DIBATTITI Finanziamenti bancari alle imprese in crisi fra prededuzione e subordinazione - Rivista Diritto della Banca e dei Mercati Finanziari

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Finanziamenti bancari alle imprese in crisi fra prededuzione
e subordinazione

    Il 18 marzo 2011, presso la sede di Firenze della Cassa di Risparmio di San Mi-
niato, si è tenuto un incontro di studio, organizzato dal Ce.di.b. e dalla rivista, sul
tema “Finanziamenti bancari alle imprese in crisi fra prededuzione e subordina-
zione”. All’incontro, presieduto dal prof. Antonio Piras dell’Università di Pisa, sono
intervenuti la prof.ssa Lucia Calvosa, dell’Università di Pisa, la prof.ssa Stefania Pac-
chi dell’Università di Siena, il prof. Gaetano Presti, dell’Università Cattolica di Mila-
no, il prof. Maurizio Sciuto, dell’Università di Macerata, il prof. Fabrizio Maimeri,
dell’Università G. Marconi di Roma, i prof. Salvatore Maccarone, Alessandro Nigro,
Giuseppe Terranova, Daniele Vattermoli, della Sapienza Università di Roma.
    Ne pubblichiamo gli atti.

Indirizzi di saluto

                                                                       Lucia Calvosa

    Buonasera. Un benvenuto a tutti da parte della Cassa di Risparmio
di San Miniato S.p.A., che anche quest’anno, come l’anno scorso, ospi-
ta il convegno organizzato dal Ce.di.b, e segnatamente dal professor
Nigro, che troverà esito in termini di pubblicazione sulla rivista Diritto
della banca e del mercato finanziario, di cui un numero credo sia an-
che all’ingresso, per chi volesse averne una copia. Il convegno odierno
sui finanziamenti bancari alle imprese in crisi, fra prededuzione e su-
bordinazione, è di grandissima attualità, dopo l’inserimento nella legge
fallimentare (nel luglio 2010) della previsione dell’articolo 182-quater,
relativa alla prededucibilità nel concordato preventivo e negli accor-
di di ristrutturazione dei crediti derivanti da finanziamenti effettuati da
banche e intermediari finanziari. Trattasi di norma molto attesa in un
periodo di crisi quale quello attuale, per favorire il ricorso al credito e
l’accesso alla nuova finanza da parte di imprese in crisi. La novità nor-

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mativa che – come sapete – coinvolge, in deroga alle previsioni degli
articoli 2467 e 2497-quinquies c.c., anche i finanziamenti effettuati dai
soci, è veramente di grande rilevanza, e feconda di implicazioni per un
sistema di governo della crisi di impresa, che vede sempre più crescente
il ruolo delle soluzioni concordate delle crisi, e conseguentemente delle
connesse responsabilità degli operatori.
    Do quindi a questo punto avvio al convegno, e passo la parola al Pre-
sidente, che è anche quest’anno, come l’anno scorso, il professor Piras,
che quindi dirigerà i lavori della sessione odierna. Grazie.

                                                             Antonio Piras

    Grazie, Presidente. Anche quest’anno, per questo Convegno organiz-
zato dal Ce.di.b, l’Amico Nigro, come ha detto la professoressa Calvo-
sa, ha scelto un tema di grande attualità, il finanziamento alle imprese
in crisi. Oggi, si sa, nell’attuale congiuntura economica, molte imprese
sono in crisi, e quindi parlare di finanziamento alle imprese in crisi
significa parlare, in buona sostanza, di finanziamento alle imprese, o
quanto meno alle imprese nello stato in cui oggi in gran parte si trova-
no. Il problema però non è un problema, dirò così, dell’ultima ora; è un
problema risalente, già avvertito da almeno alcuni decenni. Da tempo si
avverte quindi l’esigenza di dettare delle regole che tengano conto dello
stato, appunto, di crisi dei fruitori del credito, e che siano proporzionate
a questa situazione così diffusa di crisi. Mi piace ricordare a questo pro-
posito che già qualche anno fa il compianto Amico Franco Di Sabato si
fece promotore presso l’Università di Napoli di un dottorato di ricerca
sul diritto delle imprese in crisi, un dottorato del quale io stesso ho fatto
parte, come membro del collegio dei docenti. E vedo con piacere che
a questo Convegno di oggi partecipa anche, come relatore, il professor
Vattermoli, che a suo tempo ne è stato un brillante allievo, seguíto nella
sua fatica dal suo Maestro professor Nigro, che ha manifestato sempre
una spiccata sensibilità per queste problematiche. Perché ci si deve oc-
cupare di questo problema dei finanziamenti alle imprese in crisi? E si
deve prima di tutto reclamare dal legislatore la predisposizione di regole
adeguate a questo fenomeno? Ma perché – la risposta è semplice, forse
banale – l’impresa in crisi rappresenta anch’essa un valore, e si deve
quindi salvaguardare nei limiti del possibile, finché è possibile, questo
valore, forse residuale, ma sempre innegabilmente un valore. Consen-
titemi un breve riferimento, una autocitazione, se volete, a quanto ho
avuto modo di sottolineare non molto tempo fa nella prefazione al Ma-

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Antonio Piras

nuale breve di diritto fallimentare pubblicato da un nutrito gruppo di
giovani studiosi, del quale ha fatto parte anche la professoressa Calvosa,
che oggi ci ospita nella sede di questa banca. Vedo fra il pubblico an-
che il professor Abriani, che è stato il primo della lista, e non soltanto
per ragioni di carattere alfabetico! Ebbene, in tale occasione, cercando
di cogliere lo spirito della riforma del diritto fallimentare, avevo scritto
che la bussola che ha orientato l’opera del legislatore, nell’emanazione
dei provvedimenti del 2005-2006, e nell’adozione delle misure correttive
del 2007, era stata sostanzialmente quella del recupero dell’impresa, nel-
la sua oggettività, considerata, ancorché in crisi, come un valore, nella
prospettiva, ripeto, per quanto possibile, di una sua salvaguardia e di ri-
flesso nella prospettiva della salvaguardia di tutti gli interessi nella stessa
coinvolti: non più quindi nel limitato e tradizionale quadro dei rapporti
creditori-debitori, ma in una prospettiva più ampia e più generale, cioè
in una platea nella quale fanno ingresso, con i propri interessi e con le
rispettive esigenze di tutela, altri protagonisti, che anch’essi hanno tito-
lo per concorrere con le opportune garanzie, si intende, alla gestione
della crisi, al fine di un suo superamento. In questo quadro, si inserisce
indubbiamente, e non è certo un fatto di dettaglio, la previsione dell’ar-
ticolo 182-quater della legge fallimentare, inserito dall’articolo 48 del de-
creto legge del maggio del 2010, così come poi parzialmente modificato
dalla legge di conversione del luglio del 2010. È una norma che riguarda
i finanziamenti in qualsiasi forma effettuati da banche e da intermediari
finanziari in esecuzione di un concordato preventivo e di un accordo di
ristrutturazione dei debiti, nonché i finanziamenti effettuati in funzione
della presentazione della domanda di concordato o della domanda di
omologazione dell’accordo di ristrutturazione. Non solo, ma in deroga
alle previsioni degli articoli 2467 e 2597-quinquies del codice civile, la
stessa regola, che è poi quella della prededuzione, quindi dell’attrazione
del fenomeno nell’orbita dell’articolo 111 della legge fallimentare, si ap-
plica anche ai finanziamenti effettuati dai soci o effettuati, lo dico sem-
plificando, anche da chi esercita attività di direzione e coordinamento. Il
mondo delle imprese sul piano dei fruitori del credito, e la platea degli
operatori bancari e degli stessi soci sul versante dei possibili erogatori
del credito, hanno indubbiamente interesse ad un approfondimento di
queste tematiche. Ed oggi credo che i relatori, tenuto conto della loro
competenza e della loro autorevolezza, potranno certo dare un signi-
ficativo contributo a questo approfondimento. Le relazioni sono sei, e
saranno precedute dall’introduzione del professor Nigro e seguite dalle
considerazioni conclusive del professor Presti. Il programma è quindi
molto denso. Pregherei pertanto i relatori di contenere le loro rispettive

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Dibattiti

esposizioni nell’arco di una ventina di minuti. So che sarà un’impresa
ardua, ma non impossibile!
   A questo punto, cedo senz’altro la parola al professor Nigro, che
dovrà introdurci in modo più preciso e circostanziato nelle tematiche di
oggi. Grazie.

Introduzione

                                                          Alessandro Nigro

     Le aspettative che il professor Piras, con le sue parole iniziali, po-
trebbe aver suscitato sono destinate, almeno per quel che mi riguarda, a
rimanere irrimediabilmente deluse. La mia introduzione sarà molto sem-
plice e molto rapida; tanto più che lo stesso Presidente ha già accennato
a profili che avevo pensato di toccare.
    Vorrei iniziare con i ringraziamenti – non è una formula di stile: sono
veramente sentiti – del Centro Studi, della Rivista e miei personali. Rin-
graziamenti, innanzi tutto, agli organizzatori effettivi del Convegno: la
Banca che ci ospita e la Casa editrice Pacini. Un ringraziamento partico-
lare va all’amica e collega Lucia Calvosa, che generosamente ha offerto
ancora una volta il suo prezioso supporto alle nostre iniziative. Ringra-
ziamenti vanno poi, naturalmente, ai relatori, che si sono sobbarcati
questo impegno, anche con trasferimenti via treno o in altro modo. Un
ringraziamento, infine, è dovuto a chi ha la bontà di essere presente in
questa circostanza.
    Lo scorso anno – esattamente un anno fa – ci siamo visti qui per
discutere un tema diverso, la crisi finanziaria e le banche. In quell’oc-
casione, nella mia introduzione, rilevai che forse si poteva pensare di
fare degli incontri così strutturati una sorta di appuntamento fisso, come
si sta ormai verificando per molti convegni, da quelli di Courmayeur a
quelli a Gardone o Como, a quelli di Lanciano, tanto per fare qualche
esempio. Ho cercato di tener fede a questa sorta di impegno, assunto
un po’ con tutti: quindi, ho preso l’iniziativa di questo nuovo incontro.
Mi auguro che possa essere la seconda tappa di un percorso più lungo,
destinato a proseguire nel tempo.
    La scelta del tema, i finanziamenti bancari alle imprese in crisi fra pre-
deduzione e subordinazione, non ha bisogno di essere spiegata. Come
è già stato sottolineato da chi mi ha preceduto, oggi non c’è convegno,
seminario, occasione di discussione, degli studiosi del diritto bancario

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Alessandro Nigro

come di quelli delle procedure concorsuali, in cui non venga toccata, in
un modo o nell’altro, sotto questo o quel profilo, la materia dei finanzia-
menti bancari alle imprese in crisi, del loro ruolo e della loro disciplina.
L’attenzione di tutti, giustamente, si è andata sempre più polarizzando
sulle soluzioni concordate delle crisi delle imprese: e un ingrediente
fondamentale, imprescindibile di queste soluzioni, siano esse giudiziarie
o extragiudiziarie, è costituito dall’intervento delle banche. D’altra parte,
merita attenta considerazione e riflessione la ormai spiccata tendenza del
nostro legislatore a differenziare il trattamento da praticare ai creditori
delle imprese in crisi, attraverso i due meccanismi della subordinazione e
della prededuzione. Per quanto riguarda il primo meccanismo, ha aperto
la strada il legislatore della riforma societaria, con il ben noto art. 2467 c.
c., con il regime particolare in esso previsto per i finanziamenti dei soci;
per quanto riguarda il secondo, ha cominciato il legislatore nella riforma
fallimentare, con la riformulazione, nel modo che sappiamo, dell’art. 111
l.fall.; e su questa strada ha proseguito il legislatore del 2010.
    L’attualità del tema mi sembra dunque fuori discussione; così come
mi sembra fuori discussione anche la sua complessità, per non dire dif-
ficoltà.
    Mi pare, infatti, che vuoi in ordine alla subordinazione vuoi in ordine
alla prededuzione vi sia una notevole incertezza di idee e che, anzi, sia
sull’una che sull’altra si stia accumulando una serie di equivoci o frain-
tendimenti.
    Quanto alla subordinazione, mi basta ricordare la discordia di opinio-
ni non solo circa il suo inquadramento sul piano sistematico, ma anche
circa il modo stesso in cui essa sia destinata a funzionare; emblematiche
a quest’ultimo proposito sono le incertezze manifestatesi a proposito del
già ricordato art. 2467: per alcuni, la subordinazione opererebbe solo nel
caso di liquidazione della società, per altri anche durante societate. Per
non parlare, poi, delle difficoltà che si prospettano in punto di identifi-
cazione del trattamento da riservare ai creditori subordinati nell’ambito
delle procedure concorsuali, e specificamente in sede di concordato
preventivo o di concordato fallimentare.
    Più confortante parrebbe il quadro riguardante la prededuzione. An-
che qui, però, non mancano incertezze anche su profili centrali: è suf-
ficiente pensare a quelle concernenti l’individuazione dell’esatta portata
da attribuire all’espressione “crediti sorti in occasione o in funzione”
(delle procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare) usata
nell’art. 111 l.fall. Ulteriori incertezze si vanno manifestando, addirittura,
su ciò che significhi e comporti la prededuzione. E queste sembrano
connotare la stessa normativa ultima, che ho poco fa richiamato: una

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Dibattiti

normativa che, a leggerla con attenzione, appare il frutto di una qual-
che confusione di idee. Il che – noto di passaggio – non deve costituire
motivo di meraviglia: il nostro legislatore ormai ci ha abituato a prodot-
ti normativi assolutamente scadenti e certamente non caratterizzati da
chiarezza di idee.
    C’è, in materia di prededuzione, soprattutto un punto che mi parreb-
be meritevole di particolare approfondimento, ad evitare che si consoli-
dino gli equivoci o i fraintendimenti di cui parlavo prima.
    Secondo un certo orientamento, che collima con una possibile lettura
della normativa del 2010, la prededuzione oggi dovrebbe significare, o
potrebbe essere intesa come, l’attribuzione di una sorta di “privilegio
generale” a certi crediti. La prededuzione sarebbe, cioè, un connotato
di questi particolari crediti sempre, comunque e dovunque: negli accor-
di di ristrutturazione, nel concordato preventivo, nel fallimento. Anche
nell’ipotesi di successione di questi procedimenti o procedure – accordi,
concordato e fallimento – rimarrebbe sempre questo connotato della
prededuzione. E il fatto che il legislatore abbia previsto una specie di
“attestazione” della prededucibilità da parte del provvedimento del giu-
dice che omologa l’accordo o il concordato sembrerebbe confermare
questa linea ricostruttiva. Tale linea, però, è, a mio avviso, da respingere
recisamente, per il semplice motivo che nelle norme che stiamo conside-
rando la prededucibilità è attribuita a certi crediti espressamente ai sensi
e per gli effetti dell’art. 111 l.fall.: questo significa che la prededucibilità
così attribuita è destinata ad operare esclusivamente nell’ambito del fal-
limento eventualmente dichiarato in un momento successivo all’omolo-
gazione degli accordi o del concordato preventivo. I crediti di cui stia-
mo parlando, quindi, non nascono come prededucibili, bensì diventano
prededucibili nel momento in cui dovesse scattare il fallimento. Prima e
fuori del fallimento la prededucibilità non rileva e non opera.
    D’altra parte, prededucibilità significa priorità in sede di distribuzione
dell’attivo. E distribuzione dell’attivo, in senso proprio, si ha solo nel
fallimento, non anche nel concordato preventivo (salvo che nell’ipotesi
di concordato con cessione dei beni) e men che meno negli accordi di
ristrutturazione. L’idea che possa aversi prededucibilità nell’ambito di
questi ultimi mi pare assolutamente improponibile.
    Tema dunque, il nostro, complesso e irto di difficoltà. Un tema che
diventa addirittura “intrigante” con riferimento all’ipotesi in cui prededu-
zione e postergazione vengano ad incontrarsi: mi riferisco al trattamento
fatto, sempre dalla normativa del 2010, ai crediti dei soci per finanzia-
menti, un trattamento caratterizzato dalla singolare coesistenza, rispetto
ad uno stesso credito, di entrambi i meccanismi, che ha obbligato ed

460
Salvatore Maccarone

obbliga gli interpreti a quelle che io definirei autentiche “acrobazie” ri-
costruttive.
    Mi avvio alla conclusione. Alla luce di quanto ho fin qui detto, mi
pare pressante l’esigenza di arrivare ad una piena comprensione, oltre
che del modo in cui prededuzione e subordinazione possano concre-
tamente funzionare nel sistema delineato dalla legge, delle stesse linee
di fondo di questi meccanismi. E l’incontro di oggi dovrebbe avere la
funzione proprio di contribuire a questa comprensione.
    Naturalmente, non ci si può attendere da un convegno, da un incon-
tro di studi, la soluzione finale di tutti i problemi ed il definitivo dissol-
vimento di ogni dubbio. Però mi pare importante che ci si avvii almeno
sulla strada di un processo di chiarimento che si confida potrà snodarsi
attraverso ulteriori riflessioni ed approfondimenti.
    Su questa fiducia chiudo il mio intervento e passo senz’altro la parola
al primo dei relatori.

I finanziamenti bancari alle imprese in crisi: tipologie

                                                       Salvatore Maccarone

    Il manifestarsi ed il persistere della grave crisi che ha colpito le econo-
mie occidentali – essendo state sostanzialmente poco interessate quelle
dei cosiddetti paesi emergenti, ormai decisamente emersi, anche con
nuovi protagonisti, nello scenario economico mondiale – ha reso acuto
il tema del sostegno delle imprese durante la crisi, nella prospettiva, o
talvolta soltanto nella speranza, del loro risanamento.
    Le condizioni normative tradizionali non consentivano alcuna reale
possibilità di sostegno finanziario, se non nel corso delle procedure con-
corsuali tipiche e anche in queste con non poche incertezze.
    Si rendeva necessario allora un intervento normativo che creasse
le condizioni possibili perché quel sostegno si potesse realizzare ed
il nostro legislatore, anche sulla base dell’esperienza (e forse anche
dell’emulazione) del ben noto Chapter 11 del USA Bankrupticy Act,
è intervenuto in più occasioni, modificando profondamente il diritto
fallimentare “comune”, da ultimo con l’art. 48 della legge n. 122 del
2010, creando probabilmente – l’interrogativo è d’obbligo in quanto
incertezze interpretative, di cui altri relatori si occuperanno, ancora re-
siduano nonostante questo ultimo intervento – le condizioni perché le
imprese in crisi riescano ad ottenere la “nuova finanza”, indispensabile
per il loro risanamento.

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Dibattiti

    Le nuove disposizioni sono dirette a superare importanti punti critici
che la riforma lasciava aperti e che la dottrina, ma soprattutto le banche,
avevano puntualmente rilevato, sia sul piano della possibile responsa-
bilità penale, sia della insufficiente tutela apprestata ai potenziali finan-
ziatori nel momento più critico dell’iter di risanamento, compreso fra
il momento di manifestazione della crisi e quello della formalizzazione
degli accordi di ristrutturazione o la presentazione dell’istanza di ammis-
sione al concordato preventivo.
    Il rischio per i finanziatori in questa fase nel sistema previgente non era
tollerabile nell’incertezza dell’esito delle trattative, soprattutto tenendo conto
che essi – immancabilmente – già vantano crediti nei confronti dell’impresa
e non sono disponibili ad accrescere ulteriormente la loro esposizione con
nuovi finanziamenti senza una tutela adeguata, almeno di questi.
    Le modifiche apportate alla l. fall. dalla l. n. 122 del 2010, hanno in
larga parte attenuato, anche se non del tutto eliminato (ma d’altronde
questo non era oggettivamente possibile), il rischio legato ai cosiddetti
“finanziamenti ponte”, eliminando i rischi penali ed introducendo, come
sappiamo, un regime di prededucibilità dei finanziamenti alle imprese
che accedano alla procedura di concordato preventivo e agli accordi di
ristrutturazione disciplinati dall’art. 182-bis della l.fall.
    Immutata è rimasta invece, sotto questo profilo, la disciplina dei finan-
ziamenti connessi ai piani di risanamento ai sensi dell’art. 67, lett. d).
    Non intendo occuparmi di questi temi, dovendo occuparmi di quello
che mi è stato assegnato, e cioè la tipologia degli interventi creditizi, e
che, avverto subito, è un non tema, nel senso che non esistono tipologie
particolari di finanziamento bancario delle imprese in crisi. Le banche
erogano credito ad esse – quando lo fanno – esattamente nelle stesse
forme utilizzate per l’affidamento di imprese nella loro vita normale o
anche in difficoltà, ma al di fuori dei meccanismi che la le nuove norme
del diritto fallimentare oggi prevedono e presidiano.
    Esse quindi, alle une e alle altre, possono concedere stralci o remis-
sioni parziali in occasione di piani di consolidamento e di ristruttura-
zione del credito, tramutare talvolta i loro crediti in partecipazioni (ma
solo in caso di società quotate, per l’ovvia necessità di un mercato in
funzione della successiva cessione), erogare nuova finanza per esigenze
di liquidità, normalmente attraverso operazioni autoliquidantesi (sconti,
anticipi s.b.f. su fatture, ricevute e simili), ma anche attraverso aperture
di credito, o per esigenze di investimento …
    Come vedremo, non sono le forme tecniche del credito che caratte-
rizzano questa fase dell’intervento delle banche, ma piuttosto l’ambiente
complessivo, normativo e di fatto, nel quale esso si realizza.

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Salvatore Maccarone

    Vi è tuttavia un profilo, attinente alla tipologia delle operazioni che
assume rilevanza a livello normativo e che quindi occorre affrontare
sia pure fugacemente, in quanto esso incide sui temi di cui sono stato
richiesto di occuparmi.
    Mi riferisco all’art. 182-quater, che, al primo comma, prevede, come
noto, la prededuzione ex art. 111 dei crediti derivanti da “finanzia-
menti in qualsiasi forma” effettuati da banche e intermediari di cui agli
artt. 106 e 107 t.u.b., in esecuzione di concordato preventivo o di un
accordo di ristrutturazione omologato e, al secondo comma, prevede
la prededucibilità dei “finanziamenti” effettuati in previsione del con-
cordato o dell’accordo, a condizione che la prededuzione sia disposta
dal provvedimento di omologa della domanda ovvero l’accordo sia
omologato.
    Si tratta dunque, al secondo comma, dei “finanziamenti ponte”, che
rappresentano oggettivamente la parte più delicata e sensibile dei pro-
cessi di ristrutturazione.
    Non entro nel merito della disciplina fallimentare e delle ragioni che
sono (a torto o a ragione) alla base del diverso regime della prededu-
cibilità: altri se ne occuperanno; mi pare invece necessario soffermarsi
sulla portata del termine “finanziamento” usato dalla disposizione, con
la qualificazione “in qualsiasi forma effettuati” nel primo comma e senza
alcuna qualificazione nel secondo.
    Ad avviso di qualcuno, la diversa formulazione utilizzata comporte-
rebbe una diversità di trattamento – a parte i profili di procedimento
– in funzione della forma tecnica del finanziamento, che potrebbe
essere la più varia nel primo caso e limitata soltanto al mutuo, nel
secondo.
    In altri termini, il finanziamento, senza ulteriore qualificazione, po-
trebbe essere soltanto un mutuo o un contratto di credito con erogazio-
ne contestuale e completa.
    Si tratta di un’interpretazione solo formalistica e, a mio avviso, del
tutto errata, anche se effettivamente (e anche questa volta) il nostro legi-
slatore avrebbe potuto confezionare un po’ meglio i suoi prodotti.
    Anzitutto, il termine finanziamento esprime non una nozione giu-
ridica, ma una nozione economica, che, per manifestarsi, ha bisogno
di un veicolo contrattuale, che consenta di realizzare la funzione che
quella nozione esprime. Non si capisce allora perché soltanto il mutuo
dovrebbe essere un finanziamento e non invece un’apertura di credito
in conto corrente, o uno sconto di effetti o un’anticipazione, una pre-
stazione di una garanzia a valere su un affidamento per crediti di firma
e così via.

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Dibattiti

    Il mutuo, nella genericità del suo schema, è il prototipo di tutti i
contratti di credito, che ne ripetono la sostanza funzionale e se ne
differenziano soltanto per le modalità tecniche con cui essa è soddi-
sfatta.
    Oltre tutto, trattandosi di finanziamenti ponte, essi si collocano in
una fase critica e incerta del processo di ristrutturazione e di crisi, fase
che presenta esigenze composite sul piano creditizio e che è destinata a
durare un tempo non breve: sarebbe davvero singolare per l’impresa e
le banche, se esse, proprio in questo momento, fossero vincolate dalla
possibilità di concedere e ricevere credito soltanto nella sua forma più
elementare.
    Torniamo comunque al nostro tema ed alla cornice alla quale prima
facevo riferimento.
    La banche intervengono nella situazione di crisi delle imprese soltan-
to se sono già impegnate con esse in affidamenti; l’ingresso di nuove
banche è praticamente assente.
    Normalmente, fra le banche che intervengono si concludono conven-
zioni per regolare i rapporti fra di loro, di solito senza che alcuna di esse
– come invece accadeva in passato – assuma il ruolo di capofila, ruolo
che l’esperienza ha dimostrato essere fonte soltanto di responsabilità,
senza alcun particolare vantaggio. Le posizioni delle banche finanziatrici
sono dunque individuali e ciascuna matura diritti e obblighi in proprio,
senza alcun vincolo di solidarietà fra di loro, ancorché la loro disciplina
sia contenuta, come dirò fra un attimo, in una convenzione conclusa con
l’impresa ed alla quale tutte esse partecipano.
    La valutazione del piano di ristrutturazione – che è alla base degli
interventi – è, di conseguenza, compiuta individualmente dalle singole
banche che intervengono e poi ricondotto, auspicabilmente, ad unità di
condivisione in sede collettiva.
    Normalmente, le banche, ove ad esse siano richiesti interventi addi-
zionali, spesso li condizionano all’assunzione di impegni di capitaliz-
zazione da parte della proprietà, come peraltro capita anche nella vita
ordinaria delle aziende, in presenza di nuove iniziative.
    Altro presidio che di solito viene richiesto nell’ambito degli accordi è
quello consistente nella introduzione nelle aziende di figure professio-
nali esterne gradite alle banche, con il compito principale di gestione
della liquidità e nell’assunzione dei servizi di società specializzate, che
dall’esterno controllano le uscite, per accertarne la coerenza con il piano
e i programmi di ristrutturazione.
    Attuazione del piano ed intervento finanziario comunicano fra di
loro, in sostanza e come deve essere, in parallelo.

464
Salvatore Maccarone

    Questi interventi riposano, come dicevo, su una convenzione tra le
varie banche che intervengono nel sostegno e l’impresa che ne è de-
stinataria, avente ad oggetto la disciplina degli interventi creditizi, le
modalità di utilizzo, lo scambio di comunicazioni e informazioni relative
all’adempimento degli obblighi e delle attività concordate e quant’al-
tro necessario per l’attuazione corretta e controllata degli interventi che
sono disposti.
    Normalmente a questa convenzione interviene anche un terzo sog-
getto, rappresentato dal loan agent, che si pone come una sorta di inter-
faccia fiduciaria tra le banche e le aziende, con una pluralità di compiti,
prevalentemente di tipo amministrativo, ma essenziali per il monitorag-
gio della corretta esecuzione degli accordi.
    Il loan agent, in particolare, ponendosi nel mezzo tra azienda e ban-
che, cura la verifica e la comunicazione dell’avveramento delle condi-
zioni concordate per l’utilizzo dei fidi, può farsi portatore delle stesse
richieste di utilizzo, comunicando l’importo e la quota a ciascuna banca,
raccoglie le quietanze dell’azienda a fronte degli utilizzi e funge anche
da tramite di comunicazione delle banche fra di loro, può ricevere pa-
gamenti, ed in tal caso ha l’obbligo, di renderli disponibili nelle quote
previste tra le varie parti, potrà di propria iniziativa ricevere ed imputare
i pagamenti ricevuti dall’impresa beneficiaria e compiere altre attività di
natura amministrativa.
    L’agent assume la veste di mandatario, abilitato al suo ruolo da un
fascio di mandati individuali – e dunque non da un mandato collettivo
(art. 1726, cod. civ.) – espressamente dichiarati irrevocabili (art. 1723
cod. civ.), ma esso è pattiziamente autorizzato a seguire le istruzioni
impartite anche solo dalla maggioranza delle banche mandatarie, delle
quali, così come dell’impresa, esso va, a mio avviso, riconosciuto come
mandatario in rem propriam.
     Si tratta di una figura importante e caratteristica di queste operazio-
ni, che crea “distanza” fra banche e imprese beneficiarie, contribuisce
a rendere oggettivi, e dunque meno contestabili, adempimenti e fatti,
assicura ordine nelle fasi complesse e spesso concitate di queste pro-
cedure.
    Vi è poi un disciplinare, assai rilevante per completezza ed autorevo-
lezza, per il finanziamento alle imprese in crisi.
    Mi riferisco alle “Linee – guida per il finanziamento alle imprese in
crisi”, elaborato da un Gruppo di Ricerca multidisciplinare, costituito
presso l’Università di Firenze e coordinato da Fabrizio Cafaggi. La prima
edizione delle Linee, pubblicata lo scorso anno, ma prima dell’entrata
in vigore della l. 122, e fatta propria dall’Assonime, che la rende dispo-

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Dibattiti

nibile nel proprio sito, ha in breve tempo assunto il ruolo di modello di
riferimento, sia per le imprese che per le banche.
    Le Linee sono suddivise in due sezioni, la prima relativa al finan-
ziamento alle imprese in crisi, ma non in procedura, la seconda alle
imprese in procedura; il contenuto si articola attraverso una serie di
raccomandazioni, nel primo caso, e la segnalazione di opportunità nel
secondo, sulla scia di un Codice di comportamento che nel 2000 l’ABI
aveva elaborato, ma che nel contesto normativo di allora si era rivelato
di scarsissima utilità pratica.
    A queste Linee, imprese e banche fanno riferimento ed esse sono og-
gettivamente utili, in quanto definiscono regole, anche di procedimento
e di natura deontologica, per le varie fasi degli interventi, dalla redazio-
ne del piano, alla sua attestazione, al ruolo del professionista chiamato a
renderla, e così via, favorendo una standardizzazione dei processi, che,
come viene sottolineato, è un valore in sé, in quanto agevola l’analisi e il
sindacato da parte dei terzi interessati e, in caso di insuccesso del piano,
da parte del giudice.
    L’analisi giuridica è accurata e le soluzioni prospettate equilibrate e
ragionevoli e anche questo fa delle Linee uno strumento non solo pre-
gevole per qualità, ma anche di notevole utilità sul piano pratico, deli-
neando, nell’ambito delle “opportunità” della sua seconda parte, alcuni
scenari oggettivamente non ipotizzabili prima della (prima) riforma del
diritto concorsuale.
    Vorrei chiudere queste brevi considerazioni introduttive con un pa-
radosso, o meglio con quello che fino a qualche anno fa poteva essere
considerato tale, ma che ora certamente tale non è (più).
    Mi riferisco agli interventi delle banche a favore di altre imprese ban-
carie in crisi.
    È un tema notevole, soprattutto nel comparto delle piccole banche,
che trova il suo svolgimento all’interno dei fondi di garanzia dei deposi-
tanti, come noto, in numero di due nel nostro sistema, uno generale per
tutte le banche, tranne le banche di credito cooperativo, ed un secondo
che raccoglie soltanto queste ultime e che dal nostro punto di vista è
quello di maggiore interesse.
    Come sappiamo, lo scopo dei fondi di garanzia e il rimborso dei
depositanti nel caso di insolvenza della banca depositaria; tuttavia, sia
l’uno che l’altro, consentono interventi diversi, in grado di produrre lo
stesso risultato di protezione dei depositanti, se essi, prognosticamente,
appaiono meno onerosi del rimborso.
    Il rimborso è anzi l’ultima e più rara istanza, in quanto siffatti in-
terventi diversi consentono di salvaguardare e conservare l’azienda e

466
Salvatore Maccarone

quindi di tutelare non solo i depositanti, ma tutti i creditori; sotto questo
profilo, i due fondi differiscono, in quanto quello generale consente gli
interventi sostitutivi del rimborso soltanto se sono in corso procedure
di amministrazione straordinaria o di liquidazione coatta, mentre quello
delle banche di credito cooperativo consente interventi preventivi di
sostegno, anche in assenza di procedura, ma anzi allo scopo di preve-
nirne l’avvio.
    Questi interventi procedono secondo la stessa logica degli interven-
ti alle imprese comuni; la banca che richiede l’intervento procede alla
elaborazione di un piano, ne fa attestare l’adeguatezza dalla Federa-
zione locale di appartenenza ed il Fondo, se compie positivamente le
sue valutazioni, interviene (con l’autorizzazione della Banca d’Italia)
con gli strumenti più adatti alla situazione. Potrà trattarsi di contributi
a fondo perduto, di prestiti subordinati, della prestazione di garanzie,
di acquisti di cespiti o, come avvenne in passato per una banca, anche
della sottoscrizione di un aumento di capitale, purché sia rispettato la
condizione che l’onere attuale deve verosimilmente essere inferiore
a quello che il Fondo sosterrebbe se rimborsasse i depositanti nella
misura prevista.
    In questi casi le tipologie di intervento sono dunque le più varie, sia
nella forma tecnica, sia nelle condizioni, che spesso implicano il tuto-
raggio di altre banche e la richiesta di incisive modificazioni nell’assetto
di governo, organizzativo e di direzione della banca beneficiaria. L’espe-
rienza è largamente positiva, ancorché i costi per il sistema delle banche
di credito cooperativo siano molto elevati.
    Anche se il risanamento non è possibile o non si realizza e la ban-
ca viene posta in liquidazione coatta, vi è ancora la possibilità di una
salvaguardia dell’azienda e dei suoi creditori, attraverso l’intervento
nella cessione delle attività e passività ad un’altra banca, sempre se
l’entità dello sbilancio è inferiore al costo del rimborso dei deposi-
tanti.
    In questo caso si pone un interrogativo non facile da sciogliere: lo
sbilancio di cessione rappresenta un credito della banca cessionaria nei
confronti della procedura e di esso si fa carico il Fondo, che si surroga
così nel credito.
    Il credito nasce nei confronti della procedura e non della banca; si
tratta allora di un credito verso la massa o di un credito concorsuale,
come sarebbe quello del Fondo se esso avesse pagato i depositanti? Se
una differenza di rango dei due crediti esiste, è essa ragionevole?
    L’interrogativo non rappresenta un esercizio teorico, ma ha importan-
ti implicazioni concrete. Ne lascio la soluzione ai fallimentaristi.

                                                                           467
Dibattiti

La prededuzione dei crediti: notazioni generali

                                                                         Stefania Pacchi

     1. Parlare oggi della prededuzione dopo che la Riforma fallimen-
tare del 2006 (con il d.lgs. 5/2006) è intervenuta a disciplinare la c.d.
fattispecie prededuttiva negli artt. 111 e 111-bis, e dopo che il recente
intervento legislativo del 2010 (d.l. 78/2010 convertito nella l. 122/2010)
ha aggiunto – sempre in tema di prededuzione – una nuova e ulteriore
disposizione (art. 182-quater) nel corpo normativo dedicato al concor-
dato e agli accordi di ristrutturazione, induce a un riesame della disposi-
zione (art. 111) della legge del ’42 dedicata all’istituto nonché ad alcune
riflessioni sull’evoluzione che, dagli anni Settanta in poi, ad opera della
giurisprudenza e di parte della dottrina, aveva avuto la lettura di quella
norma.
    Si è trattato di un’evoluzione legata intimamente al mutato approccio
alle procedure concorsuali che si venne affermando a partire da quegli
anni Settanta – e l’introduzione nel nostro ordinamento dell’amministra-
zione straordinaria delle grandi imprese in crisi ne è una conferma – per
l’esigenza di apprestare soluzioni conservative che per la loro realizza-
zione esigevano il sostegno di finanziatori e fornitori che supportasse-
ro la continuazione dell’attività. In quel panorama legislativo, privo di
esenzioni dalla revocatoria e di ripari dall’azione penale, l’art. 111 l.fall.
poteva costituire l’unico, se pure incerto, puntello a difesa di coloro che
fossero diventati creditori per e/o nella procedura sulla base di atti posti
in essere o dai suoi Organi o dal debitore, limitato nei suoi poteri dispo-
sitivi e, così, necessariamente supportato, nel compimento degli atti di
straordinaria amministrazione, dalle autorizzazioni del giudice.
    La prededuzione è un particolare regime di pagamento (circoscritto
al fallimento), che la legge fallimentare, riconoscendo nella procedura
maggiore un profilo di esecuzione, se pur universale, riprendeva dalla
normativa civilistica racchiusa negli artt. 2755, 2770 e 2777 c.c.
    Già presente nel codice di commercio del 1882 all’art. 809 e quin-
di, mantenuta nelle successive leggi, deve inizialmente il suo nome al
mondo delle professioni forensi. Così nominata compare per la prima
volta nel d.lgs. 270/1999 (art. 20) 1 e poi, anche con norme (artt. 111

    1
     L’articolo così recita: “I crediti sorti per la continuazione dell’esercizio dell’impresa
e la gestione del patrimonio del debitore dopo la dichiarazione dello stato d’insolvenza

468
Stefania Pacchi

e 111-bis) che intendono disciplinare e delimitare l’ambito applicati-
vo, nel testo della legge fallimentare con la Riforma Organica del 2006
(d.lgs. 5/2006).
    Tale regime di pagamento consiste nel prelievo dall’attivo, prima di ogni
altra operazione, delle somme necessarie al fine indicato dalla legge stessa.
    “Prededurre” è locuzione che deriva dalla combinazione di pre2 e
dedurre 3 che significa sottrarre, defalcare. Se volessimo riunire i due
significati otterremmo quello di “dedurre per primo”, il quale non corri-
sponde però al fenomeno recepito dal nostro ordinamento del ’42.
    In applicazione dell’art. 111, co. 1, n. 1 l.fall., infatti, non si defalca
nulla dall’attivo destinato ai creditori concorrenti, non si tratta di una
semplice decurtazione di una parte del tutto, ma di una depurazione
del ricavato della liquidazione dalle spese ad essa inerenti, per destinare
il ricavato netto ai creditori concorrenti. Trattasi di spettanze altrui che
non vengono a falcidiare le aspettative del concorso, in quanto nate
da operazioni strumentali per il raggiungimento del fine liquidatorio e
quindi operanti una separazione sul patrimonio prima che questo sia ul-

sono soddisfatti in prededuzione, a norma dell’art. 111, primo comma, n.1), della l.fall.”.
Si tratta di una prededuzione interna alla procedura di amministrazione straordinaria,
atteso che l’art. 52 del medesimo d.lgs 270, stabilisce che tali crediti “sono soddisfatti
in prededuzione a norma dell’art. 111, primo comma, n. 1), della legge fallimentare,
anche nel fallimento successivo alla procedura di amministrazione straordinaria”. Un
richiamo all’art. 111 l.fall. – senza tuttavia utilizzare il vocabolo “prededuzione” – è ope-
rato nell’art. 67, co. 2, dello stesso d.lgs. 270 che disciplina la ripartizione dell’attivo nel
programma di cessione dei complessi aziendali. Questa normativa dell’amministrazione
straordinaria – per molti aspetti fortemente innovativa – , nell’art. 68, co. 2, preannuncia,
a mio avviso, un trattamento in prededuzione dei c.d. prestiti ponte dove stabilisce che
“nella distribuzione degli acconti è data preferenza ai crediti dei lavoratori subordinati e
ai crediti degli imprenditori per le vendite e somministrazioni di beni e per le prestazioni
di servizi effettuate a favore dell’impresa insolvente nei sei mesi precedenti la dichiara-
zione dello stato d’insolvenza”. Da queste norme emerge che la lenta affermazione che
una procedura concorsuale possa conciliare la tutela dei creditori con quello dell’azien-
da, o anche dell’impresa, ha condotto il legislatore a considerare la prededuzione come
strumento di governo della crisi perfino in procedure nelle quali la voce dei creditori è
fievole. Il problema di politica della crisi concernente la prededuzione può essere proba-
bilmente diversamente impostato quando siano gli stessi titolari dei diritti sul patrimonio
e sull’azienda a poterne disporre. Sul tema di quello che dovrebbe essere il ruolo dei
creditori nel governo della crisi, cfr. Libonati, Prospettive di riforma sulla crisi dell’impre-
sa, in Giur. Comm., 2001, I, p. 327 e ss.
    2
      Dal latino prae che indica per lo più anteriorità nel tempo o, più raramente, nello
spazio.
    3
      Dal latino deducere.

                                                                                           469
Dibattiti

teriormente diviso tra i creditori concorrenti. Esse rappresentano l’onere
economico necessario a costituire il ripartibile e devono essere poste su
di un piano diverso rispetto a quelle dei creditori concorrenti, in quanto
sarebbe iniquo ed inammissibile riconoscere lo stesso trattamento ai
nuovi debiti assunti per soddisfare quelli anteriori.
    Il concetto di prededuzione si differenzia notevolmente da quello
di prelazione. Quest’ultima, riconosciuta nel nostro ordinamento nelle
forme del pegno, ipoteca o privilegio, prevede una causa di preferen-
za nel trattamento tra crediti posti sullo stesso piano nell’ambito della
stessa procedura satisfattiva. La prededuzione non può essere conside-
rata, invece, una sorta di superprivilegio, perché si tratta in realtà di un
credito posto fuori concorso 4. A causa della prededuzione i creditori
(anteriori) concorsuali (in teoria sia i chirografari che i privilegiati) ven-
gono a subire la concorrenza di creditori (successivi) che hanno offerto
“prestazioni” di varia natura e finalità nonostante il fallimento e perché
il fallimento possa svolgere la propria funzione di strumento liquidativo
satisfattivo. Per questo la norma è stata ritenuta “fondamentale per il
processo di fallimento” 5.
    La legge del ’42 indica quali crediti saranno pagati al primo posto
prima dei crediti concorsuali (quelli “ammessi con prelazione sulle cose
vendute secondo l’ordine assegnato dalla legge” e i chirografari) ma non
li definisce.
    L’art. 111 (richiamato dall’art. 212 in tema di liquidazione coatta am-
ministrativa) stabilisce, infatti, che le somme ricavate dalla liquidazione
dell’attivo fallimentare devono essere impiegate: 1) innanzi tutto “per il
pagamento delle spese, comprese le spese anticipate dall’erario, e dei de-
biti contratti per l’amministrazione del fallimento e per la continuazione
dell’esercizio dell’impresa se questo è stato autorizzato” 6. Sulla base della
previsione normativa, nel fallimento una particolare categoria di crediti
viene sottratta alla legge del concorso per essere soddisfatta priorita-
riamente. Dal ricavato della liquidazione viene prelevata (prededotta)

    4
      Secondo un’immagine di Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, III, Milano,
1974, p. 1658, si tratta “di altrettante linee di credito parallele, che costituiscono ciascuna
una categoria a sé”.
    5
      Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2002, p. 516.
    6
      Sull’art. 111 della legge fallimentare del 1942, cfr. Montanari, Della ripartizione
dell’attivo, in Le procedure concorsuali, a cura di Tedeschi, Torino, 1996; Lamanna, La
ripartizione dell’attivo, in Diritto fallimentare, a cura di Greco, Milano, 1995, p. 345;
Marinucci, I crediti prededucibili nel fallimento, Padova, 1998.

470
Stefania Pacchi

la somma spettante ai c.d. “crediti prededucibili” prima di procedere al
riparto che riguarda gli altri creditori.
   Nell’articolo sopra citato la categoria dei crediti “in prededuzione”
è formata da spese e debiti sorti nella procedura e per la procedura,
vale dire sulla base di atti posti in essere o autorizzati dagli organi della
procedura e funzionalmente diretti a realizzare l’obiettivo del concorso
come processo e/o come strumento per liquidare, ripartire e quindi
soddisfare 7.
   Sono, quindi, espressamente indicate come spese della procedura quel-
le spese sostenute per proseguire l’esercizio dell’impresa, se autorizzato,
ma vi rientrano, inoltre, il compenso del curatore e dei coadiutori, le som-
me anticipate dall’erario, i debiti assunti dal curatore in conseguenza del
subingresso nei contratti pendenti, le spese per l’acquisizione di beni so-
pravvenuti o per la registrazione della sentenza di fallimento, quelle soste-
nute per l’apposizione dei sigilli, o quelle inerenti alla prosecuzione delle
azioni immobiliari in corso. La norma, pur non esaurendo tutte le ipotesi,
offre una “traccia” per determinare la prededucibilità di certi crediti.
   La categoria è eterogenea, potendovisi ricomprendere i debiti sorti
in capo all’ufficio fallimentare per la gestione del patrimonio del fallito
e, comunque, per causa del fallimento e che vengono impropriamente
definiti come crediti verso la massa ed anche quelle spese (delle quali la
legge prevede espressamente la prededucibilità) rispetto alla formazione
delle quali l’ufficio fallimentare appare del tutto estraneo, e casi di debiti
originariamente concorsuali, perché assunti dal fallito prima del falli-
mento, che si trasformano, una volta dichiarato il fallimento, in prededu-
cibili in quanto diretti, non più a realizzare l’interesse del soggetto fallito
bensì della massa dei creditori. È questo il caso dell’art. 74, co. 2, l.fall.
(contratto di somministrazione) e dell’art. 82, co. 2 (contratto di assicu-
razione). A fianco di queste spese “per la procedura” si collocano quelle
(innumerevoli)“per il processo di fallimento” che prendono le mosse
dalle spese per il ricorso per la dichiarazione di fallimento e da quelle
per resistere alle impugnazioni avverso la sentenza dichiarativa 8.

     7
       La ratio fondante di tale chiave di lettura ermeneutica della norma si basa sul prin-
cipio di stabilità degli atti compiuti in corso di procedura, nel senso della tutela dell’affi-
damento dei terzi che instaurano rapporti giuridici con gli organi della procedura stessa
(Trib. Bari, 17 maggio 2010, in Giur.merito, 2011, p. 1279, con nota contraria di D’Orazio,
Nuovi orizzonti della prededuzione del professionista nel concordato preventivo).
     8
       Per una elencazione dettagliata si rinvia a Pajardi, Manuale di diritto fallimentare,
cit., p. 517 ss.

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Dibattiti

    Non si tratta di una mera preferenza nel soddisfacimento. Si tratta
anzi di una preferenza assoluta, perché mentre i crediti privilegiati e i
crediti chirografari vengono soddisfatti in occasione delle ripartizioni
periodiche di cui all’art. 110 l.fall., le spese e i debiti di cui alla norma
in oggetto debbono essere pagati, – con decreto del giudice delegato e
non nei piani di riparto – via via che maturano per cui non sono soltanto
anteposti agli altri, in quanto godono di un trattamento a sé per quanto
attiene all’epoca del soddisfacimento. Inoltre anche quando le spese
siano solo previste ma non ancora effettuate, devono essere riservate le
somme necessarie (art. 110, co. 1 e 113 n. 4).
    La norma intende fornire alla procedura concorsuale, tenuto conto
della complessità della liquidazione dell’attivo, la quale a sua volta sup-
pone un’articolata attività di amministrazione, il credito necessario per
il suo svolgimento e, nel contempo, assicurare l’integrale pagamento a
chi ha reso possibile il protrarsi di certi rapporti e attività. Il processo di
fallimento e l’attività processuale che al suo interno si può sviluppare,
generano, infatti, costi, così come l’attività di amministrazione (sia statica
che dinamica) del patrimonio. La causa dell’istituto è pertanto “quella
di consentire l’amministrazione del fallimento, perché nessuno avreb-
be prestato attività a favore della procedura se fosse stato costretto al
concorso coi creditori del fallito e quindi a subire un pagamento falci-
diato” 9. Le operazioni da cui nascono crediti da trattare con la prededu-
zione, debbono rientrare tra le fattispecie esemplificativamente elencate
dalla norma ed essere preordinate, in quanto intraprese all’interno e in
funzione di una procedura concorsuale liquidativo-satisfattiva, al miglior
soddisfacimento possibile dei creditori. Ragione fondamentale e decisiva
della prededucibilità è il collegamento di un determinato debito con una
situazione che attiene all’essenza e alla finalità della procedura. Nella
valutazione di convenienza dell’atto la spesa che andrà soddisfatta in
prededuzione deve comunque assicurare una utilità diretta o indiretta ai
creditori. Per questo la disposizione ammette la prededuzione soltanto a
fronte di atti o attività sottoposte a severo controllo da parte degli organi
della procedura (così è, in particolare, per l’esercizio dell’impresa).
    La norma di cui all’art. 111 l.fall. nella versione del ’42 considera le
spese sostenute e i debiti assunti all’interno della procedura e precisa-
mente del fallimento durante il cui svolgimento un rigoroso sistema di

    9
      Bruschetta, La ripartizione dell’attivo, in Didone (a cura di), Le riforme della legge
fallimentare, 2010, p. 1257.

472
Stefania Pacchi

controllo sull’operato del gestore assicura l’inerenza di tali spese al mi-
glior soddisfacimento dei creditori. Di conseguenza i debiti precedenti
assunti dal fallito, nel proprio interesse e per questo possibili oggetti
dell’azione revocatoria, sono esclusi dalla previsione dell’art. 111 e dalla
prededuzione. In quanto debiti precedenti fuoriescono dal fine che il
legislatore persegue in quella norma.
    La disposizione presenta un indubbio carattere di eccezionalità là
dove consente che sul patrimonio esclusivamente destinato, in seguito
alla dichiarazione di fallimento, al concorso dei creditori anteriori, si
soddisfino prioritariamente coloro che hanno ragioni di credito che trag-
gono legittimamente origine dalla stessa procedura. In definitiva senza
queste spese non potrebbe esservi una procedura concorsuale liquida-
tiva-satisfattiva.

    2. La lettera della norma inoltre non apre ad altra procedura 10. Quan-
do nel 1942 il legislatore fallimentare scolpiva il principio della prede-
duzione nel n. 1 dell’art. 111, co. 1, non poteva certo intuire i problemi,
non soltanto interpretativi, che la norma avrebbe nel tempo sollevato. Si
trattava di una norma scarna, probabilmente in linea con la previsione,
allora di contorno, di cui all’art. 90 l.fall. Come rare sarebbero state le
fattispecie in cui in seno ad una procedura concorsuale sarebbe stato
disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa, parimenti circoscritte sareb-
bero state le somme prededucibili che non fossero ascrivibili alle spese
e ai debiti contratti per l’amministrazione del fallimento.
    Eppure è stato proprio il collegamento tra esercizio provvisorio quale
attività che nel fallimento origina debiti e prededuzione che ha aperto la
strada – vigente la legge del ’42 – a tentativi di interpretazioni evolutive
dell’art. 111, co. 1, n. 1. Nella legge del ’42 l’esercizio provvisorio dell’im-
presa, frutto grazie alla Riforma del 2006 di una interessante evoluzione
legislativa 11, poteva essere, infatti, disposto immediatamente se dall’im-
provvisa interruzione potesse derivare “un danno grave e irreparabile” e
in corso di procedura se funzionale al miglior soddisfacimento dei credi-
tori. Questa formula, non seguita da un’indicazione chiara del referente,
– se i creditori o l’impresa – lasciava, così, adito a dubbi.

    10
       In dottrina cfr. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, III, Milano, 1974, p. 1304;
in giurisprudenza, cfr. Cass., 27 gennaio 1978, n. 395, in Giur.comm., 1980, II, p. 186.
    11
       Sul punto si rinvia a Ambrosini - Cavalli - Jorio, Il fallimento in Trattato di diritto
commerciale, diretto da Cottino, Padova, 2009, p. 524.

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Dibattiti

    In una procedura liquidativa-satisfattiva orientata in via esclusiva alla
tutela dei creditori si inseriva un “tarlo” che consentiva di tener conto
nella lettura dell’art. 90 l.fall. di altri interessi a valenza collettivistica.
Sulla base dell’art. 111 n. 1 l.fall. i crediti sorti nell’esercizio provviso-
rio dell’impresa, ancorché non finalizzato esclusivamente a garantire un
miglior soddisfacimento dei creditori bensì a realizzare interessi facenti
capo all’impresa, avrebbero gravato sull’ammontare complessivo desti-
nato ai creditori concorsuali.
    La conseguenza fu che si cercò di “guadagnare” la prededuzione
nel successivo fallimento anche per i debiti sorti nelle altre precedenti
procedure concorsuali nelle quali si avesse per naturale legame (come
nell’amministrazione controllata) o per decisione dell’imprenditore pro-
ponente (come nel concordato preventivo) la continuazione dell’attività
d’impresa.
    La legge fallimentare del ’42, come è noto, non contiene una dispo-
sizione che regoli il trattamento dei rapporti nascenti in conseguenza
della prosecuzione dell’attività d’impresa nelle procedure diverse dal
fallimento e neppure in quell’unica procedura conservativa che è l’am-
ministrazione controllata.
    A partire dagli anni ’70 – “l’uso alternativo delle procedure concor-
suali” fa la sua parte – si avverte, così, l’esigenza di garantire, in qualche
modo, nel caso in cui la procedura minore fosse sfociata nel fallimento,
coloro che favoriscano la conclusione dell’accordo per un amministra-
zione controllata od un concordato preventivo supportando a vario tito-
lo la gestione dell’impresa.
    Si discute, quindi, se tali debiti, contratti durante la procedura pre-
ventiva, siano prededucibili nel successivo fallimento così come ai sensi
dell’art. 111, co. 1, n. 1 l.fall. vengono pagate in precedenza rispetto a
tutti i creditori concorsuali “…le spese…e i debiti contratti …per la con-
tinuazione dell’esercizio dell’impresa”.
    Si verifica un primo strappo alla linearità dell’istituto quando, per
rendere possibile la continuazione dell’impresa in amministrazione con-
trollata, si afferma anche per questi debiti il pagamento in prededu-
zione. Se nel fallimento, infatti, la prededuzione nasce e si esaurisce
dentro quella procedura, così non è quando si ragioni di procedure
diverse, capaci anche di evolversi in negativo l’una seguendo all’altra.
È questo il problema del “fardello” che ciascuna procedura reca nell’al-
tra e inoltre dell’incidenza che l’intento risanatorio (non raggiunto) di
una procedura può svolgere nella liquidazione-satisfattiva che alla fine
dell’iter si impone. Emerge conseguentemente un forte antagonismo tra
creditori concorsuali e creditori sorti in corso di procedura che vantano

474
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