BOLLETTINO - CAMERA PENALE VENEZIANA "ANTONIO POGNICI" I NUMERO SPECIALE 2019 - Amazon AWS

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I NUMERO SPECIALE 2019

CAMERA PENALE VENEZIANA
   “ANTONIO POGNICI”

 BOLLETTINO
Ordine degli Avvocati di Venezia

                                    CAMERA PENALE VENEZIANA “ANTONIO POGNICI”

                                                            SEMINARIO

         DIRITTO PENALE DEGLI STRANIERI E DELLE MINORANZE
                                                Saluti istituzionali
                          Avv. Annamaria Marin Presidente Camera Penale Veneziana
                Avv. Giuseppe Sacco Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia
                             Avv. Renato Alberini Presidente Fondazione Benvenuti
                Prof. Ivana Padoan Direttrice Centro Studi per i Diritti Umani Università di Venezia
                Avv. Enrico Varali Presidente Camera degli Avvocati Immigrazionisti del Triveneto

                                                                  Relazioni
               Prof. Fabio Perocco Direttore Master Immigrazione Università Cà Foscari di Venezia
                                    Immigrazione e disuguaglianza razziale
                Dr. Armando Spataro già Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino
                       Immigrazione, sicurezza sociale e diritti fondamentali delle persone
                                    Prof. Luca Masera Università di Brescia
Il diritto penale e i fenomeni migratori: dalla criminalizzazione dei migranti alla criminalizzazione dei soccorsi
                                                      pausa lavori
                         Cons. Raffaello Magi Prima Sezione Penale Corte di Cassazione
                                  I limiti all’espulsione per pericolosità sociale
                          Avv. Antonio Di Muro UNHCR Ufficio Regionale per il Sud Europa
                              Protezione internazionale, ordine pubblico e sicurezza sociale
             Avv. Lorenzo Trucco Presidente ASGI – Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione
                           La tutela penale del cittadino straniero e delle minoranze
                          Avv. Luca Mandro Commissione Carcere Camera Penale Veneziana
                                       Stranieri e ordinamento penitenziario

                                                                     Modera
     Avv. Monica Gazzola Commissione Diritti fondamentali, Immigrazione e questioni di Genere C.P.V.
                                        Lunedì 18 marzo 2019 ore 14.30 – 19.00
               Sala Capitolare della Scuola Grande di San Teodoro S. Marco 4810 - Venezia
         Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia ha riconosciuto 4 cred. form. di cui 1 nelle materie obbligatorie
Per iscrizioni: www.ffbve.it. Segr. CPV, S. Croce 430 Venezia tel. 041.5209155 fax 041.5203106 e-mail: segreteria@camerapenaleveneziana.it

                                                         MASTER IMMIGRAZIONE
CAMERA PENALE VENEZIANA “ANTONIO POGNICI”

                    SEMINARIO
 DIRITTO PENALE DEGLI STRANIERI E DELLE MINORANZE

Venezia, 18 marzo 2019.

AVV. ANNAMARIA MARIN

Buon pomeriggio a tutte e a tutti.
Ho il piacere di introdurre i saluti all’importante seminario che ci attende
oggi pomeriggio. Il seminario “Diritto penale degli stranieri e delle
minoranze” è il secondo appuntamento che la Commissione Diritti
Fondamentali Immigrazione e Questioni di Genere della Camera Penale
Veneziana dedica alle problematiche dell’immigrazione, e questo dopo il
seminario del giugno 2018 sul tema “Islam, diritto penale e condizione
femminile” che abbiamo tenuto sempre in questa bella sala.
Ringrazio la Commissione in tutte le sue componenti per l’ulteriore
occasione di approfondimento, ma anche di confronto, su tematiche che
indubbiamente oggi sono di assoluta centralità nella nostra società e
soprattutto per aver pensato e costruito un appuntamento che ci invita a
richiamare all’attenzione del nostro dovere di formazione e di competenza
anche su questo fenomeno, così complesso, così delicato, rispetto al quale
riteniamo che non sia consentito tenere un atteggiamento di indifferenza,
non sia consentito tenere un atteggiamento di impotenza, né, per essere un
po’più positivi, di rinuncia a una definizione che non può essere
emergenziale e che deve essere rispettosa del diritto e dei diritti di tutti.
Sono lieta della tappa ulteriore nella nostra collaborazione con l’Università
di Ca’ Foscari di Venezia, con il Centro Studi per i Diritti Umani e con il
Master Immigrazione. Sono lieta della collaborazione con l’Associazione
per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione e con la Camera degli Avvocati
Immigrazionisti del Triveneto. Sono lieta, infine, della collaborazione
nell’ottica di un lavoro di squadra e di condivisione che si è realizzata
anche in occasione di questo seminario tra la Commissione Diritti
Fondamentali Immigrazione e Questione di Genere e la Commissione
Carcere della nostra Camera Penale.
In questo mio saluto voglio ricordare le vittime della recente strage in
Nuova Zelanda. A loro voglio dedicare questo seminario stringendomi, e

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sono convinta che lo posso fare assieme a voi, alle loro famiglie e alla
società di quel Paese. Tutti assieme dobbiamo saper reagire a tanta inaudita
violenza impegnandoci per respingere con forza quelle che possono essere
le temibili conseguenze, non solo dal punto di vista emulativo, ma anche
dal punto di vista della gestione, nei confronti dell’opinione pubblica e
della politica, di questa terribile tragedia. Quindi impegnandoci per
respingere con forza derive razziste, derive che alimentino odio e vendetta,
derive di criminalizzazione degli stranieri e delle minoranze, derive di
abbassamento del livello di civiltà giuridica, adoperandoci quindi sempre e
comunque per la tutela dei diritti fondamentali e il rispetto delle persone.
Io auguro a tutti buon lavoro e ringrazio dando la parola per i saluti le altre
istituzioni che hanno collaborato a questo pomeriggio.
Ringrazio innanzitutto il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia
dando la parola all’Avvocato Fabiana Danesin, che ne è la Vice Presidente.

AVV. FABIANA DANESIN

Buongiorno a tutti.
Vi porto i saluti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia anche
a nome del suo Presidente, che oggi non ha potuto intervenire, e del
Consiglio tutto.
Voi sapete come il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia è
particolarmente sensibile alla formazione ed in particolare e soprattutto in
temi così delicati come quello che oggi verrà trattato. Intanto le mie
congratulazioni per la qualità dei relatori e anche per l’intensità dei temi
che verranno oggi trattati.
E’ un tema questo, come vi dicevo prima, particolarmente sensibile, non
soltanto per il momento storico in cui viviamo, ma perché ritengo che, tra
l’altro, gli Avvocati devono dar prova, proprio perché sono i fautori e
devono dimostrare sempre di più una preparazione specifica, non si può
parlare di specializzazione, ma si può parlare di coscienza che ognuno di
noi deve avere per trattare determinati temi, perché questi sono temi in cui
l’Avvocato deve dimostrare ancora di più una sua preparazione, una sua
sensibilità, e non può inventarsi, diciamo così, e lo metto tra virgolette, di
fare qualsiasi attività soltanto perché bisogna fare.
Qui richiamo veramente la sensibilità di noi tutti, nel senso che, proprio per
il tema che viene trattato, si richiede una particolare specializzazione, lo
dico impropriamente però forse è la parola più adatta per parlare di questo.
Sembra che sia tutto semplice, in realtà, se andiamo ad esaminare queste
norme, se andiamo a verificare le differenze, non è così facile, non è un

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approccio così semplice arrivare anche ad un Tribunale a trattare di questi
temi. Ecco il motivo per cui, ribadisco, il Consiglio dell’Ordine è
particolarmente sensibile a questi temi e ad avere degli Avvocati preparati,
perché noi dobbiamo anche far valere i diritti, la nostra funzione è proprio
esclusivamente questa. Quindi, ribadisco ancora una volta, un Avvocato
preparato è anche colui che, a maggior ragione, sa portare avanti ed è il
portavoce dei diritti che deve poi far applicare nelle sedi più appropriate e
quindi nei Tribunali.
Vi auguro davvero un buon lavoro. Vi ricordo soltanto che l’Ordine degli
Avvocati di Venezia solo nel 2018 ha trattato diecimila domande di
gratuito patrocinio per le questioni migranti. Siamo uno dei Tribunali che
stanno lavorando di più, ma insieme ai Giudici anche questo Consiglio
dell’Ordine che si è dotato addirittura di un sistema informatico apposito
per dare più celermente le delibere e quindi per far funzionare al meglio la
macchina della giustizia. Lo dico con un po’ di orgoglio, con un po’ di
vanto per questo Consiglio dell’Ordine, perché abbiamo in questo modo
accelerato e abbiamo dato il nostro piccolo contributo affinché anche le
domande delle persone che chiedono asilo, rifugiati e quant’altro, abbiano
il prima possibile una risposta di giustizia.
Con questo veramente vi saluto, vi ringrazio e vi auguro un buon lavoro.

AVV. ANNAMARIA MARIN

La parola adesso per il saluto all’Avvocato Renato Alberini, Presidente
della Fondazione Benvenuti.

AVV. RENATO ALBERINI

Buon pomeriggio a tutti.
Sono molto lieto di portare il saluto della Fondazione Feliciano Benvenuti,
a tutti gli illustri Relatori, alle autorità presenti e a tutti i partecipanti, a un
evento di così straordinaria importanza.
Per chi non lo sapesse, il Prof. Feliciano Benvenuti è stato un illustre
rappresentante del mondo accademico, del mondo politico e del Foro
veneziano. Non so quale fosse la figura preponderante, ma era una persona
particolarmente eclettica che riusciva a sviluppare al meglio tutte le sue
naturali doti professionali anche. Era un uomo di profonda e vastissima
cultura, e mi riferisco non soltanto alla cultura cosiddetta “giuridica”, ma in
senso generale.

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La missione statutaria della Fondazione Feliciano Benvenuti è quella della
formazione, contribuire alla formazione. Il nostro unico socio di
maggioranza assoluta e totale è il Consiglio dell’Ordine e ci ha delegato in
questo senso a pensare alla formazione di tutti gli Avvocati, ma, in
particolar modo, come scuola forense, dei giovani che intendono
avvicinarsi a questa nostra bellissima professione.
Come missione statutaria abbiamo sì presente le questioni tecniche anche
del diritto, ma soprattutto e prima di tutto la nostra Costituzione. Sulla
nostra Costituzione noi dobbiamo ragionare. Ricordo che la Costituzione,
questo lo ricordiamo sempre ai nostri giovani allievi, è per tutti noi una
protezione contro i soprusi, ma anche un punto di riferimento e una guida
per tutti noi nel nostro lavoro quotidiano.
Come diceva Paolo Grossi, Presidente emerito della Corte Costituzionale,
ripeto le sue parole: “La Costituzione è il nostro breviario da tenere sempre
a portata di mano sul comodino”. Non a caso, parlando della struttura della
nostra Costituzione si è parlato di una sorta di piramide rovesciata, perché
alla base della costruzione normativa è stata collocata appunto la persona
con la sua dignità, la singola persona, ogni persona, dal cittadino allo
straniero, dal libero al detenuto. E’ proprio partendo dalla persona che è
stato costruito tutto l’ordinamento costituzionale. Ma quando parliamo di
Costituzione parliamo di Costituzione di tutti, che vale per tutte le persone
che si trovano in Italia, cittadini o stranieri che siano, senza distinzione di
colore della pelle, di etnia, di religione, e soprattutto la nostra Costituzione
non conosce muri, muri non soltanto fisici, di qualcuno che vuole costruire
in una parte molto lontana dal nostro territorio, ma soprattutto quelli cui ci
si pone sempre di fronte e che non sono strutturalmente costituiti di materia
ma sono ancora più difficile da abbattere.
Libertà, solidarietà, uguaglianza sono i principi fondamentali della nostra
Costituzione, come tali sono ineludibili, e abbiamo come custode il nostro
Presidente della Repubblica e la Consulta.
Voglio concludere questo mio breve messaggio di saluto a tutti voi,
augurando ai Relatori un proficuo lavoro, ricordando alcune parole
dell’attuale Presidente della Corte Costituzionale Giorgio Lattanzi, in
un’intervista che ho avuto modo di leggere in questi giorni che ha rilasciato
a Repubblica: “La Costituzione è uno scudo prezioso, soprattutto per i più
deboli, proprio perché sono questi ad avere più bisogno di protezione. Essa
vale per tutte le persone che si trovano in Italia, cittadini o stranieri che
siano. La Carta non è solo la nostra legge fondamentale, ma è anche e
soprattutto un’idea di società democratica, pluralistica, aperta e tollerante”.
Io penso che tutti noi che siamo qui presenti e quindi dimostriamo una

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particolare sensibilità a queste tematiche possiamo sposare queste parole
del nostro illustre Presidente della Corte Costituzionale.
Buon lavoro a tutti.

AVV. ANNAMARIA MARIN

Ora l’indirizzo di saluto della Professoressa Ivana Padoan, che sono
contenta di avere come a giugno scorso qui seduta al mio fianco, direttrice
del Centro Studi per i Diritti Umani dell’Università di Venezia.

DOTT.SSA IVANA PADOAN

Grazie, Presidente.
Da diversi decenni esattamente dal 1999, l’Università di Venezia organizza
un Master sull’Immigrazione. Fenomeni migratori e trasformazione sociale.
La questione incrocia da sempre il problema dei diritti umani, culturali,
sociali e dell’ambiente.
Su questo tema infatti vanno ad incrociarsi diverse discipline: storico-
politiche, socio-educative, antropologiche; trasformazioni culturali relative
al vivere, all’abitare, al lavoro, al futuro generazionale della popolazione,
compresi i soggetti e le famiglie immigrate. Un processo che mette in
campo diverse operazioni da quelle normative e della legalità, a quelle
dell’accoglienza, dell’interculturalità, dell’interazione e dell’inclusione. In
sintesi, possiamo dire che il problema è essenzialmente culturale, se per
cultura si intende quel processo trasversale e interdipendente che
comporta, come dice Appadurai, una inedita dimensione innovativa
prodotta dai cambiamenti che la mondializzazione e la globalizzazione
hanno comportato. Per questo, l’Università di Venezia e il CESTUDIR in
particolare, è sempre attenta ai diversi punti di vista e alle argomentazioni
che vengono attivate in relazione alle problematiche. Da tempo infatti si
attivano connessioni, collaborazioni, convenzioni non solo a parole, ma
concrete, best practices, in merito alle diverse condizioni strutturali, ma
anche quelle emergenziali, lo stesso significative (perché cariche di
rappresentazioni oppositive), che richiedono un cambio di postura
cognitiva, emotiva e attiva della nostra società.
In particolare il pensiero va soprattutto al cambiamento rappresentazionale
emerso dalla questione migrazione, soprattutto dalle ultime ondate
migratorie in corso nel mondo e in particolare in Italia, caratterizzate da
rappresentazioni di conflittualità e di discorsi d’odio.

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La condizione immigratoria pur presentando delle difficoltà viene
assemblata e sintetizzata, senza distinzioni e specificazioni, in maniera
violenta negando le pur minime necessità, obblighi, rischi di pericolo,
condizioni ambientale critiche che comporta. Da sempre siamo al centro
del mediterraneo e siamo stati nel passato vittime e protagonisti di molti
cambiamenti e processi strutturali ed emergenti tra cui la migrazione, la
colonizzazioni dei paesi da cui provengono gli stessi migranti, la
occupazione di altri paesi, domini e violenze. Abbiamo dunque la
conoscenza della storia e delle responsabilità verso i paesi in crisi. La
memoria diventa in questo ambito un processo di contributo alla coscienza
e alla consapevolezza della comprensione dei diversi fenomeni evolutivi.
Nella storia l’immigrazione non è stata nei diversi paesi necessariamente
un’emergenza ( piuttosto l’emigrazione), perché fin dal 1800, nel primo
dopoguerra, e nella seconda guerra, era una necessità di diversi paesi sia
come movimento di emigrazione che come immigrazione. La questione
della migrazione era in qualche modo una possibilità del futuro per paesi,
comunità e soggetti dilaniati dalla guerra, dalla politica, dal razzismo, dalla
povertà, dalla violenza, dal desiderio di una vita migliore. Era un accordo
relativamente legalizzato se non tacito, in scambi, prestiti, obblighi,
necessità demografiche, ricongiungimenti, aiuti, quasi istituzionali. Una
presenza tuttavia differenzialmente accettata, che ha saputo in qualche
modo “integrarsi” in molti paesi.
La migrazione attuale è differente. Vi sono ancora guerre, povertà,
transazioni politiche, economiche nazionali ma vi sono soprattutto
movimenti individuali, comunitari, di gruppo, che attraversano l’intero
mondo. Ma non sono come le precedenti quasi tutte di necessità estrema.
Anche se vi sono migrazioni ricche e povere, ideologiche e di speranza,
desideranti e di bisogni essenziali, sono migrazioni sufficientemente
culturali da potersi muovere, resistere, cercare con forza un futuro migliore.
Siamo nella complessità e il problema della migrazione va interpretato in
termini di flussi (molti e diversi); flussi che attraversano il pianeta e
chiedono di rispondere ai diritti della persona, degli individui, di comunità;
diritto di libertà, di movimento, di sicurezza personale ed economica,
diritto di cultura, diritto a un mondo migliore. Certamente vi sono anche
situazione critiche ma questo è il “naturale” problema della complessità e
della globalizzazione dei mercati, delle idee, delle religioni, delle politiche;
dei media e delle tecnologie.
Oggi ci sono documenti, testi, leggi e norme che hanno reso la questione
della migrazione qualcosa di strutturale, anche in modi diversi a seconda
delle politiche dei paesi; e di questo si è avvalso nel bene e nel male il
discorso politico, perché il discorso politico è quello che genera dei grandi

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cambiamenti rappresentazionali, che danno il senso e significato alle cose,
senso e significato alle decisioni, ai domini, senso e significato al
territorio, a chi poi agisce e vive la questione della migrazione.
Per cui, sulla questione della rappresentazione, ci troviamo a combattere tra
discorsi politici e istituzionali che impongono domini isolazionistici e tra
convenzioni e dichiarazioni universali dei diritti umani, dei diritti alla vita,
dei diritti al soccorso e all’accoglienza, sottoscritte dagli stessi paesi o
istituzioni che le negano. Ricordo il discorso del Presidente del Consiglio
d’Europa del 2010, che ha sottolineato come i discorsi nazionalistici non
sono più validi, ma che l’Europa è diventata una democrazia allargata,
una democrazia europea e che si deve rispondere a questa prospettiva. E’
anche vero che quello che è stato detto dal Consiglio d’Europa non sempre
è stato accettato dai singoli Stati e dalle Nazioni, e questo ha aumentato il
conflitto, oggi diventato un conflitto imponente, rispetto ai diritti,
all’esistenza umana e materiale. Forse l’Europa, prima di diventare
comunità europea, sapendo della storia passata, avrebbe dovuto inserire un
codicillo sulla accoglienza dei migranti e dei colonizzati visto che è
diventata grande con le loro risorse…. Notiamo invece come le
dichiarazioni dei singoli Stati sembrano essere molto più legate a dei
discorsi di conservatorismo di ideologie sovrane, di certi poteri, e/o di
sentimenti e azioni d’uso e di funzione necessari al benessere interno. Oggi
il migrante serve soltanto se è funzionale, se è dentro all’uso di qualcosa,
ma non viene considerato un soggetto di diritto, di diritto alla vita,
all’identità, alla cittadinanza, al ricongiungimento in tempi “buoni sociali e
sostenibili”, in grado di far parte di una cittadinanza sociale, locale,
nazionale, europea, internazionale, ed è questo il punto centrale sul quale
credo che tutti i sistemi culturali, i sistemi giudiziari, i sistemi delle diverse
strutture esistenziali, debbano rendersene conto.
Siamo ancora popoli che reagiscono al fantasma del pericolo prima
individuale poi sociale e forse infine istituzionale (istinto di difesa…).
Ovvero abbiamo poca cultura storica e istituzionale, ma forse anche umana,
per poter affrontare il problema in modo significativo, utile al sistema
individuale e sociale. Operiamo sulle singolarità delle nostre derive
personali senza comprendere il sistema in cui siamo immersi.
Ci sono due, tre, attenzioni rispetto questo tema.
Una prima rappresentazione sociale è legata al problema dell’insicurezza.
L’immigrato porta con sé insicurezza; necessario quindi cambiare le
rappresentazioni sociali su questo.
Ad esempio, il fenomeno della sicurezza non può essere confinato solo
all’interno di un servizio come quello della Polizia, ma diventare una
sicurezza generativa che possa preservare la legalità del territorio, come

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sottolinea sempre nei suoi interventi il Prefetto Laura Lega di Firenze.
Dovremmo presiedere una sicurezza dentro una complessità di conflitto,
perché il conflitto è un tratto dell’esistenza umana, dentro il cambiamento,
nella risoluzione di problemi, e per fare questo è necessario che si possa
intervenire insieme, in connessione, in pratiche diverse e diverse
concezioni che però hanno l’attenzione verso un ormai glo.cal.
Penso sia la stessa missione per gli avvocati, per gli Assistenti sociali, gli
psicologi, i formatori, i giudici, i medici, i cittadini stessi e deve essere
un’alleanza in stretta relazione con i diversi fenomeni che proteggono la
sicurezza dei cittadini.
La seconda questione più sottile è che l’immigrato oggi viene visto in cerca
non soltanto di un posto dove andare ma di un posto dove possa essere
valorizzata una forma economica avanzata, e questa rappresentazione
deriva dalle diverse migrazioni verso il Sudafrica, quando è stata creata la
doppia presenza e la doppia accettazione dei migranti e si sta estendendo in
Europa creando migranti di serie A e B o C.
Per questo è interessante capire e fare capire che la questione migratoria
non diventi soltanto un elemento di “giudiziarizzazione” della migrazione e
della gestione delle disuguaglianze.
Questo diventa pericoloso, perché se cade sotto questo tipo di fenomeno,
anche solo di standardizzazione legislativa, si comincia a discutere fra il
migrante scelto, il migrante subito, il migrante di frontiera; fra pratiche
possibili di accoglienza, di conciliazione, perdendo di vista le condizioni e
le possibilità del futuro, ad esempio, il problema demografico o il problema
del lavoro.
La terza attenzione è l’attenzione all’inclusione culturale.
La complessità e le tecnologie nonché i media, hanno aperto il varco. Non
ci sono popoli che non conoscono il mondo. L’importante è attivare una
forma di accoglienza strutturale ma anche preventiva della realtà dei singoli
paesi, dell’identità del paese in cui si va a migrare, dell’educazione, della
formazione: acculturalità, diciamo noi; ovvero si tratta di acculturare i
locali e i migranti verso una reciproca conoscenza e forse anche un
reciproco cambiamento, non mancano i dispositivi, manca
l’organizzazione, la promozione di risorse, un pensiero sociale.
Ciò che preoccupa di più è che molti Paesi orgogliosi del loro passato (la
crescita dell’Italia dopo la guerra), della loro attenzione ai diritti (come la
Francia e le sue conquiste sociali) non vogliono assolutamente assumere la
loro responsabilità di inclusione sociale. Le stesse istituzioni che
presiedono ai diritti civici, non li assumono nel senso di cittadinanza
sociale. Ecco perché testimoni come voi e noi, avvocati e giuristi, assistenti
sociali, professionisti del settore, l’Università stessa; testimoni di cultura, di

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professionalità avanzate, devono tenere sempre la barra alta su questo tipo
di problema.
Dobbiamo pensare che i diritti non sono solo i diritti della nazione, non
possiamo pensare soltanto a vincolare i diritti della nostra Costituzione o
delle varie interpretazioni degli articoli della Costituzione. Con l’Europa i
nostri diritti sono diventati diritti europei e non solo nazionali. Quindi
l’attenzione deve mantenersi su questo ambito. Inoltre i diritti umani sono
diventati diritti internazionali. Questo è il nostro futuro, che rende possibile
l’evoluzione della specie vivente e non vivente, del suo futuro e diventare
così cittadini del mondo.
E per concludere bisogna riconoscere che la condizione della migrazione
infatti va al di là dell’immigrazione stessa. E’ un problema di mobilità: una
condizione di mobilità non solo dell’immigrato che viene da paesi poveri o
in guerra, ma una condizione di tutti noi.
La condizione della migrazione è una condizione possibile per tutti noi,
perché tutti noi possiamo trovare altre strade, altre vie, altri paesi in cui
vivere. Diventa una possibilità dell’esistenza umana di trovare altri
orientamenti e altre vie, altre strutture di vita e di esistenza.
Si tratta quindi di convincere il territorio, che il problema è molto più
ampio, più profondo, più significativo per le nostre società.
Per convincere un territorio dobbiamo fare alleanze fra tutti coloro che
presiedono all’azione legislativa, all’accoglienza, all’azione formativa,
all’azione giudicante, all’azione di sostegno, di difesa, di sicurezza.
E’ per questo che dobbiamo cominciare a cambiare le rappresentazioni
sociali.Tutti noi lo possiamo fare. Non esiste l’esperto della
rappresentazione sociale.
L’esperto siamo ciascuno di noi.
Noi che presiediamo la Costituzione, come è stato detto prima, in qualche
modo, siamo tenuti a cambiare le rappresentazioni sociali, soprattutto di chi
in questo momento cerca di rivolgersi contro.

AVV. ANNAMARIA MARIN

Chiude con i suoi saluti l’Avvocato Enrico Varali, Presidente della Camera
degli Avvocati Immigrazionisti del Triveneto.

AVV. ENRICO VARALI

Grazie, Presidente.

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Sono lieto di portare i saluti e i ringraziamenti alle organizzatrici e
organizzatori, al Consiglio dell’Ordine di Venezia e a tutti i presenti, e agli
illustri Relatori che si susseguiranno questo pomeriggio.
La Camera degli Avvocati Immigrazionisti del Triveneto è una realtà nata
da poco meno di un anno che però ha raccolto nel Triveneto l’adesione di
moltissimi colleghi e moltissime Avvocate e Avvocati, siamo all’incirca
una novantina. L’intento era quello di fare il punto di quella che è
diventata una professione, una specializzazione, la necessità di condividere
determinate esperienze anche nel mondo forense, nella consapevolezza che
le tematiche dell’immigrazione necessitano anche di un approfondimento
dal punto di vista professionale, e in quest’ottica appunto di poter
collaborare anche con gli organi giudiziari e i Consigli degli Ordini degli
Avvocati per rendere la professione anche di chi si occupa di queste
tematiche più agevole da un certo punto di vista, ma nello stesso tempo
creare occasione di confronto. In questo senso abbiamo accolto con molto
entusiasmo l’invito ad aderire alla giornata odierna. Riteniamo che siano
fondamentali questi momenti di approfondimento. Le tematiche che
verranno trattate coinvolgono tutti noi. Mi si permetta di dire, da anni noi
conosciamo chi si occupa quotidianamente di queste tematiche,
conosciamo la nascita e la crescita di questo diritto speciale, che è legato
alla presenza di cittadini immigrati, che conoscono il loro statuto speciale
nell’ordinamento giuridico, sia esso di natura sostanziale sotto il profilo
civilistico o penalistico, sia sotto il profilo anche processualistico.
Sicuramente è una questione che interessa non solo la nostra società, intesa
come principi di civiltà giuridica, ma interessa noi come difensori o
comunque persone che tutelano determinati diritti. Da anni, dicevo,
assistiamo alla nascita di questo diritto speciale, il diritto dello straniero, e
da qui l’entusiasmo ad aderire e approfondire le tematiche di cui al
convegno di oggi. Assistiamo alla nascita di questo diritto e nello stesso
tempo allo sgretolamento dello statuto dei diritti, sempre più evanescente.
Oggi ci troviamo molto spesso a combattere gli effetti trascinatori di
determinate norme annunciate, che però hanno già i loro effetti nella
pratica, e questo è sconvolgente per chi ha studiato nel nostro ordinamento
e sa che il loro statuto dovrebbe essere sancito una volta per tutte, invece
l’esperienza di tutti noi insegna come ogni giorno sia un momento di
approfondimento e anche per ribadire ancora una volta dei diritti che non
sono conquistati per sempre, che ogni giorno bisogna conquistare.
Grazie ancora e buon lavoro.

AVV. ANNAMARIA MARIN

                                       10
Permettetemi, prima di lasciare il posto ai Relatori del pomeriggio, di
ringraziarli tutti in maniera molto corale. Ci sarà poi la collega Avvocato
Monica Gazzola a moderare gli interventi e l’incontro e a farne la dovuta
presentazione, però davvero un grazie di cuore a tutti voi per la vostra
presenza e la vostra disponibilità.

AVV. MONICA GAZZOLA

Buonasera a tutti, grazie per essere intervenuti, grazie per i saluti che in
realtà hanno già introdotto in modo direi importante il tema di oggi.
Prima di introdurre i nostri Relatori una piccolissima riflessione. Vedo tra
di voi ci sono anche delle amiche e degli amici che hanno partecipato al
progetto Lampedusa qualche anno fa; qualche anno fa ricorderete anche
che c’era l’operazione cosiddetta “Mare Nostrum”, che ha salvato migliaia
di vite nel nostro Mare Mediterraneo. Vi ricorderete che era stata ideata e
attuata immediatamente dal governo italiano dopo le terribili stragi di
migranti nel nostro Mare Mediterraneo al largo di Lampedusa nell’ottobre
del 2013. Pensavo a queste cose guardando appunto le colleghe e i colleghi
e pensando che sembrano passati decenni da quella sensibilità, da quella
attenzione e da quell’entusiasmo con cui tutta l’Italia si era stretta intorno
alle vittime di quei naufragi e in cui il governo aveva deciso di aiutare i
migranti e i naufraghi.
Cos’è cambiato? Sono passati solamente quattro, cinque anni e abbiamo
visto soprattutto nell’ultimo anno accadere cose inaudite, ritengo, tipo
negare l’attracco a delle navi dopo che avevano salvato dei migranti, tipo
accusare di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina delle
imbarcazioni di Ong dopo che avevano salvato migranti.
Quindi credo che siano importanti momenti di riflessione come questo,
perché siamo tutti convinti che i giuristi, Avvocati, Magistrati, Accademici,
esperti di Ong, esperti di agenzie intergovernative, siano chiamati a
richiamare, scusate il gioco di parole, i principi fondanti del nostro
ordinamento italiano, europeo e internazionale.
Offriamo questo pomeriggio di studio e di riflessione interdisciplinare
convinti che alla fine di tutti gli interventi dei nostri ottimi Relatori avremo
degli strumenti in più per portare, così come bene dice anche la Dottoressa
Padoan, anche al vicino di casa, oltre che nelle aule dei Tribunali e nelle
aule universitarie, degli elementi in più di riflessione e di poter aiutare
anche nel cambiare l’approccio alla tematica dell’immigrazione.
Introduco i Relatori ricordando, perché l’ho trovata particolarmente
consona al pomeriggio di oggi, una recentissima sentenza della Gran

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Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel caso Georgia contro
Russia, comunicato del 30 gennaio del 2019 che dice: “Se gli Stati possono
stabilire in modo sovrano le loro politiche migratorie, le difficoltà di
gestione dei flussi migratori non possono giustificare pratiche incompatibili
con le loro obbligazioni convenzionali”.
Abbiamo affidato l’introduzione del pomeriggio al Prof. Fabio Perocco,
Direttore del Master Immigrazione dell’Università di Venezia, dove
insegna Sociologia delle Immigrazioni, Sociologia delle Diseguaglianze,
Teorie Sociologiche, e si occupa da sempre di disuguaglianze, migrazioni,
razzismo, trasformazione del lavoro.
Titolo della sua relazione è “Immigrazione e disuguaglianza razziale”.
Prego, Professore.

PROF. FABIO PEROCCO
Per questo incontro propongo delle riflessioni su alcune tendenze generali relative al
rapporto tra immigrazione e disuguaglianze.
Negli ultimi decenni c’è stato un ampio, profondo e tumultuoso processo di
trasformazione sociale a scala mondiale, che ha ristrutturato tutti gli ambiti della vita
sociale, in particolare il sistema delle disuguaglianze. Alle vecchie disuguaglianze si
sono aggiunte nuove disuguaglianze, tra queste ne prendo in esame due. La prima
concerne il forte inasprimento delle disuguaglianze interne nei singoli stati:
l’approfondimento della polarizzazione sociale interna ai singoli Paesi costituisce un
autentico fenomeno globale, tanto che non è esagerato parlare di globalizzazione della
polarizzazione sociale interna. Alcuni studiosi hanno osservato che sta emergendo,
nelle sue forme estreme, una sorta di apartheid globale.
La seconda forma concerne la disuguaglianza razziale legata all’immigrazione,
all’essere immigrati in un Paese straniero. Non si tratta di una novità sul piano storico,
ma oggi assistiamo a una vera e propria globalizzazione della disuguaglianza legata
all’immigrazione che riguarda l’Europa, gli Stati Uniti, il Giappone, ma anche il Medio
Oriente, l’America del Sud, alcuni Paesi dell’Asia.
Questo secondo fenomeno è determinato da cause molteplici, due in particolare: 1) la
globalizzazione dei processi industriali e dei rapporti sociali capitalistici, e in questo
quadro, il ricorso ampio e sistematico da parte di molti paesi a manodopera straniera
tenuta in una condizione di inferiorità sociale rispetto ai lavoratori nazionali, per
abbassare il costo del lavoro e competere nei mercati globali; 2) la mondializzazione di
politiche migratorie selettive, restrittive e repressive, con gli stati di mezzo mondo che
fanno a gara nel peggiorare le condizioni della migrazione e le condizioni di vita degli
immigrati. In diverse parti del mondo ciò è divenuta una vera e propria guerra agli
emigranti e agli immigrati.
Un elemento essenziale alla base della disuguaglianza razziale legata all’immigrazione è
la combinazione tra precarizzazione strutturale del lavoro e precarizzazione globale
delle migrazioni.
Per quanto riguarda la precarizzazione strutturale del lavoro, nucleo centrale delle
politiche neo-liberiste, si tratta di un processo che è più ampio e più profondo di una

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semplice sottrazione di spazi al lavoro garantito. Dopo una parentesi di alcuni decenni
nel secondo dopoguerra, che aveva visto il conseguimento del diritto ad un lavoro
(relativamente) stabile e sicuro, ha avuto luogo una radicale ed estrema mercificazione
del lavoro, che ha chiuso quella parentesi e inaugurato una stagione della precarietà
strutturale e permanente (già Beck anni fa parlava di “società del precariato”) dalle
modalità inedite, applicate in prima istanza agli immigrati.
Con l’arrivo della crisi economica e la necessità di recuperare produttività, la
precarizzazione del lavoro si è ulteriormente allargata e approfondita, ha fatto un salto
di quantità e di qualità, andando oltre la precarietà conosciuta nel recente passato. Oggi
le frontiere della precarietà 2.0 – voucher, buoni pasto in sostituzione del salario,
tirocinio seriale, lavoro volontario, lavoro gratuito, lavoro poco remunerato, rapporti
lavorativi informali e saltuari, posted workers, zero hour contracts – hanno espanso i
propri confini, rimpiazzando una parte del lavoro decente e una parte degli stessi lavori
precari di “prima generazione”, diventando per molti la regola. La mercificazione del
lavoro a volte è divenuta in casi estremi una vera e propria nullificazione del lavoro e
del lavoratore.
Il processo di precarizzazione strutturale del lavoro, tanto nella vecchia versione quanto
nella nuova, si è abbattuto su tutti i lavoratori, ma li ha toccati in maniera differenziata: i
primi e più colpiti sono stati gli immigrati, i giovani, le lavoratrici con figli a bassa
istruzione e scarsa qualifica, gli older workers interessati dalle ristrutturazioni aziendali,
i lavoratori poco qualificati, tutte figure appartenenti alla frazione più instabile e
vulnerabile della working class europea.
Per quanto riguarda il processo di precarizzazione delle migrazioni avvenuto in Europa
negli ultimi due decenni, esso ha interessato sia le popolazioni immigrate residenti da
tempo sia i nuovi emigranti. Le prime hanno visto accentuarsi e moltiplicarsi i
meccanismi di esclusione, segregazione e assimilazione, i secondi hanno incontrato
meccanismi selettivi e restrittivi di entrata e di inserimento sempre più aspri e rigidi. La
precarizzazione dell’immigrazione, che non è un fenomeno nuovo nella storia europea,
è avvenuta attraverso molteplici modalità e meccanismi, tra cui politiche all’insegna
dell’utilitarismo migratorio, l’incentivazione delle migrazioni temporanee,
l’assegnazione all’immigrazione di uno specifico ruolo nel mercato del lavoro e nei
sistemi economici europei, l’ascesa del razzismo e della propaganda anti-immigrati.
Rispetto al processo di precarizzazione delle migrazioni prendo in esame solo il primo
punto, quello relativo alle politiche migratorie, che, val bene ricordare, sono variabili
dipendenti del mercato del lavoro. Le politiche migratorie dei singoli stati europei
hanno peggiorato le condizioni della migrazione, aggravato le condizioni delle
popolazioni immigrate residenti e dei nuovi emigranti in arrivo, mettendo a disposizione
del mercato del lavoro lavoratori vulnerabili, con mezzi diritti, poco radicati.
Hanno ultra-precarizzato la condizione degli immigrati sottoponendoli ad una doppia
precarietà, lavorativa e giuridica, legata da un lato alla precarizzazione del lavoro vista
in precedenza e dell’altro alle legislazioni di tanti paesi europei che hanno subordinato
la permanenza legale nel territorio nazionale all’esistenza di un contratto di lavoro e
vincolato i diritti sociali (stratificandoli) allo status migratorio. Ma questo ritorno del
Gastarbeiter (lavoratore-ospite), perché di questo si tratta, è avvenuto in un contesto a
capitalismo flessibile con tutto il suo portato di frammentazione e polarizzazione,
mettendo la maggioranza dei lavoratori immigrati in una situazione di ricattabilità
permanente e precarietà totale che li costringe ad accettare qualsiasi condizione.
La combinazione tra precarietà lavorativa e precarietà giuridico-amministrativa ha

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prodotto un ampio e profondo peggioramento della condizione degli immigrati, i quali,
scissi tra una condizione di rigidità determinata dalla legislazione sull’immigrazione e
una condizione di flessibilità prodotta dalla legislazione sul lavoro, si sono ritrovati
nella situazione di lavoratori-ospiti in un contesto di ristagno economico, ascesa dei
contratti atipici, indebolimento del movimento dei lavoratori e sindacale. Politiche
migratorie selettive, restrittive e repressive calibrano la presenza e la condizione degli
immigrati sui bisogni del mercato e sulla flessibilità necessaria al mercato del lavoro,
hanno reso più precario l’inserimento lavorativo e sociale, hanno rafforzato i fattori di
esclusione sociale.
In questo quadro c’è stato un aumento significativo delle migrazioni temporanee
(stagionali, circolari), le uniche migrazioni legali per lavoro. Attraverso l’impiego di
emigranti temporanei i paesi europei utilizzano lavoratori stranieri iper-mobili senza
subire le implicazioni e i vincoli sociali derivanti dal radicamento delle popolazioni
immigrate e dalle trasformazioni sociali indotte dall’immigrazione, ovvero riducono i
cosiddetti costi sociali e politici dell’immigrazione.
Un paese rappresentativo del processo di formazione di una disuguaglianza razziale
legata all’immigrazione è l’Italia, dove la disuguaglianza razziale si è aggiunta alle
disuguaglianze di classe, di genere, di generazione e di territorio, esistenti storicamente.
Essa è il risultato del sistema di discriminazioni che investe strutturalmente tutti gli
aspetti della vita degli immigrati e del sistema dei rapporti sociali esistente tra società
d’arrivo e popolazioni immigrate. In particolare essa è l’esito dell’azione combinata di
almeno tre strutture di stratificazione sociale – il mercato del lavoro, l’ordinamento
giuridico, i mass-media – che hanno seguito logiche che sono sfociate
nell’inferiorizzazione e nella segregazione. Questa disuguaglianza, che interessa le
popolazioni immigrate in modo differenziato, ha visto in funzione specifici meccanismi
generativi come la selezione delle popolazioni immigrate, lo sfruttamento differenziale
dei lavoratori immigrati, la creazione di un diritto per così dire speciale, di un regime
legale speciale e differenziato, la stigmatizzazione sistematica nei discorsi pubblici, il
ritorno della retorica assimilazionista. Questa disuguaglianza è multidimensionale
poiché dal lavoro alla salute, dalla condizione abitativa alla condizione scolastica, dalle
immagini pubbliche alla condizione giuridica, interessa tutte le dimensioni della vita
sociale degli immigrati: non c’è aspetto o dimensione della vita sociale in cui non si
registri una situazione di disparità tra popolazioni immigrate e popolazione
maggioritaria – neppure nella morte e dopo la morte.
Fattore propulsivo di questa disuguaglianza è stata l’irresistibile ascesa del razzismo
istituzionale avvenuta negli due decenni, che ha prodotto nel nostro paese una vera e
propria razzializzazione dei rapporti sociali.
Il motore permanente di questa disuguaglianza è la disuguaglianza lavorativa.
Dall’accesso al lavoro alla disoccupazione, dalle mansioni ai salari, dall’inquadramento
alla mobilità, dagli incidenti sul lavoro alla sicurezza sociale, la condizione lavorativa
degli immigrati è caratterizzata da forti disparità rispetto alla media nazionale. La
grandissima parte dei lavoratori immigrati è concentrata in lavori a bassa qualifica e si
trova in una situazione di acuta segregazione lavorativa. Sono occupati in prevalenza nei
segmenti più bassi del mercato del lavoro, nelle occupazioni meno retribuite e meno qualificate,
più faticose e più insalubri, come operaio generico e manovale edile, bracciante agricolo e
addetto alle pulizie, collaboratore domestico e assistente familiare, nei comparti dei servizi (alle
imprese, alle famiglie e alla persona), degli alberghi e della ristorazione, dell’industria dei
metalli e della concia, del tessile e dell’edilizia, dell’agricoltura stagionale e dell’agro-
alimentare. Nel 1999 il 77,3% di essi svolgeva la mansione di operaio generico, nel 2012

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l’87,1% era occupato come operaio e in occupazioni non qualificate rispetto al 39,6%
dei lavoratori nazionali. Anche negli anni della crisi economica l’incremento degli occupati
d’origine straniera è avvenuto sempre e quasi interamente all’interno delle mansioni a bassa
qualifica, consolidando la canalizzazione e la segmentazione razziale del mercato del lavoro.
Questa gerarchizzazione razziale del mercato del lavoro si è aggiunta ai vecchi
dualismi del mercato del lavoro, legati al genere o alla temporaneità/stabilità del
contratto lavoro. Sono molteplici gli indicatori che testimoniano la disparità lavorativa.
Per quanto concerne il fenomeno del sottoinquadramento, i lavoratori immigrati sono
soggetti ad un forte sotto-inquadramento, che dura più a lungo rispetto ai lavoratori
nazionali. Il sottoinquadramento professionale – ovvero lo svolgimento di un lavoro che
richiede un livello di conoscenze e competenze inferiori rispetto al titolo di studio
conseguito – interessava nel 2015 il 40,9% dei lavoratori immigrati e il 21,6% dei
lavoratori nazionali. Il sotto-inquadramento occupazionale, ovvero il possesso di un
contratto di lavoro di livello inferiore rispetto ai compiti effettivamente svolti, è
altrettanto diffuso.
Il peggio è per le donne immigrate: la maggior parte di esse è occupata nel lavoro
domestico, nel lavoro di cura, nel lavoro di servizio, come collaboratrice domestica,
assistente familiare, addetta delle imprese di pulizia, cameriera. In questi comparti
trovano agevolmente un lavoro ma al tempo stesso questi comparti sono delle gabbie al
di fuori delle quali le possibilità di impiego sono limitatissime. L’importo mensile
medio dei salari delle lavoratrici immigrate è molto basso (nel 2015 di 822 euro); la
canalizzazione nel settore dei servizi a bassa a qualifica, la discriminazione di genere e
razziale, si riflettono in una significativa disparità salariale rispetto alla media nazionale
(rispetto agli immigrati maschi [nel 2015 di 1.122 euro] e alle donne italiane [nel 2015
di 1.202 euro]) a conferma della triplice oppressione che colpisce le donne immigrate –
in quanto donne, lavoratrici, immigrate. Tra le lavoratrici domestiche e le assistenti
familiari – di cui una buona parte senza contratto di lavoro – vige una forte
segregazione lavorativa che ha pesanti conseguenze sulle condizioni materiali, di vita,
di salute fisica e psichica.
I lavoratori immigrati sono interessati da un più alto tasso di disoccupazione (nel 2015 il
16,2% rispetto all’11,4% dei lavoratori nazionali), di sottoccupazione (nel 2015 l’11,7%
vs 4,2%) e da una più ampia precarietà contrattuale che dura più a lungo rispetto ai
lavoratori nazionali. Con l’arrivo della crisi economica i lavoratori immigrati e i
lavoratori nazionali sono stati colpiti pesantemente dalla disoccupazione e dalla
sottoccupazione, tuttavia i primi lo sono stati in modo più acuto a causa della
concentrazione nei settori e nei lavori più interessati dalla crisi, della penalizzazione nei
licenziamenti e nel godimento degli ammortizzatori sociali.
Questi elementi, associati a condizioni di lavoro che non migliorano con l’anzianità
lavorativa, ad una forte presenza in lavori con poche possibilità di avanzamento e di
aumento salariale legato all’anzianità, si ripercuote sui salari, che sono più bassi rispetto
a quelli (già modesti) dei lavoratori nazionali: i lavoratori immigrati hanno una
retribuzione media netta mensile di 979 euro contro una media di 1.362 euro dei
lavoratori nazionali (nel 2015). Se i lavoratori italiani non se la passano bene e non
hanno mai vissuto sopra le proprie possibilità, i lavoratori immigrati costituiscono il
segmento più compresso e discriminato della classe lavoratrice italiana ed europea. La
povertà in Italia interessa molti italiani e stranieri, ma il tasso di povertà assoluta delle
famiglie immigrate composte di soli stranieri è sei volte quello delle famiglie composte
di soli italiani. La formazione di questo segmento sociale a reddito molto basso, di

                                             15
famiglie immigrate povere (nel 2015 le famiglie immigrate disponevano mediamente di
un reddito che era la metà di quello delle famiglie italiane: 19.725 euro vs 30.320 euro),
è avvenuta contestualmente ai processi di caduta generale dei salari, di infoltimento
delle fasce di reddito più basse, di incremento esponenziale dei working poor, di
polarizzazione sociale, di assottigliamento della classe media, che hanno interessato la
società italiana negli ultimi decenni.
Come si vede quella della disuguaglianza razziale e dell’immigrazione è un’importante
questione sociale, che bisogna far attenzione a non etnicizzare come ha giustamente
osservato in precedenza nel proprio intervento la collega Padoan. Questione sociale che
l’ideologia razzista, mascherata da antirazzista, tende a etnicizzare, naturalizzare,
mistificare, trasformando in questione etnica.
Quella della disuguaglianza razziale è una sfida che riguarda in particolare la
cittadinanza sociale, dei diritti sociali di cittadinanza. Non è sicuramente la soluzione,
ma una cittadinanza sociale globale che svincola il godimento dei diritti sociali al
principio di nazionalità, che slega i diritti sociali allo statuto migratorio, può dare un
contributo positivo a contrastare il processo di formazione di nuove disuguaglianze nel
nostro paese di cui non abbiamo nessun bisogno avendo già vecchie disuguaglianze da
affrontare.

AVV. MONICA GAZZOLA

Grazie al Prof. Perocco per questa introduzione importante, perché credo
che ci offra degli scenari di riflessione ai quali forse come giuristi non
siamo abituati, ma che ci aiutano a spiegare certe dinamiche legislative e
anche giudiziarie.
Introduciamo subito il Dottor Armando Spataro, che ci parlerà di diritti
fondamentali delle persone in relazione alla sicurezza dello Stato. Il titolo
esatto è: “L’immigrazione, la sicurezza dello Stato e i diritti fondamentali
delle persone”. Non credo che ci sia bisogno di una introduzione
particolarmente approfondita del Dottor Spataro, perché tutti lo
conosciamo, lo leggiamo e lo apprezziamo. Io vorrei solo ricordare una
cosa che ritengo sia particolarmente significativa per spiegare anche perché
oggi egli è qui con noi: a luglio dell’anno scorso il Dottor Spataro quale
procuratore della Procura della Repubblica del Tribunale di Torino ha
emanato delle linee guida “per un più efficace contrasto dei reati motivati
da ragioni di odio e discriminazione etnico-religiosa e per la più rapida
trattazione degli affari dell’immigrazione nel rispetto dei diritti
fondamentali delle persone”. Quindi già il titolo di queste linee guida rende
evidente il senso di questo lavoro.
Do subito la parola al Dottor Spataro.

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1
DOTT. ARMANDO SPATARO

Voglio preliminarmente ringraziare con convinzione, per avere organizzato
questo seminario, il Consiglio dell’Ordine, la Camera Penale e tutti gli
Avvocati di Venezia, sottolineando la necessità di individuare, come dirò
nel mio intervento, “terreni” comuni di impegno. Vi possono ben essere
delle divergenze di vedute tra magistrati ed avvocati come, ad esempio,
quella sul famoso tema della separazione delle carriere, rispetto al quale le
mie convinzioni non solo sono opposte a quelle dell’Unione Camere Penali
ma arrivano a farmi ritenere l’argomento addirittura marginale e di poco
significato rispetto ai problemi che oggi affliggono la giustizia. E’ bello,
perciò, discutere di ciò che ci vede - e che ci deve vedere- camminare ed
operare insieme, anche come antagonisti di una nuova forma di
comunicazione che deve spingerci a cercare di spiegare al Paese qual è la
verità sul complesso problema delle politiche migratorie.
Mi scuserete se, parlando, userò il riferimento a “noi Magistrati”, pur non
essendolo più dal 17 dicembre, ma prometto che poco alla volta finirò con
l’abbandonare questa espressione e questo errore.
Sul tema in discussione sono state già pronunciate affermazioni importanti
e condivisibili da vari autori e studiosi, ma voglio iniziare il mio intervento
citando una frase da cui intendo prendere le distanze: intendo riferirmi a ciò
che ho letto qualche giorno fa - e che mi ha stupito - a proposito
dell’inaugurazione dell’anno giudiziario da parte del Presidente del
Tribunale Regionale Amministrativo di Brescia.
Questo Presidente avrebbe nel suo intervento lodato l’esecutivo, ma questo
non è un problema, definendolo “finalmente un esecutivo non più pavido”
per le iniziative prese in tema di sicurezza e di diritto dell’immigrazione ed
aggiungendo - il che mi ha lasciato senza parole se le cronache
giornalistiche sono corrette - che il governo è intervenuto in un “dibattito
spesso osteggiato da una penosa litania dei diritti fondamentali”. Vi lascio
immaginare il mio giudizio su questa espressione, ma aggiungo che mi è
capitato - da componente del CSM prima e da Procuratore della Repubblica
poi - di essere stato presente a questi riti che talvolta sono meramente
cerimoniali, mentre spesso presentano ragioni di interesse per i loro
contenuti: orbene, se fossi stato presente a Brescia, dopo quella frase, mi
sarei alzato e me ne sarei andato abbandonando aula e cerimonia, come
spero abbia fatto qualche mio collega.
Detto questo, il tema dell’immigrazione e del rispetto dell’equilibrio tra i
diritti degli immigrati e il diritto alla sicurezza (perché la sicurezza è anche

1
 L’intervento del Dott. Armando Spataro riproduce alcuni passaggi del suo articolo avente lo stesso titolo
pubblicato sul n.2, 2018 della rivista “I diritti dell’uomo”, Editoriale Scientifica srl (pp 371-428). (NdA)

                                                      17
un diritto) è un tema che mi impegna molto da quando ho lasciato la
professione (e che mi ha coinvolto anche prima). Mi impegna molto
perché, come avvenuto in passato, per me esistono temi sui quali,
soprattutto se si è giuristi o, come nel mio caso, “giuristi pratici” (come
Berlusconi definiva i pubblici ministeri, senza che me ne sentissi offeso),
non è possibile rimanere inerti alla finestra per guardare ciò che accade
intorno a noi: bisogna scendere in campo mettendo da parte i passi felpati.
Quando parlo di questo tema, ovunque mi trovi, in una scuola media
inferiore o in un consesso di accademici, parto sempre dalla Dichiarazione
Universale dei Diritti dell’Uomo e, ovviamente, dalla Costituzione italiana.
Nel dicembre del 2018 abbiamo assistito, in tutto il Paese, alla celebrazione
del settantennale della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: il
10 dicembre del 1948 è infatti la data in cui la Dichiarazione è stata
approvata, e però, nel ricordarlo, dobbiamo sottolineare che l’enunciazione
dei principi che contiene non costituisce soltanto una bella cornice di un bel
quadro o un insieme di belle parole. Si tratta invece di principi giuridici di
assoluta validità.
E’ da questa ovvietà che bisogna partire.
Ritenuto “indispensabile che i diritti umani siano protetti da norme
giuridiche, se si vuole evitare che l'uomo sia costretto a ricorrere, come
ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione”,
l’Assemblea delle Nazioni Unite, tra i trenta articoli della Dichiarazione, ne
approvò alcuni che possono definirsi la base giuridica di ogni intervento
legislativo in tema di immigrazione.
Tra questi, ai fini che qui interessano, spiccano :
     l’articolo 13:
       Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza
       entro i confini di ogni Stato.
       Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il
       proprio, e di ritornare nel proprio paese.
     L’articolo 14:
       Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo
       dalle persecuzioni.
       Questo diritto non potrà essere invocato qualora l'individuo sia
       realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai
       fini e ai principi delle Nazioni Unite.
     L’articolo 15:
       Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.
       Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua
       cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.

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