Breve storia dell'insurrezione di Genova (stralcio)

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               Paolo Emilio TAVIANI                              ..

Breve storia dell'insurrezione di Genova (stralcio)

                                                      cPC

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               PAOLO EMILIO      T A VIANI

              BREVE         STORIA
            DELL 'INSURREZIONE
              DI    GENOVA

                     v EDIZIONE
                      300 MIGLIAIO

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                      ROMA 1960

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                   PaoloEmilio TAVIANI

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    Il Comitato di Liberazione Nazionale si è co-
stituito a Genova il 27 luglio 1943.
    Vi partecipavano i rappresentanti del Partito
d'Azione, del Partito Socialista, della Democrazia
Cristiana, del Partito Comunista, a cui tosto si
unirono anche i rappresentanti del Partito Libe-
rale. Nel maggio del 1944 entrò a far parte del
C.L,N. anche il Partito Repubblicano.
    Durante i 45 giorni badogliani, l'attività del
C.L.N. di Genova fu volta soprattutto a far giun-
gere al governo di Roma la voce del popolo li-
gure, che chiedeva una più efficace epurazione
del fascismo e una immediata cessazione delle
ostilità con le Nazioni Unite.
   Il C.L.N. di Genova prevedeva che la situa-
zione non sarebbe stata facile al momento dell'ar-
mistizio, e per questo propugnava, appunto in una
seduta del 7 settembre, che il popolo fosse chia-
mato a difendere la città contro la prevista occu-
pazione tedesca. Le truppe naziste, infatti, du-

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            rante il periodo badogliano, si erano collocate nei
            punti strategici più importanti, sulle alture che
            circondano Genova, e avevan? occupato le posi-
            zioni migliori del porto.
                Giunse, la sera dell'8 settembre, la notizia del-
            l'armistizio. Il Comitato si poneva a disposizione
            del prefetto Letta, per qualsiasi evenienza; la
            mattina del 9, i membri del C.L.N. si recavano
            personalmente all'albergo Bristol dal prefetto, ma
            ormai non c'era più nulla da fare. Gli avvenimenti
            precipitavano. I reparti germanici sfilavano can-
            tando in via XX Settembre, mentre lunghi convo-
            gli di autocarri, carichi di prigionieri dell'esercito
            regio, si avviavano ai campi di concentramento.
              Nella notte fra 1'8 e il 9 settembre, i tedeschi
            si erano impadroniti della città, del porto e delle
            alture circostanti. Mentre i tedeschi mettevano in
            atto i loro piani, da gran tempo predisposti, i no-
            stri soldati, senza alcuna consegna, bighellonava-
            no sino a tarda sera in libera uscita. Facile riusciva
            ai germanici disarmarli e catturarli. Il popolo di-
            seducato e impreparato, anziché combattere, si
            era abbandonato a intempestive manifestazioni
            di gioia. Cominciava un triste periodo della nostra
.,          storia. Triste, ma non disonorante, perché, accan-

            to all'oppressione nazista, ai tradimenti di po-
            chi fanatici e di qualche incosciente, alla vigliac-
            cheria e alla debolezza di alcuni, si deve contare
            all'attivo di questo periodo la magnifica opera

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che, all'ombra della cospirazione, hanno compiu-                *

to le più belle menti e i più bei cuori di Genova
e della Liguria tutta.
    Il Comitato di Liberazione Nazionale comin-
ciò ad agire cospirativamente. Dalle case sini-
strate alle sacrestie, ai conventi, poi negli allog-
gi privati di persone non sospette, nelle garçon-
nières, nelle umili case di lontani sobborghi: per
venti mesi il Comitato si radunò, due, tre volte la
settimana, braccato dalla polizia, dalle S.S., dai
fascisti; sorvegliato e protetto da uomini fidi -ex
carabinieri, operai, giovani studenti inquadrati
nelle squadre di città; servito -per l'opera di se-
greteria e per i collegamenti -da tre sole perso-
ne: una signorina abile e coraggiosa fungeva da
stenografa; un'altra signorina, dall'aspetto sereno
e insospettabile, teneva i collegamenti; e un gio-
vane di 25 anni, sopportava, con abnegazione
eroica, quasi tutto il peso e il rischio dell'organiz-
zazione delle adunanze e della segreteria.
    Volta a volta, quasi tutti i membri del C.L.N.
furono rintracciati dalla polizia e dalle S.S.. Uno,
l'avv. Lanfranco, fu deportato e ucciso; altri fu-
rono deportati, altri arrestati, tutti ricercati. Dei
presenti 1'8 settembre, soltanto l'autore di queste
pagine e l'avvocato Errico Martino, che fu pre-
fetto della provincia di Genova immediatamente
dopo la liberazione, ebbero le ventura di poter

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           continuare la loro opera, sia pure attraverso diffi-       ~
           coltà inimmaginabili, fino al momento della in~ur-
           rezione finale.

              Troppo lungo sarebbe tracciare la storia del-
           l'attività svolta nella città di Genova e in Liguria
           durante il periodo cospirativo. Basti accennare a
           un riuscito sciopero dei tram nel dicembre '43; al-
           la propaganda svolta a mezzo della stampa, pri-
           ma, e poi, dopo la fucilazione dello stampatore
           Giovanni Bertora, a mezzo di materiale ciclosti-
           lato; alla organizzazione delle squadre cittadine
           e delle divisioni partigiane, prima direttamente
           dipendenti dai Partiti e dal Comitato, poi coor-
           dinate in un Comando Militare Regionale Ligu-
           re, di cui fu comandante il generale Cesare Rossi,
           e, dopo il suo arresto, che doveva concludersi nel-
           la tragica morte, il generale Enrico Martinengo.

              Al momento della vittoria finale, dipendeva-
           no da questo Comando 15.000 uomini, bene
           equipaggiati e armati, ripartiti in quattro zone
           su tutta la cresta appenninica ligure. Il Coman-
           do della 6a zona che, pure spostandosi continua-
           mente, aveva sempre gravitato attorno al mas-
..siccio          dell' Antola, era il più vicino alla città di
           Genova, e gli competevano perciò il grave com-
           pito e l'onore di coordinare la preparazione mi-
           litare con l'insurrezione cittadina. Comandava la
           6a zona il colonnello Miro -adusato alla guerra

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partigiana -e ne era vice comandante Canevari                     .
(avv. Lasagna) -riparato sui monti d~lla città, no-
nostante i suoi non più verdi anni e le sue abitu-
dini signorili.
  La storia della vita partigiana non può esse-
re trattata in queste poche pagine: fu storia di
eroismi e di sacrifici, di rastrellamenti feroci, di
assalti, di colpi di mano, di azioni intrepide e ga-
gliarde. Fu la storia di sofferenze inaudite, spe-
cialmente durante i due freddi inverni, finchè -
e questo avvenne solo nel gennaio 1945 -non fu
paracaduta nella 6a zona una missione anglo-
americana, che fece pervenire le armi e gli equi-
paggiamenti. Allora l'esercito partigiano si tra-
sformò nell'aspetto, pur conservando lo spirito di
sempre: quello dei Laghi del Gorzente, allorchè
nella primavera del '44 più di cento uomini veni-
vano uccisi e una intera brigata, lacera e male ar-
mat~, fu sopraffatta dalla concentrica azione di
migliaia di tedeschi e fascisti, forti di carri arrpati,
lanciabombe e aeroplani; quello del primo sparu~
to gruppo che. attorno a un tenente degli alpini,
che doveva poi diventare il leggendario Bisagno,
 si era costituito. fin dall'8 settembre, sui monti di
Barbagelata e di Fontanigorda.

   Mentre i partigiani combattevano sui mon-
ti, in città si lavorava in mezzo a difficoltà di
ogni sorta, per aiutarli. alimentarli.   equipaggiarli

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        e provvederli di denaro. Al tempo stesso, si pre-         ~

        parava, moralmente e materialmente, il popolo al-
        la resistenza attiva e all'insurrezione.
            Accanto al Comitato di Liberazione centra-
        le una pleiade di Comitati di comune, di delega-
        zione, di rione, di azienda, sorse, a poco a poco,
        attraverso i lunghi mesi della cospirazione. I par-
        titi svolgevano un'opera di fattiva propaganda,
        di ricerca di fondi, di assistenza alle vittime po-
        litiche.. Attraverso mille .vie, la voce del C.L.N.
        per la Liguria -che si considerava unico gover-
        no legittimo -giungeva a tutti i ceti sociali; sic-
        ché, nell'aprile, quando i tempi erano ormai maturi
         per l'insurrezione finale, il popolo genovese e ligure
         si trovava con una ben diversa preparazione di
        quanto non possedessel' 8 settembre.
         E ben diversi furono i frutti. L'insurrezione di
        Genova ha riscattato l'infausto 8 settembre.
           Essa costituisce l'unico episodio della seconda
        guerra mondIale, considerata in tutti i suoi vari
        fronti, in cui un corpo di esercito, forte e organiz-
        zato, si è arreso dinanzi agli insorti. E' stata, sen-
        za dubbio alcuno, l'episodio più signifiGativo nel-
.,      la liberazione dell'Italia settentrionale. Gli Allea-

        ti lo hanno riconosciuto; un obiettivo esame dei
        fatti lo dimostra.
          Genova era, ed è, una piazzaforte. Effettivi
        tedeschi, paragonabili a una divisione, erano stan-

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ziati nella cinta della Grande Genova e nelle im-              ..
mediate vicinanze; nel porto e a Nervi erano for-
ti reparti della marina germanica oltre a reparti
repubblichini; sulle alture: batterie di cannoni leg-
geri, pesanti e pesantissimi, provviste di abbon-
danti munizioni.
  Le truppe tedesche, nell'aprile, erano ancora
bene armate e, per quanto lo spirito non fosse
più quello degli anni trascorsi, i loro ufficiali non
concepivano neppure la possibilità di dover scen-
dere a patti con dei borghesi e dei popolani in
armi.
  Invece fu questo il risultato a cui si giunse,
dopo due giornate di vivacissima lotta. La sera
del lunedì 23 aprile, le autorità fasciste fuggivano
dalla città. Il generale germanico Meinhold face-
va sapere al Cardinale Arcivescovo che le truppe
tedesche avrebbero abbandonato la città e la pro-
vincia in quattro giorni, che non l'avrebbero di-
strutta, se non in qualche impianto bellico, pur-
chè avessero potuto attuare indisturbati i loro mo-
vimenti.
  Chiamato dal Vescovo Mons. giri per riceve-
re questa comunicazione, io gli feci subito pre-
sente che il Comitato di Liberazione non avreb-
be potuto accettare alcuna formula di trattative
con i tedeschi, poiché troppi esempi scottanti si
avevano della malafede nazista.

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            Comunicai ogni cosa a Martino         e tosto con-      ..

          vocammo d'urgenza il Comitato e il Comando
          Regionale. L'uno e l'altro erano composti di
          persone ricercate attivamente dalle S.S. e che
          vivevano da mesi alla macchia, cambiando conti-
          nuamente abitazione, quando non addirittura i
          connotati. La formula prevista per la convocazio-
          ne definitiva consisteva nell'avvertire ogni mem-
          bro che era giunto il momento di aprire una bu-
          sta sigillata in suo possesso,e di recarsi alla chie-
          sa dedicata al Santo effigiato nell'immagine con-
          tenuta nella busta stessa. L'immagine era di San
          Nicola, e il Comitato si radunò in quel Collegio,
          nel quale già aveva svolto, venti mesi innanzi, al-
          cune delle sue prime sedute cospiratorie. La riu-
          nione del Comitato ebbe inizio alle ore 21 del lu-
          nedì 23 aprile. Toccò a me -per il normale turno
          fra i partiti -la presidenza della seduta. Erano
          presenti Gabanizza, Cassiani Ingoni, Martino, To-
          ni e Loi. Fessi ci raggiunse all'alba del 24. E sem-
          pre nel mattino del 24, si ricongiunse con noi Fa-
          ralli, sfuggito alle carceri di Marassi.
             La seduta -nella sera del 23 e nelle prime ore
..della          notte fra il 23 e il 24 aprile -non fu tranquil-
          la. A un primo esame della situazione non tutti
          erano concordi sulla necessità di iniziare l'azione.
           Non si dibattevano questioni politiche, ma soltan-
          to questioni di opportunità tattica. Alla fine, poco
          prima dell'una di notte, il Comitato decise l'azio..

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       ne. Il piano operativo A, predisposto per l'insurr~-              ~

        zione cittadina dal Comando di Piazza, agli ordini
        del Comando Regionale, fu immediatamente po-
        sto in atto. Fra le quattro e le cinque del mattino
        si udirono nella città le prime fucilate. Poi -come
        quando una miccia raggiunge un carico di esplosi-
        vo -l'insurrezione divampò.
           Alle dieci del mattino del 24 aprile il Palazzo
        del Comune, i Telefoni, la Questura, le Carceri di
        Marassi erano in mano del popolo in rivolta. Le
        squadre di azione patriottica (SAP), che si preve-
        devano forti di circa 3000 uomini, erano diventate
        improvvisamente di 5, lO, 20 mila uomini. Ai predi-
        sposti quattro comandi di settore -Sestri Ponente,
        VaI Polcevera, Genova Centro, Albaro Nervi -era
        un continuo affluire di nuove squadre che, lì per
        lì, si costituivano con le armi tolte ai fascisti e ai
        militari dell'esercito repubblichino. Tutto il popo-
        lo genovese si era armato: vecchi, adulti, ragazzi.
        Genova acquistava coscienza della sua fierezza, e
         compiva gesta che, dall'età di Balilla, le sue strade,
         i suoi vicoli più non conoscevano.
            Dei fascisti, ormai, non c'era più neppure
..l'ombra;         nessuno, proprio nessuno, aveva avuto il
         coraggio di opporre la benchè minima resistenza;
         ma, se i fascisti erano spariti, non erano spariti i
         tedeschi, che si mostravano disposti all'estrema re-
         sistenza, pur di mettere in atto .ordinatamente, se-
         condo i loro piani, il ripiegamento.

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             Intanto il Comando Militare Regionale ave-
          va fatto interrompere -mediante l'abbattimento
          di pochi pali a traliccio -la circolazione ferrovia-
          ria in tutta la Liguria e verso il Piemonte, con il
          conseguente impedimento dei movimenti ferro-
          viari da parte delle truppe germaniche in ritirata.
          Per la trazione a vapore, il Comando aveva da
          tempo provveduto a far smontare dal maggior nu-
          mero possibile di' locomotive alcune parti essenzia-
          li (bielle, valvole, ecc.) al doppio scopo di impedi-
          re al momento critico l'effettuazione di treni a va-
          pore e di evitare la cattura delle macchine da parte
          dei tedeschi. Infatti, quando questi ultimi richie-
          sero le locomotive, esse non poterono venir utiliz-
          zate, né asportate.
             I vari Comandi tedeschi, che avevano, tra l'al-
          tro, commesso l'errore di mandar via preventiva-
          mente i loro uffici e i bagagli, si trovarono isolati
          nei posti di comando e perciò completamente sor-
          presi e disorientati. Essi infatti avevano: i colle-
          gamenti telefonici tagliati; le strade ordinarie bloc-
          cate; le ferrovie che non funzionavano. Erano per-
          ciò impossibilitati ad attuare il loro piano di riti-
          rata verso il Piemonte.
..Nella             notte fra il 23 e il 24, qualche colonna
          tedesca era riuscita a uscire dal centro della città,
          ma in essa rimaneva ancora il grosso delle forze.
          Durante la mattinata, altre colonne tentavano di
          avviarsi verso la Valle del Polcevera, ma si trova-

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PaoloEmilio TAVIANI

vano assalite vigorosamente dalle squadre geno-                  -
vesi. Una delle più feroci battaglie fu combattuta
proprio in piazza De Ferrari, dove 300 tedeschi
furono dispersi, 3 cannoni conquistati e due auto-
carri, carichi di munizioni, fatti saltare. In questa
battaglia -di cui gli Alleati poterono constatare,
ancora dopo parecchi giorni, i vistosi trofei -i gio-
vani delle squadre cittadine sono andati all'assalto
contro dei cannoni anticarro che sparavano su di
loro con l'alzo a zero. Molto maggiore fu il nume-
ro dei morti da parte genovese che non da parte
tedesca, ma il risultato fu ottenuto. Sempre nella
giornata del 24, la banda di un certo Rafie, un
estroso manovale di Prè, ripuliva dai tedeschi la
parte vecchia della città, verso il porto: oltre 50
morti contava questa banda nelle sue file, a cui se
ne aggiungevano 20 in un solo scontro, sostenuto
 in serata, contro una colonna superiore di forze,
 che cercava di aprirsi la via verso il Polcevera; la
 via fu sbarrata, e i tedeschi dovettero rientrare nel
 porto, unendosi ai reparti di marina, che vi stava-
 no asserragliati.
   Intanto, abili azioni delle SAP tagliavano la
 corrente elettrica e l'acqua ai presìdii tedeschi, pur
 senza disturbarne l'erogazione al resto della città,
 e quindi alle forze patriottiche.
    Dal Collegio San Nicola -che è sito nella par-
 te alta della città, nella cosiddetta Circonvallazione
 a Monte -il      Comitato e il Comando Piazza diri-

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         gevano, con ansia febb:rilè, la lotta. Il Comando        ~

         Militare Regionale, dopo due laboriose sedute ple-
         narie nella notte e nel primo mattino, s'era recato,
         secondo i piani, nella zona occidentale, a preordi-
         nare di là l'assalto delle forze patriottiche, rimaste
         libere alla periferia, contro il centro della città.
            Gli abitanti di Sestri Ponente, Cornigliano,
        Pontedecimo, Bolzaneto, Rivarolo, Quarto e Quin-
        to erano, infatti, fin dal mattino del 24, in mano
        degli insorti, ma mancava la continuità territoria-
        le fra le loro posizioni e quel.le cittadine.
           Il Comando Militare Regionale, secondo il
        piano da tempo prestabilito, pur non disponendo
        ancora delle forze partigiane, che erano lontane
        sui monti e avevano appena ricevuto l'ordine di
        raccogliersi per muovere verso la città, si preoccu-
        pava di stabilire questa continuità territoriale, e,
        con una tempestiva attuazione del proprio piano,
        riusciva, convogliando tutte le energie delle SAP
        di Sestri e di Voltri, a espugnare, la mattina del 25,
        la munita posizione di Castello Raggio, aprendo
        così la strada fra Sestri e Sampierdarena.
           Nel frattempo gravi preoccupazioni erano so-
..praggiunte.         Fin dalla mattina, il Comando aveva
         avuto sentore della esistenza d'un movimento an-
         tipartigiano che si mascherava sotto la veste dei
         patrioti. Ne era a capo un certo tenente Pisano,
         già calciatore di una nota società sportiva genove-
         se. Il Pisano, stabilita la propria sede nel Distretto

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PaoloEmilio TAVIANI

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Militare in Piazza della Vittoria, si serviva dei suoi
uomini, camuffati da partigiani, per rubare e pro-
vocare il disordine entro le file dei patrioti. Nel
pomeriggio, il Pisano giungeva persino ad arresta-
re alcuni Comitati di Liberazione di Azienda, a in-
tralciare le comunicazioni, fermando le staffette
del Comitato di Liberazione Nazionale, e recluta-
va molti elementi che, ignari, accorrevano a lui
come a un comandante patriota. Il Comando di
Piazza reagì immediatamente a questa pericolosa
quinta colonna. Il mattino del 25, il Pisano veniva
arrestato e, condotto nell'appartamento di Via Pri-
vata Piaggio, dove risiedeva il Comando Piazza,
egli stesso poneva fine alla sua vita -probabil-
mente nel vano tentativo di fuggire -gettandosi
dalla finestra sulla strada.
   Ma non precediamo il corso degli eventi. Tor-
niamo al 24 aprile, che è stata certo la giornata
più drammatica, che Genova abbia vissuto in que-
sto scorcio di secolo. Durante le nostre puntate in
città, avevamo constatato personalmente l'ardi-
mento eccezionale dei patrioti e la loro decisione
estrema: sapevamo -e i comandanti della piazza
e di settore ce lo confermavano in ogni rapporto -
di poter contare su di uno spirito altissimo.
   Ma i compiti erano gravi. Con una iniziativa,
che, se pure arbitraria, riuscì, in fin dei conti, uti-
le, le maestranze del Secolo XIX avevano fatto usci-
re il giornale con l'annuncio della liberazione e

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                    con decreti apocrifi del C.L.N., inventati lì per li        ..

                    da un membro del Comitato del Porto. L'iniziati-
                    va era pericolosa, perché i funzionari della prefet-
                    tura e della questura che, secondo i decreti apo-
                    crifi, sarebbero stati investiti del potere dal C.L.
                    N., avrebbero potuto scatenare la reazione. Ciò,
                    per fortuna, non avvenne, e il pubblico trasse dai
                     titoli del giornale, inneggianti al Comitato, una
                    ragione di incitamento alla lotta.
'" .Dopo                     il tentativo del mattino, fallito in piazza
                    De Ferrari, un'altra colonna tedesca cercò, nelle
                    prime ore del pomeriggio, di abbandonare i Co-
                    mandi di Castelletto e corso Carbonara. Attaccata
                    dai patrioti, proprio davanti alla chiesa di S. Nico-
                    la, la colonna riusciva a passare, ma doveva poi
                    fermarsi sopra Principe, accontentandosi di ingros-
                    sare il nucleo, che già ivi resisteva.
                      Più tardi, alle 18, un capitano della Wehr-
                    macht, bendato, veniva condotto al San Nicola
                    dal presidio di via Francesco Pozzo. Questo pre-
                    sidio, composto di 300 uomini, era tenuto in iscac-
                    co da un pugno di giovani universitari, una trenti-
           ..na         o poco più, che avevano avuto, e avrebbero
                    avuto tutto il giorno seguente, l'abilità di fingere
                    una vastità di movimenti e d'apprestamenti corri-
                    spondente a forze di gran lunga superiori. L'uffi-
                    ciale germa~ico veniva condotto in un'aula del li-
                    ceo e, sbendato, dinanzi al gruppo di quei piccoli

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PaoloEmilio TAVIANI

                  borghesi che eravamo noi, membri del Comitato,                      '"'

                  avanzò proposte di trattative. Chiedeva, per tutti
                  i presìdii del levante, la libertà di transito attra-
                  verso la città sino ai Giovi: i tedeschi non avreb-
                  bero combattuto, se i nostri non avessero sparato.
                  L'ufficiale fu trattato con molta cortesia. Pessi gli
---chiese                  perché i suoi non si arrendessero; egli non
                  ammetteva neppure la possibilità di arrendersi a
                  dei borghesi. Prima o poi, i sopravvissuti avrebbe-
                  ro pur dovuto arrendersi all'esercito americano, ma
             -a      dei «partisanen », a uomini che non avevano al-
            --
                  tro contrassegno che un fazzoletto rosso, bianco-
                  rossoverde, azzurro, e talvolta neppure quello, a
                  uomini in calzoni e giacchetta borghese, con un'ar-
                  ma mal disposta a tracolla: questo non poteva en-
                  trare nell'ordine di idee di un ufficiale prussiano,
                  nemmeno alla vigilia della definitiva sconfitta.
                  Uscendo, il capitano, qisse all'unica donna che era
                  nel nostro gruppo, la stenografa: -Padre       morto,           .
                  madre uccisa, tutto finito, anch'io finito -, In
                  quel momento lo sentii fratello; e sentii che, al di-
                  sopra di tutto il sangue che, per colpa loro, si era
                  sparso in ogni contrada d'Europa, e oggi si spar-
                  geva nelle vie della nostra città, c'era ancora un
                  vincolo che univa il nostro popolo, tradito dall'am-
                  bizione d'un uomo e da un'illusione fallace, e il
                  popolo di quell'ufficiale, infatuato dq una ideolo-
                  gia pagana e da un orgoglio pazzesco e suicida: il
                  vincolo che unisce tutti gli uomini, e li fa tutti fi-

                                -J

                                                                           1107
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         gli di mamnià, càrne della stessà carne, creature
         dello stesso Dio.
            La nostra controproposta di resa con l'onore
         delle àrmi non fu accettata, e i presidi tedeschi di
         Genova orientale continuarono la resistenza.
            Alle 20, il maggiore Arillo comandante della
         X mas, cerca di me al telefono (chi gli aveva dato
         il numero del Comitato?). Chiede l'onore delle ar-
         mi e propone di interporsi per la resa delle forze
         tedesche del porto. L'onore delle armi non può ve-
         nir concesso ad alcuna forza italiana fascista; e
         così nel porto si continua ancora a combattere.
            Da Sampierdarena telefonano che i tedeschi
         hanno preso una ventina di donne e bambini in
         ostaggio, e minacciano di ucciderli, se i patrioti
          non dànno la via libera. Dall'ospedale di Sampier-
         darena i medici mandano a dire che la situazione
         è insostenibile: i feriti aumentano di ora in ora;
          non ci sono più letti; i tedeschi premono da ogni
         lato. Sulla camionale del Polcevera ci sono sinto-
          mi che le colonne germaniche, bloccate nelle gal-
          lerie, vogliano sortire, poiché non possono più a
          lungo restare prive di acqua. Da Sturla telefonano
-.che           il ponte resiste a ogni costo, e non c'è modo
          di stabilire un contatto per via carrozzabile con le
          forze patriottiche di Quarto e di Quinto. A Prin-
          cipe la battaglia si riaccende violenta, e non s'in-
          travvede alcun segno d'indebolimento da parte
         nemica.

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PaoloEmilio TAVIANI

                                                                 ..
   La sera del 24 si chiude in un'atmosfera di
tragedia. A dire il vero, la guerriglia nel centro del-
la città -che, volta a volta, aveva avuto come
epicentri piazza De Ferrari, piazza Portello, Ca-
stelletto, Pre, San Nicola, piazza dei Grattaceli -
si poteva dire terminata. Ma nuclei di resistenza
nemici permanevano all'Istituto Idrografico della
Marina, in piazza Principe, a Di-Negro, in Albaro,
in via Giordano Bruno; in mano nemica erano
tutto il porto, il piazzale della Camionale, la for-
tezza di San Benigno e Belvedere; a ponente resi-
stevano le pericolose batterie di Arenzano, nuclei
di fanteria nel centro di Voltri, all'Ilva di Prà,
nella munitissima Villa Raggio e a Coronata
 (queste due ultime posizioni sbarravano la strada
fra la zona occidentale e la città); in VaI Polcevera
nuclei nemici presidiavano ancora alcune gallerie
della camionale, e alcune alture a San Quirico
e alla Murta; a levante i tedeschi difendevano
strenuamente il ponte di Sturla, la Villa Eden di
Nervi e le batterie pesanti di Monte Moro.
   Se tutte queste forze, numerose e soprattutto
bene armate, con diversi cannoni e moltissime mi-
tragliatrici, avessero concertato un piano d'intesa
e si fossero riunite; se le forze tedesche della cam-
pagna avessero combinato un'azione concentrica,
se le forze provenienti dalla Spezia e dirette a Ge-
nova (grossi elementi di unà divisione erano già
segnalati a Chi avari) si fossero congiunte con i

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                presìdii della città, avrebbero potuto schiacciare la        ~

                rivolta in un bagno di sangue.
                   La situazione era ancora più tragica, per una
                precisa e categorica minaccia del generale Mein-
                hold: aprire il fuoco su Genova con le batterie
                pesanti di Monte Moro e con quelle leggere del
                porto, qualora non si fossero lasciate evacuare in
                ordine le truppe tedesche.
                   Gli americani erano ancora distanti più di
                100 chilometri. Dei partigiani, il Comitato e il Co-
                mando parlavano con sicurezza a ogni parlamen-
                tare; ma con altrettanta sicurezza sapevano, pur-
                troppo, che, nella migliore delle ipotesi, essi non
                avrebbero potuto giungere in città prima della se-
I               ra del giorno seguente.
                    Il Comitato di Liberazione era ben conscio
                del rischio che accadessea Genova quello che era
                successoa Varsavia, o, per lo meno, che vi potesse
                essere una ripresa tedesca altrettanto sanguinosa
                quanto era stata quella verificatasi, sia pure per po-
                che ore, durante l'insurrezione parigina. Il C.L.N.,
                in questi frangenti, non si lasciò intimorire dal-
                le minacce naziste. Al parlamentare tedesco, che
    .,          minacciava il bombardamento della città, Fessi,
                con la sua solita energia, rispondeva, a nome del
                Comitato di Liberazione, che, in tal caso, i prigio-
                 nieri tedeschi -ormai già un migliaio -e tutti quel-
                 li che sarebbero stati presi in seguito, sarebbero
                 stati passati per le armi come criminali di guerra.

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PaoloEmilio TAVIANI

  All'opera   del Comitato si aggiungeva quella                 ..

paterna di S.E. il Cardinale Arcivescovo, il qua-
le, in un lunghissimo colloquio con il console ger-
manico a Genova, riusciva a convincerlo d'inter-
porsi presso il comando tedesco per evitare il
bombardamento della città.
    Così, la notte tra il 24 e il 25 passò tranquilla.
  Il mattino del 25, mentre, come si è detto, ca-
deva Castello Raggio, le squadre di città ripren-
devano la loro azione, conquistavano piazza Ac-
quaverde, le Caserme di Sturla, l'ospedale Cele-
sia a Rivarolo, e vari punti di resistenza presso
Rivarolo e Bolzaneto. Si arrendevano il presidio di
Voltri e di Prà e le batterie di Arenzano.
  Sempre la mattina del 25, un pugno di ardi-
mentosi, passando sotto il fuoco incrociato delle
batterie tedesche di S. Benigno e di Principe, con-
quistava l'altura di Granarolo, dove era la stazio-
ne radio. Un giovane tecnico, rimediava, in breve
tempo, ai guasti, e tosto la stazione cominciava a
funzionare, dando al mondo la notizia che Geno-
va era insorta ed era in mano del Comitato di Li-
berazione Nazionale.
   Ai genovesi avevano cominciato a dare le no-
tizie della rivolta i giornali: secondo quanto era
stato concordato da tempo, i vari partiti del C.L,N.
avevano preso possesso delle tipografie cittadine,
e uscivano -il pomeriggio del 24 aprile -i due pri-

                                                         1111
MEMORIE

       mi giornali liberi:   L'Italia libera e il Corriere del   ..

       Pomeriggio.
          A mezzogiorno del 25, rimanevano in mano
       tedesca alcune posizioni sulla camionale nella VaI
       Polcevera, la stazione Principe e il monte che la
       sovrasta, la fortezza di San Benigno, ij porto, al-
       cune strade e piazze sulla collina di Albaro, il pon-
       te di Sturla, l'albergo Eden di Nervi, Monte Moro
       e le sue pesanti batterie.
          La situazione rimaneva precaria. I partigiani,
       per quanto tutti ne parlassero, non si vedevano an-
       cora. Il Comitato e il Comando ben sapevano che
       essi erano migliaia e bene armati sui monti, ma sa-
       pevano anche che difficili erano i collegamenti e
       non brevi sarebbero risultate le operazioni di rac-
       colta per la discesa in città.
          I tedeschi, peraltro, temevano con ossessionela
       calata dei partigiani. Avevano già conosciuto, nei
        cosiddetti rastrellamenti, i baldi giovani di Bisa-
       gno, di Scrivia, di Boro, di Minetto e di cento altri,
       e paventavano di doversi trovare ancora una volta
        di fronte a loro.
          Da Savignone, dove era il suo Quartier Ge-
       nerale, il Comandante Meinhold aveva inviato, la
        sera del 24, la richiesta d'un parlamentare al Co-
        mitato di Liberazione. Il Comitato rispondeva che
        un parlamentare del generale avrebbe potuto ve-
        nire in città. Su di un'autoambu1anza, un medico
        genovese portava al generale la fiera risposta e, la

1112
PaoloEmilio TAVIANI

mattina del 25, con sua grande sorpresa, il Comi-               ..
tato veniva ad apprendere che, sulla stessa auto-
ambulanza, era sceso in città il generale Meinhold
in persona. Recatosi nell'abitazione del Cardinale
Arcivescovo, il generale esprimeva il desiderio di
entrare in trattative con il Comitato di Liberazio-
ne Nazionale. Il Comitato inviava subito il suo
presidente -Remo Scappini -, insieme a Errico
Martino, designato prefetto, e al Maggiore Mauro
Aloni, comandante della piazza agli ordini del Co-
mando Militare Regionale. Il dotto Savoretti si uni-            ,
va a costoro, accompagnando il Console e il Vice
Console di Germania. Le trattative si svolsero nel-
l'abitazione del Cardinale, in San Fruttuoso, dalle
ore 15 alle ore 20 del 25 aprile, e si conclusero con
la resa a discrezione delle forze tedesche dinanzi
 ai volontari della libertà del Comitato di Libera-
zione Nazionale. La validità della resa comincia-
va dalle ore. 9 del 26 aprile.
   Nella notte il generale Meinhold, dalla casa
 del Cardinale, mediante parziali sbloccamenti dei
 telefoni, che erano fin dal primo momento in ma-
 no dei patrioti, poteva comunicare la notizia della
 resa ai vari presìdii tedeschi della città. La matti-
 na, alle ore 9, io avevo la gioia di dare per radio
 la grande notizia, a nome del Comitato di Libera-
 zione. Uscivano, contemporaneamente, i giornali
 dei sei partiti con il prezioso documento della resa:
    «In Genova, il giorno 25 aprile 1945, alle ore

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MEMORIE

                                                               ,
        19,30; tra il sig. Generale Meinhold, quale Co-            .
        mandante delle Forze Armate Germaniche del
        Settore Meinhold, assistito dal Cap. Asmus, Capo
        di Stato Maggiore, da una parte;
           «Il Presidente del C.L.N. per la Liguria, sig.
        Remo Scappini, assistito dall'avv. Errico Martino
        e dotto Gibvanni Savoretti, membri del C.L.N.
        per la Liguria e dal Magg. Mauro Aloni, Coman-
        dante della Piazza di Genova, dall'altra;
                        è stato convenuto:
          1°) Tutte le forze armate germaniche di ter-
        ra e di mare alle dipendenze del sig. Generale
        Meinhold si arrendono alle Forze Armate del Cor-
        po Volontari della Libertà alle dipenden~e del Co-
        mando Militare per la Liguria;
           ~) La resa avviene mediante presentazione
        ai reparti partigiani più vicini con le consuete mo-
        dalità e in primo luogo la consegna delle armi;
           3°) Il C.L.N. per la Liguria si impegna ad
        usare ai prigionieri il trattamento secondo le leggi
        internazionali, con particolare riguardo alla loro
        proprietà personale e alle condizioni di interna-
        mento;
..
          4°) Il C.L.N. per la Liguria si riserva di con-
        segnare i prigionieri al Comando Alleato Anglo-
        Americano operante in Italia;
          5°) La resa avrà decorrenza dalle ore 9 del
        giorno 26 aprile 1945.

 1114
PaoloEmilio TAVIANI
                                                                ,
                                                                        «

  Fatto in quattro esemplari di cui due in italia-                  :
no e due in tedesco».
   La città s'imbandierava; tutto pareva finito.
   Malauguratamente, invece, non tutti i presìdii ob-
bedirono al generale. Cessarono di combattere i
presìdii di Principe e di Negro, e fu questo un gran-
de vantaggio per i collegamenti fra il ce.ntro della
città e Sampierdarena. Ma non posarono le armi la
marina del porto, né le truppe di Nervi, di Via
Giordano Bruno, di San Benigno. Il Comando del-
la marina, anzi, mandò in prefettura, propri~en-
tre si stava svolgendo la cerimonia d'insediamento
del nuovo prefetto, due ufficiali, che dichiararono
di aver condannato a morte Meinhold, secondo
 gli ordini di Hitler, e d'essere pronti a bombar-
dare la città con le batterie pesanti di Monte
Moro, se gli insorti avessero persistito nei loro at-
tacchi. D'altra parte si presentava la minaccia
della cQlonna tedesca che, proveniente dalla Spe-
zia, aveva raggiunto, sia pure assottigliata, i pressi
 di Rapallo. In complesso, mentre il settore occi-
 dentale appariva ormai tranquillo, nel settore
 orientale si avvertivano sintomi di maggiore resi-
 stenza e di un pericoloso coordinamento dell'azio-
 ne nemica.
    Alle ore 14 del 26, due cacciatorpediniere in-
 glesi, giunti dinanzi alla città, aprivano il fuoco
 contro le batterie di Monte Moro, le quali rispon-
 devano; alcuni colpi sbagliati danneggiarono delle
 case cittadine. Risuonarono ancora le sirene. Sulla

                                                         1115
MEMORIE

       città in festa si stendeva un velo di tristezza; tutti   .
       credevano che i tedeschi avessero messo in atto il
       loro insano proposito.
          Ma, ormai cominciavano a sfilare per le stra-
       de cittadine i reparti dei partigiani. Armati, equi-
       paggiati, magnifici, sfilavano, cantando, i giovani,
       che, per lunghi mesi, sulle pendici dell' Antola, nei
       paesi dell'alta Trebbia e dell'alta Scrivia, aveva-
       no sognato questo momento. Rinforzate dai par-
       tigiani, 'le squadre del centro cittadino portavano
       l'ultimo attacco decisivo contro le truppe tedesche
       del porto, e queste finalmente si arrendevano, sia
       pure con l'onore delle armi.
         Una lunga fila di 1200 tedeschi percorreva,
       così, le vie della città, inquadrati da pochi borghe-
       si male armati. Questo fatto dava a tutta la citta-
       dinanza la sensazione immediata di quello che al
       mattino io avevo avuto l'onore di dire alla radio,
       annunciando la resa di Meinhold: «per la prima
       volta nella storia di questa guerra, un corpo d'e-
       sercito si è arreso a un popolo ».
          Gli avvenimenti precipitavano. Anche il pre-
       sidio di via Giordano Bruno si arrendeva. La co-
       lonna tedesca, proveniente dalla Spezia, era bat-
       tuta e fatta prigioniera dai partigiani calati da
       Uscio sulla litoranea. Le poche colonne tedesche,
       che erano riuscite, nella notte fra il 23 e il 24, a
       sortire dalla città, erano attanagliate e disperse su-
       gli Appennini, prima di giungere nella Valle Pada-
       na. Con la via libera dinanzi a loro, senza alcun in-

1116
PaoloEmilio TAVIANI

tralcio di distruzioni, le truppe americane, com-
                                                               .   ,.
pivano, in due giorni, i 120 chilometri fra Spezia e
Genova, che i piani avevano previsto percorribili
soltanto in 10-15giorni.                                   ,
  La sera del 26, avanguardie americane giun-
gevano a Nervi. Un ufficiale di accompagnamen-
to italiano, che era con loro, mi disse poi che tutti
avevano gli occhi stralunati ed erano rimasti co-
me inebetiti dinanzi alla visione del primo tram
in moto e delle case illuminate; per la prima volta
una città liberata si presentava a loro nelle sue
condizioni normali di vita.
   La mattina del 27, il grosso delle truppe ame-
ricane entrava in città. II Generale Almond si re-
cava a far visita al Comitato di Liberazione Na-
zionale, e dava testimonianza che Genova aveva
compiuto cose prodigiose, che gli Alleati non
avrebbero potuto non tenere nel debito conto nel
loro giudizio sull'Italia.
   Intanto, dinanzi alle squadre cittadine anco-
ra in armi, cadeva l'ultimo presidio di San Beni-
gno; mentre la batteria di Monte Moro -unico re-
parto superstite del grosso corpo d'esercito tede-
sco operante nella provincia di Genova -si arren-
 deva alle truppe americane.
    Così terminava l'insurrezione di Genova. Cer-
 to la più brill~nte, anche se fortunata, insurre-
 zione cittadina di quante (da Parigi a Varsavia a
 Belgrado) si siano avute in questa guerra.

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MEMORIE

           Il peso di questa insurrezione nel corso gene-       ..
         rale della guerra in Italia è evidente. Due divisio-
         ni tedesche, che avrebbero potuto ritirarsi sul Po,
         difendere Milano e Torino, e organizzarsi poi sul-
         l'Adige, venivano invece distrutte o disperse da
         un popolo in armi e dai partigiani.
            Milano poteva così insorgere, senza preoccu-
         parsi che sopraggiungessero truppe tedesche dal
         sud; d'altra parte le divisioni tedesche del Piemon-
        te rimanevano isolate, e più facilmente potevano
        essere battute dai forti contingenti partigiani delle
        Langhe e delle Alpi.
            300 morti e 3000 feriti furono il contributo
        di sangue che Genova pagò per la sua insurrezio-
./      ne. Ma fra tutte le morti di una guerra per noi inu-
        tile e rovinosa, queste sono state certo le più pre-
        ziose, perché hanno riscattato l'onore d'un popolo,
        che sembrava smarrito nelle ore infauste dell'8
        settembre.
           L'Italia è ancora una nazione vinta. Sarebbe
        follia pretendere di cancellare, con due giornate
        eroiche, gli errori di ventidue anni; ma non è fol-
        lia ritenere che, se il popolo genovese e italiano ha
        molto perduto, esso non ha perduto, ma soltanto
        smarrito 1'8 settembre, e poi ritrovato nelle radio-
        se giornate di aprile, il suo onore, la coscienza
        delle proprie possibilità, il proprio posto nell'am-
        bito dei popoli civili.

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