritto societario. È infatti raro trovare una decisione di una corte degli Stati Uniti, sia essa federale o statale, che, occupandosi di questioni relative alle responsabilità nella gestione di una corporation, non svolga le proprie argomentazioni a partire da tale concetto. Per questo, in altri ordinamenti l'adozione della business judgment rule e le relative discussioni non possono fare a meno di mantenere come punto di riferimento – se non anche come modello da seguire – gli approdi del diritto applicato in quell'esperienza giuridica(1). Ma l'importanza e l'ubiquità della business judgment rule derivano dallo scopo di fondo che ovunque contraddistingue tale canone, al di là della precisa conformazione che esso assume nei singoli ordinamenti. A un primo e più generale livello, infatti, si tratta di una formula sintetica diretta a sottolineare la necessità di prestare attenzione a non attribuire a chi è coinvolto nell'amministrazione di un'impresa una http://0-pluris-cedam.utetgiuridica.it.opac.unicatt.it/cgi-bin/DocPrint?MODE=print&TEMPLATE=digesto&KEY0=DY:DIGESTO:5:digesto:%27DYGI0000004848%27:Digesto
6/6/2018 Digesto Online responsabilità risarcitoria per gli insuccessi che possono fisiologicamente scaturire dal rischio cui tale attività è ineludibilmente esposta(2). Si possono quindi subito cogliere le ragioni del largo e condiviso ricorso a tale formula nelle economie capitalistiche: da un lato, essa si richiama a un aspetto – il rischio d'impresa – essenziale nei sistemi impostati sulla libera concorrenza e ne esplicita un corollario difficilmente contestabile; d'altro canto, però, appare al tempo stesso un richiamo tutt'altro che inutile, giacché, senza di esso, in un giudizio a posteriori si può facilmente tendere – per le ragioni che verranno esaminate più oltre e che, del resto, già il buon senso fa intuire – a imputare alla responsabilità di chi ha gestito l'impresa ogni risultato negativo. Ma il significato della business judgment rule non si esaurisce nel richiamo a una pacifica esigenza di fondo. In attuazione di quell'esigenza, tale "regola" si articola in un insieme di limiti e condizioni, finalizzati a circoscrivere il confine entro il quale deve mantenersi il sindacato giudiziario nella valutazione delle eventuali responsabilità di chi ha amministrato una società. Non si tratta in realtà di una «rule», quindi, bensì piuttosto di una composizione di standards, diretta a limitare l'ambito dello scrutinio in sede giurisdizionale. A questo più specifico livello, il canone in discorso richiede allora di individuare un punto di equilibrio con la contrapposta necessità di mantenere allo stesso tempo un regime di responsabilità in capo a chi ha il compito di gestire un patrimonio che, in particolare nel modello della società con partecipazioni diffuse tra il pubblico, fa capo in ultima istanza a interessi altrui. Ma in questa declinazione del principio sul piano del diritto applicato, la business judgment rule non presenta la stessa linearità e convergenza di posizioni che caratterizza il suo scopo ultimo. Anzi, con riferimento in particolare al diritto statunitense – che pur offre, come accennato, la più sviluppata riflessione sul tema – si potrebbe affermare che tanto il principio di fondo della business judgment rule è chiaro e condiviso, quanto, per contro, la sua precisazione e applicazione rimane ambigua e discussa sotto più di un profilo(3). 2. La centralità della giurisprudenza delle Corti del Delaware. La formulazione tradizionale utilizzata da queste Corti e i suoi tratti essenziali. Essendo elemento centrale della disciplina dei «corporation's internal affairs», negli Stati Uniti la business judgment rule ricade innanzitutto nell'ambito del diritto di ciascuno stato(4). In diverse giurisdizioni statali essa si trova enunciata anche sul piano legislativo, con formulazioni che ricalcano i noti modelli normativi elaborati dall'American Bar Association(5)e dall'American Law Institute(6). Ma è innanzitutto sul piano giurisprudenziale che essa trova origine(7)e continua a essere oggetto di rimeditazione e sviluppo, coerentemente alla sua connotazione di criterio essenzialmente applicativo. In particolare, è alla giurisprudenza delle Corti del Delaware – ove peraltro manca una cristallizzazione legislativa del canone in discorso – che studiosi e altre corti guardano quale principale punto di riferimento per le riflessioni e le decisioni in argomento, in concordanza con la ben nota preminenza dell'ordinamento di quello Stato nel panorama societario statunitense(8). Nelle ormai innumerevoli applicazioni di quelle Corti, la business judgment rule è stata articolata secondo vari accenti e con formulazioni non sempre coincidenti. Nondimeno, l'enunciazione datale dalla Supreme Court di quello Stato nel caso Aronson v. Lewis rappresenta la formula da cui più frequentemente ancora oggi prendono le mosse i contributi dottrinali e le sentenze in argomento, sia della Court of Chancery (corte di prima istanza), sia della stessa Supreme Court (corte superiore)(9). In tale formula la business judgment rule viene descritta come «a presumption that in making a business decision the directors of a corporation acted on an informed basis, in good faith and in the honest belief that the action taken was in the best interest of the company (…). Absent an abuse of discretion, that judgment will be respected by the courts. The burden is on the party challenging the decision to establish facts rebutting the presumption» (10). Questa formulazione ben sintetizza i tratti essenziali e condivisi che, congiuntamente, danno fisionomia alla business judgment rule: da un lato, i termini di riferimento del suo contenuto sostanziale e, dall'altro, l'impostazione che con essa le Corti statunitensi assumono nel valutare la responsabilità degli amministratori. Sotto il primo profilo, la business judgment rule si presenta in realtà come concetto derivato, in quanto la sua concretizzazione ha come necessario punto di appoggio i doveri facenti capo agli amministratori di società. Come noto, nei sistemi di common law questi doveri vengono sinteticamente identificati con la categoria dei fiduciary duties, ovverosia, più precisamente, il duty of loyalty e il duty of care. La business judgment rule, quindi, "incorpora" tali doveri, come appunto mostra la definizione appena riportata, riferendosi al dovere di agire, rispettivamente, «in good faith and in the honest belief that the action taken was in the best interest of the company» e «on an informed basis». Sotto il secondo profilo, la business judgment rule si caratterizza come uno standard of review. Questa frequente qualificazione sta a sottolineare che il canone non è innanzitutto diretto a prescrivere un criterio di comportamento per gli amministratori alla luce del quale deve essere giudicata una loro eventuale responsabilità (c.d. standard of conduct)(11), bensì consiste, piuttosto, in una certa modalità di revisione http://0-pluris-cedam.utetgiuridica.it.opac.unicatt.it/cgi-bin/DocPrint?MODE=print&TEMPLATE=digesto&KEY0=DY:DIGESTO:5:digesto:%27DYGI0000004848%27:Digesto
6/6/2018 Digesto Online giudiziale della condotta sotto esame. In altri termini, la business judgment rule è una sorta di lente attraverso cui le corti affrontano l'esame della condotta degli amministratori per valutare se essa integri una violazione dei loro doveri (breach of fiduciary duty)(12). Ma questa modalità si contraddistingue come pressoché totale rifiuto del giudicante a riesaminare le scelte compiute dagli amministratori, a meno che l'attore in giudizio dimostri che quelle scelte non meritino tale «judicial deference». E per raggiungere questa dimostrazione, chi agisce deve confutare l'oggetto delle "presunzioni" sopra riferite, ovverosia deve provare fatti idonei a porre in dubbio il rispetto da parte degli amministratori dei propri fiduciary duties. 3. La collocazione della business judgment rule nel quadro dei possibili standards of review. Come si può rilevare da quanto appena esposto, se si segue passo per passo la struttura con cui solitamente viene presentata, la business judgment rule, perlomeno in prima impressione, sembra imporre un percorso logicoapplicativo alquanto tortuoso. Per cogliere più direttamente il suo senso effettivo, occorre innanzitutto contestualizzare il canone in discorso nel quadro completo degli standards of review che possono venire impiegati dalle Corti del Delaware. Come riepilogato da quelle stesse Corti, infatti, «Delaware has three tiers of review for evaluating director decisionmaking: the business judgment rule, enhanced scrutiny, and entire fairness» (13). La differenza tra questi standards attiene essenzialmente al grado di profondità con cui gli atti oggetto di contesa vengono riesaminati in sede giurisdizionale e perciò, comportando un differente livello di severità, la scelta di applicare l'uno o l'altro standard risulta spesso – benché non necessariamente – determinante rispetto all'esito del giudizio(14). Lo standard of fairness costituisce il tipo di scrutinio più penetrante e viene impiegato quando le operazioni oggetto di controversia risultano esposte a un nitido conflitto di interessi (tra le ipotesi più frequenti, si pensi a operazioni di fusione tra una società e la propria controllante, a compravendite tra la società e il suo socio di maggioranza o ad altri tipici casi di selfdealing). Di fronte a simili situazioni, la giurisprudenza assegna in partenza ai convenuti l'onere di dimostrare l'entire fairness dell'operazione, cioè la sostanziale correttezza sia delle modalità, sia dei termini economici con cui essa è stata realizzata(15). E anche qualora l'operazione sia stata preventivamente approvata da uno special committee composto da amministratori indipendenti, oppure dal voto maggioritario dei soci privi di interessi in conflitto, le Corti concedono solo uno spostamento dell'onere probatorio su chi agisce, ma il criterio di giudizio rimane l'entire fairness delle scelte sotto esame(16). In secondo luogo, a un livello di scrutinio intermedio tra questo standard e la business judgment rule, si attesta un tipo di enhanced scrutiny che viene adottato nei casi in cui non si prospetta un vero e proprio selfdealing, ma al tempo stesso si trova coinvolto l'interesse personale degli amministratori a rimanere nella propria posizione (si tratta essenzialmente delle manovre difensive promosse del board in risposta a hostile takeovers o ad altri possibili cambiamenti del controllo societario). Per valutare il rispetto da parte degli amministratori dei propri fiduciary duties, anche in tali situazioni le Corti si spingono a riesaminare il merito delle decisioni da questi assunte ma, ritenendo che il conflitto di interessi in questi casi abbia minore intensità, si limitano a uno scrutinio di «hightened reasonableness». Sempre i convenuti devono infatti dimostrare: da un lato, di aver ragionevolmente ritenuto che l'operazione di acquisizione del controllo avrebbe implicato un qualche pregiudizio per la società o i soci (tipicamente: un'offerta di acquisto di carattere coercitivo agli azionisti per un prezzo ritenuto insufficiente); dall'altro, di aver contrastato l'operazione con misure ragionevolmente proporzionali al pregiudizio ravvisato(17). In questo quadro si può allora cogliere meglio il senso della configurazione della business judgment rule come standard of nonreview, di carattere sostanzialmente generale e residuale: laddove manchi il condizionamento di un interesse in potenziale conflitto con quello della società, applicando tale standard i giudici si astengono dal riesaminare le decisioni degli amministratori, non avendo basi per mettere in dubbio la conformità della loro condotta ai fiduciary duties. Per la verità, anche in questo regime rimane aperto un minimo spazio di riesame, limitato però a valutare soltanto se l'operazione in giudizio sia priva di ogni base razionale(18): un'ipotesi talmente estrema da ridursi a un'eccezione più che altro teorica o, più realisticamente, a una spia evidente della presenza di un sottostante interesse in conflitto (o, comunque, di un intento in mala fede)(19). Similmente, tenendo presente l'insieme degli standards of review si può dare meglio conto anche dell'idea sostanziale che si cela dietro l'impropria caratterizzazione della business judgment rule come presunzione. Essa, infatti, non comporta alcuna inversione dell'onere della prova richiedendo a chi agisce in giudizio di confutare la «presumption that in making a business decision the directors (...) acted on an informed basis, in good faith and in the honest belief that the action taken was in the best interest of the company» (20). Però descriverla in tal modo consente di marcare ulteriormente la contrapposizione della business judgment rule agli standards alternativi, i quali, invece – salvo le eccezioni menzionate – assegnano l'onere della prova ai convenuti e vengono applicati solo qualora l'attore riesca a superare la "barriera" del primo standard, provando fatti idonei a porre in serio dubbio la conformità delle condotte sotto esame ai fiduciary duties. http://0-pluris-cedam.utetgiuridica.it.opac.unicatt.it/cgi-bin/DocPrint?MODE=print&TEMPLATE=digesto&KEY0=DY:DIGESTO:5:digesto:%27DYGI0000004848%27:Digesto
6/6/2018 Digesto Online II. IL RAPPORTO CON IL DUTY OF CARE. 4. La contrapposizione della business judgment rule con il duty of loyalty e la problematicità del suo rapporto con il duty of care. Le consolidate giustificazioni della business judgment rule sul piano dell'efficienza. Si può dunque in prima approssimazione sintetizzare che i diversi standards of review seguiti delle Corti del Delaware si differenziano e vengono applicati in base alla presenza e all'intensità dei conflitti di interesse che possono condizionare le condotte sotto scrutinio(21). In altri termini, quindi, il sindacato giudiziario sulla responsabilità degli amministratori risulta impostato e modulato essenzialmente in funzione del giudizio sulla conformità del loro operato al duty of loyalty. E, per quanto più precisamente riguarda la business judgment rule, la sua applicabilità in definitiva si pone in rapporto di reciproca esclusione con tale giudizio: se occorre valutare il rispetto del duty of loyalty, non si applica la business judgment rule e, correlativamente, se viene impiegato tale nonreview standard, la conformità a quel dovere fiduciario non è oggetto di valutazione giudiziale(22). Si vedrà in seguito (nella Parte III) che questo tradizionale postulato di incompatibilità tra duty of loyalty e business judgment rule richiede in realtà ulteriore precisazione e, soprattutto, è stato di recente oggetto di un importante ridimensionamento da parte della giurisprudenza del Delaware. Ma è prima opportuno prendere in esame il rapporto tra lo standard of review in discorso e l'altra fondamentale componente dei fiduciary duties dei corporate directors. Invero, il rapporto con il duty of care rappresenta il profilo più tormentato nell'elaborazione teorica e nell'applicazione giurisprudenziale della business judgment rule nel contesto statunitense, anche al di là dei confini del Delaware. Continua, infatti, a essere discusso in dottrina e oggetto di risposte diverse, o quantomeno non univoche, in giurisprudenza, il problema di stabilire se la valutazione del rispetto del duty of care da parte degli amministratori sia compatibile con l'applicazione della business judgment rule (e anzi, se ne sia una precondizione), oppure se, al contrario, questo standard of review abbia specificamente la funzione di precludere – a seconda delle opinioni, in tutto o in parte – l'enforcement giudiziale di quel dovere fiduciario. Per la verità, il problema della precisa configurazione di questo rapporto viene impostato dagli interpreti su una base di partenza generalmente condivisa, ovverosia sull'assunto secondo cui la business judgment rule ha la funzione di sottrarre l'operato degli amministratori a un judicial secondguessing e, pertanto, è diretta a impedire che, in assenza di sospetta disloyalty, la valutazione di conformità al duty of care consenta ai giudici un riesame nel merito delle operazioni controverse(23). In altri termini, si discute se la business judgment rule comporti una limitazione – totale o parziale – del duty of care sul piano applicativo ma – anzi, proprio perché – è comunemente accettato che la prima precluda un pieno scrutinio giudiziario. L'ampia accettazione di questo ulteriore e più specifico tratto distintivo della business judgment rule deriva principalmente dall'altrettanto ampia condivisione delle ragioni che vengono regolarmente richiamate a sua giustificazione, in giurisprudenza come in dottrina, sul piano dell'efficienza. Tanto da rendere questo tipo di considerazioni – cui, come noto, sono particolarmente sensibili i giuristi statunitensi – una costante delle innumerevoli opinioni espresse in proposito. Del resto, si tratta di argomenti in ultima analisi riconducibili alla preoccupazione che, come illustrato all'inizio, costituisce la ragione di fondo della business judgment rule. In primo luogo, infatti, l'opportunità di circoscrivere, o addirittura eliminare, il sindacato giudiziario relativo al duty of care viene motivata in considerazione del rischio di errori di valutazione a cui tale sindacato appare particolarmente esposto, a causa: da un lato, della limitata competenza dei giudicanti a riesaminare operazioni imprenditoriali, talvolta molto complesse; e, dall'altro, del "senno di poi" (c.d. hindsight bias) che inevitabilmente può condizionare un giudizio retrospettivo su scelte spiccatamente aleatorie e discrezionali come quelle gestionali. Si rende, quindi, necessario offrire agli amministratori un argine contro questo pericolo, non solo al fine di scongiurare condanne ingiuste per esiti che essi non avrebbero comunque potuto evitare, ma soprattutto anche al fine di impedire che il timore di simili condanne, per risarcimenti peraltro potenzialmente esorbitanti rispetto al patrimonio individuale, possa generare in loro un'eccessiva avversione al rischio, tale da spingere pur validi professionisti ad adottare scelte eccessivamente prudenti o, addirittura, a non assumere o proseguire l'incarico(24). L'argomento trova poi ulteriore forza nel rilievo che i soci delle public companies hanno interesse non soltanto a non indurre gli amministratori a eccessiva cautela ma, anzi, a incoraggiarli ad assumere maggiori rischi. Grazie ai mercati finanziari, infatti, gli azionisti possono diversificare i propri investimenti e così tollerare una maggior esposizione al rischio, mentre l'investimento principale dei managers è costituito dal "capitale reputazionale" derivante dal successo dell'attività prestata, che è inestricabilmente legato alle sorti della società gestita e, pertanto, li induce a un'attitudine più prudente rispetto a quella degli investitori verso i rischi della singola impresa(25). Secondo diversi autori, inoltre, l'applicazione del duty of care, oltre che risultare problematica per le insidie del sindacato a posteriori, si rivela, in realtà, sostanzialmente inutile, dal momento che le dinamiche concorrenziali con cui gli amministratori si trovano normalmente a fare i conti sono già in grado di incentivarli efficacemente a impegnarsi al meglio delle loro capacità. In presenza di una gestione insoddisfacente, infatti, la concorrenza nel mercato dei prodotti o dei servizi offerti dovrebbe determinare risultati negativi per l'impresa, a fronte dei quali i soci potrebbero voler sostituire i componenti dell'organo di gestione, con ricadute reputazionali dannose per chi intende continuare a proporsi nell'ambito di quel http://0-pluris-cedam.utetgiuridica.it.opac.unicatt.it/cgi-bin/DocPrint?MODE=print&TEMPLATE=digesto&KEY0=DY:DIGESTO:5:digesto:%27DYGI0000004848%27:Digesto
6/6/2018 Digesto Online settore professionale. Per le società contendibili che ricorrono al mercato del capitale di rischio, poi, la mediocrità della gestione dovrebbe riflettersi anche in quotazioni dei titoli azionari inferiori alle potenzialità dell'impresa, facendo così sorgere nel mercato del controllo societario l'opportunità di acquisire partecipazioni rilevanti in quella società, per poi sostituirne i soggetti apicali e perseguire una migliore gestione(26). 5. (Segue). Le possibili repliche a tali giustificazioni. L'influenza di ulteriori fattori e lo scetticismo verso l'enforcement del duty of care. Per la verità, le opinioni fin qui sintetizzate, pur essendo normalmente richiamate da giudici e studiosi più come dato acquisito che come argomento di discussione, lasciano spazio, a ben vedere, a possibili obiezioni o, quantomeno, a punti interrogativi. Per esempio, il rilievo dato all'incompetenza dei giudici in materia gestionale, se segnala un'innegabile difficoltà del loro compito, nei termini in cui è formulato prova troppo: la stesso limite, infatti, non impedisce loro di riesaminare nel merito complesse operazioni, sotto la lente del più stringente entire fairness standard, nelle controversie relative a violazioni del duty of loyalty, in cui il margine di discrezionalità e opinabilità delle scelte di gestione non è, comunque, obliterato(27). Inoltre, anche l'enfasi posta sul pericolo di indurre gli amministratori a un'eccessiva avversione al rischio non pare tenere in adeguato conto le ampie coperture di cui già beneficiano gli amministratori rispetto alle azioni di responsabilità. Chi fa parte degli organi di gestione delle società costituite in Delaware, per esempio, si trova sostanzialmente già isolato dalle ricadute patrimoniali di iniziative giudiziarie riguardanti illeciti non commessi in mala fede, grazie alla combinazione tra: (i) le c.d. indemnification clauses, contenute negli statuti societari in conformità alla § 145(a) della Delaware General Corporation Law (in seguito: DGCL), secondo cui la società può indennizzare l'amministratore per spese o risarcimenti che possano conseguire ad azioni promosse da terzi; (ii) le D&O insurance policies sottoscritte a spese della società, normalmente prive di significativi meccanismi di monitoraggio da parte dell'assicuratore ed estese persino agli esborsi conseguenti alla maggior parte delle azioni esercitate dagli azionisti per conto della società stessa (c.d. derivative actions)(28); (iii) la normale chiusura delle controversie con accordi transattivi per cifre inferiori ai massimali stabiliti nelle polizze D&O(29). Per contro, vi sono ragioni per chiedersi se non sia proprio un'eccessiva esposizione degli amministratori ai meccanismi di mercato a rischiare di esasperare i loro atteggiamenti nei confronti del rischio d'impresa. Invero, anche accettando l'assunto per cui le dinamiche concorrenziali prima richiamate operino in modo efficace – ipotesi che per la verità non può darsi per scontata a prescindere dal contesto concreto – per un verso, i meccanismi di mercato, rispetto al sindacato giudiziario, sono ancor più direttamente dipendenti dai risultati delle scelte degli amministratori e, quindi, sono ancor meno in grado di discriminare tra condotte diligenti o negligenti, indipendentemente dagli esiti ottenuti; per altro verso, laddove tali meccanismi stabiliscano una correlazione "troppo diretta" tra risultati e conseguenze premiali per gli amministratori, senza il "contrappeso" della prospettiva di responsabilità può sorgere, all'opposto, una propensione diffusa a gestire le società in modo eccessivamente rischioso, nella ricerca di elevati guadagni nel breve termine, con il conseguente innalzamento del c.d. rischio sistemico, non diversificabile dagli azionisti(30). Questi sintetici rilievi non portano necessariamente a concludere che l'opzione di impedire, mediante la business judgment rule, una piena applicazione giurisprudenziale del duty of care sia priva di fondamento. In una prospettiva de jure condendo, il confronto sul piano funzionale tra questa impostazione della disciplina e le sue possibili alternative potrebbe continuare a lungo e dovrebbe scendere più in dettaglio. Per ciò che più limitatamente interessa in questa sede, però, quanto osservato mette in evidenza che le giustificazioni sul piano dell'efficienza solitamente evocate a sostegno della business judgment rule non risultano così decisive come il loro largo e indiscusso accoglimento tra gli interpreti suggerirebbe. Invero, accanto a queste ragioni si possono individuare ulteriori ordini di fattori che appaiono quantomeno concorrere a dare conto (se non proprio costituire i più autentici motivi) del solido radicamento di quell'impostazione nel contesto statunitense. Innanzitutto, sul piano degli interessi coinvolti, mentre si può discutere se comprimere l'enforcement del duty of care avvantaggi indirettamente anche i soci, è difficile contestare che tale scelta benefici direttamente gli amministratori(31), nonché – stando a quanto emerge da indagini empiriche sulle polizze D&O – le compagnie assicurative(32). Pare quindi lecito ipotizzare che l'ampia convergenza verso questa soluzione possa essere alimentata anche dal peso di tali interessi di categoria nelle dinamiche di formazione e interpretazione del diritto societario. Ma, soprattutto, le radici di tale convergenza appaiono attecchire, in ultima istanza, a livello culturale. Mutuando delle osservazioni già svolte tempo fa in dottrina italiana, si può infatti osservare che il tenore di molte delle argomentazioni portate a sostegno della sterilizzazione del duty of care sembrano sottendere una sorta di condivisa «legittimazione carismatica dell'imprenditore», che enfatizza sopra ogni altro aspetto la centralità dell'intuito e del senso degli affari nei problemi di gestione(33)e che, correlativamente, sminuisce l'importanza e l'utilità di individuare eventuali linee guida e best practices proprie di un'amministrazione diligente. Questa mentalità porta quindi a conservare un profondo scetticismo verso la possibilità di condurre uno scrutinio giudiziale sulla diligenza della condotta degli amministratori secondo parametri condivisi e non arbitrari, che consentano quantomeno di governare il rischio di un indebito http://0-pluris-cedam.utetgiuridica.it.opac.unicatt.it/cgi-bin/DocPrint?MODE=print&TEMPLATE=digesto&KEY0=DY:DIGESTO:5:digesto:%27DYGI0000004848%27:Digesto
6/6/2018 Digesto Online judicial secondguessing. E tale scetticismo induce, a sua volta, a rinunciare in partenza a elaborare più specifici criteri e strumenti di precisazione del duty of care, preferendo evitare il più possibile di applicarlo(34). Tra i risvolti di questo diffuso assunto implicito si trovano non solo molti passaggi dottrinali e giurisprudenziali, ma anche il rifiuto, che affiora nitidamente nei tentativi di definizione del duty of care a livello legislativo, di affermare verso gli amministratori l'esigibilità di una qualche minima competenza propria di quella carica (ovverosia, secondo il termine utilizzato nel contesto italiano, di una specifica perizia)(35). 6. Il persistente interrogativo circa uno spazio autonomo di responsabilità per sola negligenza. Il caso Van Gorkom. Se tra i giuristi statunitensi è quindi generalmente condivisa l'impostazione che assegna alla business judgment rule un ruolo limitante rispetto all'applicazione del duty of care, rimane però discusso fino a che punto tale direttiva di massima debba trovare concreta attuazione. Al di là dei passaggi in senso lato procedurali, interni all'articolazione del canone in discorso, si tratta, sul piano sostanziale, di un problema centrale nella concezione e nell'equilibrio complessivo della responsabilità degli amministratori. In estrema sintesi, infatti, l'interrogativo che continua a porsi è se, in ultima istanza, residui un qualche spazio autonomo di responsabilità per violazione del duty of care, anche a prescindere da violazioni del duty of loyalty, ovverosia anche qualora gli amministratori non abbiano agito in mala fede o nel perseguimento di interessi divergenti da quello della società. E, come si mostrerà più oltre(36), la recente ondata di azioni di responsabilità promosse dalla competente Autorità statunitense contro officers e directors di banche fallite ha messo in chiara luce come l'ambiguità di questo profilo della business judgment rule sia causa di differenti regimi di responsabilità nei diversi ordinamenti statali. Opinioni e argomentazioni sul tema non sono certo mancate. Ma le modalità con cui si è giunti ad affrontare la questione – peraltro di rado adeguatamente esplicitata – continuano a lasciare margini di indeterminatezza, alla luce dei quali il profilo in discorso non sembra potersi ritenere definitivamente assestato. Sul tema, l'evoluzione, di nuovo, del diritto del Delaware negli ultimi decenni ben illustra questo stato di latente incertezza. Fino alla metà degli anni Ottanta, infatti, le Corti del Delaware avevano pur affermato in alcune occasioni la possibilità che anche un comportamento «grossly negligent» degli amministratori potesse integrare una violazione dei loro fiduciary duties, ma si era sempre trattato di affermazioni ipotetiche, che mai avevano condotto a pronunce di condanna al risarcimento dei danni(37). L'unica decisione che ha inteso dare effettiva applicazione allo standard of gross negligence è stata resa dalla Corte di secondo grado nel 1985, nel ben noto caso Smith v. Van Gorkom(38). Ed è proprio per aver portato per la prima volta alle sue ultime conseguenze l'enunciazione di un duty of care component della business judgment rule che quella decisione è comunemente ricordata come la sentenza che più ha suscitato clamore nel diritto societario statunitense. La pronuncia, infatti, da subito interpretata come apertura di un nuovo varco sul fronte delle azioni di responsabilità verso gli amministratori, non solo ha notoriamente ricevuto molte critiche tra i commentatori, anche con toni estremi(39), ma ha altresì generato preoccupate reazioni nella categoria dei corporate directors and officers e accelerato la crisi che il mercato delle D&O insurance policies stava già attraversando, inducendo le compagnie assicurative ad alzare vertiginosamente i premi o addirittura a rinunciare a offrire copertura per quel tipo di rischio. Tanto che il Delaware e, sulla sua scia, quasi tutti gli altri Stati hanno in seguito rapidamente introdotto modificazioni legislative dirette a neutralizzare tali conseguenze(40). Tuttavia, il diffuso e netto dissenso verso la sentenza non si è tradotto in un definitivo chiarimento circa l'esclusione di una fiduciary liability degli amministratori per gross negligence. Quel dissenso, infatti, prevalentemente non si è indirizzato direttamente verso il principio di diritto applicato dalla Supreme Court, bensì verso l'impiego di quel principio nei fatti di causa(41). Invero, sul piano delle affermazioni in diritto, la sentenza Van Gorkom non solo, a oggi, non è mai stata oggetto di successivo overruling in relazione al tema in discorso(42)ma, anzi, continua a essere richiamata dalla giurisprudenza odierna tra i principali precedenti in tema di fiduciary duties e business judgment rule(43). 7. I due diversi modi di intendere il rapporto tra business judgment rule e duty of care. L'introduzione delle clausole statutarie di esonero dalla responsabilità per negligenza e la conseguente assenza di chiare prese di posizione nella giurisprudenza del Delaware. Gli ambiti di ipotetica permanenza del problema. Nel merito, le reazioni a questa decisione hanno fatto emergere più nitidamente la coesistenza di due diversi modi di intendere il rapporto tra business judgment rule e duty of care. Secondo una versione più fedele alla lettera delle enunciazioni tradizionalmente utilizzate, e in linea con l'impostazione della sentenza Van Gorkom, la business judgment rule non impedisce a chi agisce in giudizio di contestare la negligenza degli amministratori e, così, di ottenere una revisione giudiziale della condotta degli amministratori sotto il profilo del negligence standard, per quanto mantenuta nei limiti di valutazione del processo decisionale. In altri termini, la conformità al duty of care della condotta degli amministratori, http://0-pluris-cedam.utetgiuridica.it.opac.unicatt.it/cgi-bin/DocPrint?MODE=print&TEMPLATE=digesto&KEY0=DY:DIGESTO:5:digesto:%27DYGI0000004848%27:Digesto
6/6/2018 Digesto Online secondo questa visione, costituirebbe una precondizione per l'applicazione della business judgment rule e pertanto rimarrebbe uno spazio di responsabilità per negligenza nella valutazione della c.d. procedural due care, ovverosia, più precisamente, dell'acquisizione delle informazioni rilevanti e ragionevolmente disponibili nel decisionmaking process(44). Secondo una versione più forte, che interpreta la business judgment rule come «abstention doctrine», essa deve invece precludere ogni valutazione sulla condotta degli amministratori in assenza di elementi che mettano in serio dubbio il rispetto del duty of loyalty. Pertanto, svalutando o apertamente contestando la ricorrente enunciazione di un duty of care component nella business judgment rule, oppure delimitando il parametro di gross negligence a casi talmente gravi da integrare un pressoché certo conflitto di interessi, questa diversa visione giunge, in definitiva, a una sostanziale disapplicazione del duty of care degli amministratori(45). La contrapposizione non si è manifestata solo a livello dottrinale ma è talvolta affiorata, altresì, nella dialettica interna alle decisioni giurisprudenziali, segnalando una diversità di vedute anche tra i giudici che nel tempo si sono avvicendati nelle Corti del Delaware(46). Tuttavia, a livello giurisprudenziale il dibattito è rimasto sostanzialmente sottotraccia, senza espliciti e definitivi pronunciamenti, a causa principalmente dagli interventi legislativi originati dal caso Van Gorkom. Essi, infatti, hanno introdotto la possibilità per le società di inserire negli statuti delle clausole di esonero dei propri amministratori dalla responsabilità per violazione del duty of care(47)e, in breve tempo, tali exculpatory provisions sono state adottate da pressoché tutte le società (48). Di conseguenza, l'esigenza pratica di ritornare sull'esatta collocazione del duty of care rispetto alla business judgment rule è stata significativamente ridotta, consentendo così alla giurisprudenza di evitare sul punto aperte prese di posizione e di mantenersi, anzi, su indicazioni testuali ambivalenti. Come già riportato, per esempio, le Corti del Delaware tuttora continuano a fare riferimento alla stessa nozione di business judgment rule su cui si è basata la sentenza Van Gorkom. Ma questo e altri simili riferimenti giurisprudenziali al duty of care non appaiono necessariamente indicativi di una precisa posizione al riguardo, in quanto si tratta di accenni privi di incidenza sulla decisione. Anzi, tali riferimenti coesistono con altri passaggi in cui, tra i fatti idonei a consentire il superamento del nonreview standard, vengono contemplati solo elementi integranti mala fede, interessi in conflitto o comunque comportamenti abusivi, dando così l'impressione di considerare il duty of care component della business judgment rule niente più che un ornamento verbale(49). Per la verità, va rilevato che, anche in presenza dell'esenzione statutaria, rimane un'area di potenziale incidenza concreta del problema. Come è stato di recente rilevato dalla Corte superiore, infatti, nel diritto del Delaware i corporate officers sono soggetti ai medesimi fiduciary duties cui sono soggetti i corporate directors ma, d'altra parte, la § 102(b)(7) della DGCL autorizza le società a prevedere l'esenzione statuaria sopra riferita solo per i secondi e non per i primi(50). Pertanto, per l'operato degli officers continua a porsi anche oggi l'esigenza pratica di chiarire la concreta portata della responsabilità per violazione del duty of care in rapporto alla business judgment rule(51). Tuttavia, a quanto consta, le Corti del Delaware non hanno avuto – né cercato(52)– l'occasione per affrontare il problema nemmeno da questa più circoscritta angolazione. Inoltre, va altresì ricordato che la disapplicazione del duty of care concessa dalla citata § 102(b)(7) riguarda solo le azioni di risarcimento dei danni, mentre, come già accennato(53), la business judgment rule può venire in rilievo anche nei giudizi riguardanti la concessione di una preliminary injunction verso operazioni non ancora eseguite. Anche in questo ambito, quindi, permane una perlomeno potenziale incidenza del duty of care(54)e, con essa, la necessità di chiarire meglio il regolamento di confini tra tale dovere e la business judgment rule. Ma, anche a questo proposito, sinora il problema non ha sostanzialmente avuto modo di essere espressamente risolto dalle Corti(55). 8. L'ulteriore sviluppo in tema di duty of care nel caso Technicolor: l'intreccio delle valutazioni dei profili di care e loyalty nell'unitario standard of fairness. In sintesi, dunque, alla domanda se nel diritto del Delaware sia previsto uno spazio autonomo di responsabilità per negligenza degli amministratori non può essere, a stretto rigore, data una risposta univoca. Stando alle affermazioni generali, la risposta parrebbe affermativa. Ma, soprattutto da una prospettiva comparatistica, non ci si può fermare a tale livello: poiché si tratta di diritto di fonte giurisprudenziale e non di una previsione legislativa, occorre altresì tenere presente che, fatta eccezione per il noto e controverso caso Van Gorkom, il duty of care component della business judgment rule, pur non essendo mai scomparso dalle formule di rito impiegate nelle sentenze, nei fatti è rimasto in concreto privo di portata autonoma sulla responsabilità degli amministratori(56). E tale situazione ha, così, contribuito a lasciare in sospeso una sua più definita sistemazione concettuale e applicativa. Anzi, come è si è già notato e come emergerà ulteriormente a proposito della c.d. oversight liability (infra, par. 14), appare talora emergere nelle sentenze – mai però con statuizioni esplicite – la propensione della giurisprudenza a escludere, a prescindere da eventuali clausole di esonero, una fiduciary liability per sola violazione del duty of care. http://0-pluris-cedam.utetgiuridica.it.opac.unicatt.it/cgi-bin/DocPrint?MODE=print&TEMPLATE=digesto&KEY0=DY:DIGESTO:5:digesto:%27DYGI0000004848%27:Digesto
6/6/2018 Digesto Online Inoltre, quando, alcuni anni dopo, ha avuto occasione di ritornare sul tema del duty of care, la massima Corte del Delaware ha nuovamente disorientato gli interpreti con un'altra decisione che, pur poco compresa e da più voci criticata, è diventata un altro punto di riferimento per l'applicazione della business judgment rule ancora oggi seguito in quella giurisprudenza. Invero, nella controversia relativa a un'altra operazione di cashout merger, avvenuta precedentemente alla sentenza Van Gorkom ma portata in giudizio successivamente, la Court of Chancery aveva respinto l'azione di responsabilità verso gli amministratori della società in quanto, anche assumendo che il comportamento del board fosse stato gravemente negligente e, perciò, che non potesse beneficiare della protezione della business judgment rule, l'attore non aveva dimostrato che tale inadempienza avesse causato un danno(57). Ma nel giudizio di impugnazione la Supreme Court ha ritenuto errato tale ragionamento, affermando che, se l'attore supera la "presunzione" della business judgment rule dimostrando la negligenza degli amministratori, allora grava su questi ultimi l'onere di dimostrare la «entire fairness» dell'operazione sotto esame. Conseguentemente, la causa è stata rinviata alla Court of Chancery, affinché valutasse nuovamente la condotta degli amministratori in base al fairness standard(58). Con tale pronunciamento, per un verso, la struttura della business judgment rule ha acquisito maggiore uniformità, in quanto l'interpretazione offerta ha allineato sul medesimo effetto – l'assegnazione ai convenuti dell'onere di provare l'entire fairness degli atti in controversia – la dimostrazione fornita dall'attore su ognuno dei temi oggetto della business judgment "presumption" (secondo la nozione più volte riportata: buona fede, perseguimento dell'interesse della società, decisione informata). Nel merito, però, la decisione ha ulteriormente spaesato gli interpreti rispetto al convenzionale modo di concepire la responsabilità per negligenza. Il giudice di primo grado, infatti, aveva ritenuto di conformarsi a principi consolidati nell'ambito dei torts e già autorevolmente applicati anche agli amministratori di società (59). Non vedendo ragione di discostarsi da quelle tradizionali basi di partenza, molti commentatori hanno pertanto espresso stupito disaccordo verso la pronuncia della Corte superiore, soprattutto sotto due profili: da un lato, per avere la Corte assoggettato l'operato degli amministratori, mantenendosi sulla scia del caso Van Gorkom, a un vaglio ancor più esigente, esentando l'attore persino dalla dimostrazione del danno e del rapporto causale; dall'altro, prima ancora della distribuzione dei carichi probatori, perché non risulta immediatamente chiaro che senso abbia sottoporre una condotta, che è già stata giudicata negativamente sotto il profilo della negligenza, a un nuovo esame sotto il teoricamente più esigente standard of fairness, utilizzato quando è in questione la violazione del duty of loyalty(60). Nella visione espressa dalla Supreme Court, invece, la responsabilità per negligenza assume, nella cornice della business judgment rule, una fisionomia del tutto peculiare e la demarcazione tra duty of care e duty of loyalty viene significativamente attenuata, trovandosi entrambi ricompresi come parametri di valutazione sotto l'unitario entire fairness standard. 9. Il conseguente problema dell'incidenza della clausola statutaria di esonero sullo svolgimento del processo. La riconduzione della buona fede al duty of loyalty e la tendenza delle Corti a consolidare la portata delle clausole di esonero. A causa della già evidenziata diffusione delle clausole statutarie di esonero dalla responsabilità, anche questa configurazione sui generis delle conseguenze discendenti dal mancato rispetto del duty of care non è stata sufficientemente testata dalle Corti. Ma l'affermazione dello stretto intreccio tra duty of care e duty of loyalty nell'ambito dell'entire fairness review ha posto le basi per un successivo passaggio giurisprudenziale, riguardante il problema di delimitare la concreta portata dell'effetto preclusivo proprio delle exculpatory charter provisions. A livello pratico, invero, l'importanza di queste clausole sta nel consentire agli amministratori convenuti non soltanto di sottrarsi alla condanna al risarcimento dei danni al termine del giudizio ma, soprattutto, di ottenere una pronuncia a proprio favore già nella fase iniziale del procedimento, ricorrendo agli strumenti processuali della «motion to dismiss for failure to state a claim» e della «motion for summary judgment» (61). Nella misura in cui, infatti, l'azione di responsabilità sia promossa per fatti riconducibili alla violazione del duty of care, lo svolgimento del processo sarebbe comunque privo di utilità, in quanto – anche ammettendo per ipotesi tutto quanto allegato dalla parte attrice – l'esenzione statutaria precluderebbe comunque la condanna al risarcimento dei danni. Mediante le istanze menzionate, allora, gli amministratori possono su queste basi richiedere un'anticipata pronuncia di rigetto, evitando così di attraversare la fase istruttoria del processo e, di conseguenza, di sostenere le ingenti spese legali che il più delle volte spingono a cercare comunque una transazione in questo tipo di liti. Se, però, questo importante effetto preclusivo ha trovato applicazione senza particolari problemi qualora le allegazioni di chi agisce siano chiaramente ed esclusivamente confinate entro l'ambito della negligenza(62), dopo la sentenza Technicolor si è posto per gli interpreti il problema di stabilire l'esatta portata di questo effetto nell'ambito di azioni in cui venga congiuntamente contestato il rispetto sia del duty of loyalty, sia del duty of care. Da una parte, infatti, secondo la sentenza Technicolor, in questi casi l'entire fairness review deve svolgersi tenendo conto della conformità della condotta degli amministratori a tutti i doveri fiduciari complessivamente considerati. Ma, dall'altra parte, per poter dare rilievo alla clausola http://0-pluris-cedam.utetgiuridica.it.opac.unicatt.it/cgi-bin/DocPrint?MODE=print&TEMPLATE=digesto&KEY0=DY:DIGESTO:5:digesto:%27DYGI0000004848%27:Digesto
6/6/2018 Digesto Online di esonero, rimane da determinare in che modo e, soprattutto, a che punto del procedimento si possano separare, in siffatto giudizio, i profili di responsabilità. Nel tentativo di indicare come debba essere risolta la tensione tra questi due poli, la Supreme Court ha in un primo momento ribadito fermamente l'impostazione della sentenza Technicolor, correggendo successivi "cedimenti" della Court of Chancery, e stabilendo che nei casi in cui le allegazioni attoree pongano in dubbio anche il rispetto del duty of loyalty, allora la presenza di una exculpatory charter provision non può determinare una chiusura anticipata del giudizio, ma può essere presa in considerazione solo a esito (negativo) di un complessivo riesame dell'entire fairness dell'operazione. Solo a questo stadio, infatti, l'esonero statutario può venire in rilievo per distinguere i profili di responsabilità e precludere la condanna dei soli amministratori a cui può essere imputata esclusivamente una violazione del duty of care(63). A causa del tenore generale di molti dei passaggi con cui è stata formulata, la sentenza Emerald Partners è stata per diverso tempo suscettibile di interpretazioni non univoche, lasciando un margine di ambiguità circa l'estensione della portata delle indicazioni ivi espresse. In particolare, la sentenza ha dato adito a una possibile lettura particolarmente ampia, implicante, correlativamente, un considerevole ridimensionamento dell'importanza dell'esenzione statutaria per i singoli amministratori. Secondo questa lettura, nella fase iniziale del procedimento non può essere dato valore dirimente alle clausole di esonero ogniqualvolta l'operazione in controversia debba essere assoggettata alla entire fairness review, indipendentemente dalle contestazioni rivolte nei confronti dei singoli amministratori. Perciò, di fronte, per esempio, a un'operazione della società con il socio di controllo, per la sola necessità di adottare lo standard of fairness nella valutazione complessiva della legittimità dell'operazione, ciascun amministratore convenuto dovrebbe comunque restare in giudizio fino all'esito del procedimento, rimanendo irrilevante se nei suoi specifici confronti siano o non siano state avanzate delle «nonexculpated claims» (64). Chiamata di recente a risolvere le residue ambiguità sul punto, la Supreme Court ha tuttavia ritenuto preferibile dare alla sentenza Emerald Partners un'interpretazione più circoscritta, la quale, sebbene in definitiva riduca le affermazioni contenute in quella pronuncia a considerazioni sostanzialmente ovvie, è apparsa alla Corte sorretta da più solide ragioni di policy. Richiamata la necessità di contestualizzare le enunciazioni della sentenza Emerald Partners all'interno del caso in essa affrontato, e affermata l'imprescindibile necessità di considerare individualmente sin dall'inizio del procedimento la posizione di ogni amministratore, la Corte ha infatti statuito che, qualsiasi sia lo standard of review applicabile all'operazione oggetto di controversia, la motion to dismiss avanzata da un amministratore indipendente sulla base dell'esonero statutario debba essere accolta qualora nelle allegazioni attoree manchino «non exculpated claims» nei suoi confronti(65). In una visuale più generale, questa pronuncia risulta l'ultima manifestazione di una costante propensione della giurisprudenza a difendere e, anzi, a valorizzare il ruolo e la portata delle exculpatory charter provisions di fronte ai ripetuti tentativi avanzati nella prassi forense di recuperare uno spazio di rilevanza della responsabilità degli amministratori anche al di là delle violazioni del duty of loyalty. Il medesimo atteggiamento si è infatti nitidamente manifestato anche in precedenza, in relazione alle incertezze interpretative sorte per un certo tempo in dottrina e giurisprudenza intorno all'inquadramento del «duty to act in good faith» degli amministratori. Invero, sebbene i fiduciary duties degli amministratori siano stati tradizionalmente identificati nella bipartizione tra duty of care e duty of loyalty, alcune espressioni coniate dalla Supreme Court, di nuovo, nella sentenza Technicolor, hanno sollevato tra gli interpreti l'interrogativo se, oltre a queste due componenti, anche il «duty to act in good faith» possa costituire una terza e autonoma base di responsabilità per i gestori dell'impresa(66). E la rilevanza pratica di tale interrogativo si è principalmente concretizzata nel tentativo di esplorare una possibile nuova via per superare la barriera opposta dalle clausole statutarie di esonero e contestare la condotta degli amministratori anche in mancanza di potenziali conflitti di interesse(67). Come già riferito, infatti, le previsioni legislative che contemplano queste clausole espressamente escludono la possibilità di esonerare gli amministratori, oltre che per violazioni del duty of loyalty, «for acts or omissions not in good faith or which involve intentional misconduct or a knowing violation of law» [§ 102(b)(7) DGCL]. Tuttavia, a partire dal noto caso Disney, la Supreme Court ha risolutamente respinto tali tentativi. Da un lato, rimarcando la distinzione tra gross negligence e bad faith, essa ha affermato l'opponibilità dell'esonero statutario anche nei confronti di azioni che cerchino di imputare alla mala fede degli amministratori condotte che, al più, possono essere ritenute gravemente negligenti. Dall'altro, la Corte ha più esplicitamente accentuato la connotazione soggettiva della mala fede, chiarendo che essa richiede «a showing that the directors knew that they were not discharging their fiduciary obligations», e ha perciò precisato che il duty to act in good faith non rappresenta un terzo e autonomo dovere fiduciaro, bensì semplicemente «a subsidiary element (...) of the fundamental duty of loyalty» (68). In definitiva, alla luce non solo della chiusura opposta ai possibili spazi di incidenza applicativa del duty of care, ma anche della condivisione che le pronunce non di rado esprimono chiaramente verso le ragioni dell'esonero statutario, non sembra azzardato ipotizzare che, se non fosse intervenuta la legislazione statale a indicare la via delle exculpatory provisions, probabilmente dopo la sentenza Van Gorkom il duty of care component della business judgment rule sarebbe stato più apertamente ripudiato dalle Corti del http://0-pluris-cedam.utetgiuridica.it.opac.unicatt.it/cgi-bin/DocPrint?MODE=print&TEMPLATE=digesto&KEY0=DY:DIGESTO:5:digesto:%27DYGI0000004848%27:Digesto
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