Clima: come e cosa sta cambiando oltre l'emergenza? - Amazon S3
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Clima: come e cosa sta cambiando oltre l’emergenza? “Il Coronavirus non terrebbe conto delle variazioni climatiche”. Questo è il risultato di uno studio in costante evoluzione condotto da un gruppo di studio multidisciplinare accademico e tecnico, di cui fa parte il professore Massimiliano Fazzini. Prima dell’emergenza, abbiamo contattato il professore Fazzini, in merito ad un’altra emergenza, tutt’ora presente e con cui ben presto torneremo a farci i conti. Clima, emergenza costante Abbiamo parlato di clima e di cambiamenti climatici, con il professore Massimiliano Fazzini, docente dell’Università di Camerino e Ferrara, ricercatore, nonché responsabile del gruppo sul rischio climatico di SIGEA ed esponente dell’Association Internationale de Climatologie. “Siamo quasi alla fine dell’inverno astronomico ma già da un mese per le api, animale operaio alla base della nostra catena alimentare, è primavera. Tutto questo non è sicuramente un bene. L’estremizzazione meteo-climatica è assodata: gli eventi meteorici sono per lo più intensi e di breve durata. Allo stesso tempo stiamo assistendo ad un allungamento dei periodi di siccità”. Ci siamo lasciati alle spalle eventi piovosi che, loro malgrado hanno riportato, sempre più spesso, all’attenzione della cronaca il territorio e le sue fragilità, con crolli di infrastrutture e fenomeni di versante ed alluvionale di una certa importanza. Forse la domanda, scomoda, ma più appropriata è: le nostre infrastrutture sono al passo con i cambiamenti climatici a cui
stiamo assistendo? Fin da subito è opportuno chiarire la differenza sostanziale tra clima e meteo e come queste due grandezze siano collegate. Il clima corrisponde all’insieme delle condizioni medie atmosferiche, ovvero temperatura, umidità, vento, pressione, precipitazioni, valutate in una certa area geografica considerando un periodo di tempo piuttosto lungo, di almeno un trentennio, meglio se esteso per 60 anni. Il termine clima non deve essere confuso con quello di “meteo” che, invece, comunemente indica lo stato atmosferico di un punto in un ben preciso momento, pertanto una grandezza spazio temporale puntuale. A partire dagli anni ’70, l’incremento termico registrato nel territorio fisico italiano, ed in generale nel bacino mediterraneo, è superiore ad 1°C. A questo occorre abbinare il trend delle precipitazioni: in questi ultimi anni si è assistito ad un cambiamento in termini di distribuzione ed intensità delle fenomenologie meteoriche. Si sta di fatto assistendo ad una estremizzazione del clima e questo può essere descritto da due punti di vista: termico e meteorico. È opportuno precisare che il singolo evento atmosferico ed il suo manifestarsi non conferma il cambiamento climatico in atto, mentre il susseguirsi di eventi atmosferici anomali può derivare o confermare l’appena citato cambiamento climatico. Estremizzazione del clima: punto di
vista termico e l’incidenza delle precipitazioni Nelle estati future probabilmente si avrà meno acqua a disposizione, il regime nivometrico sta cambiando. Il segnale evidenzia una maggiore quantità di neve che cade nella seconda parte dell’inverno ed in primavera. L’acqua di fusione tenderà prevalentemente a ruscellare piuttosto che ricaricare i vari tipi di acquifero, comprese le falde più superficiali. In alcune aree costiere, in particolar modo in quelle polesane e romagnole, stiamo assistendo al fenomeno di ingressione del cuneo salino che porterà ad avere una minore disponibilità di acqua dolce, impiegata per l’irrigazione delle aree adibite ad uso agricolo con ovvie ripercussioni sulla loro produttività. Quanto all’evidenza di precipitazioni piovose sempre più intense e concentrate, ciò comporterà purtroppo una minore disponibilità della risorsa idrica, oltretutto con proprietà organolettiche peggiori. In questo secolo si sta assistendo a precipitazioni più intense e distribuite su un numero inferiore di giorni. Statisticamente si osserva un notevole incremento delle cumulate per singolo fenomeno sino ad 80 – 100 mm, ma più raramente si possono raggiungere anche i 300 mm, come avvenuto più volte nell’ultimo trimestre autunnale nelle regioni nord occidentali del paese. La frequenza di questi eventi sta aumentando, pertanto è fisiologico per le opere di presidio idraulico ed idrogeologico non ragionare più in termini di periodo di ritorno. D’altro canto la regimazione idraulica non deriva solo da certe tipologie di piogge ma anche dal problema opposto: il protrarsi dei periodi di siccità.
Rischio idraulico ed idrogeologico: misure ed interventi, come operare? Troppo spesso, quando assistiamo ad eventi piovosi che mettono in crisi il nostro territorio, vengono fatti esempi e paragoni fuori luogo. Citiamo ad esempio, il fenomeno dell’acqua alta a Venezia ed il presidio che si sta costruendo per ostacolarla, il Mose: non entro nel merito dell’aspetto ingegneristico, ovviamente, ma di quello di innalzamento delle acque assolutamente sì. Nel 1966, anno dell’alluvione a Firenze, l’acqua alta a Venezia raggiunse la quota 194 cm a seguito di eventi piovosi particolari ed intensi. Molto spesso quando ci si riferisce all’acqua alta di Venezia, il fenomeno è spesso raffrontato con quanto accade nei Paesi Bassi. Esiste una profonda differenza tra le due situazioni: il bacino in cui accade il fenomeno, ovvero il bacino chiuso del Mar Mediterraneo e quello aperto dell’oceano Atlantico. L’innalzamento delle acque è maggiormente percepito in un bacino chiuso benché i numeri dicano esattamente il contrario. Altro aspetto, che concorre a definire il rischio, è l’esposizione ovvero vite umane e infrastrutture, beni materiali esposti al possibile pericolo di un evento idrogeologico. A mio parere le misure possono suddividersi, macroscopicamente, in due categorie: soft e hard. I primi si basano, principalmente su misure preventive e di autoprotezione: ricadono in questo ambito ad esempio i contratti di fiume, l’educazione e la formazione della popolazione, nonché la redazione dei piani di emergenza a diversa scala territoriale. Gli interventi “pesanti” corrispondono ad esempio alle opere strutturali di mitigazione del rischio, il ciò implica investimenti economici e programmazione di interventi
lungimiranti. Il decreto clima, è la soluzione? Cosa occorre ancora? In Italia non esiste ancora un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, o meglio è stato finito di redigere più di un anno fa (Pnacc), ma non ha subito ad oggi revisioni e riletture. Attualmente è sottoposto a VAS con ovvi ulteriori ritardi eventuale approvazione. Il Pnacc si propone di dare impulso all’attuazione della SNAC. L’obiettivo generale è quello di offrire uno strumento di supporto alle istituzioni nazionali, regionali e locali per l’individuazione e la scelta delle azioni più efficaci nelle diverse aree climatiche, in relazione alle criticità che le connotano maggiormente e per l’integrazione di criteri di adattamento nelle procedure e negli strumenti già esistenti. Il Piano definisce macroregioni climatiche, omogenee per le aree terrestri e per le aree marine. Si tratta di porzioni di territorio aventi condizioni climatiche simili durante un periodo storico di riferimento, e identifica, al loro interno, aree che in futuro dovranno fronteggiare anomalie climatiche simili, chiamate aree climatiche omogenee. L’obiettivo generale si declina in quattro obiettivi specifici: contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici; incrementare la capacità di adattamento degli stessi; migliorare lo sfruttamento delle eventuali opportunità; favorire il coordinamento delle azioni a diversi livelli. Attraverso il decreto clima si evidenzia l’urgenza di una
strategia di: prevenzione, ovvero mitigazione concentrata nella drastica riduzione dei gas serra, che secondo Agenda 2030 deve diminuire in maniera efficace e perentoria; adattamento che può essere di tipo “leggero” o “pesante”. Si tratta di un passo, ma a mio avviso è uno strumento normativo limitato e deludente. Per gestire il rischio idraulico ed idrogeologico occorre prima possibile disporre di un auspicato SMND – servizio meteorologico nazionale distribuito, a cui si potrebbe gradualmente arrivare grazie alla nascita dell’agenzia ItaliaMeteo. Chi è Massimiliano Fazzini? Professore Massimiliano Fazzini Dottorato di ricerca in Geologia applicata, Idrogeologia e Geomorfologia specializzazione climatologia applicata – Università degli Studi di Perugia; Professore di Fisica dell’atmosfera, Climatologia e Meteorologia operativa presso l’Università degli Studi di Camerino; Professore di Rischio Climatico e Geologia Applicata presso l’Università degli Studi di Ferrara; Professore di rischio climatico presso l’Università Paris Sorbonne – Denis Diderot. Ha insegnato climatologia e meteorologia applicata anche
presso le Università di Roma Tre, e Siena, in numerosi master di primo e secondo livello e per scuole estive Certificatore nazionale DEKRA per meteorologi e tecnici meteorologi. Qualifica di meteorologo e nivologo presso Meteo France. Membro dell’AIC (Association Internationale de Climatologie) del quale ha fatto parte del Conseil scientifique dal 2006 al 2012. Ha organizzato il Colloque internationale de Climatologie di Rovereto 2011 e il congresso dell’ICAM del 2019 a Riva del Garda. Coordinatore nazionale gruppo rischio climatico della SIGEA Dal 2011 al 2016 Supervisore scientifico nazionale del Corpo forestale dello Stato – Servizio Meteomont per tematiche inerenti lo studio della neve e delle valanghe. Dal 2009 al 2013 consulente dell’ARPC (Agenzia regionale protezione civile) della Regione Molise, in qualità di formatore dei meteorologi e degli idrologi. Dal 2001 svolge attività di ricerca accademica anche all’estero (Sorbonne Paris, Grenoble, Liege) nelle tematiche inerenti la climatologia applicata e la nivologia, coordinando gruppi di lavoro in climatologia in progetti europei (LIFE, HORIZON 2020, transfrontalieri). Autore di 3 piani di adattamento comunali ai cambiamenti climatici (Ancona, Fermo, Senigallia) E’autore o coautore di 150 pubblicazioni scientifiche, prevalentemente su riviste internazionali, coautore di 3 libri e di tre carte geomorfologiche. Svolge il ruolo di chairman a numerosi congressi internazionali di meteorologia e climatologia. Specializzato in meteorologia sportiva: previsore ufficiale a numerose manifestazioni di livello internazionale, tra i quali la Coppa del Mondo di sci alpino e di snowboarder cross a Cortina, i campionati mondiali di sci nordico FIEMME 2003 e 2013 ed il Giro d’Italia postumi al 2016.
Puoi anche leggere