Riflessioni su stato di eccezione, diritto internazionale e sovranità - GIULIANA SCOTTO
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GIULIANA SCOTTO Riflessioni su stato di eccezione, diritto internazionale e sovranità
Copyright © MMVIII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–2241–2 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: novembre 2008
Indice Elenco abbreviazioni .................................................................... 9 Status quaestionis 1. Introduzione ..................................................... 11 2. Piano d’indagine .............................................. 15 Capitolo I Alcuni punti nevralgici della teoria dello stato di eccezione 1.1 Stato di eccezione e ordinamento giuridico ..... 17 1.2 Posizione del diritto. Potere costituente e pote- re costituito ...................................................... 40 a) Potere costituente e determinatezza ............ 42 b) Potere costituente/ordinamento giuridico e potenza/atto ................................................. 49 1.3 Regola ed eccezione ........................................ 54 1.4 Sovrano e Stato sovrano .................................. 66 Capitolo II Stato di eccezione e diritto interno 2.1 Costituzioni flessibili e costituzioni rigide ...... 91 2.2 Legislazione d’urgenza. Il decreto–legge ........ 102 2.3 Lo sviluppo delle norme sui diritti individuali fondamentali e altre situazioni di emergenza .. 113 2.4 Un confronto con ordinamenti giuridici stra- nieri: la normazione d’urgenza in talune costi- tuzioni europee ................................................ 124 2.5 Sospensione del diritto e violazione del diritto 133 7
8 Indice Capitolo III Stato di eccezione e diritto internazionale 3.1 Istituti del diritto internazionale rilevanti ai fini di una critica alla dottrina dello stato di eccezione .... 141 a) Divieto dell’uso della forza .......................... 148 b) Principio di sovrana eguaglianza ................ 153 c) Principio di effettività .................................. 163 ― Effettività e soggettività ....................... 164 ― Effettività e violazione delle norme in- terne sulla competenza a stipulare ........ 166 ― Effettività e clausola rebus sic stantibus 167 ― Effettività ed elemento materiale della consuetudine ......................................... 174 ― Effettività ed efficacia .......................... 178 d) Istituti dell’eccezione nel diritto interna- zionale? 181 ― Forza maggiore ..................................... 184 ― Estremo pericolo ................................... 186 ― Stato di necessità .................................. 188 ― Limite generale dello jus cogens .......... 195 ― Rappresaglia e legittima difesa ............. 197 3.2 La sovranità nel diritto internazionale .............. 200 3.3 Indisponibilità del diritto .................................. 207 Capitolo IV Puntelli per una conclusione. Stato di ecce- zione, diritto e linguaggio 4.1 Diritto e violenza .............................................. 215 4.2 Diritto e controfattualità ................................... 225 4.3 Riconoscimento e terzietà giuridica ................. 227 4.4 Diritto, linguaggio e politica ............................ 232 4.5 Diritto e tempo ................................................. 238 4.6 U–topìa del diritto ............................................ 243 Bibliografia ................................................................................... 247
Capitolo I Alcuni punti nevralgici della teoria dello stato di eccezione 1.1 Stato di eccezione e ordinamento giuridico In breve, quali profili problematici vengono messi in luce dalla teo- ria dello stato di eccezione, quali sono le questioni che essa solleva? Gli aspetti riguardati da questa teoria sono molti e cercheremo ora di presentarne una sintesi in modo da meglio focalizzarne alcune impli- cazioni. Per gli studiosi ― e sostenitori ― di questa figura teorica, lo stato di eccezione va innanzitutto connesso all’ordinamento giuridico vi- gente. Sotto questo profilo lo stato di eccezione rappresenterebbe il meccanismo con il quale, in situazioni di emergenza o di necessità, verrebbe operata la sospensione della vigenza di un ordinamento giu- ridico precostituito. L’ordinamento giuridico in vigore costituirebbe l’insieme delle norme da applicarsi a situazioni “normali”, mentre ces- serebbe di valere al presentarsi di situazioni non previste: in situazioni eccezionali, appunto. In altre parole, in situazioni eccezionali non re- golate dalle norme vigenti, queste ultime verrebbero sospese per la- sciar spazio, in ultima analisi, a una sorta di vuoto giuridico1. Situa- zioni eccezionali in grado di sospendere il diritto vigente potrebbero esemplificarsi in guerre, catastrofi naturali, epidemie dilaganti; ma an- che, secondo alcuni studiosi, disordini interni che possono verificarsi nel corso della pacifica vita di qualsiasi Stato democratico. A tale pro- 1 Cfr. per es. G. Agamben, Stato di eccezione, cit., p. 63 ss.; F. Rimoli, Stato di eccezione e trasformazioni costituzionali: l’enigma costituente, in corso di pubblicazione su «links. Zeitschrift für deutsche Literatur– und Kulturwissenschaft», e al momento leggibile al sito http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/materiali/anticipazioni/eccezione_trasformazion e/index.html. 17
18 Capitolo I posito e come discuteremo più analiticamente più avanti, alcuni stu- diosi intendono in senso assai ampio il concetto di “eccezionalità” o di “urgenza” quale situazione a fondamento della possibilità di sospen- sione del diritto2. L’implicazione principale di questo meccanismo di sospensione dell’ordine giuridico è, per noi moderni educati ai principi dello Stato di diritto e di legalità, la possibilità che in situazioni eccezionali ven- gano sacrificati taluni diritti personali fondamentali. Secondo i soste- nitori della teoria dello stato di eccezione numerosi esempi di situa- zioni comportanti la sospensione dei diritti fondamentali sarebbero at- testati dalla storia, e tanto più rilevanti sarebbero quelli a noi più vicini nel tempo3 in quanto i sistemi giuridici contemporanei sono in un certo senso più evoluti rispetto agli ordinamenti giuridici più antichi. In questi ultimi ― e si pensi soltanto a certi istituti primitivi del diritto romano quali la manus iniectio4, oppure alle pratiche di tortura così 2 Cfr. per es. G. Agamben, Stato di eccezione, cit., p. 13 ss. La dottrina costituzionalistica italiana ha sottolineato la vaghezza di concetti come “necessità” e/o “urgenza” discusse in se- de di assemblea costituente all’epoca della redazione di quello che è divenuto l’attuale art. 77, 2° comma, della nostra Costituzione repubblicana: a tale proposito si è parlato di “clausola in bianco”: cfr. A. Celotto, E. Di Benedetto, Art. 77, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, (a cu- ra di), Commentario alla Costituzione, UTET, Torino 2006, tomo II, pp. 1507–1530, a p. 1509. 3 Cfr. la rassegna di alcuni eventi salienti nella Breve storia dello stato di eccezione in G. Agamben, Stato di eccezione, cit., p. 21, in fine, e ss.; recentemente v. anche P. Mindus, E- mergenza, costituzione, diritti fondamentali: una guida critica, Working Papers n. 9 – Luglio 2007, Dipartimento di Studi Politici, Torino 2007, disponibile on–line al sito http://www.dsp.unito.it/download/wpn9.pdf, a p. 14 ss. Per una ricostruzione storica della le- gislazione d’emergenza in Italia nel periodo fra l’adozione dello Statuto albertino e il primo dopoguerra, v. C. Latini, Governare l’emergenza. Delega legislativa e pieni poteri in Italia tra otto e novecento, Giuffrè, Milano 2005. 4 La manus iniectio è un antico istituto processuale dello jus privatum, attestato già dalle XII tavole, in virtù del quale il creditore di un individuo condannato da uno iudex privatus al pagamento di una somma di denaro, ha il diritto, «[d]opo 30 giorni di tregua (dies iusti) […] di acciuffare il debitore dovunque lo trovi e di condurlo davanti al pretore; qui, ripetendo il gesto, dichiara: “quod tu mihi iudicatus (o damnatus) es sestertium X milia, quandoc non sol- visti, ob eam rem ego tibi sestertium X milium iudicati manum inicio”. Dopo questa dichiara- zione solenne, che è l’actio, il magistrato, se non vi riscontra irregolarità, pronuncia (a quanto pare) il verbo addico; con che il creditore è autorizzato a trascinare il debitore a casa sua, a te- nerlo legato sessanta giorni con catene del peso di 15 libbre, nutrendolo (ove il debitore non si procuri altrimenti da vivere) con una libbra di farro al giorno; ha però il dovere di condurlo a tre mercati consecutivi, e di proclamare pubblicamente la condizione del suo prigioniero e la somma di cui è debitore. Ove in queste occasioni nessuno si presenti a riscattare il malcapita- to, egli può essere venduto come schiavo di là dal Tevere o messo a morte; se più sono i debi-
Alcuni punti nevralgici della teoria dello stato di eccezione 19 largamente accettate in epoca medievale ― i diritti della persona u- mana in quanto tale erano ben lontani dall’essere non soltanto effetti- vamente applicati, ma anche semplicemente consacrati nell’oggettività di un testo scritto5. Per conseguenza, la teoria dello stato di eccezione applicata a quest’epoca sarebbe potuta servire eventualmente a descri- vere la sospensione di diritti considerati di per sé derogabili e inessen- ziali. Negli ordinamenti contemporanei, invece, si rileva sempre più frequentemente la presenza di un nucleo di norme fondamentali (soli- tamente di rango costituzionale, o comunque corredate di speciali ga- ranzie) a tutela dei diritti degli esseri umani in quanto tali. In un tale contesto storico più evoluto, la possibilità di sospendere tali diritti fondamentali in virtù dell’invocazione dello stato di eccezione è tanto più impressionante in quanto i termini in cui viene ricostruita la teoria dello stato di eccezione vorrebbero mettere in luce debolezze indicate come ineliminabili dei sistemi giuridici, foss’anche dei più avanzati6. tori, si distribuiscono fra loro i brani del cadavere, e un versetto delle XII tavole ha cura di scagionare i creditori da ogni responsabilità per l’eventuale sproporzione fra i brani tolti da ciascuno e l’ammontare dei crediti» (così V. Arangio–Ruiz, Istituzioni di diritto romano, XIV ed., Jovene, Napoli 1985, p. 113.) 5 Forse non è inutile ricordare che la prima carta dei diritti dell’uomo ispirati al principio della tutela della persona umana in quanto tale è faticosa acquisizione della modernità. Risale infatti soltanto a poco più di due secoli fa, e precisamente al 26 agosto 1789, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino redatta all’epoca della rivoluzione francese, la cui possibi- lità di applicazione era del resto limitata alla sfera di giurisdizione della Francia, trattandosi di un atto di diritto interno. Ancor più recente è il primo documento del genere di respiro inter- nazionale: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite sfiora appena i sessant’anni (risale al 10 dicembre 1948). Sull’importanza della Dichiarazione del 1948 ai fini dell’internazionalizzazione dei diritti umani v. A. Mar- chesi, Diritti umani e Nazioni Unite. Diritti, obblighi e garanzie, Franco Angeli, Milano 2007, spec. capitolo I, par. 2, p. 13 ss. 6 La detenzione di presunti terroristi a Guantánamo, in dispregio della dignità delle per- sone nonché delle più elementari garanzie processuali costituirebbe uno degli episodi più recenti da leggere in tal senso (cfr. gli autori ricordati supra, introduzione, par. 1, nota 3, p. 12). La situazione di eccezionale minaccia rappresentata dal terrorismo islamico costitui- rebbe in altre parole la ragione fondante la sospensione di tali diritti fondamentali nei con- fronti degli individui sospettati. In particolare sulla situazione dei detenuti a Guantánamo cfr. il Rapporto congiunto del 15 febbraio 2006 Situation of Detainees at Guantánamo Bay presentato dalla Commissione sui diritti umani al Consiglio economico e sociale delle Na- zioni Unite, UN.Doc. Future E/CN.4/2006/120. Al fine di mostrare la debolezza di tale let- tura ci sembra rilevante che in tempi recenti lo stesso presidente Bush abbia ritirato l’argomento dello stato di eccezione affermando che nel carcere di Guantánamo i detenuti sarebbero trattati “bene” (cfr. la dichiarazione rilasciata il primo agosto 2007 disponibile on–line al sito http://www.rainews24.rai.it/notizia.asp?newsid=55366). In letteratura, sullo
20 Capitolo I La connessione fra diritto e stato di eccezione così descritta si fon- derebbe sulla natura del potere sovrano in quanto tale. Secondo la ce- lebre definizione di Carl Schmitt, ciò che identificherebbe il sovrano sarebbe anzi proprio il potere di decidere sullo stato di eccezione7. Il potere sovrano mostrerebbe la sua natura più autentica proprio nella figura dello stato di eccezione, in quanto nelle situazioni eccezionali o di emergenza o di urgenza che dir si voglia si assisterebbe a un ricon- giungimento dei vari aspetti del potere sovrano nelle mani di un unico soggetto decidente. In base al principio della divisione dei poteri ac- colto negli odierni ordinamenti democratici, il potere sovrano si trova “normalmente” frazionato fra più organi competenti all’esercizio delle attività sovrane per eccellenza. Nello stato di eccezione, invece, si as- sisterebbe alla riunione dei poteri sovrani in capo a un unico organi- smo o individuo8, che per via della situazione di urgenza potrebbe spingersi sino a decidere la sospensione di certi diritti, fra cui even- tualmente, ove la situazione lo rendesse necessario9, i diritti fonda- mentali delle persone. L’eccezionale riunificarsi dei poteri tipicamente statali in capo a un unico individuo o organo10 lascerebbe rilucere, se- status dei prigionieri di Guantánamo cfr.: G.H. Aldrich, The Taliban, Al Quaeda and the Determination of Illegal Combatants, in «American Journal of International Law» (AJIL), vol. 96, 2002, pp. 891–898; R. Wolfrum, The Attack of September 11, 2001, the Wars Against the Taliban and Iraq. Is There a Need to Reconsider International Law on the Re- course to Force and the Rules of Armed Conflict?, in Max Planck Yearbook of United Na- tions Law, vol. 7, 2003, pp. 1–78, spec. p. 52 ss. 7 Cfr. C. Schmitt, Politische Theologie. Vier Kapitel zur Lehre von der Souveränität, Duncker & Humblot, Berlin 20048, p. 13: «[s]ouverän ist, wer über den Ausnahmezustand entscheidet». 8 Un esempio in tal senso è indicato dalla stessa dottrina dello stato di eccezione, e si tratta di un esempio importante in quanto tocca la ricostruzione teorica delle competenze di governo in base alle norme costituzionali vigenti in più di uno Stato contemporaneo. L’esempio in questione sarebbe offerto da quelle previsioni che contemplano una potestà legislativa del go- verno in situazioni lato sensu eccezionali. In tali situazioni si assisterebbe al riunirsi di com- petenze sovrane ― quella legislativa e quella esecutiva, solitamente esercitate da organi di- versi ― in capo al governo, cui spettano di regola, nei sistemi democratici, funzioni di tipo unicamente esecutivo. Per una enumerazione casistica da intendersi in tale senso cfr. G. A- gamben, Stato di eccezione, cit., p. 26 ss. 9 Sarebbe questo d’altronde il senso del brocardo “necessitas legem non habet”, richia- mato da autori che hanno riflettuto sullo stato di eccezione (per es. Santi Romano, Sui decre- ti–legge e lo stato di assedio in occasione del terremoto di Messina e di Reggio Calabria (1909), ora in Id., Scritti minori, a cura di G. Zanobini, I, Giuffrè, 1950, rist. 1990, p. 349 ss.; G. Agamben, Stato di eccezione, cit., p. 9). 10 Cfr. C. Schmitt, Die Diktatur. Von den Anfängen des modernen Souveränitätsgedankens bis zum proletarischen Klassenkampf, Duncker & Humblot, Berlin 1964, trad. it. a cura di B. Li-
Alcuni punti nevralgici della teoria dello stato di eccezione 21 condo questa dottrina, l’autentica e insopprimibile pienezza del potere sovrano11. Che il potere pubblico vada concepito come insopprimibil- mente sovrano sembrerebbe apparentemente confermato dal fatto che alcune carte costituzionali moderne non prevedono una eliminazione del potere sovrano in quanto tale, ma ne affidano la titolarità al popo- lo12. L’affidamento del potere sovrano al popolo sembrerebbe peraltro suggellare una costituzionale frammentazione del potere con la conse- guente impossibilità che esso possa mai raccogliersi in un unico indi- viduo13. Ma la dottrina dello stato di eccezione pare trascurare questa modalità frammentata che contraddistingue il potere sovrano delle co- stituzioni repubblicane. Piuttosto, a tale proposito la dottrina dello sta- to di eccezione potrebbe giovarsi della riflessione di Hegel il quale, verani, La dittatura. Dalle origini dell’idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria, Laterza, Roma–Bari 1975, p. 159. 11 V.C. Schmitt, Politische Theologie, cit., p. 19: «[d]er Ausnahmefall offenbart das We- sen der staatlichen Autorität am klarsten». 12 Cfr. per es. la Costituzione della Repubblica italiana la quale all’art. 1, 2° comma, esplicitamente sancisce: «[l]a sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Di analogo tenore l’art. 3, 1° comma, della Costituzione francese, secondo il quale: «[l]a sovranità nazionale appartiene al popolo che la esercita per mezzo dei suoi rappresentanti e mediante referendum». Leggermente diversa l’enuncia- zione della corrispondente norma contenuta nella Costituzione tedesca, la quale non parla di “sovranità”, bensì di “potere statale”: «[t]utto il potere statale emana dal popolo. Esso è esercitato dal popolo per mezzo di elezioni e di votazioni e per mezzo di organi speciali in- vestiti di poteri legislativo, esecutivo e giudiziario» (così l’art. 20, n. 2, Grundgesetz). Le versioni in lingua italiana delle principali costituzioni statali europee possono leggersi al si- to www.associazionedeicostituzionalisti.it, al link “materiali”. Recentemente, sul problema- tico concetto di sovranità popolare v. L. Ferrajoli, La sovranità nel mondo moderno, Later- za, Roma–Bari 1997, 20042, p. 29 ss.; M. Fioravanti, Costituzione e popolo sovrano. La Costituzione italiana nella storia del costituzionalismo moderno, il Mulino, Bologna 1998, 20042, p. 61 ss.; G. Silvestri, Lo Stato senza principe. La sovranità dei valori nelle demo- crazie pluraliste, Giappichelli, Torino 2005, p. 32. 13 È per es. quanto espressamente stabilito dall’art. 3, 2° comma, della Costituzione fran- cese, secondo cui «[n]essuna frazione del popolo né alcun individuo può attribuirs[i] l’esercizio [della sovranità]». Tale norma va in ogni caso interpretata in connessione con le al- tre norme costituzionali riguardanti situazioni emergenziali, per es. l’art. 16 e gli artt. 35 ss. La più recente riflessione italiana, nell’esigenza di superare l’impasse della nozione di sovra- nità popolare, è giunta a proporre la teoria della sovranità dei valori: cfr. G. Silvestri, Lo stato senza principe, cit., p. 111: «[i]l nucleo essenziale dei valori epocali afferma la sua sovranità al di sopra del diritto, come sopra il diritto si collocava il sovrano hobbesiano, artefice dell’ordine e non soggetto ad esso». In senso conforme v. A. Baldassarre, La sovranità dal cielo alla terra, in G.M. Cazzaniga (a cura di), Metamorfosi della sovranità. Tra Stato nazio- nale e ordinamenti giuridici mondiali, ETS, Pisa 1999, pp. 61–83, spec. a p. 73.
22 Capitolo I nel qualificare come “rozza” l’idea della sovranità popolare come op- posta alla sovranità del monarca14, sembrerebbe rafforzare l’idea pro- fessata da tale dottrina per cui, quali che siano le norme concretamente vigenti in un ordinamento giuridico, in situazioni eccezionali non pre- viste riaffiorerebbe il potere sovrano nella sua interezza, indissolubil- mente congiunto alla figura di uno solo, nelle cui mani è affidato il po- tere decisionale ultimo15. La constatazione di un meccanismo tale da sospendere, fra gli altri, 14 Cfr. G.F.W. Hegel, Grundlinien des Philosophie des Rechts, Berlin 1821, trad. it. Line- amenti di filosofia del diritto, a cura di V. Cicero, Rusconi, Milano 1998, par. 279, pp. 479– 481: «il senso ordinario in cui in epoca moderna si è cominciato a parlare di sovranità popola- re è quello di sovranità opposta alla sovranità esistente del monarca. In questa opposizione, la sovranità popolare appartiene a quei pensieri confusi che hanno per fondamento una rap- presentazione rozza del popolo. Il popolo, preso senza il suo monarca e senza l’articolazione del Tutto che vi è appunto necessariamente e immediatamente connessa, è infatti la massa amorfa che non costituisce più nessuno Stato. […] Per sovranità popolare, inoltre, si potrebbe intendere la forma della repubblica, e, in modo più determinato, la democrazia (infatti, sotto la parola “repubblica” si fa rientrare ogni tipo di molteplici mescolanze empiriche, le quali, comunque, non hanno nulla a che vedere con una considerazione filosofica». Questa scarsa considerazione riservata al fenomeno della sovranità popolare nel suo legame con la forma repubblicana si spiega in quanto per Hegel è la monarchia costituzionale l’unica forma politi- ca in cui si perfezionerà lo Stato (cfr. loc. ult cit., par. 237, p. 465). A chiusura della sua breve riflessione sulla sovranità popolare, coerentemente con tale presupposto, Hegel ribadisce: «[l]a sovranità non può essere intesa in riferimento a un popolo che venga rappresentato come stirpe patriarcale, o nella situazione arretrata e non sviluppata in cui sono possibili le forme della democrazia o dell’aristocrazia […], oppure, infine, in una situazione arbitraria e disor- ganica. Essa, piuttosto, dev’essere compresa in riferimento a un popolo pensato come una to- talità sviluppata entro sé, autenticamente organica: in un tale popolo, la sovranità è come la personalità del Tutto, e questa personalità, nella realità conforme al proprio concetto, è la per- sona del monarca» (loc. ult. cit., par. 279, p. 481; tutti i corsivi all’interno dei passaggi citati in questa nota sono nel testo). 15 Cfr. C. Schmitt, Politische Theologie, cit., p. 19: «[d]er Souverän schafft und garan- tiert die Situation als Ganzes in ihrer Totalität. Er hat das Monopol der letzten Entschei- dung». Il problema della sovranità popolare è problema teorico delicato, cui non si è ancora offerta un’analisi risolutiva proprio per quanto riguarda il rapporto con gli eventuali mec- canismi d’eccezione. Che cosa significa affermare la sovranità del popolo quando poi, in si- tuazioni di emergenza, il potere potrebbe essere assunto da uno solo, eventualmente contro la posizione giuridica dei singoli che compongono il popolo? È per tale motivo che l’appartenenza del potere sovrano al popolo non risolve di per sé il problema dello stato di eccezione, come già osservato per es. da G. Silvestri, Lo Stato senza principe, cit., p. 99. Ed è il medesimo motivo ― riteniamo ― a fondamento del fatto che alcuni costituzionalisti che si sono confrontati con questo problema hanno condotto la propria riflessione sul piano del diritto positivo, limitandosi a valutare se effettivamente la nostra Costituzione lasci spazio all’irruzione dello stato di eccezione, senza arrischiare un’indagine sui rapporti fra tale dimensione indeterminata di violenza e la natura del diritto.
Alcuni punti nevralgici della teoria dello stato di eccezione 23 i diritti fondamentali che ci costituiscono come soggetti esistenti, non può che turbarci, giacché lascia apparire le posizioni giuridiche indi- viduali, che forse rappresentano la conquista più importante della mo- dernità sotto il profilo del viver civile, come un terreno assai meno saldo di quanto non siamo abituati a pensare16. La riflessione che mira a illustrare la disponibilità di un simile meccanismo, per la modalità con cui esso viene ricostruito nel suo rapporto con il diritto, è ancor più inquietante se si presta attenzione al fatto che, secondo la dottrina che lo sostiene, lo stato di eccezione sembrerebbe implicato nel diritto stesso in quanto tale17. In altre paro- le, il diritto vigente ― e dunque anche i diritti fondamentali della per- sona umana potrebbero esser fatti valere soltanto nella misura in cui la situazione su cui l’applicazione di tali diritti incide si mantenesse su un livello di “normalità”18. Non appena la situazione fattuale regolata 16 Per esempi recenti di ammissibilità della sospensione di alcuni diritti fondamentali delle persone, in particolare il diritto di parola e di stampa v. M.D. Forkosch, Speech and Press in National Emergencies in the United States, nel volume pubblicato dalla Société Jean Bodin L’individu face au pouvoir/Man Versus Political Power, Quatrième partie – Fourth Part. Eu- rope orientale au moyen age, aux temps modernes et contemporaines (1989), De Boeck– Wesmael, Bruxelles 1989, pp. 445–502. Conseguenze catastrofiche dell’accoglimento della teoria schmittiana sono invece delineate in A. Fischer–Lescano, Redifining Sovereignty via In- ternational Constitutional Moments? The Case of Afghanistan, in M. Bothe, M.E. O’Connell, N. Ronzitti (a cura di), Redefining Sovereignty. The Use of Force After the Cold War, Trans- national Publishers, Ardsley (NY) 2005, pp. 335–364, spec. a p. 360 ss. 17 Cfr. C. Schmitt, Politische Theologie, cit., pp. 18–19; ID., La dittatura, cit., p. 151. 18 Per es. G.F.W. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, cit., par. 278, p. 475, a propo- sito della sovranità, pur sottolineando esplicitamente come la sovranità non vada confusa con l’arbitrio, e come dunque l’agire sovrano debba essere sempre orientato al benessere dello Stato, sembra poi ammettere che, in situazione di emergenza, certe posizioni giuridiche pos- sano essere sacrificate: «[p]oiché la sovranità è l’idealità di ogni legittimità particolare, è allo- ra facile, e anche molto frequente, fraintendere la legittimità prendendola per mera potenza e vuoto arbitrio, e considerare la sovranità come sinonimo di dispotismo. Il dispotismo, però, designa in genere la situazione dell’assenza di leggi, situazione in cui ha valore di legge ― o, piuttosto, al posto della legge ― la volontà particolare in quanto tale, si tratti poi di un monar- ca o di un popolo (oclocrazia). La sovranità, per contro, costituisce il momento dell’idealità delle sfere e delle funzioni particolari proprio nella situazione legale, costituzionale: la sovra- nità fa sì che ciascuna di tali sfere non sia un’entità indipendente, autonoma nei propri fini e modi di operare, approfondendosi soltanto entro di sé, bensì piuttosto che ciascuna sfera, in questi fini e modi di operare, sia determinata e dipendente dal fine del Tutto ― fine che, in generale e con un’espressione molto indefinita, è stato chiamato il benessere dello Stato. Ora, questa idealità giunge a manifestarsi in modo duplice. Nella situazione di pace, le sfere e le funzioni particolari perseguono la realizzazione dell’appagamento dei loro affari e fini parti- colari. […] Nella situazione di emergenza ― sia essa interna o esteriore –, invece, è nel con-
24 Capitolo I dal diritto vigente fosse soggetta a un mutamento imprevisto, secondo la ricostruzione teorica della dottrina dello stato di eccezione sarebbe il diritto stesso in quanto tale ad ammettere la sospensione dell’ordine vigente per dar luogo a un vuoto giuridico19. In altre parole, sarebbe lo stesso ordinamento giuridico ad autorizzare il potere pubblico a “so- spendere” certe posizioni giuridiche e dunque a renderne lecita la vio- lazione. Indubbiamente vi sono stati periodi anche recenti della storia delle istituzioni giuridiche d’Europa in cui lo stato di eccezione, così come delineato dalla dottrina che lo sostiene, sembrerebbe la figura più a- datta a descrivere la modalità secondo la quale certe posizioni giuridi- che a vantaggio di singoli sono state sospese. Per es. nell’art. 48, 2° comma, della Costituzione di Weimar si leggeva [s]e nel Reich tedesco la sicurezza e l’ordine pubblico sono seriamente di- sturbati o minacciati, il presidente del Reich può prendere le misure necessa- rie al ristabilimento della sicurezza e dell’ordine pubblico, eventualmente con l’aiuto delle forze armate. A questo scopo egli può sospendere in tutto o in parte i diritti fondamentali stabiliti negli articoli 114, 115, 117, 118, 123, 124 e 15320. cetto semplice della sovranità che confluisce l’organismo politico sussistente nelle proprie particolarità: allora alla sovranità è affidato il compito di salvare lo Stato sacrificando ciò che in altre circostanze ha legittimazione. In tal modo, quell’idealismo perviene alla sua realtà pe- culiare» (corsivi nel testo). Quest’ultima osservazione di Hegel sembra tuttavia riconfermare che anche nella situazione di emergenza il sacrificio di posizioni giuridiche dovrebbe sempre essere orientato al benessere dello Stato concepito come un tutto organico, poiché è tale il si- gnificato in cui vanno intesi “idealità” e “idealismo” in questo contesto: Hegel chiarisce que- sto punto in un passaggio precedente dello stesso par. 278, cfr. p. 473 della trad. italiana cita- ta. Per quanto Hegel non si spinga a indagare come la conduzione a buon fine del potere so- vrano in situazioni di emergenza possa essere oggetto di garanzia giuridica, ci pare comunque che il filosofo tedesco sia ben lontano dall’intento di fondare un meccanismo di sospensione dei diritti che possa essere utilizzato a piacimento da parte di chi detiene la sovranità. 19 Cfr. per es. G. Agamben, Stato di eccezione, cit., p. 78. 20 Trad. citata in G. Agamben, Stato di eccezione, cit., pp. 24–25; il testo originale della costituzione di Weimar è reperibile al sito http://www.lwl.org/westfaelische– geschichte/que/normal/que843.pdf. In generale, sulla Repubblica di Weimar v. C. Klein, La République de Weimar, Flammarion, Paris 1968, trad. it. a cura di P. Cabrini, La Re- pubblica di Weimar, Mursia, Milano 1970; e in connessione con il problema dello stato di eccezione v. anche C.L. Rossiter, Constitutional Dictatorship, cit., p. 30 ss., spec. p. 36; P. Mindus, Emergenza, costituzione, diritti fondamentali, cit., p. 15 ss.
Alcuni punti nevralgici della teoria dello stato di eccezione 25 Come possiamo vedere chiaramente da questa norma, è la Costitu- zione medesima a prevedere la possibilità di una sospensione di certe posizioni che essa stessa prevede e tutela. Il riferimento alla presenza di un disturbo o una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico e al- la finalità del loro ristabilimento ha contorni così vaghi da lasciare ampio spazio all’arbitrio di chi debba decidere non soltanto sulla so- spensione dei diritti, ma anche sul darsi concreto dei presupposti di fatto legittimanti tale sospensione. Per via della vaghezza dei termini in cui sono enunciati i limiti di applicazione della norma ricordata, qualunque situazione di emergenza potrebbe essere idonea a produrre la sospensione dei diritti fondamentali in questione21. Considerata l’ap- plicazione assai ampia che di questa norma è stata fatta, e considerato il periodo storico assai turbolento immediatamente successivo a quello in cui la Costituzione di Weimar ha visto la luce, non sembrano a tale proposito inadeguate le parole di Walter Benjamin quando nell’Ottava tesi sulla filosofia della storia affermava: «[l]a tradizione degli op- pressi ci insegna che lo “stato di emergenza” in cui viviamo è la re- gola»22. Secondo alcuni studiosi tale affermazione di Benjamin manterrebbe tutta la sua pregnanza anche se applicata al nostro tempo23, pur essen- 21 A tale proposito Agamben ha ricordato: «i poteri eccezionali del presidente rimasero a tal punto indeterminati che non solo l’espressione “dittatura presidenziale” fu usata corrente- mente nella dottrina di riferimento all’art. 48, ma Schmitt poté scrivere nel 1925 che “nessuna costituzione della terra come quella di Weimar aveva così facilmente legalizzato un colpo di stato”» (G. Agamben, loc. ult cit., ivi, p. 25). 22 W. Benjamin, Tre tesi di filosofia della storia, in Angelus novus, cit., pp. 75–86, a p. 79. 23 In particolare il concetto di “stato di emergenza permanente” come sviluppato dalla scuola di Francoforte è ricostruito in W.E. Scheuermann, Between the Norm and the Excep- tion. The Frankfurt School and the Rule of Law, The MIT Press, Cambridge (Massachussets) 1994, spec. p. 123 ss. Il concetto di stato di emergenza permanente è impiegato in D. Losurdo, Utopia e stato di eccezione. Sull’esperienza storica del socialismo reale, Laboratorio politico, Napoli 1996, p. 5. Per quanto riguarda scrittori più recenti possiamo riportare la seguente os- servazione: «[i]l problema [è] quello di cogliere la forma stessa come una discontinuità in ac- tu, come espressione vivente di una lacerazione e una rottura che traccia una frontiera tra ra- gione e irrazione, dicibile e indicibile, parola e silenzio: la vera catastrofe è la creazione di “i- dentità” tramite la produzione di forma. Ogni forma si costituisce attraverso un ritaglio di con- torni che è imposizione violenta di confini. Il concetto di catastrofe viene così pienamente ad assumere il carattere di ritrascrizione della nozione di crisi nei termini dello “stato d’ec- cezione” come regola» (così G. Marramao, Potere e secolarizzazione. Le categorie del tempo, Bollati Boringhieri, Torino 2005, p. 216). Ad analoga conclusione arriva già G. Agamben, Stato di eccezione, cit., p. 11; nella stessa linea sembra porsi la riflessione di A. Landwehr,
26 Capitolo I do stata meditata in tempi assai più bui. Essa anzi costituirebbe il co- rollario della riflessione che non soltanto mette in luce il nesso in cui parrebbero stretti insieme in modo indissolubile violenza e diritto, ma che anche, una volta sgomberato il campo dall’ordinamento giuridico sospeso mediante il ricorso al meccanismo dell’eccezione, illumina la pura violenza come “cosa della politica”24. Sarebbe, in altre parole, proprio la “strategia dell’eccezione” ad «assicurare la relazione fra violenza anomica e diritto»25 e a lasciar apparire la dimensione della violenza quale fondamento del diritto, una volta sospesa la vigenza di quest’ultimo26. Questa dimensione di violenza sarebbe da cogliersi, secondo la cor- rente di pensiero in parola, non soltanto come ciò che si rivela nella si- tuazione di emergenza motivante la disapplicazione dell’ordinamento vigente, ma anche come fondamento originario rispetto al diritto al- meno in senso cronologico, cioè antecedentemente il momento di po- sizione dell’ordinamento stesso. Per es. Schmitt ravvisa nella dittatura sovrana un potere in grado di produrre una nuova carta costituzionale. L’attività costituente sarebbe caratterizzata secondo Schmitt da un grado minimo di giuridicità rispetto al costituendo ordinamento27, ma il fatto di chiamare tale potere “dittatura” mostra in maniera inequivo- “Gute Policey”. Zur Permanenz der Ausnahme, in A. Lücke, M. Wildt (a cura di), Staats– Gewalt: Ausnahmezustand und Sicherheitsregimes. Historische Perspektiven, Wallstein, Göt- tingen 2008, pp. 39–63; e in materia di diritto penale, tale idea sottende l’indagine di M.L. Cesoni pubblicata in M.L. Cesoni (a cura di), Nouvelles méthodes de lutte contre la criminali- té: La normalisation de l’exception. Étude de droit comparé (Belgique, États Unis, Italie, Pays–Bas, Allemagne, France), Bruylant, Bruxelles 2007, p. 3. 24 Cfr. G. Agamben, Stato di eccezione, cit., p. 77. Nel medesimo senso si era già innesta- ta per es. la riflessione di J. Derrida, Forza di legge, cit., pp. 53 e 95 ss., cui fa eco l’introduzione del curatore, F. Garritano, “In nome della legge”, ivi, pp. 4–77, a p. 12. V. an- che F. Rimoli, Stato di eccezione e trasformazioni costituzionali, cit., spec. il par. 3. 25 Così G. Agamben, Stato di eccezione, cit., p. 77. 26 Tale lettura, secondo qualche autore, risalirebbe a un pensiero assai antico: cfr. l’interpretazione, recentemente proposta, dell’enigmatico frammento 169 di Pindaro in cui si parla del nómos basiléus: «[l]’enigma non consiste qui tanto nel fatto che nel frammento siano possibili più interpretazioni; decisivo è piuttosto che […] il poeta definisce la sovranità del nómos attraverso una giustificazione della violenza. Il significato del frammento si chiarisce, cioè, soltanto se si comprende che esso ha al suo centro una scandalosa composizione di quei principî per eccellenza antitetici che sono, per i Greci, Bía e Díke, violenza e giustizia. Nómos è il potere che opera “con mano più forte” l’unione paradossale di questi due opposti» (G. Agamben, Homo sacer, Einaudi, Torino 1995 e 2005, pp. 36–37). 27 C. Schmitt, La dittatura, cit., p. 158.
Alcuni punti nevralgici della teoria dello stato di eccezione 27 cabile il tratto di possibile arbitrarietà nella gestione di tale potere28. Il costituendo ordinamento raccoglierebbe dunque la dimensione violen- ta dell’atto del porre la norma e tale dimensione violenta manterrebbe con l’ordinamento giuridico un rapporto di tipo fondativo29. Se in Schmitt il grado minimo di giuridicità dell’attività del potere costituente àncora quest’ultimo all’interno dell’ordinamento giuridico, la dottrina pura del diritto elaborata da Kelsen si spinge a considerare la Grundnorm come un vero e proprio infondato dal punto di vista giuridico, cioè come l’arrischiare di un fondamento di tipo solamente ipotetico30. Dal punto di vista materiale, invece, Kelsen afferma che un 28 «In senso generalissimo si può definire dittatura ogni eccezione rispetto a uno stato di cose ritenuto giusto, sicché il termine indica un’eccezione ora rispetto alla democrazia, ora ri- spetto ai diritti di libertà sanciti dalla costituzione, ora rispetto alla divisione dei poteri» (così C. Schmitt, La dittatura, cit., p. 159). 29 C. Schmitt, Politische Theologie, cit., p. 19 in fine. Nel medesimo senso v. anche J. Derrida, Forza di legge, cit., p. 95 ss. In generale, sulla natura del potere costituente v. C. Klein, Théorie et pratique du pouvoir constituant, Presses universitaires de France, Paris 1996. 30 H. Kelsen, Reine Rechtslehre. Einleitung in die rechtswissenschaftliche Problematik, Franz Deuticke Verlag 1934, Wien, trad. it. a cura di R. Treves, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Einaudi, Torino 19848, pp. 97–98: «[s]e ci si chiede […] quale sia il fondamento della validità della costituzione, su cui poggiano tutte le classi e gli atti giuridici compiuti in base alla legge, si giunge forse a una costituzione più antica e così infine a quella storicamente originaria che fu promulgata da un singolo usurpatore o da un’assemblea formatasi in un mo- do qualsiasi»; e ivi, più avanti, pp. 98–99: «[l]a dottrina pura del diritto si vale di questa nor- ma fondamentale come di un fondamento ipotetico. Se si parte dal presupposto che tale norma sia valida, è valido anche l’ordinamento giuridico che si fonda su di essa. La norma fonda- mentale attribuisce all’atto del primo legislatore e di qui a tutti gli atti dell’ordinamento giuri- dico che poggiano su di questo, il significato del dover essere, quello specifico significato per il quale nella proposizione giuridica la condizione è legata alla conseguenza del diritto; e la proposizione giuridica è la forma tipica in cui deve necessariamente presentarsi tutto il mate- riale del diritto positivo. Nella norma fondamentale, in ultima istanza, trova la sua base il si- gnificato normativo di tutti i fatti che costituiscono l’ordinamento giuridico. Soltanto in base al presupposto della norma fondamentale il materiale empirico che si presenta alla determina- zione giuridica può essere inteso come diritto, cioè come sistema di norme giuridiche. Secon- do la natura di questo materiale, cioè secondo gli atti che debbono essere determinati come at- ti giuridici, si regola anche il contenuto particolare di quella norma fondamentale che sta alla base di un determinato ordinamento giuridico. Essa è soltanto l’espressione del presupposto necessario per comprendere positivisticamente il materiale giuridico. Essa non vale come norma giuridica positiva, perché non è prodotta nel corso del procedimento del diritto; essa non è posta, ma è presupposta come condizione di ogni posizione del diritto, di ogni procedi- mento giuridico positivo. Con la formulazione della norma fondamentale la dottrina pura del diritto non vuole assolutamente inaugurare un nuovo metodo scientifico della giurisprudenza.
28 Capitolo I ordinamento giuridico può in quanto tale contenere qualsiasi norma, purché questa si trovi in rapporto di derivazione/implicazione logica rispetto alla legge fondamentale. Non soltanto è considerato come giu- ridico unicamente l’ordinamento positivo, non soltanto la dottrina kel- seniana del diritto è pura perché è scevra da ogni commistione con e- lementi attinti dalla morale o dalla religione, ma anche perché la nor- ma viene in considerazione esclusivamente sotto un profilo formale. Ciò significa che la norma può rendere obbligatorio ovvero sanzionare qualunque tipo di comportamento umano: perciò per Kelsen la norma giuridica in quanto tale può avere qualsiasi contenuto31. Sotto il profilo del problema della sovranità, Schmitt ha criticato la posizione kelse- niana, in quanto Kelsen semplicemente eviterebbe di confrontarsi con la tematica della sovranità limitandosi a negarla32. La questione in re- altà è più complessa e ci riserviamo di approfondirla più avanti33. Ciò che qui preme rilevare è come in realtà, la stessa visione puramente formale del diritto come proposta da Kelsen offra la possibilità di in- serire il problema della sovranità e dell’arbitrio che questa, concepita in termini assoluti, porta con sé, lungo il versante tutto interno del contenuto dell’ordinamento giuridico. È sufficiente infatti assumere che un ordinamento contempli fra le sue norme (per es. fra quelle co- stituzionali) la possibilità di sospendere i diritti fondamentali in de- Essa vuol dare soltanto la coscienza di ciò che tutti i giuristi fanno per lo più incoscientemente quando, nel comprendere il loro oggetto, rifiutano un diritto naturale dal quale potrebbe essere dedotta la validità dell’ordinamento giuridico positivo, ma intendono però questo diritto posi- tivo come ordinamento valido, non già come realtà psicologica, ma come norma. Con la dot- trina della norma fondamentale, la dottrina pura del diritto tenta di rilevare, attraverso all’analisi dei procedimenti effettivi, le condizioni logico–trascendentali del metodo, sinora usato, della conoscenza giuridica positiva». 31 «Ogni qualsiasi contenuto può essere diritto: non vi è nessun comportamento umano che, come tale, in forza del suo contenuto, non possa diventare contenuto di una norma giuri- dica» (H. Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 96). 32 C. Schmitt, Politische Theologie, cit., p. 29: «Kelsen löst das Problem des Souveräni- tätsbegriffs dadurch, dass er es negiert». Sul rapporto fra la teoria della decisione schmittiana e la concezione kelseniana della sovranità cfr. J.F. Kervégan, Hegel, Carl Schmitt. La politi- que entre spéculation et positivité, Léviathan, Paris 1992, édition “Quadrige” 2005, p. 32 ss. 33 Cfr. infra, capitolo III, par. 3.3, spec. pp. 201–202, con le relative note. Per un cenno di quanto il pensiero kelseniano sul punto si traduca in un’articolazione assai più complessa che non la semplice negazione che gli attribuisce Carl Schmitt, cfr. H. Kelsen, Das Problem der Souveränität und die Theorie des Völkerrechts. Beitrag zu einer reinen Rechtslehre, Mohr, Tübingen,19282, rist. Scientia, Aalen 1960, pp. 48 e 56–57.
Alcuni punti nevralgici della teoria dello stato di eccezione 29 terminate circostanze eccezionali per poter includere il principio dello stato di eccezione fra le norme giuridiche positive. Kelsen insomma distingue assai nettamente l’aspetto politico dall’aspetto strettamente giuridico34. A Kelsen non interessa quali scelte abbiano portato alla i- stituzione di un certo tipo di ordinamento, contenente certi diritti piut- tosto che altri. Il potere decisionale in cui per Schmitt consiste la so- vranità che sarebbe a fondamento del diritto, per Kelsen invece o è ambito regolato dal diritto, cioè riceve una delimitazione giuridica, ovvero è spazio libero d’azione35. A differenza della posizione schmittiana, la teoria kelseniana, è no- to, ha avuto grandissima risonanza fra gli studiosi del diritto36. La dot- trina e la giurisprudenza italiane si possono tuttora dire ancorate ad al- cuni principi cardine professati da Kelsen. Innanzitutto, il metodo per vagliare il valore di una certa norma, la sua forza, vigenza ed efficacia, nonché la sua appartenenza a un ordinamento è fortemente ispirato al metodo kelseniano di risalimento al fondamento su cui la norma in questione riposa37. Questo metodo è accolto nel principio della gerar- chia delle fonti del diritto fissato agli artt. 1–8 delle disposizioni pre- liminari al codice civile italiano del 1942, come integrati e modificati a seguito dell’adozione della Costituzione del 194838. In secondo luo- 34 Su questo punto e le relative implicazioni riguardo alla teoria dello stato di eccezione v. D. Dyzenhaus, The Constitution of Law. Legality in a Time of Emergency, Cambridge Uni- versity Press, Cambridge 2006, p. 199 ss. 35 Cfr. H. Kelsen, Das Problem der Souveränität, cit., p. 48. 36 Sulla diversità di approccio di alcuni temi di teoria del diritto da parte di Kelsen e Schmitt vedasi per es. gli scritti raccolti a cura di D. Diner, M. Stolleis, Hans Kelsen and Carl Schmitt. A Juxtaposition, Bleicher, Gerlinger 1999. 37 Kelsen parla a tale proposito di «costruzione a gradi dell’ordinamento giuridico» (H. Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 111). 38 L’art. 1 delle cd. preleggi stabilisce infatti: «[s]ono fonti del diritto: 1) le leggi; 2) i re- golamenti; 3) le norme corporative; 4) gli usi». Gli artt. 2, 3, 4 e 8 delle medesime “preleggi” fissano i rapporti gerarchici fra tali fonti. Dopo l’eliminazione, mediante il r.d.l. del 9 agosto 1943 n. 721, delle norme corporative vigenti durante il regime fascista, a seguito dei lavori dell’Assemblea costituente, la Costituzione è stata posta come legge fondamentale di carattere rigido, a differenza dello Statuto albertino che ne rappresenta l’antecedente storico (sul punto e sulla sua rilevanza in materia di stato di eccezione v. infra, capitolo II, par. 2.1, p. 93, in fine, ss.). Ciò significa, per l’interprete del diritto, che per es. un certo uso (tipologia di norma po- sta al grado infimo della gerarchia delle fonti), è legittimo e può essere considerato parte dell’ordinamento giuridico italiano soltanto se è conforme a tutt’e tre le fonti di rango supe- riore; il regolamento a sua volta deve essere conforme sia alla Costituzione che alla legge e quest’ultima deve tenersi nei limiti, sostanziali e procedurali, fissati dalla Costituzione. Sul
30 Capitolo I go, l’accento posto sul carattere unicamente formale del diritto ha prodotto negli operatori giuridici una tendenza, a quanto pare dura a sradicarsi, che talora si concreta nel lasciar prevalere l’esigenza di ap- plicare una norma sul fondamento della sua validità valutato in senso formale piuttosto che sulla corrispondenza di tale norma a canoni di giustizia39. In altre parole, i principi della teoria kelseniana, soprattutto prima che subentrassero vari correttivi che ne hanno per così dire in- torbidito l’istanza di purezza, avrebbero determinato una sorta di di- storsione dello strumento giuridico, che verrebbe applicato facendo valere ragioni meramente formali talora a scapito della giustizia. Tale tendenza deve riscontrarsi non solo fra gli operatori del diritto interno, ma anche fra i giuristi internazionalisti. Per es., nell’ambito delle Na- zioni Unite, un’interpretazione meramente formalista sembra essere quella attualmente prevalente per quanto riguarda la determinazione della minaccia alla pace ai sensi dell’art. 39 della Carta, norma nella quale sono fissati i presupposti per l’azione del Consiglio per la sicu- rezza a tutela della pace e della sicurezza internazionali40. La dottrina funzionamento della gerarchia delle fonti nel sistema giuridico italiano v. per es. C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, UTET, Torino 1985, rist. 1986, p. 135 ss.; in generale sulle fon- ti del diritto italiano cfr. V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale. 6a ed. agg., II, 1, L’ordinamento costituzionale italiano (Le fonti normative), Cedam, Padova 1993. 39 Per una breve sintesi delle questioni applicative sollevate dalla teoria kelseniana cfr. J.W. Bendersky, Introduction: The Three Types of Juristic Thought in German Historical and Intellectual Context, introduzione alla versione in lingua inglese di Über die drei Arten des wissenschaftlichen Denkens di Carl Schmitt, pubblicata negli Stati Uniti d’America con il tito- lo On the Three Types of Juristic Thought, Praeger, Westport, Connecticut 2004, p. 8 ss. 40 Ricordiamo che una volta rilevata l’esistenza di certi presupposti (minaccia alla pace, violazione della pace e atto di aggressione), il Consiglio per la sicurezza può agire, ai sensi della Carta, mediante l’adozione di misure provvisorie (art. 40), di misure pacifiche (art. 41) e di misure comportanti l’uso della forza armata (art. 42). Se per “violazione della pace” e “atto di aggressione” è intuitivo il riferimento a situazioni caratterizzate dalla presenza di conflitti armati in atto, la nozione di “minaccia alla pace” presenta contorni assai meno netti. Appare dunque evidente la grande importanza che riveste la questione dell’interpretazione della no- zione di minaccia alla pace. Dal suo esser intesa in senso meramente formalistico (cioè come qualunque comportamento che il Consiglio per la sicurezza ritenga tale), ovvero legato a una precisa situazione concreta caratterizzata da certi tratti distintivi (come il fatto che un certo Stato concretamente metta a repentaglio la pacifica convivenza con altri Stati, per es. minac- ciando l’uso di armi nucleari: ciò che, per ricordare un episodio recente, ha fatto l’Iran nei primi mesi del 2007; oppure: come una situazione di guerriglia interna cui lo Stato non è in grado di far fronte e che rischia di estendersi nello spazio e nel tempo ecc.) dipende infatti la legittimità dell’azione del Consiglio per la sicurezza. Dal modo di intendere la minaccia alla pace dipende in altre parole la portata stessa delle competenze del Consiglio. Se la minaccia
Alcuni punti nevralgici della teoria dello stato di eccezione 31 maggioritaria, infatti, purtroppo si limita a considerare come “minac- cia alla pace” ciò che il Consiglio determina in quanto tale41. In tale determinazione il Consiglio sarebbe, secondo alcuni studiosi, del tutto legibus solutus. È palese il rischio di abusi cui si presta (e cui si è pre- stata in passato) l’interpretazione formalistica di questa nozione. Tale approccio formalistico ci sembra tanto più inquietante ponendo mente al fatto che il criterio della giustizia è espressamente posto a limitare una parte significativa dell’attività degli organi delle Nazioni Unite42. È comunque indubbio che, dalla prima formulazione della teoria kelseniana con la quale si riuscivano a giustificare anche le efferatezze degli Stati totalitari perché fondate su norme ritenute giuridiche in quanto semplicemente poste, ancorché in dispregio dei diritti più ele- mentari, sono stati fatti molti passi avanti nella tutela delle situazioni giuridiche degli individui. L’esigenza di una interpretazione meramen- te formale delle norme si scontra con l’affermarsi di un nucleo via via più solido e indisponibile di diritti fondamentali. Si pensi per es. che l’adesione a certe organizzazioni internazionali è attualmente condi- zionata al requisito che lo Stato aderente possegga un ordinamento alla pace viene intesa in senso restrittivo, appariranno arbitrarie le risoluzioni in cui il Consi- glio dichiara l’esistenza della minaccia esclusivamente per rivestire di legittimità l’imposizione agli Stati di nuovi obblighi al cui rispetto essi non sarebbero tenuti. Ci pare che in questo senso “arbitrario” debbano esser lette una serie di risoluzioni a partire dalla n. 748 del 31 marzo 1992, sul caso Lockerbie, sino alla ris. 1546 dell’8 giugno 2004 con la quale, nel corso della cd. II Guerra del Golfo, è stata in sostanza imposta una nuova forma di governo in Iraq. 41 In tal senso per es. B. Conforti, Diritto internazionale, VII ed., Editoriale scientifica, Napoli 2006, p. 368: [n]ell’accertare se sussista una minaccia o violazione della pace o un atto di aggressione, il Consiglio gode di un larghissimo potere discrezionale («Il Consiglio ― si limita a dire l’art. 39 ― accerta l’esistenza…», ecc.). La discrezionalità può aver modo di e- sercitarsi soprattutto con riguardo all’ipotesi della “minaccia alla pace”: «trattasi infatti di una ipotesi assai vaga ed elastica che, a differenza dell’aggressione e della violazione della pace, non è necessariamente caratterizzata da operazioni militari o comunque implicanti l’uso della violenza bellica, e che quindi si presta a inquadrare i più vari comportamenti di uno Stato e le più varie situazioni» (corsivi nostri). 42 V. l’art. 1 della Carta delle Nazioni Unite, in cui sono enunciati i fini dell’Organiz- zazione, fra i quali «to bring about, by peaceful means, and in conformity with the principles of justice and international law, adjustment or settlement of international disputes or situations which might lead to a breach of the peace»; nonché l’art. 2, par. 3 della Carta che sancisce l’obbligo per tutti gli Stati membri di «settle their international disputes by peaceful means in such a manner that international peace and security, and justice, are not endangered» (corsivi nostri).
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