BOLLETTINO - CAMERA PENALE VENEZIANA "ANTONIO POGNICI" I NUMERO SPECIALE 2019 - Amazon AWS
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I NUMERO SPECIALE 2019 CAMERA PENALE VENEZIANA “ANTONIO POGNICI” BOLLETTINO
Ordine degli Avvocati di Venezia CAMERA PENALE VENEZIANA “ANTONIO POGNICI” SEMINARIO DIRITTO PENALE DEGLI STRANIERI E DELLE MINORANZE Saluti istituzionali Avv. Annamaria Marin Presidente Camera Penale Veneziana Avv. Giuseppe Sacco Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia Avv. Renato Alberini Presidente Fondazione Benvenuti Prof. Ivana Padoan Direttrice Centro Studi per i Diritti Umani Università di Venezia Avv. Enrico Varali Presidente Camera degli Avvocati Immigrazionisti del Triveneto Relazioni Prof. Fabio Perocco Direttore Master Immigrazione Università Cà Foscari di Venezia Immigrazione e disuguaglianza razziale Dr. Armando Spataro già Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino Immigrazione, sicurezza sociale e diritti fondamentali delle persone Prof. Luca Masera Università di Brescia Il diritto penale e i fenomeni migratori: dalla criminalizzazione dei migranti alla criminalizzazione dei soccorsi pausa lavori Cons. Raffaello Magi Prima Sezione Penale Corte di Cassazione I limiti all’espulsione per pericolosità sociale Avv. Antonio Di Muro UNHCR Ufficio Regionale per il Sud Europa Protezione internazionale, ordine pubblico e sicurezza sociale Avv. Lorenzo Trucco Presidente ASGI – Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione La tutela penale del cittadino straniero e delle minoranze Avv. Luca Mandro Commissione Carcere Camera Penale Veneziana Stranieri e ordinamento penitenziario Modera Avv. Monica Gazzola Commissione Diritti fondamentali, Immigrazione e questioni di Genere C.P.V. Lunedì 18 marzo 2019 ore 14.30 – 19.00 Sala Capitolare della Scuola Grande di San Teodoro S. Marco 4810 - Venezia Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia ha riconosciuto 4 cred. form. di cui 1 nelle materie obbligatorie Per iscrizioni: www.ffbve.it. Segr. CPV, S. Croce 430 Venezia tel. 041.5209155 fax 041.5203106 e-mail: segreteria@camerapenaleveneziana.it MASTER IMMIGRAZIONE
CAMERA PENALE VENEZIANA “ANTONIO POGNICI” SEMINARIO DIRITTO PENALE DEGLI STRANIERI E DELLE MINORANZE Venezia, 18 marzo 2019. AVV. ANNAMARIA MARIN Buon pomeriggio a tutte e a tutti. Ho il piacere di introdurre i saluti all’importante seminario che ci attende oggi pomeriggio. Il seminario “Diritto penale degli stranieri e delle minoranze” è il secondo appuntamento che la Commissione Diritti Fondamentali Immigrazione e Questioni di Genere della Camera Penale Veneziana dedica alle problematiche dell’immigrazione, e questo dopo il seminario del giugno 2018 sul tema “Islam, diritto penale e condizione femminile” che abbiamo tenuto sempre in questa bella sala. Ringrazio la Commissione in tutte le sue componenti per l’ulteriore occasione di approfondimento, ma anche di confronto, su tematiche che indubbiamente oggi sono di assoluta centralità nella nostra società e soprattutto per aver pensato e costruito un appuntamento che ci invita a richiamare all’attenzione del nostro dovere di formazione e di competenza anche su questo fenomeno, così complesso, così delicato, rispetto al quale riteniamo che non sia consentito tenere un atteggiamento di indifferenza, non sia consentito tenere un atteggiamento di impotenza, né, per essere un po’più positivi, di rinuncia a una definizione che non può essere emergenziale e che deve essere rispettosa del diritto e dei diritti di tutti. Sono lieta della tappa ulteriore nella nostra collaborazione con l’Università di Ca’ Foscari di Venezia, con il Centro Studi per i Diritti Umani e con il Master Immigrazione. Sono lieta della collaborazione con l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione e con la Camera degli Avvocati Immigrazionisti del Triveneto. Sono lieta, infine, della collaborazione nell’ottica di un lavoro di squadra e di condivisione che si è realizzata anche in occasione di questo seminario tra la Commissione Diritti Fondamentali Immigrazione e Questione di Genere e la Commissione Carcere della nostra Camera Penale. In questo mio saluto voglio ricordare le vittime della recente strage in Nuova Zelanda. A loro voglio dedicare questo seminario stringendomi, e 1
sono convinta che lo posso fare assieme a voi, alle loro famiglie e alla società di quel Paese. Tutti assieme dobbiamo saper reagire a tanta inaudita violenza impegnandoci per respingere con forza quelle che possono essere le temibili conseguenze, non solo dal punto di vista emulativo, ma anche dal punto di vista della gestione, nei confronti dell’opinione pubblica e della politica, di questa terribile tragedia. Quindi impegnandoci per respingere con forza derive razziste, derive che alimentino odio e vendetta, derive di criminalizzazione degli stranieri e delle minoranze, derive di abbassamento del livello di civiltà giuridica, adoperandoci quindi sempre e comunque per la tutela dei diritti fondamentali e il rispetto delle persone. Io auguro a tutti buon lavoro e ringrazio dando la parola per i saluti le altre istituzioni che hanno collaborato a questo pomeriggio. Ringrazio innanzitutto il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia dando la parola all’Avvocato Fabiana Danesin, che ne è la Vice Presidente. AVV. FABIANA DANESIN Buongiorno a tutti. Vi porto i saluti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia anche a nome del suo Presidente, che oggi non ha potuto intervenire, e del Consiglio tutto. Voi sapete come il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia è particolarmente sensibile alla formazione ed in particolare e soprattutto in temi così delicati come quello che oggi verrà trattato. Intanto le mie congratulazioni per la qualità dei relatori e anche per l’intensità dei temi che verranno oggi trattati. E’ un tema questo, come vi dicevo prima, particolarmente sensibile, non soltanto per il momento storico in cui viviamo, ma perché ritengo che, tra l’altro, gli Avvocati devono dar prova, proprio perché sono i fautori e devono dimostrare sempre di più una preparazione specifica, non si può parlare di specializzazione, ma si può parlare di coscienza che ognuno di noi deve avere per trattare determinati temi, perché questi sono temi in cui l’Avvocato deve dimostrare ancora di più una sua preparazione, una sua sensibilità, e non può inventarsi, diciamo così, e lo metto tra virgolette, di fare qualsiasi attività soltanto perché bisogna fare. Qui richiamo veramente la sensibilità di noi tutti, nel senso che, proprio per il tema che viene trattato, si richiede una particolare specializzazione, lo dico impropriamente però forse è la parola più adatta per parlare di questo. Sembra che sia tutto semplice, in realtà, se andiamo ad esaminare queste norme, se andiamo a verificare le differenze, non è così facile, non è un 2
approccio così semplice arrivare anche ad un Tribunale a trattare di questi temi. Ecco il motivo per cui, ribadisco, il Consiglio dell’Ordine è particolarmente sensibile a questi temi e ad avere degli Avvocati preparati, perché noi dobbiamo anche far valere i diritti, la nostra funzione è proprio esclusivamente questa. Quindi, ribadisco ancora una volta, un Avvocato preparato è anche colui che, a maggior ragione, sa portare avanti ed è il portavoce dei diritti che deve poi far applicare nelle sedi più appropriate e quindi nei Tribunali. Vi auguro davvero un buon lavoro. Vi ricordo soltanto che l’Ordine degli Avvocati di Venezia solo nel 2018 ha trattato diecimila domande di gratuito patrocinio per le questioni migranti. Siamo uno dei Tribunali che stanno lavorando di più, ma insieme ai Giudici anche questo Consiglio dell’Ordine che si è dotato addirittura di un sistema informatico apposito per dare più celermente le delibere e quindi per far funzionare al meglio la macchina della giustizia. Lo dico con un po’ di orgoglio, con un po’ di vanto per questo Consiglio dell’Ordine, perché abbiamo in questo modo accelerato e abbiamo dato il nostro piccolo contributo affinché anche le domande delle persone che chiedono asilo, rifugiati e quant’altro, abbiano il prima possibile una risposta di giustizia. Con questo veramente vi saluto, vi ringrazio e vi auguro un buon lavoro. AVV. ANNAMARIA MARIN La parola adesso per il saluto all’Avvocato Renato Alberini, Presidente della Fondazione Benvenuti. AVV. RENATO ALBERINI Buon pomeriggio a tutti. Sono molto lieto di portare il saluto della Fondazione Feliciano Benvenuti, a tutti gli illustri Relatori, alle autorità presenti e a tutti i partecipanti, a un evento di così straordinaria importanza. Per chi non lo sapesse, il Prof. Feliciano Benvenuti è stato un illustre rappresentante del mondo accademico, del mondo politico e del Foro veneziano. Non so quale fosse la figura preponderante, ma era una persona particolarmente eclettica che riusciva a sviluppare al meglio tutte le sue naturali doti professionali anche. Era un uomo di profonda e vastissima cultura, e mi riferisco non soltanto alla cultura cosiddetta “giuridica”, ma in senso generale. 3
La missione statutaria della Fondazione Feliciano Benvenuti è quella della formazione, contribuire alla formazione. Il nostro unico socio di maggioranza assoluta e totale è il Consiglio dell’Ordine e ci ha delegato in questo senso a pensare alla formazione di tutti gli Avvocati, ma, in particolar modo, come scuola forense, dei giovani che intendono avvicinarsi a questa nostra bellissima professione. Come missione statutaria abbiamo sì presente le questioni tecniche anche del diritto, ma soprattutto e prima di tutto la nostra Costituzione. Sulla nostra Costituzione noi dobbiamo ragionare. Ricordo che la Costituzione, questo lo ricordiamo sempre ai nostri giovani allievi, è per tutti noi una protezione contro i soprusi, ma anche un punto di riferimento e una guida per tutti noi nel nostro lavoro quotidiano. Come diceva Paolo Grossi, Presidente emerito della Corte Costituzionale, ripeto le sue parole: “La Costituzione è il nostro breviario da tenere sempre a portata di mano sul comodino”. Non a caso, parlando della struttura della nostra Costituzione si è parlato di una sorta di piramide rovesciata, perché alla base della costruzione normativa è stata collocata appunto la persona con la sua dignità, la singola persona, ogni persona, dal cittadino allo straniero, dal libero al detenuto. E’ proprio partendo dalla persona che è stato costruito tutto l’ordinamento costituzionale. Ma quando parliamo di Costituzione parliamo di Costituzione di tutti, che vale per tutte le persone che si trovano in Italia, cittadini o stranieri che siano, senza distinzione di colore della pelle, di etnia, di religione, e soprattutto la nostra Costituzione non conosce muri, muri non soltanto fisici, di qualcuno che vuole costruire in una parte molto lontana dal nostro territorio, ma soprattutto quelli cui ci si pone sempre di fronte e che non sono strutturalmente costituiti di materia ma sono ancora più difficile da abbattere. Libertà, solidarietà, uguaglianza sono i principi fondamentali della nostra Costituzione, come tali sono ineludibili, e abbiamo come custode il nostro Presidente della Repubblica e la Consulta. Voglio concludere questo mio breve messaggio di saluto a tutti voi, augurando ai Relatori un proficuo lavoro, ricordando alcune parole dell’attuale Presidente della Corte Costituzionale Giorgio Lattanzi, in un’intervista che ho avuto modo di leggere in questi giorni che ha rilasciato a Repubblica: “La Costituzione è uno scudo prezioso, soprattutto per i più deboli, proprio perché sono questi ad avere più bisogno di protezione. Essa vale per tutte le persone che si trovano in Italia, cittadini o stranieri che siano. La Carta non è solo la nostra legge fondamentale, ma è anche e soprattutto un’idea di società democratica, pluralistica, aperta e tollerante”. Io penso che tutti noi che siamo qui presenti e quindi dimostriamo una 4
particolare sensibilità a queste tematiche possiamo sposare queste parole del nostro illustre Presidente della Corte Costituzionale. Buon lavoro a tutti. AVV. ANNAMARIA MARIN Ora l’indirizzo di saluto della Professoressa Ivana Padoan, che sono contenta di avere come a giugno scorso qui seduta al mio fianco, direttrice del Centro Studi per i Diritti Umani dell’Università di Venezia. DOTT.SSA IVANA PADOAN Grazie, Presidente. Da diversi decenni esattamente dal 1999, l’Università di Venezia organizza un Master sull’Immigrazione. Fenomeni migratori e trasformazione sociale. La questione incrocia da sempre il problema dei diritti umani, culturali, sociali e dell’ambiente. Su questo tema infatti vanno ad incrociarsi diverse discipline: storico- politiche, socio-educative, antropologiche; trasformazioni culturali relative al vivere, all’abitare, al lavoro, al futuro generazionale della popolazione, compresi i soggetti e le famiglie immigrate. Un processo che mette in campo diverse operazioni da quelle normative e della legalità, a quelle dell’accoglienza, dell’interculturalità, dell’interazione e dell’inclusione. In sintesi, possiamo dire che il problema è essenzialmente culturale, se per cultura si intende quel processo trasversale e interdipendente che comporta, come dice Appadurai, una inedita dimensione innovativa prodotta dai cambiamenti che la mondializzazione e la globalizzazione hanno comportato. Per questo, l’Università di Venezia e il CESTUDIR in particolare, è sempre attenta ai diversi punti di vista e alle argomentazioni che vengono attivate in relazione alle problematiche. Da tempo infatti si attivano connessioni, collaborazioni, convenzioni non solo a parole, ma concrete, best practices, in merito alle diverse condizioni strutturali, ma anche quelle emergenziali, lo stesso significative (perché cariche di rappresentazioni oppositive), che richiedono un cambio di postura cognitiva, emotiva e attiva della nostra società. In particolare il pensiero va soprattutto al cambiamento rappresentazionale emerso dalla questione migrazione, soprattutto dalle ultime ondate migratorie in corso nel mondo e in particolare in Italia, caratterizzate da rappresentazioni di conflittualità e di discorsi d’odio. 5
La condizione immigratoria pur presentando delle difficoltà viene assemblata e sintetizzata, senza distinzioni e specificazioni, in maniera violenta negando le pur minime necessità, obblighi, rischi di pericolo, condizioni ambientale critiche che comporta. Da sempre siamo al centro del mediterraneo e siamo stati nel passato vittime e protagonisti di molti cambiamenti e processi strutturali ed emergenti tra cui la migrazione, la colonizzazioni dei paesi da cui provengono gli stessi migranti, la occupazione di altri paesi, domini e violenze. Abbiamo dunque la conoscenza della storia e delle responsabilità verso i paesi in crisi. La memoria diventa in questo ambito un processo di contributo alla coscienza e alla consapevolezza della comprensione dei diversi fenomeni evolutivi. Nella storia l’immigrazione non è stata nei diversi paesi necessariamente un’emergenza ( piuttosto l’emigrazione), perché fin dal 1800, nel primo dopoguerra, e nella seconda guerra, era una necessità di diversi paesi sia come movimento di emigrazione che come immigrazione. La questione della migrazione era in qualche modo una possibilità del futuro per paesi, comunità e soggetti dilaniati dalla guerra, dalla politica, dal razzismo, dalla povertà, dalla violenza, dal desiderio di una vita migliore. Era un accordo relativamente legalizzato se non tacito, in scambi, prestiti, obblighi, necessità demografiche, ricongiungimenti, aiuti, quasi istituzionali. Una presenza tuttavia differenzialmente accettata, che ha saputo in qualche modo “integrarsi” in molti paesi. La migrazione attuale è differente. Vi sono ancora guerre, povertà, transazioni politiche, economiche nazionali ma vi sono soprattutto movimenti individuali, comunitari, di gruppo, che attraversano l’intero mondo. Ma non sono come le precedenti quasi tutte di necessità estrema. Anche se vi sono migrazioni ricche e povere, ideologiche e di speranza, desideranti e di bisogni essenziali, sono migrazioni sufficientemente culturali da potersi muovere, resistere, cercare con forza un futuro migliore. Siamo nella complessità e il problema della migrazione va interpretato in termini di flussi (molti e diversi); flussi che attraversano il pianeta e chiedono di rispondere ai diritti della persona, degli individui, di comunità; diritto di libertà, di movimento, di sicurezza personale ed economica, diritto di cultura, diritto a un mondo migliore. Certamente vi sono anche situazione critiche ma questo è il “naturale” problema della complessità e della globalizzazione dei mercati, delle idee, delle religioni, delle politiche; dei media e delle tecnologie. Oggi ci sono documenti, testi, leggi e norme che hanno reso la questione della migrazione qualcosa di strutturale, anche in modi diversi a seconda delle politiche dei paesi; e di questo si è avvalso nel bene e nel male il discorso politico, perché il discorso politico è quello che genera dei grandi 6
cambiamenti rappresentazionali, che danno il senso e significato alle cose, senso e significato alle decisioni, ai domini, senso e significato al territorio, a chi poi agisce e vive la questione della migrazione. Per cui, sulla questione della rappresentazione, ci troviamo a combattere tra discorsi politici e istituzionali che impongono domini isolazionistici e tra convenzioni e dichiarazioni universali dei diritti umani, dei diritti alla vita, dei diritti al soccorso e all’accoglienza, sottoscritte dagli stessi paesi o istituzioni che le negano. Ricordo il discorso del Presidente del Consiglio d’Europa del 2010, che ha sottolineato come i discorsi nazionalistici non sono più validi, ma che l’Europa è diventata una democrazia allargata, una democrazia europea e che si deve rispondere a questa prospettiva. E’ anche vero che quello che è stato detto dal Consiglio d’Europa non sempre è stato accettato dai singoli Stati e dalle Nazioni, e questo ha aumentato il conflitto, oggi diventato un conflitto imponente, rispetto ai diritti, all’esistenza umana e materiale. Forse l’Europa, prima di diventare comunità europea, sapendo della storia passata, avrebbe dovuto inserire un codicillo sulla accoglienza dei migranti e dei colonizzati visto che è diventata grande con le loro risorse…. Notiamo invece come le dichiarazioni dei singoli Stati sembrano essere molto più legate a dei discorsi di conservatorismo di ideologie sovrane, di certi poteri, e/o di sentimenti e azioni d’uso e di funzione necessari al benessere interno. Oggi il migrante serve soltanto se è funzionale, se è dentro all’uso di qualcosa, ma non viene considerato un soggetto di diritto, di diritto alla vita, all’identità, alla cittadinanza, al ricongiungimento in tempi “buoni sociali e sostenibili”, in grado di far parte di una cittadinanza sociale, locale, nazionale, europea, internazionale, ed è questo il punto centrale sul quale credo che tutti i sistemi culturali, i sistemi giudiziari, i sistemi delle diverse strutture esistenziali, debbano rendersene conto. Siamo ancora popoli che reagiscono al fantasma del pericolo prima individuale poi sociale e forse infine istituzionale (istinto di difesa…). Ovvero abbiamo poca cultura storica e istituzionale, ma forse anche umana, per poter affrontare il problema in modo significativo, utile al sistema individuale e sociale. Operiamo sulle singolarità delle nostre derive personali senza comprendere il sistema in cui siamo immersi. Ci sono due, tre, attenzioni rispetto questo tema. Una prima rappresentazione sociale è legata al problema dell’insicurezza. L’immigrato porta con sé insicurezza; necessario quindi cambiare le rappresentazioni sociali su questo. Ad esempio, il fenomeno della sicurezza non può essere confinato solo all’interno di un servizio come quello della Polizia, ma diventare una sicurezza generativa che possa preservare la legalità del territorio, come 7
sottolinea sempre nei suoi interventi il Prefetto Laura Lega di Firenze. Dovremmo presiedere una sicurezza dentro una complessità di conflitto, perché il conflitto è un tratto dell’esistenza umana, dentro il cambiamento, nella risoluzione di problemi, e per fare questo è necessario che si possa intervenire insieme, in connessione, in pratiche diverse e diverse concezioni che però hanno l’attenzione verso un ormai glo.cal. Penso sia la stessa missione per gli avvocati, per gli Assistenti sociali, gli psicologi, i formatori, i giudici, i medici, i cittadini stessi e deve essere un’alleanza in stretta relazione con i diversi fenomeni che proteggono la sicurezza dei cittadini. La seconda questione più sottile è che l’immigrato oggi viene visto in cerca non soltanto di un posto dove andare ma di un posto dove possa essere valorizzata una forma economica avanzata, e questa rappresentazione deriva dalle diverse migrazioni verso il Sudafrica, quando è stata creata la doppia presenza e la doppia accettazione dei migranti e si sta estendendo in Europa creando migranti di serie A e B o C. Per questo è interessante capire e fare capire che la questione migratoria non diventi soltanto un elemento di “giudiziarizzazione” della migrazione e della gestione delle disuguaglianze. Questo diventa pericoloso, perché se cade sotto questo tipo di fenomeno, anche solo di standardizzazione legislativa, si comincia a discutere fra il migrante scelto, il migrante subito, il migrante di frontiera; fra pratiche possibili di accoglienza, di conciliazione, perdendo di vista le condizioni e le possibilità del futuro, ad esempio, il problema demografico o il problema del lavoro. La terza attenzione è l’attenzione all’inclusione culturale. La complessità e le tecnologie nonché i media, hanno aperto il varco. Non ci sono popoli che non conoscono il mondo. L’importante è attivare una forma di accoglienza strutturale ma anche preventiva della realtà dei singoli paesi, dell’identità del paese in cui si va a migrare, dell’educazione, della formazione: acculturalità, diciamo noi; ovvero si tratta di acculturare i locali e i migranti verso una reciproca conoscenza e forse anche un reciproco cambiamento, non mancano i dispositivi, manca l’organizzazione, la promozione di risorse, un pensiero sociale. Ciò che preoccupa di più è che molti Paesi orgogliosi del loro passato (la crescita dell’Italia dopo la guerra), della loro attenzione ai diritti (come la Francia e le sue conquiste sociali) non vogliono assolutamente assumere la loro responsabilità di inclusione sociale. Le stesse istituzioni che presiedono ai diritti civici, non li assumono nel senso di cittadinanza sociale. Ecco perché testimoni come voi e noi, avvocati e giuristi, assistenti sociali, professionisti del settore, l’Università stessa; testimoni di cultura, di 8
professionalità avanzate, devono tenere sempre la barra alta su questo tipo di problema. Dobbiamo pensare che i diritti non sono solo i diritti della nazione, non possiamo pensare soltanto a vincolare i diritti della nostra Costituzione o delle varie interpretazioni degli articoli della Costituzione. Con l’Europa i nostri diritti sono diventati diritti europei e non solo nazionali. Quindi l’attenzione deve mantenersi su questo ambito. Inoltre i diritti umani sono diventati diritti internazionali. Questo è il nostro futuro, che rende possibile l’evoluzione della specie vivente e non vivente, del suo futuro e diventare così cittadini del mondo. E per concludere bisogna riconoscere che la condizione della migrazione infatti va al di là dell’immigrazione stessa. E’ un problema di mobilità: una condizione di mobilità non solo dell’immigrato che viene da paesi poveri o in guerra, ma una condizione di tutti noi. La condizione della migrazione è una condizione possibile per tutti noi, perché tutti noi possiamo trovare altre strade, altre vie, altri paesi in cui vivere. Diventa una possibilità dell’esistenza umana di trovare altri orientamenti e altre vie, altre strutture di vita e di esistenza. Si tratta quindi di convincere il territorio, che il problema è molto più ampio, più profondo, più significativo per le nostre società. Per convincere un territorio dobbiamo fare alleanze fra tutti coloro che presiedono all’azione legislativa, all’accoglienza, all’azione formativa, all’azione giudicante, all’azione di sostegno, di difesa, di sicurezza. E’ per questo che dobbiamo cominciare a cambiare le rappresentazioni sociali.Tutti noi lo possiamo fare. Non esiste l’esperto della rappresentazione sociale. L’esperto siamo ciascuno di noi. Noi che presiediamo la Costituzione, come è stato detto prima, in qualche modo, siamo tenuti a cambiare le rappresentazioni sociali, soprattutto di chi in questo momento cerca di rivolgersi contro. AVV. ANNAMARIA MARIN Chiude con i suoi saluti l’Avvocato Enrico Varali, Presidente della Camera degli Avvocati Immigrazionisti del Triveneto. AVV. ENRICO VARALI Grazie, Presidente. 9
Sono lieto di portare i saluti e i ringraziamenti alle organizzatrici e organizzatori, al Consiglio dell’Ordine di Venezia e a tutti i presenti, e agli illustri Relatori che si susseguiranno questo pomeriggio. La Camera degli Avvocati Immigrazionisti del Triveneto è una realtà nata da poco meno di un anno che però ha raccolto nel Triveneto l’adesione di moltissimi colleghi e moltissime Avvocate e Avvocati, siamo all’incirca una novantina. L’intento era quello di fare il punto di quella che è diventata una professione, una specializzazione, la necessità di condividere determinate esperienze anche nel mondo forense, nella consapevolezza che le tematiche dell’immigrazione necessitano anche di un approfondimento dal punto di vista professionale, e in quest’ottica appunto di poter collaborare anche con gli organi giudiziari e i Consigli degli Ordini degli Avvocati per rendere la professione anche di chi si occupa di queste tematiche più agevole da un certo punto di vista, ma nello stesso tempo creare occasione di confronto. In questo senso abbiamo accolto con molto entusiasmo l’invito ad aderire alla giornata odierna. Riteniamo che siano fondamentali questi momenti di approfondimento. Le tematiche che verranno trattate coinvolgono tutti noi. Mi si permetta di dire, da anni noi conosciamo chi si occupa quotidianamente di queste tematiche, conosciamo la nascita e la crescita di questo diritto speciale, che è legato alla presenza di cittadini immigrati, che conoscono il loro statuto speciale nell’ordinamento giuridico, sia esso di natura sostanziale sotto il profilo civilistico o penalistico, sia sotto il profilo anche processualistico. Sicuramente è una questione che interessa non solo la nostra società, intesa come principi di civiltà giuridica, ma interessa noi come difensori o comunque persone che tutelano determinati diritti. Da anni, dicevo, assistiamo alla nascita di questo diritto speciale, il diritto dello straniero, e da qui l’entusiasmo ad aderire e approfondire le tematiche di cui al convegno di oggi. Assistiamo alla nascita di questo diritto e nello stesso tempo allo sgretolamento dello statuto dei diritti, sempre più evanescente. Oggi ci troviamo molto spesso a combattere gli effetti trascinatori di determinate norme annunciate, che però hanno già i loro effetti nella pratica, e questo è sconvolgente per chi ha studiato nel nostro ordinamento e sa che il loro statuto dovrebbe essere sancito una volta per tutte, invece l’esperienza di tutti noi insegna come ogni giorno sia un momento di approfondimento e anche per ribadire ancora una volta dei diritti che non sono conquistati per sempre, che ogni giorno bisogna conquistare. Grazie ancora e buon lavoro. AVV. ANNAMARIA MARIN 10
Permettetemi, prima di lasciare il posto ai Relatori del pomeriggio, di ringraziarli tutti in maniera molto corale. Ci sarà poi la collega Avvocato Monica Gazzola a moderare gli interventi e l’incontro e a farne la dovuta presentazione, però davvero un grazie di cuore a tutti voi per la vostra presenza e la vostra disponibilità. AVV. MONICA GAZZOLA Buonasera a tutti, grazie per essere intervenuti, grazie per i saluti che in realtà hanno già introdotto in modo direi importante il tema di oggi. Prima di introdurre i nostri Relatori una piccolissima riflessione. Vedo tra di voi ci sono anche delle amiche e degli amici che hanno partecipato al progetto Lampedusa qualche anno fa; qualche anno fa ricorderete anche che c’era l’operazione cosiddetta “Mare Nostrum”, che ha salvato migliaia di vite nel nostro Mare Mediterraneo. Vi ricorderete che era stata ideata e attuata immediatamente dal governo italiano dopo le terribili stragi di migranti nel nostro Mare Mediterraneo al largo di Lampedusa nell’ottobre del 2013. Pensavo a queste cose guardando appunto le colleghe e i colleghi e pensando che sembrano passati decenni da quella sensibilità, da quella attenzione e da quell’entusiasmo con cui tutta l’Italia si era stretta intorno alle vittime di quei naufragi e in cui il governo aveva deciso di aiutare i migranti e i naufraghi. Cos’è cambiato? Sono passati solamente quattro, cinque anni e abbiamo visto soprattutto nell’ultimo anno accadere cose inaudite, ritengo, tipo negare l’attracco a delle navi dopo che avevano salvato dei migranti, tipo accusare di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina delle imbarcazioni di Ong dopo che avevano salvato migranti. Quindi credo che siano importanti momenti di riflessione come questo, perché siamo tutti convinti che i giuristi, Avvocati, Magistrati, Accademici, esperti di Ong, esperti di agenzie intergovernative, siano chiamati a richiamare, scusate il gioco di parole, i principi fondanti del nostro ordinamento italiano, europeo e internazionale. Offriamo questo pomeriggio di studio e di riflessione interdisciplinare convinti che alla fine di tutti gli interventi dei nostri ottimi Relatori avremo degli strumenti in più per portare, così come bene dice anche la Dottoressa Padoan, anche al vicino di casa, oltre che nelle aule dei Tribunali e nelle aule universitarie, degli elementi in più di riflessione e di poter aiutare anche nel cambiare l’approccio alla tematica dell’immigrazione. Introduco i Relatori ricordando, perché l’ho trovata particolarmente consona al pomeriggio di oggi, una recentissima sentenza della Gran 11
Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel caso Georgia contro Russia, comunicato del 30 gennaio del 2019 che dice: “Se gli Stati possono stabilire in modo sovrano le loro politiche migratorie, le difficoltà di gestione dei flussi migratori non possono giustificare pratiche incompatibili con le loro obbligazioni convenzionali”. Abbiamo affidato l’introduzione del pomeriggio al Prof. Fabio Perocco, Direttore del Master Immigrazione dell’Università di Venezia, dove insegna Sociologia delle Immigrazioni, Sociologia delle Diseguaglianze, Teorie Sociologiche, e si occupa da sempre di disuguaglianze, migrazioni, razzismo, trasformazione del lavoro. Titolo della sua relazione è “Immigrazione e disuguaglianza razziale”. Prego, Professore. PROF. FABIO PEROCCO Per questo incontro propongo delle riflessioni su alcune tendenze generali relative al rapporto tra immigrazione e disuguaglianze. Negli ultimi decenni c’è stato un ampio, profondo e tumultuoso processo di trasformazione sociale a scala mondiale, che ha ristrutturato tutti gli ambiti della vita sociale, in particolare il sistema delle disuguaglianze. Alle vecchie disuguaglianze si sono aggiunte nuove disuguaglianze, tra queste ne prendo in esame due. La prima concerne il forte inasprimento delle disuguaglianze interne nei singoli stati: l’approfondimento della polarizzazione sociale interna ai singoli Paesi costituisce un autentico fenomeno globale, tanto che non è esagerato parlare di globalizzazione della polarizzazione sociale interna. Alcuni studiosi hanno osservato che sta emergendo, nelle sue forme estreme, una sorta di apartheid globale. La seconda forma concerne la disuguaglianza razziale legata all’immigrazione, all’essere immigrati in un Paese straniero. Non si tratta di una novità sul piano storico, ma oggi assistiamo a una vera e propria globalizzazione della disuguaglianza legata all’immigrazione che riguarda l’Europa, gli Stati Uniti, il Giappone, ma anche il Medio Oriente, l’America del Sud, alcuni Paesi dell’Asia. Questo secondo fenomeno è determinato da cause molteplici, due in particolare: 1) la globalizzazione dei processi industriali e dei rapporti sociali capitalistici, e in questo quadro, il ricorso ampio e sistematico da parte di molti paesi a manodopera straniera tenuta in una condizione di inferiorità sociale rispetto ai lavoratori nazionali, per abbassare il costo del lavoro e competere nei mercati globali; 2) la mondializzazione di politiche migratorie selettive, restrittive e repressive, con gli stati di mezzo mondo che fanno a gara nel peggiorare le condizioni della migrazione e le condizioni di vita degli immigrati. In diverse parti del mondo ciò è divenuta una vera e propria guerra agli emigranti e agli immigrati. Un elemento essenziale alla base della disuguaglianza razziale legata all’immigrazione è la combinazione tra precarizzazione strutturale del lavoro e precarizzazione globale delle migrazioni. Per quanto riguarda la precarizzazione strutturale del lavoro, nucleo centrale delle politiche neo-liberiste, si tratta di un processo che è più ampio e più profondo di una 12
semplice sottrazione di spazi al lavoro garantito. Dopo una parentesi di alcuni decenni nel secondo dopoguerra, che aveva visto il conseguimento del diritto ad un lavoro (relativamente) stabile e sicuro, ha avuto luogo una radicale ed estrema mercificazione del lavoro, che ha chiuso quella parentesi e inaugurato una stagione della precarietà strutturale e permanente (già Beck anni fa parlava di “società del precariato”) dalle modalità inedite, applicate in prima istanza agli immigrati. Con l’arrivo della crisi economica e la necessità di recuperare produttività, la precarizzazione del lavoro si è ulteriormente allargata e approfondita, ha fatto un salto di quantità e di qualità, andando oltre la precarietà conosciuta nel recente passato. Oggi le frontiere della precarietà 2.0 – voucher, buoni pasto in sostituzione del salario, tirocinio seriale, lavoro volontario, lavoro gratuito, lavoro poco remunerato, rapporti lavorativi informali e saltuari, posted workers, zero hour contracts – hanno espanso i propri confini, rimpiazzando una parte del lavoro decente e una parte degli stessi lavori precari di “prima generazione”, diventando per molti la regola. La mercificazione del lavoro a volte è divenuta in casi estremi una vera e propria nullificazione del lavoro e del lavoratore. Il processo di precarizzazione strutturale del lavoro, tanto nella vecchia versione quanto nella nuova, si è abbattuto su tutti i lavoratori, ma li ha toccati in maniera differenziata: i primi e più colpiti sono stati gli immigrati, i giovani, le lavoratrici con figli a bassa istruzione e scarsa qualifica, gli older workers interessati dalle ristrutturazioni aziendali, i lavoratori poco qualificati, tutte figure appartenenti alla frazione più instabile e vulnerabile della working class europea. Per quanto riguarda il processo di precarizzazione delle migrazioni avvenuto in Europa negli ultimi due decenni, esso ha interessato sia le popolazioni immigrate residenti da tempo sia i nuovi emigranti. Le prime hanno visto accentuarsi e moltiplicarsi i meccanismi di esclusione, segregazione e assimilazione, i secondi hanno incontrato meccanismi selettivi e restrittivi di entrata e di inserimento sempre più aspri e rigidi. La precarizzazione dell’immigrazione, che non è un fenomeno nuovo nella storia europea, è avvenuta attraverso molteplici modalità e meccanismi, tra cui politiche all’insegna dell’utilitarismo migratorio, l’incentivazione delle migrazioni temporanee, l’assegnazione all’immigrazione di uno specifico ruolo nel mercato del lavoro e nei sistemi economici europei, l’ascesa del razzismo e della propaganda anti-immigrati. Rispetto al processo di precarizzazione delle migrazioni prendo in esame solo il primo punto, quello relativo alle politiche migratorie, che, val bene ricordare, sono variabili dipendenti del mercato del lavoro. Le politiche migratorie dei singoli stati europei hanno peggiorato le condizioni della migrazione, aggravato le condizioni delle popolazioni immigrate residenti e dei nuovi emigranti in arrivo, mettendo a disposizione del mercato del lavoro lavoratori vulnerabili, con mezzi diritti, poco radicati. Hanno ultra-precarizzato la condizione degli immigrati sottoponendoli ad una doppia precarietà, lavorativa e giuridica, legata da un lato alla precarizzazione del lavoro vista in precedenza e dell’altro alle legislazioni di tanti paesi europei che hanno subordinato la permanenza legale nel territorio nazionale all’esistenza di un contratto di lavoro e vincolato i diritti sociali (stratificandoli) allo status migratorio. Ma questo ritorno del Gastarbeiter (lavoratore-ospite), perché di questo si tratta, è avvenuto in un contesto a capitalismo flessibile con tutto il suo portato di frammentazione e polarizzazione, mettendo la maggioranza dei lavoratori immigrati in una situazione di ricattabilità permanente e precarietà totale che li costringe ad accettare qualsiasi condizione. La combinazione tra precarietà lavorativa e precarietà giuridico-amministrativa ha 13
prodotto un ampio e profondo peggioramento della condizione degli immigrati, i quali, scissi tra una condizione di rigidità determinata dalla legislazione sull’immigrazione e una condizione di flessibilità prodotta dalla legislazione sul lavoro, si sono ritrovati nella situazione di lavoratori-ospiti in un contesto di ristagno economico, ascesa dei contratti atipici, indebolimento del movimento dei lavoratori e sindacale. Politiche migratorie selettive, restrittive e repressive calibrano la presenza e la condizione degli immigrati sui bisogni del mercato e sulla flessibilità necessaria al mercato del lavoro, hanno reso più precario l’inserimento lavorativo e sociale, hanno rafforzato i fattori di esclusione sociale. In questo quadro c’è stato un aumento significativo delle migrazioni temporanee (stagionali, circolari), le uniche migrazioni legali per lavoro. Attraverso l’impiego di emigranti temporanei i paesi europei utilizzano lavoratori stranieri iper-mobili senza subire le implicazioni e i vincoli sociali derivanti dal radicamento delle popolazioni immigrate e dalle trasformazioni sociali indotte dall’immigrazione, ovvero riducono i cosiddetti costi sociali e politici dell’immigrazione. Un paese rappresentativo del processo di formazione di una disuguaglianza razziale legata all’immigrazione è l’Italia, dove la disuguaglianza razziale si è aggiunta alle disuguaglianze di classe, di genere, di generazione e di territorio, esistenti storicamente. Essa è il risultato del sistema di discriminazioni che investe strutturalmente tutti gli aspetti della vita degli immigrati e del sistema dei rapporti sociali esistente tra società d’arrivo e popolazioni immigrate. In particolare essa è l’esito dell’azione combinata di almeno tre strutture di stratificazione sociale – il mercato del lavoro, l’ordinamento giuridico, i mass-media – che hanno seguito logiche che sono sfociate nell’inferiorizzazione e nella segregazione. Questa disuguaglianza, che interessa le popolazioni immigrate in modo differenziato, ha visto in funzione specifici meccanismi generativi come la selezione delle popolazioni immigrate, lo sfruttamento differenziale dei lavoratori immigrati, la creazione di un diritto per così dire speciale, di un regime legale speciale e differenziato, la stigmatizzazione sistematica nei discorsi pubblici, il ritorno della retorica assimilazionista. Questa disuguaglianza è multidimensionale poiché dal lavoro alla salute, dalla condizione abitativa alla condizione scolastica, dalle immagini pubbliche alla condizione giuridica, interessa tutte le dimensioni della vita sociale degli immigrati: non c’è aspetto o dimensione della vita sociale in cui non si registri una situazione di disparità tra popolazioni immigrate e popolazione maggioritaria – neppure nella morte e dopo la morte. Fattore propulsivo di questa disuguaglianza è stata l’irresistibile ascesa del razzismo istituzionale avvenuta negli due decenni, che ha prodotto nel nostro paese una vera e propria razzializzazione dei rapporti sociali. Il motore permanente di questa disuguaglianza è la disuguaglianza lavorativa. Dall’accesso al lavoro alla disoccupazione, dalle mansioni ai salari, dall’inquadramento alla mobilità, dagli incidenti sul lavoro alla sicurezza sociale, la condizione lavorativa degli immigrati è caratterizzata da forti disparità rispetto alla media nazionale. La grandissima parte dei lavoratori immigrati è concentrata in lavori a bassa qualifica e si trova in una situazione di acuta segregazione lavorativa. Sono occupati in prevalenza nei segmenti più bassi del mercato del lavoro, nelle occupazioni meno retribuite e meno qualificate, più faticose e più insalubri, come operaio generico e manovale edile, bracciante agricolo e addetto alle pulizie, collaboratore domestico e assistente familiare, nei comparti dei servizi (alle imprese, alle famiglie e alla persona), degli alberghi e della ristorazione, dell’industria dei metalli e della concia, del tessile e dell’edilizia, dell’agricoltura stagionale e dell’agro- alimentare. Nel 1999 il 77,3% di essi svolgeva la mansione di operaio generico, nel 2012 14
l’87,1% era occupato come operaio e in occupazioni non qualificate rispetto al 39,6% dei lavoratori nazionali. Anche negli anni della crisi economica l’incremento degli occupati d’origine straniera è avvenuto sempre e quasi interamente all’interno delle mansioni a bassa qualifica, consolidando la canalizzazione e la segmentazione razziale del mercato del lavoro. Questa gerarchizzazione razziale del mercato del lavoro si è aggiunta ai vecchi dualismi del mercato del lavoro, legati al genere o alla temporaneità/stabilità del contratto lavoro. Sono molteplici gli indicatori che testimoniano la disparità lavorativa. Per quanto concerne il fenomeno del sottoinquadramento, i lavoratori immigrati sono soggetti ad un forte sotto-inquadramento, che dura più a lungo rispetto ai lavoratori nazionali. Il sottoinquadramento professionale – ovvero lo svolgimento di un lavoro che richiede un livello di conoscenze e competenze inferiori rispetto al titolo di studio conseguito – interessava nel 2015 il 40,9% dei lavoratori immigrati e il 21,6% dei lavoratori nazionali. Il sotto-inquadramento occupazionale, ovvero il possesso di un contratto di lavoro di livello inferiore rispetto ai compiti effettivamente svolti, è altrettanto diffuso. Il peggio è per le donne immigrate: la maggior parte di esse è occupata nel lavoro domestico, nel lavoro di cura, nel lavoro di servizio, come collaboratrice domestica, assistente familiare, addetta delle imprese di pulizia, cameriera. In questi comparti trovano agevolmente un lavoro ma al tempo stesso questi comparti sono delle gabbie al di fuori delle quali le possibilità di impiego sono limitatissime. L’importo mensile medio dei salari delle lavoratrici immigrate è molto basso (nel 2015 di 822 euro); la canalizzazione nel settore dei servizi a bassa a qualifica, la discriminazione di genere e razziale, si riflettono in una significativa disparità salariale rispetto alla media nazionale (rispetto agli immigrati maschi [nel 2015 di 1.122 euro] e alle donne italiane [nel 2015 di 1.202 euro]) a conferma della triplice oppressione che colpisce le donne immigrate – in quanto donne, lavoratrici, immigrate. Tra le lavoratrici domestiche e le assistenti familiari – di cui una buona parte senza contratto di lavoro – vige una forte segregazione lavorativa che ha pesanti conseguenze sulle condizioni materiali, di vita, di salute fisica e psichica. I lavoratori immigrati sono interessati da un più alto tasso di disoccupazione (nel 2015 il 16,2% rispetto all’11,4% dei lavoratori nazionali), di sottoccupazione (nel 2015 l’11,7% vs 4,2%) e da una più ampia precarietà contrattuale che dura più a lungo rispetto ai lavoratori nazionali. Con l’arrivo della crisi economica i lavoratori immigrati e i lavoratori nazionali sono stati colpiti pesantemente dalla disoccupazione e dalla sottoccupazione, tuttavia i primi lo sono stati in modo più acuto a causa della concentrazione nei settori e nei lavori più interessati dalla crisi, della penalizzazione nei licenziamenti e nel godimento degli ammortizzatori sociali. Questi elementi, associati a condizioni di lavoro che non migliorano con l’anzianità lavorativa, ad una forte presenza in lavori con poche possibilità di avanzamento e di aumento salariale legato all’anzianità, si ripercuote sui salari, che sono più bassi rispetto a quelli (già modesti) dei lavoratori nazionali: i lavoratori immigrati hanno una retribuzione media netta mensile di 979 euro contro una media di 1.362 euro dei lavoratori nazionali (nel 2015). Se i lavoratori italiani non se la passano bene e non hanno mai vissuto sopra le proprie possibilità, i lavoratori immigrati costituiscono il segmento più compresso e discriminato della classe lavoratrice italiana ed europea. La povertà in Italia interessa molti italiani e stranieri, ma il tasso di povertà assoluta delle famiglie immigrate composte di soli stranieri è sei volte quello delle famiglie composte di soli italiani. La formazione di questo segmento sociale a reddito molto basso, di 15
famiglie immigrate povere (nel 2015 le famiglie immigrate disponevano mediamente di un reddito che era la metà di quello delle famiglie italiane: 19.725 euro vs 30.320 euro), è avvenuta contestualmente ai processi di caduta generale dei salari, di infoltimento delle fasce di reddito più basse, di incremento esponenziale dei working poor, di polarizzazione sociale, di assottigliamento della classe media, che hanno interessato la società italiana negli ultimi decenni. Come si vede quella della disuguaglianza razziale e dell’immigrazione è un’importante questione sociale, che bisogna far attenzione a non etnicizzare come ha giustamente osservato in precedenza nel proprio intervento la collega Padoan. Questione sociale che l’ideologia razzista, mascherata da antirazzista, tende a etnicizzare, naturalizzare, mistificare, trasformando in questione etnica. Quella della disuguaglianza razziale è una sfida che riguarda in particolare la cittadinanza sociale, dei diritti sociali di cittadinanza. Non è sicuramente la soluzione, ma una cittadinanza sociale globale che svincola il godimento dei diritti sociali al principio di nazionalità, che slega i diritti sociali allo statuto migratorio, può dare un contributo positivo a contrastare il processo di formazione di nuove disuguaglianze nel nostro paese di cui non abbiamo nessun bisogno avendo già vecchie disuguaglianze da affrontare. AVV. MONICA GAZZOLA Grazie al Prof. Perocco per questa introduzione importante, perché credo che ci offra degli scenari di riflessione ai quali forse come giuristi non siamo abituati, ma che ci aiutano a spiegare certe dinamiche legislative e anche giudiziarie. Introduciamo subito il Dottor Armando Spataro, che ci parlerà di diritti fondamentali delle persone in relazione alla sicurezza dello Stato. Il titolo esatto è: “L’immigrazione, la sicurezza dello Stato e i diritti fondamentali delle persone”. Non credo che ci sia bisogno di una introduzione particolarmente approfondita del Dottor Spataro, perché tutti lo conosciamo, lo leggiamo e lo apprezziamo. Io vorrei solo ricordare una cosa che ritengo sia particolarmente significativa per spiegare anche perché oggi egli è qui con noi: a luglio dell’anno scorso il Dottor Spataro quale procuratore della Procura della Repubblica del Tribunale di Torino ha emanato delle linee guida “per un più efficace contrasto dei reati motivati da ragioni di odio e discriminazione etnico-religiosa e per la più rapida trattazione degli affari dell’immigrazione nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone”. Quindi già il titolo di queste linee guida rende evidente il senso di questo lavoro. Do subito la parola al Dottor Spataro. 16
1 DOTT. ARMANDO SPATARO Voglio preliminarmente ringraziare con convinzione, per avere organizzato questo seminario, il Consiglio dell’Ordine, la Camera Penale e tutti gli Avvocati di Venezia, sottolineando la necessità di individuare, come dirò nel mio intervento, “terreni” comuni di impegno. Vi possono ben essere delle divergenze di vedute tra magistrati ed avvocati come, ad esempio, quella sul famoso tema della separazione delle carriere, rispetto al quale le mie convinzioni non solo sono opposte a quelle dell’Unione Camere Penali ma arrivano a farmi ritenere l’argomento addirittura marginale e di poco significato rispetto ai problemi che oggi affliggono la giustizia. E’ bello, perciò, discutere di ciò che ci vede - e che ci deve vedere- camminare ed operare insieme, anche come antagonisti di una nuova forma di comunicazione che deve spingerci a cercare di spiegare al Paese qual è la verità sul complesso problema delle politiche migratorie. Mi scuserete se, parlando, userò il riferimento a “noi Magistrati”, pur non essendolo più dal 17 dicembre, ma prometto che poco alla volta finirò con l’abbandonare questa espressione e questo errore. Sul tema in discussione sono state già pronunciate affermazioni importanti e condivisibili da vari autori e studiosi, ma voglio iniziare il mio intervento citando una frase da cui intendo prendere le distanze: intendo riferirmi a ciò che ho letto qualche giorno fa - e che mi ha stupito - a proposito dell’inaugurazione dell’anno giudiziario da parte del Presidente del Tribunale Regionale Amministrativo di Brescia. Questo Presidente avrebbe nel suo intervento lodato l’esecutivo, ma questo non è un problema, definendolo “finalmente un esecutivo non più pavido” per le iniziative prese in tema di sicurezza e di diritto dell’immigrazione ed aggiungendo - il che mi ha lasciato senza parole se le cronache giornalistiche sono corrette - che il governo è intervenuto in un “dibattito spesso osteggiato da una penosa litania dei diritti fondamentali”. Vi lascio immaginare il mio giudizio su questa espressione, ma aggiungo che mi è capitato - da componente del CSM prima e da Procuratore della Repubblica poi - di essere stato presente a questi riti che talvolta sono meramente cerimoniali, mentre spesso presentano ragioni di interesse per i loro contenuti: orbene, se fossi stato presente a Brescia, dopo quella frase, mi sarei alzato e me ne sarei andato abbandonando aula e cerimonia, come spero abbia fatto qualche mio collega. Detto questo, il tema dell’immigrazione e del rispetto dell’equilibrio tra i diritti degli immigrati e il diritto alla sicurezza (perché la sicurezza è anche 1 L’intervento del Dott. Armando Spataro riproduce alcuni passaggi del suo articolo avente lo stesso titolo pubblicato sul n.2, 2018 della rivista “I diritti dell’uomo”, Editoriale Scientifica srl (pp 371-428). (NdA) 17
un diritto) è un tema che mi impegna molto da quando ho lasciato la professione (e che mi ha coinvolto anche prima). Mi impegna molto perché, come avvenuto in passato, per me esistono temi sui quali, soprattutto se si è giuristi o, come nel mio caso, “giuristi pratici” (come Berlusconi definiva i pubblici ministeri, senza che me ne sentissi offeso), non è possibile rimanere inerti alla finestra per guardare ciò che accade intorno a noi: bisogna scendere in campo mettendo da parte i passi felpati. Quando parlo di questo tema, ovunque mi trovi, in una scuola media inferiore o in un consesso di accademici, parto sempre dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e, ovviamente, dalla Costituzione italiana. Nel dicembre del 2018 abbiamo assistito, in tutto il Paese, alla celebrazione del settantennale della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: il 10 dicembre del 1948 è infatti la data in cui la Dichiarazione è stata approvata, e però, nel ricordarlo, dobbiamo sottolineare che l’enunciazione dei principi che contiene non costituisce soltanto una bella cornice di un bel quadro o un insieme di belle parole. Si tratta invece di principi giuridici di assoluta validità. E’ da questa ovvietà che bisogna partire. Ritenuto “indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l'uomo sia costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione”, l’Assemblea delle Nazioni Unite, tra i trenta articoli della Dichiarazione, ne approvò alcuni che possono definirsi la base giuridica di ogni intervento legislativo in tema di immigrazione. Tra questi, ai fini che qui interessano, spiccano : l’articolo 13: Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese. L’articolo 14: Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni. Questo diritto non potrà essere invocato qualora l'individuo sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite. L’articolo 15: Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza. 18
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