Brasile Per fare tutto ci vuole amore - INTERVISTE

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INTERVISTE

                                Brasile
                     Per fare tutto ci vuole amore
                                  intervista di Grazia Salice   con P. Umberto Pietrogrande S.I.

     Aa pochi giorni dalla consegna del premio “Cuore Amico” a Brescia, incontria-
     mo nuovamente p. Umberto Pietrogrande.
     Padre, la sua vocazione alla vita religiosa è maturata negli anni. Ci vuole par-
     lare un po' della sua storia?
     E’ stata una maturazione lenta, che potrei datare a partire dai 15 anni. Era stata semi-
     nata dai miei genitori e il loro pensiero mi porta alle mie radici, ad una lettera che
     essi indirizzarono a noi figli in occasione del loro 25° di matrimonio. Questa lettera
     l'ho portata sempre con me, certo della loro testimonianza: "Noi l'abbiamo speri-
     mentato: in questa vita viaggiamo sulle braccia di Dio. Egli solo ci sorregge e ci guida:
     a Lui quindi tutto dobbiamo riferire. Così soltanto si vincono le difficoltà della vita".
     E poi la raccomandazione "Abbiate amore verso Dio, tra voi e verso tutte le creatu-
     re di Dio…". Poi c'è stata, durante gli anni del Liceo e soprattutto dell'Università, l'e-
     sperienza dell'Azione Cattolica di cui ho vissuto intensamente gli ideali nel tempo dei
     contrasti e delle prese di posizione del dopoguerra. Sono così arrivato alla laurea in
     Giurisprudenza.

     Era giunto allora il momento di decidere che cosa avrebbe fatto da grande?
     Feci gli Esercizi spirituali e ritornò il tema della decisione.A Padova c'era P. Bresciani,
     all'Antonianum come Assistente provinciale, che mi guidò con serenità. Quella chia-
     mata sembrava anche a me molto esigente; titubai a lungo e tardai a rispondere, per-
     ché volevo si facesse più chiara. La mia decisione di diventare gesuita sorprese tutti,
     e più di ogni altro i miei amici, i miei compagni di Azione Cattolica che non riusciva-
     no a capacitarsi, dopo i contrasti del gesuita P. Lombardi con i giovani di A. C. e di
     questi con la Civiltà Cattolica, la crisi di Carlo Carretto e la sua uscita dall'A.C., le
     polemiche, che avevano contrapposto i gesuiti dell'Antonianum con l'A. C. diocesana,
     e le accuse dei parroci che lamentavano la sottrazione dei migliori giovani da parte
     della Compagnia, come proprio io, che ero stato presidente diocesano della Gioventù
     Italiana di Azione Cattolica e delegato regionale, fossi passato dall'altra parte.

     Un impegno nel laicato cattolico, una laurea, una vocazione alla vita religiosa
     approdata alla Compagnia di Gesù, ma perché poi il Brasile?
     "Perché partire per il Brasile?"- fu proprio la domanda che mi rivolse mia madre, che
     stentava a comprendere, sentendosi un po' abbandonata e che, dopo aver accettato
     la mia scelta per il sacerdozio, si sentiva defraudata, perché non avrebbe potuto, per
     la mia destinazione oltre Atlantico, essere presente alla mia ordinazione; lei che se ne

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era fatta una ragione, vagheggiando l'idea che un figlio prete sarebbe stato ancora più
vicino ai genitori nella loro vecchiaia. Ed io le risposi - e ancora oggi così le direi -
che non ero stato io a scegliere le missioni, ma che la via delle missioni era stata scel-
ta per me dai miei Superiori ed io avevo obbedito. A lei, profondamente credente,
scrissi che la grazia, che il Signore mi dava con la vocazione, era la risposta alla grazia
ricevuta dai genitori. Il 3 febbraio 1962 - ero appena sbarcato in Brasile - il Provinciale
mi chiamò e mi annunciò l'improvvisa morte della mia mamma. Le mie lacrime cocen-
ti hanno bagnato quella terra che, arrivando, avevo baciato. Così è nata la mia vita mis-
sionaria. L'offerta di mia madre è stata la mia grande forza, i frutti sono stati abbon-
danti.

Perciò la sua ordinazione avvenne dopo il suo arrivo in Brasile?
Fui ordinato nel 1964, il giorno dell'Immacolata, dall'Arcivescovo di Porto Alegre,
nove lunghi anni da quando il Signore mi aveva fatto sentire la Sua voce.

Oggi, il suo nome
non può essere dis-
giunto da quello del
MEPE S (Movimento
Educacional           e
Promocional         do
Espirito Santo) e
dalle EFAs (Escolas
Familias Agricolas):
fu la sua precedente
formazione giuridica
a guidarla ad un
impegno sociale?
Non credo; fu la realtà
nella quale mi trovai
calato che esigeva una
risposta dalla mia
vocazione. Nel 1963,
durante le vacanze
(dicembre/gennaio) i
Superiori mi mandaro-
no nell'Espirito Santo,
incorporato quell'an-
no nella Vice-Provincia
di Bahia, legata alla
Provincia       Veneto
Milanese. Il mio primo
impatto fu con la
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miserevole condizione degli italiani - ormai di terza generazione - che erano emigra-
     ti in Brasile, ma che anziché approdare a San Paolo, attratti dalla mirabolante condi-
     zione di benessere, erano sbarcati a Vitoria e di là smistati in territori disabitati da
     disboscare e bonificare.
     Il contatto con i discendenti degli antichi immigrati fu entusiasmante, ma nello stes-
     so tempo pesante e fui profondamente toccato dalla loro storia dolorosa.

     Perché dolorosa? Mi aiuti a capire meglio.
     Il dramma che mi si parò innanzi era quello di uomini che avevano sempre duramente
     lavorato, ma che avvertivano che il lavoro delle loro braccia non era più sufficiente-
     mente produttivo. Lavoravano da ammazzarsi e guadagnavano da vivere a stento per
     la numerosa famiglia. Mi resi conto che quella terra, apparentemente così avara, con
     un metodo di lavoro più moderno e intensivo sarebbe stata più che sufficiente a sod-
     disfare le necessità di una famiglia e un migliore reddito familiare avrebbe dato anche
     un notevole impulso allo sviluppo economico della regione. Quella che mancava non
     era la voglia di imparare, mancavano l'istruzione professionale ed i mezzi tecnici.
     Accarezzai l'idea che fosse arrivato per l'Italia il tempo per pagare quel debito che
     cent'anni prima aveva contratto con quei figli che aveva abbandonato al loro destino.

     Erano anni carichi di eventi: il Concilio e, mi sembra, anche la nascita della dittatura in
     Brasile.
     Sì, la vera data di nascita della dittatura è il 1° aprile 1964, ma poiché anche in Brasile
     c'è l'usanza del "pesce d'aprile" quella data fu ufficialmente anticipata al 31 marzo! Ma
     non fu uno scherzo da pesce d'aprile!
     Le comunità di base sono nate là, molto tempo prima che la teologia ne parlasse.
     Queste famiglie, abbandonate da tutti, ignorate dal governo italiano, solo nella fede,
     tenuta viva dalla preghiera e dalla Parola di Dio, si tennero in vita. Mi commuoveva
     vedere come questi italiani si incontrassero, pregando in latino, senza l'ombra di un
     prete, e quel capannone che era stato destinato ad abitazione per otto o dieci fami-
     glie, si fosse trasformato in cappella, la domenica. E tutto questo era accaduto quasi
     100 anni prima del Concilio. Quella realtà mi conquistò. Ordinato prete nel '64, ebbi
     la mia prima destinazione ad Anchieta presso la Scuola Apostolica dei gesuiti .

     L'incontro con i discendenti degli emigrati italiani e delle loro dure condizioni
     di vita e la forza propulsiva della Populorum Progressio, La calarono in quel-
     l'impegno sociale al quale è rimasto sempre coerente. Ma le EFAs non furono
     forse una reazione alla tradizione centenaria della pedagogia dei gesuiti?
     Le EFAs sono state lo strumento pedagogico qualificante della metodologia del
     MEPES. Il loro progetto educativo parte dal concreto per giungere all'astratto, dal
     locale al globale. Non il distacco dalla secolare tradizione, ma il recepire una linfa
     nuova e applicare un metodo scientifico, il metodo proposto da Piaget (fare per capi-
     re). Il principio è quello che la vita è maestra, prima ancora della scuola, perciò il cen-
     tro del processo d'insegnamento/apprendimento è l'alunno e la sua realtà. Il certifi-

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cato di nascita del Movimento di Educazione e di Promozione dell'Espirito Santo può
proprio essere l'Enciclica di papa Paolo VI e l'idea dell'alternanza scuola/famiglia è
stata concepita a contatto con quella realtà. Entrai in crisi, quando capii che quei
ragazzi si vergognavano dell'ambiente da cui provenivano e che, terminata la scuola
anche con buoni risultati, non sarebbero tornati a casa. Ancora una volta sarebbero
stati degli emigranti.
Avvertii il bisogno di pensare ad una scuola diversa che non sradicasse il giovane dalla
famiglia, ma che al contrario permettesse al ragazzo di trasferirvi le nozioni apprese.
Gli studenti avrebbero portato dall'esperienza quotidiana del lavoro familiare i pro-
blemi che, discussi a scuola, avrebbero trovato le soluzioni. Trascorsi quindici giorni,
lo studente, rientrando in famiglia, non solo non si sarebbe sentito estraneo, ma una
parte importante, perché l'arricchiva. Mi misi a studiare quanto il gesuita P. Mario
Castelli aveva pubblicato su Aggiornamenti Sociali sul principio dell'alternanza scuola/
famiglia, a partire dall'esperienza del Centro pedagogico di formazione di
Castelfranco Veneto, un'esperienza che era stata vincente per i contadini veneti.
L'essenziale era sapere sfruttare al meglio i tempi forti.
Ecco allora l'internato dove gli allievi, nei giorni in cui frequentano la scuola, vi resta-
no a tempo pieno, avendo così la possibilità di vivere un'esperienza comunitaria di
studio, di lavoro e di didattica di gruppo. Le EFAs brasiliane sono nate così, grazie
anche alla validissima collaborazione delle parrocchie e allo stimolo dato dalle comu-
nità. I padri degli alunni erano responsabilizzati ai problemi di direzione e funziona-

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mento della scuola attraverso un Comitato. La scuola, da parte sua, doveva adeguare
     l'insegnamento professionale alle reali esigenze dell'ambiente, attraverso la continua
     integrazione scuola-ambiente, allievi-famiglia. I comitati locali hanno avuto un ruolo di
     primo piano: i parroci hanno incominciato ad unirsi, con loro hanno solidarizzato i
     tecnici agricoli, a loro si sono aggiunti i politici e il popolo ha incominciato a credere
     che qualcosa potesse finalmente cambiare. Il popolo ha incominciato a capire che non
     era una merce di scambio, ma che poteva e doveva organizzarsi. È stato un motori-
     no che ha funzionato…

     Un motore ben funzionante, ma bisognoso di carburante… Chi l'ha sostenuta
     in quest'impresa straordinaria?
     Nel 1966 nasceva a Padova l'Associazione degli Amici dell'Espirito Santo con l'o-
     biettivo di promuovere l'interscambio culturale tra persone, gruppi ed associazioni
     tra l'Italia e lo stato dell'Espirito Santo. È stato e continua ad essere un ponte per
     superare distanze che sembravano infinite. Dall'Italia sono partiti dei giovani che
     hanno portato il loro contributo di lavoro, avendo optato per il servizio civile: una
     delle prime a partire fu proprio la nostra giovanissima Carla Grossoni, che mise a
     frutto la sua competenza di neo assistente sociale e che da allora è sempre tornata,
     ogni anno, a dare il suo aiuto di competenza e di amicizia. Adesso collabora con noi,
     in un progetto, Claudia Iametti, un'infermiera professionale presso l'ospedale di
     Gallarate, che ha scelto un part-time in verticale: sei mesi in Italia e sei in Brasile, dove
     è arrivata nel settembre 1999. Da Socopo all'interno, opera nel settore socio-sanita-
     rio nel progetto "Alimentazione e Cultura". La sua attività consiste nell'organizzare e
     accompagnare la formazione degli “agenti di salute comunitaria”, degli infermieri in un
     piccolo ospedale di periferia e del personale delle scuole materne, con corsi di
     aggiornamento. Con questo personale poi organizza incontri di salute, igiene e ali-
     mentazione (in particolare con le mamme) nelle varie comunità di periferia.
     Grazie a borse di studio, alunni brasiliani poterono seguire un corso di formazione di
     due anni ad Asolo e i loro istruttori italiani, Marco Zuliani e Sergio Zamberlan deci-
     sero poi di partire anche loro per il Brasile. Zuliani vi è rimasto dopo essersi sposa-
     to e sono cominciati così i matrimoni misti, a rinsaldare i legami tra i continenti.
     A sostenermi sono stati gli amici dell'Università, proprio i miei vecchi compagni che
     non avevano condiviso la mia scelta e ai quali avevo scritto in occasione della mia
     ordinazione nel '64, chiedendo di credere nell'amore del Signore che mi aveva chia-
     mato e che mi mandava in mezzo a questi nuovi fratelli. In nome dell'antica amicizia
     chiedevo di continuare a volermi bene ed aiutarmi. Resomi conto che oltre alla for-
     mazione scolastica, l'altro grande bisogno era quello della sanità, ho avviato il pro-
     getto dei "centri salute", piccoli ambulatori che offrono assistenza sanitaria alla
     popolazione sparsa nelle zone montane. E, sempre con l'aiuto dell'AES, sono riuscito
     anche a organizzare e costruire un ospedale rurale ad Anchieta, per avere una
     medicina di base.

     Poi, nel 1985, l'ordine del Provinciale di partire per una nuova terra…
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Manifesto del FUNACI

Mi disse di tentare nel
Nord-Est del Brasile e la mia
destinazione fu Teresina,
nello stato del Piauí, dove a
Socopo, un bairro della
grande periferia della città,
c'era una scuola media e
professionale dei gesuiti, il
collegio S.Alfonso, dotata di
laboratori di sartoria per le
ragazze e di agraria, falegna-
meria e meccanica per i
ragazzi. Trovai una mentalità
diversa e, con pazienza, rico-
minciai da capo, cercando di
amare quella cultura così
diversa: dagli oriundi italiani
passavo tra i discendenti
degli indios e degli africani,
gente di una sensibilità
meravigliosa nei confronti
della natura, ma anche dal-
l'intrinseca difficoltà ad
accettare gli schemi di un
lavoro organizzato. Nei gio-
vani che frequentavano la
scuola c'era un senso di mal-
celato disprezzo per il lavo-
ro manuale, la scuola era
vista come via di fuga dall'a-
gricoltura, ritenuta retaggio
del passato e perciò erano
sospettosi nei confronti di una scuola che voleva restituirli alla terra. Lavorai con fidu-
cia e fondai il FUNACI (Fondazione Padre Antonio Dante Civiero) per i bisogni della
popolazione povera, aprii altre EFAs, un ospedale (S. Carlo Borromeo), asili infantili,
centri di salute, attività sociali. Avviai anche il Centro di Formazione Professionale
Carlo Novarese, nel quale è in corso di realizzazione un progetto in collaborazione
con ACLI ed Enaip Veneto, per consentire ai giovani di acquisire una qualifica in diver-
si settori. Il governo mostrò interesse al progetto delle scuole/famiglia e per facilita-
re la frequenza ai corsi serali, fornì agli studenti un servizio di trasporto con i pull-
man, anche se spesso questi studenti (ma questo forse accade non solo in Brasile…)
arrivano in città, ma rimangono a bighellonare sulle strade… È vero che il clima non
incoraggia a faticare e il terreno è quello della "secca", ma proprio una ricerca effet-
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P. Umberto Pietrogrande S.I. mostra l’attestato di cittadinanza

     tuata recentemente (in realtà riguardava la possibile presenza di petrolio) ha rivelato
     una grande quantità d'acqua: a 100/150 metri sotto il livello del suolo e per farla affio-
     rare in superficie non c'è bisogno di pompe, ma solo di un lavoro di scavo. Investendo
     nell'agricoltura, se lo vorranno, trasformeranno la loro terra nella terra dell'abbon-
     danza.

     Quarant'anni di lavoro! E un progetto avveniristico si è profondamente radi-
     cato.
     Le EFAs sono ormai 240, distribuite tra negli stati di São Paulo, Rio de Janeiro, Minas
     Gerais, Espírito Santo, Bahia, Sergipe, Ceará, Piauí, Maranhão, Pará,Amapá,Amazonas,
     Rondônia, Tocantins, Mato Grosso, Mato Grosso do Sul e Goiás e hanno formato
     30.000 giovani.Anche a livello governativo sono viste come una risorsa tant'è che un
     piano per le politiche giovanili prevede la formazione di 4.000 giovani tecnici ogni
     anno secondo la pedagogia dell'alternanza, per renderli imprenditori e promotori di
     sviluppo nelle loro comunità.

     Incuriosita dalla sua storia, ho scoperto che Lei ha ricevuto anche un segno di
     riconoscenza dallo Stato del Piauí.
     Sì, nel corso di una cerimonia pubblica nella sede del Parlamento, il 15 settembre
     scorso, ho avuto l'onore di ricevere la cittadinanza dello Stato brasiliano del Piauí.
     Questo mi accomuna ancora di più ai figli della terra brasiliana, a mia madre.
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Repubblica Centrafricana
            Tra ricchezze, miserie e speranze
                                       intervista di Grazia Salice con   P. Dorino Livraghi S.I.

Qual’è la situazione del paese ela sua attività?
La situazione non dà segni apprezzabili di miglioramento. Si sperava che, dopo i due
anni di transizione, il governo lanciasse un articolato progetto di sviluppo, sostenuto
dalla Banca Mondiale e dalle altre istituzioni internazionali. Non si è seriamente impe-
gnato; anzi, ci sono da pagare gli stipendi arretrati - circa 16.000 dipendenti pubblici
non percepiscono salari regolari da anni (alcuni totalizzano salari non pagati di 20, 30
o più mesi) mentre stipendi fantasma sono erogati ad altri dipendenti senza che ne
abbiano diritto. Non ha tenuto fede all'impegno e, al contrario, nuovi funzionari
governativi si sono aggiunti, segno della ricompensa dovuta a fedeli servitori.
Secondo una recente denuncia del primo ministro Elie Doté, circa 2000 funzionari
pubblici centrafricani percepiscono un salario superiore alle loro mansioni, aumenti
ingiustificati, concessi in base a logiche clientelari o familiari, una frode che pesa per
il 10% sul bilancio mensile dello Stato. Su questo sfondo di malgoverno clientelare
emerge la grande massa della popolazione, che versa nella miseria più nera e, se nella
campagna la natura provvede, in città, dove non si può neanche coltivare il campicel-
lo, quando non c'è lo stipendio, si muore di fame o ci si arrangia per sopravvivere.
Una contraddizione, perché la Repubblica Centrafricana ha notevoli risorse, come le
miniere di diamanti, e anche se il governo ha annunciato nuove regole per impedire
frodi nella loro vendita, sembra che questo dissanguamento sia senza fine.

Qual è lo stipendio medio ?
Un lavoratore percepisce, se pagato, attorno ai 60 euro mensili, insufficienti per vive-
re, anche in Africa. Se poi si tiene conto che a lavorare in una famiglia è solo il padre
e che i figli sono numerosi - il 43% della popolazione ha meno di 14 anni! - non si
fatica a immaginare la realtà.

E un padre che, oltre al cibo, volesse magari anche mandare a scuola i figli?
La scolarità è debole: nelle scuole elementari statali ci sono in media 75 bambini per
classe, anche se il loro numero può arrivare fino a 120. Spesso i maestri mancano,
perché, non percependo lo stipendio, ritengono di non doversi neanche presentare
al posto di lavoro. Un padre, però, deve pagare l'iscrizione di circa 10 euro. Oltre a
non poter sostenere questa spesa perché i 10 euro si moltiplicano per 5/6 figli alme-
no, si rende conto che le condizioni sono proibitive per l'apprendimento.
Cerca perciò in tutti i modi, appena gli è possibile, di assicurare ai figli una scuola pri-
vata; altrimenti, dovendo scegliere tra il cibo e la scuola, decide per il niente scuola.
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Il presidente della Republica Centrafricana, François Bozizé
                         con il presidente della Repubblica Francese, Jacques Chirac

     La conseguenza è di circa un 50% di analfabeti, con un regresso rispetto alla situa-
     zione registrata dieci anni fa e l'allontanarsi sempre più di un processo di sviluppo,
     l'unico veramente possibile, che parta dalla popolazione.

     Ma il neo presidente non aveva fatto promesse…?
     Mi domando se viva accecato dalla ricerca del proprio tornaconto personale o sia
     invece in balia di coloro che gli hanno permesso di raggiungere il potere. E pensare
     che è un Pastore protestante, capo di una chiesa locale, attiva in Benin e in Togo, la
     Chiesa del Cristianesimo Celeste, fondata in Centrafrica dallo stesso Bozizé e ban-
     dita dall'ex-presidente Patassé.
     Mi domando dove finiscano i diamanti e il legno pregiato delle foreste equatoriali.
     Bisognerebbe chiedere anche a lui un po' di trasparenza nei bilanci dello Stato. La
     popolazione, però, non chiede.

     A quando risale la situazione che oggi si è vieppiù incancrenita?
     Almeno a quindici anni fa, alla fine del governo di André Kolimgba, perché già allora i
     funzionari non erano pagati e il denaro destinato ai pagamenti non si sapeva che fine
     facesse. Kolingba fu sostituito da Patassé, su pressione dei francesi, che si comportò,
     però, allo stesso modo. Un colpo di Stato ha abbattuto Patassé e portato al potere
     Bozizé. L'economia non è stata promossa, ma risucchiata.
     Oggi, ciascuno cerca di sfruttare il potere che ha per trarne un guadagno, a qualsiasi
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livello, a torto o a ragione, e proprio la tragica storia di Tendresse Media (ne parlava
p. Dorino nella sua lettera pubblicata in GMI del mese di settembre, n.d, r.) ne è un
esempio. Lo Stato non esiste e perciò non può intervenire.

Chi potrebbe intervenire?
In passato i francesi avevano a cuore il Centrafrica per la sua posizione strategica, ma
oggi non hanno più bisogno di basi e di piste di atterraggio per i loro aerei militari.
Forse Bozizé sarebbe d'accordo nel dare loro un base militare a Bouar, nel Nord-
Ovest del paese, anche per avere chi gli garantisca la formazione di un esercito e di
un corpo di polizia, che possa difendere la popolazione dai continui attacchi prove-
nienti dai banditi di strada o da nuovi gruppi di ribelli.
A quasi tre anni dalla fine della guerra civile la situazione resta “precaria” anche a
causa di “bande armate” che continuano ad ostacolare le attività agricole e commer-
ciali, costringendo gli abitanti a rifugiarsi in Ciad e Camerun. Secondo le stime
dell'Onu almeno 15.000 centrafricani hanno trovato rifugio in Ciad in due differenti
flussi, uno a giugno l'altro a ottobre 2005, coincisi con altrettante campagne armate.
D'altronde tra i militari e i banditi c'è uno stretto legame di parentela e sono un fla-
gello nelle zone di brousse, lungo le piste: un vero inferno per chi vi deve transitare,
sempre a rischio di un assalto.
A titolo di esempio, si può citare l'aggressione di cui è stato vittima un padre cap-
puccino, sulla pista verso Ngaoundaye, nell'angolo di terra centrafricana che s'incunea
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tra Ciad e Camerun. Un uomo può essere più che solido psicologicamente e spiri-
     tualmente, ma il livello di tensione può divenire tale che per certuni è insostenibile.
     Molti missionari, al tempo del colpo di stato di Bozizé (marzo 2003) sono stati
     costretti a rientrare in patria per tempi più o meno lunghi, in seguito alle violenze
     psicologiche e talvolta anche fisiche subite. Suore, soprattutto di origine congolese,
     hanno molto sofferto, perché tutti i congolesi erano considerati nemici.
     Jean Pierre Bemba, infatti, un congolese, i cui mercenari si pagavano lo stipendio con
     il saccheggio, le violenze, gli stupri, aveva sostenuto Patassé. Quest'insicurezza grava
     sui religiosi che a volte sono costretti ad abbandonare le loro comunità e opere.

     E la vostra opera?
     Le attese sono tante, la messe potrebbe essere sicuramente abbondante, ma gli ope-
     rai sono pochi. Il Centro Cattolico Universitario, nato per gli studenti, funziona
     bene. E' certo però che potrebbe funzionare ancora di più. Gli studenti non sono
     assidui come ci si potrebbe aspettare. Vengono, sì, per fruire della biblioteca, per
     seguire qualche corso, ma anche in loro mi sembra di notare una forma di opportu-
     nismo: il desiderio di apprendere c'è, ma poco vigoroso. E' come se si accontentas-
     sero di fare quanto basta per sostenere gli esami. C'è forse una spiegazione a questo
     fenomeno: all'università i corsi hanno scarso valore, perché forniscono insegnamenti
     raffazzonati e mal assimilati, e i diplomi non offrono nessuna prospettiva d'avvenire.
     Il mercato del lavoro è chiuso alle speranze. In questo contesto anche la biblioteca

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fatica a tirare avanti, perché le sole sue risorse sono le quote d'iscrizione, attorno ai
3,50 euro, e 5/6 euro per frequentare un corso di inglese o di francese. Bisognerebbe
chiedere almeno tre volte tanto, per fare fronte alle spese, e non sarebbe un'esosità.
Una richiesta improponibile e per questa ragione bisogna trovare finanziamenti.
A fronte di questa situazione interna, chi ha parenti in Francia, cerca di ottenere il
visto per raggiungerli, ma sono giovani che appartengono a famiglie ricche e relativa-
mente pochi. Gli altri vivacchiano, protraendo un corso di studi che, anche se non per
colpa loro, va oltre l'età media di uno studente. Chi si crede un intellettuale, non
ritorna volentieri a lavorare la terra; rimane in città, dove, per sopravvivere, si dà al
piccolo commercio ambulante e, se proprio deve tornare al villaggio, capita che eviti
di sporcarsi le mani! Non c'è gioia né progettualità, non c'è interesse.

Perché? È un'atavica eredità o una conseguenza di questi anni martoriati?
Probabilmente ci sono delle radici culturali: le popolazioni della foresta, secondo
molte tradizioni, sono piuttosto dedite alla raccolta di ciò che c'è in natura e non si
preoccupano di coltivare. Ne deriverebbe una intrinseca difficoltà a programmare il
proprio futuro.
Questo però non spiega tutto; forse una incidenza maggiore hanno avuto il susse-
guirsi dei tentativi di colpi di stato, una corruzione sempre più diffusa e diplomi dati
su pagamento di denaro piuttosto che sulla verificata competenza e conoscenza
acquisita, un A.I.D.S. galoppante, un'insicurezza connessa all'appartenenza etnica, i sac-

                                                                                             37
cheggi, gli ammutinamenti militari, che hanno sfiancato la popolazione e portato i gio-
     vani a non fare progetti, a rinunciare allo slancio interiore, perché ogni volta gli sfor-
     zi erano vanificati dalle circostanze.

     Mi sembra già un atto di coraggio guardare in faccia la realtà e attrezzarsi per
     affrontarla nel modo più idoneo. Che cosa pensate di fare, anche sotto l'a-
     spetto vocazionale?
     Credo che sia necessario cominciare con l'aiutare i giovani a riscoprire e ad affer-
     mare la loro dignità e la loro fierezza.Anche nella scelta vocazionale la prima cosa da
     fare è rimettere un giovane nella condizione di reggersi in piedi, di voler fare qualco-
     sa della sua vita e di credere che ci può arrivare. Solo allora dei desideri autentici
     potranno nascere in lui e sarà possibile entrare in un discorso di discernimento.
     Bisogna però procedere con prudenza. Si tratta di capire da chi e da dove nasce il
     desiderio. La chiesa indigena vive tra mille difficoltà e si sentono a volte critiche seve-
     re nei confronti dei sacerdoti africani, che vivono però spesso in condizioni molto
     difficili. Queste critiche sono da passare al vaglio, perché non sono sempre rispetto-
     se della verità. Ci si può però talvolta chiedere se, per l'uno o per l'altro, la scelta del
     sacerdozio sia stata veramente una scelta vocazionale, una scelta di fedeltà ad una
     chiamata venuta dallo Spirito. Ho dedicato parte della mia vita proprio all'accompa-
     gnamento di giovani che manifestavano il desiderio di fare scelte di vita consacrata,
     come pure alla formazione di novizi e anche di giovani religiosi applicati agli studi uni-
     versitari. Sono molto sensibile a questa problematica e so che rimane sempre una
     questione irrisolta.
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Brasile
      Come piccole gocce nelle grandi acque
                                     intervista di Grazia Salice con   P. Bruno Schizzerotto S.I.

In procinto di ripartire per Belém, ricordo che, tempo fa, aveva detto che i
gesuiti si trovano là dove non va nessuno, nelle zone più critiche, di frontiera.
Anche questa destinazione conferma la regola?
Da trentatrè anni sono missionario in Brasile. In tutto questo tempo ho svolto diver-
se funzioni apostoliche, che mi hanno portato dallo stato dell'Espirito Santo a quelli
di Bahia e del Pará fino all’Amazzonia. I cambiamenti fanno parte della nostra vita e
gli incarichi hanno una durata limitata. Il 3 maggio 2001 assunsi l'incarico di Superiore
del DIA a Manaus, incarico che ho portato avanti fino al 15 agosto 2005, data, in cui,
con decreto del P. Generale, il Distretto dei gesuiti dell'Amazzonia, istituito il 13
maggio 1995, è diventato Regione. Un passo importante, perché, con questo cambia-
mento, la Regione si sta avviando a diventare Provincia. Superiore è stato nominato
P. Roberto Jaramillo, già Direttore del SARES (Servizio di Azione, Riflessione e
Educazione Sociale) di Manaus, la cui direzione grava ora sulle spalle di P. Claudio
Perani, primo Superiore del Distretto. Dal 2 febbraio 2006 sarò Superiore della

           P. Bruno Schizzerotto, a sinistra, durante la concelebrazione del 3 dicembre 2004 per
        l’80° compleanno di Dom. Angelo Rivato, al centro, alla sua destra Dom. Alessio Saccardo    39
La residenza della comunità della cappella di Lourdes

     comunità dei gesuiti della Cappella di Lourdes di Belém dove, dopo alcuni mesi di
     preliminare conoscenza, assumerò la direzione della Cappella, con la sua Casa di riti-
     ro, e accompagnerò la Comunità Vocazionale, nella quale si preparano i giovani che
     intendono entrare in Noviziato a Manaus, il Centro Alternativo di Cultura che si
     occupa dei ragazzini nelle periferie, bisognosi di un accompagnamento scolastico.

     Una vita feconda i dieci anni del DIA, guidato nei primi passi da P. Perani!
     Partito con poco più di una ventina di gesuiti, oggi ne ha circa quarantotto.
     Venticinque sono impegnati nella missione apostolica (a Belém, Marabà, Manaus e
     Tabatinga, quattro città, lontane chilometri l'una dall'altra, che normalmente raggiun-
     giamo in aereo), e ventitré in formazione, tra Noviziato e Magistero, attualmente
     ancora nessuno della Regione studia Teologia. Ciò significa che la prima ordinazione
     sacerdotale di questi gesuiti sarà tra cinque o sei anni. Per questo, quando assunsi l'in-
     carico nel 2001, di fronte alla grande mole di lavoro e tenuto conto delle risorse, dissi
     scherzosamente: "È proibito ammalarsi e morire!". E, grazie al Cielo, tutti hanno resi-
     stito.Alle volte, si ha l’impressione che scarseggino forze e tempo per rispondere alle
     necessità. Riponiamo grandi speranze in questi giovani gesuiti in formazione, dono del
     Signore alla Chiesa amazzonica e frutto, forse anche un po', del nostro lavoro.
     Il P. Generale ha ritenuto che il DIA potesse acquisire lo status di Regione, proprio
     perché questi giovani aprono la speranza di un promettente futuro alla presenza della
     Compagnia in questo immenso paese. Questo comporta anche un impegno econo-

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Consacrazione dei giovani gesuiti in formazione nella chiesa di S. Ignazio, ora ceduta alla diocesi,.

mico non indifferente, perché la loro formazione e quella di coloro che - ci auguria-
mo - entreranno annualmente in pre Noviziato a Belém e in Noviziato a Manaus -
anche quest’anno quattro sono entrati in Noviziato - saranno sulle nostre spalle, ma
con l'aiuto della Provvidenza, che sempre ci ha assistito, confidiamo di sostenere que-
sto impegno, per potere, tra una decina d'anni, passare il testimone ai gesuiti locali.

P. Fozzer ricorda che il P. Generale aveva affidato alla Provincia Veneto-
Milanese una vastissima porzione del Brasile con l'impegno di inviarvi quaran-
ta membri entro dieci anni. Una sessantina d'anni e una comunità locale rice-
ve nelle proprie mani quest'eredità?
È nel nostro codice genetico: in questo siamo fedeli alla missione affidata da Gesù agli
apostoli: "E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino… Gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente date." (Mt. 10, 7- 8). Infatti, anche tutto quello che
abbiamo costruito non lo abbiamo tenuto per noi, ma dopo averlo aiutato a cresce-
re, lo abbiamo messo nelle mani delle diocesi, dove operiamo. Sono un piccolo esem-
pio la parrocchia di San Francesco a Marabá, dove i gesuiti assumono da quest’an-
no la parte più periferica con la costruzione della nuova parrocchia della Sacra
Famiglia e dove p. Muraro ha dedicato ben 12 anni di servizio, sia le nuove chiese di
S. Ignazio e dell’Assunzione, oltre alle Cappelle e alla casa parrocchiale di Icuì-
Laranjieras, che sarà affidata all’arcidiocesi di Belém. C'è però una preoccupazione
per i prossimi dieci anni. I venticinque gesuiti, che hanno iniziato il cammino del DIA,

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L’équipe in viaggio su7 fiume, a sinistra P. Fernando, suo fondatore

     oggi hanno dieci anni di più, mentre sono cresciuti gli impegni della Regione: la
     Comunità vocazionale, il Noviziato, il SARES, l'équipe itinerante. Uomini di una tem-
     pra eccezionale, ma che incominciano a sentirsi - dobbiamo riconoscerlo - ormai
     anziani, come p. Leopoldo Weber che, con i suoi splendidi 85 anni, lavora con uno
     spirito giovanile, che fa invidia a tanti giovani, e con grande disponibilità e capacità,
     senza lamentarsi, o come la comunità di Belém, dove andrò prossimamente, tutta
     dedicata al Santuario e alle attività annesse. Dal momento che il primo gesuita della
     Regione sarà ordinato, a Dio piacendo, tra circa sei anni, abbiamo bisogno di un aiuto
     immediato di forze. Siamo riconoscenti per l’aiuto finora ricevuto sia dalle Province
     del Brasile sia dalle altre confinanti, come Colombia, Bolivia, Cile, Paraguay...
     La Regione dell’Amazzonia sta suscitando un interesse speciale da parte di tutti.

     Proprio nel disegno di "strada facendo" della vostra missione è nata l'équipe
     itinerante. Come procede il suo cammino?
     È un cammino coraggioso, fruttuoso e intraprendente. L'équipe di Manaus, nata quasi
     10 anni fa, e composta da volontari di diverse istituzioni religiose e laiche, è impegna-
     ta tra gli indigeni, i pescatori lungo i fiumi e gli emarginati urbani. Questa prima équi-
     pe ne ha generata un’altra, che opera al confine della nostra Regione amazzonica tra
     Colombia, Perù e Brasile: le tre frontiere, in un’area di conflitto, dove le minacce delle
     FARC (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) e, purtroppo, l'assenza di infra-
     strutture primarie opprimono la popolazione. In queste immense regioni anche la

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Chiesa soffre, anch'essa avverte non solo la mancanza delle strutture, ma, soprattutto,
delle persone. La nostra presenza sacerdotale, in particolare all’interno, è ridottissima.
Le religiose e i laici ci aiutano moltissimo nella Pastorale, rendendo presente il Regno
di Dio. Le sette si fanno presenti ovunque. Con la presenza di un pastore in ogni
comunità, aumentano le pratiche religiose e i seguaci. La gente, molto religiosa, è alla
ricerca di aiuto spirituale. Abbondano tra loro benedizioni, manifestano la loro fede
ostentatamente, cantano ai quattro venti, con megafoni, preghiere di intercessione e il
popolo di Dio accorre... Mi pare che lo zelo apostolico rischi, a volte, il fanatismo e
che l’apatia dei fedeli verso i problemi sociali possa rinchiuderli nel loro guscio. Questo
ci preoccupa, considerando la situazione in cui versano... E’ risaputo che molte di que-
ste sette ricevono finanziamenti dagli USA, perché contribuiscono a mantenere lo
statu quo. Questo giustifica il loro proliferare, soprattutto nelle zone più povere delle
città o dell’interno, anche se tra gli adepti ci sono persone abbienti. Là dove l'équipe
itinerante svolge la sua attività, nelle diverse missioni, sia tra i riberinhos (lungo i fiumi)
sia tra gli emarginati delle periferie, non tralascia di attendere al compito importante
della formazione e della catechesi. L'avere accompagnato l'incontro di giugno a
Tabatinga, mi ha consentito di entrare in contatto con tutti i membri dell'équipe sia di
Manaus sia di Tabatinga e di viverne la ricchezza e la speranza. Sì una grande speranza,
sostenuta dalle promesse e dall'entusiasmo vitale dei giovani.
Mentre trascrivo la nostra chiacchierata, forse p. Bruno ha già toccato la
nuova tappa del suo cammino. La speranza, la fede e l’amore siano il suo
sostegno.

                          Incontro con i membri dell’équipe itinerante a Tabatinga.
             P. Bruno è il secondo da sinistra, nella fila in basso, dietro, al centro, p. Fernando.   43
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