Benedetti: oggi la politica è troppo assistenzialista trascura giovani e scuola - Anci Fvg

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IL MESSAGGERO VENETO

26 OTTOBRE

Il presidente del Gruppo Danieli a colloquio con Molinari, direttore de La Stampa
«Le quote e i dazi di Trump hanno difeso l'acciaio e la siderurgia d'Europa»

Benedetti: oggi la politica
è troppo assistenzialista
trascura giovani e scuola
Elena Del Giudice / BUTTRIO «Più rischi o maggiori opportunità per le aziende dalle tensioni tra il
governo e la Ue?». «Ovviamente più rischi, perché la situazione italiana potrebbe diventare
insostenibile». La domanda è di Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, la risposta è di Gianpietro
Benedetti, presidente del Gruppo Danieli, che boccia una politica nazionale che «non rispetta gli
impegni», troppo orientata all'assistenzialismo e molto poco alla formazione dei giovani, al sostegno
alla scuola - dalle elementari alle università -, alla ricerca e all'innovazione."Le sfide dell'innovazione" il
tour organizzato da La Stampa e Messaggero Veneto che ieri ha fatto tappa in Friuli e che proseguirà
con nuovi appuntamenti con i quotidiani del Gruppo Gnn, è stato ospitato da Danieli Automation che ha
inaugurato la sede e che si dedica a tutto quel che è ricerca e innovazione nel 4.0, ovvero la
digitalizzazione. Un convegno alla cui conduzione c'erano il direttore del Messaggero Veneto, Omar
Monestier, e Luca Ubardeschi, vicedirettore de La Stampa, al quale hanno partecipato il governatore
del Fvg Massimiliano Fedriga; il presidente della Cciaa Pordenone Udine Giovanni Da Pozzo; il rettore
dell'Università di Trieste Maurizio Fermeglia; il direttore regionale Nordest di Intesa SanPaolo, Renzo
Simonato; Thomas Parisini, ordinario di automatica a Trieste e Cic all'Imperial College di Londra; Paolo
Tasca dell'University College London; Fabrizio Fornezza di EumetraMr, che ha curato la ricerca su
italiani e tecnologia. Presente anche Pepper, il robot di Intesa SanPaolo, e il rapper Doro Gjat.E
nell'ambito di questo evento, che ha ospitato interventi e dibattiti, Molinari ha intervistato Benedetti, ai
vertici di un Gruppo che è tra i leader mondiali nella produzione di impianti siderurgici. «Ma come è
riuscita, un'azienda come Danieli, a diventare globale?» ha chiesto Molinari. «Perché opera nel settore
dell'acciaio, che è globale. La domanda è sempre in crescita nei Paesi in via di sviluppo e quindi non
potevamo fare altro che cercare di raggiungere quei mercati. È stata la spinta per uscire dai nostri
confini e andare all'estero. E all'estero - ha ricordato Benedetti - ci siamo confrontati con quelli che
all'epoca erano i "colossi" del settore, tedeschi, francesi, americani..., mentre noi ci sentivamo piccoli.
Quel senso di inadeguatezza è stata una forte motivazione che ci ha spinti a studiare, progettare,
realizzare e proporre, impianti sempre più innovativi».Il futuro della Danieli è ancora nell'acciaio,
sebbene diverso. Cresce la domanda del "nuovo" prodotto, più leggero, con minore peso ma maggiore
qualità, più eco sostenibile perché richiede meno energia e meno consumo di materie prime». Acciaio
prodotto grazie al digitale, «e questo - ha rimarcato Benedetti - richiede innovazione e automazione, ed
è una grande sfida declinare l'acciaieria su mini-impianti regionali».A dare una mano al mondo
dell'acciaio, sono arrivati quote e dazi, a partire da quelli di Trump. «La Cina - ha chiarito il presidente di
Danieli -, con la sua grande capacità produttiva e il dumping sul mercato mondiale, ha impattato
negativamente sulla siderurgia europea e americana. Oggi, con le quote e i dazi il prezzo dell'acciaio è
risalito in Europa, in maniera contenuta, molto di più negli Usa. Credo che nei prossimi anni il sistema
delle quote e la regionalizzazione, proseguirà». Anche se le sfide non mancheranno, perché se pure la
Cina sta riducendo la capacità produttiva e si sta orientando verso qualità e sostenibilità anche
nell'acciaio, Russia, Ucraina e, in parte, l'Iran, sono i nuovi competitor, grazie a disponibilità di materia
prima e di costi energetici molto più bassi degli altri.In un contesto globale complesso, dove le
multinazionali, anche italiane, debbono competere, si inserisce il governo, con politiche economiche, la
manovra sgradita alla Ue, il braccio di ferro con l'Europa, dal quale Benedetti intravede solo rischi. «Io
credo - ha detto - che gli impegni che si assumono nella famiglia in cui si è deciso di stare, vadano
rispettati», e il riferimento va alle regole Ue su deficit e Pil che l'Italia punta a disattendere. La reazione
dei mercati si vede nell'andamento dello spread, in ascesa, «che significa - ha aggiunto Benedetti -
denaro in più che cittadini e imprese dovranno pagare. L'Italia soffre per una mancata qualificazione
della spesa». E per contro «il 65% dei ragazzi che oggi frequentano le elementari, svolgeranno da
grandi un mestiere che forse ora non esiste. Non è questo il luogo dove investire? - ha chiesto
Benedetti -. Ma la scuola darà l'istruzione necessaria? E chi finanzia la scuola?». È innegabile che in
questo Paese ci siano realtà positive, eccellenti, confortanti, «ma la media è bassa. Abbiamo il
problema del Sud, ancora irrisolto, e di un'economia assistenzialistica». Le priorità per gli investimenti
dovrebbero essere invece «scuola, ricerca, famiglia».Un pizzico di ironia Benedetti la riserva «al genio
di turno» che propone «di uscire dall'euro e tornare alla lira dimenticandosi che il nostro debito resterà
in euro». Anche il Giappone «ha un debito pubblico elevato - ha precisato Benedetti - ma ha dalla sua
la credibilità. Se questa viene meno, l'Italia potrebbe ritrovarsi, come già accaduto col governo
Berlusconi, nell'impossibilità di pagare la pubblica amministrazione. Sarebbe una situazione gravissima
per l'Italia. Noi lo sappiamo. Spero lo sappiano anche i politici».

l'esperto

Parisini: «Conviene copiare i cinesi
e impegnarci di più a collaborare»
Maura Delle Case/BUTTRIO «Forse dovremmo copiare dai cinesi». Sembra una provocazione, ma
non lo è quella che ieri pomeriggio, a Buttrio, il professor Thomas Parisini, chair of industrial control
all'Imperial college London, ha consegnato alla nutrita platea ospite di Danieli Automation. Il futuro,
anche in scala locale, per il docente, va costruito in un sistema di condivisione della conoscenza.Un
sistema in cui vengono (almeno temporaneamente) a cadere gli steccati che tradizionalmente separano
l'attività accademica da quella delle aziende private. In Cina accade già. Lo ha visto a Shenzhen il
professore, nella nuova Silicon Valley. «Mi ha colpito l'incredibile partnership che si è venuta a creare
tra enti di ricerca, università e grandi aziende - ha raccontato intervistato dal direttore del Messaggero
Veneto Omar Monestier -. Sei milioni di giovani l'anno vanno lì a cercare lavoro. In un luogo dove la
popolazione si caratterizza per l'incredibile diversità». «Credo - ha aggiunto - che dovremmo costruire
un modello in scala di tutto ciò, creare insieme con le aziende private la conoscenza e condividerla». In
Cina accade. E in piccola parte accade già anche in Friuli, proprio alla Danieli, «con cui - ha fatto
sapere il docente - in questi anni abbiamo seguito più di 100 laureandi. Per la precisione 118. Di questi,
62 sono stati assunti, 50 li saluto ancora». Chiede Monestier: «La sensazione è che fra quello che
studiano i nostri ragazzi e quello che serve al mercato ci sia uno spazio molto largo...». Parisini ripara
nell'ottimismo («possiamo fare qualcosa di importante») e rilancia. Parola d'ordine: «Condivisione». Un
antidoto, secondo lui, alla fuga dei cervelli. «Perché ragazzi bravi, capaci, intelligenti - rivendica il prof -
ce ne sono, ma hanno un sogno e se non possono realizzarlo qui sono pronti ad andare altrove.
Invertire la tendenza si può, costruendo una partnership tra aziende, piccole e grandi, università ed enti
pubblici».Tra i tanti impatti che avrà l'innovazione tecnologica nei prossimi anni sarà sempre più
importante quello sul mercato del lavoro. La deadline guarda al 2030. Entro quella data diverse
professioni saranno scomparse, altre se ne saranno create ex novo. Una cosa è certa. «Il 65% dei
bambini che oggi frequentano la scuola elementare faranno un lavoro che ancora non esiste» ha
vaticinato, statistiche alla mano, il magnifico rettore dell'Università di Trieste, Maurizio Fermeglia,
durante la tavola rotonda moderata dal direttore Monestier cui hanno partecipato anche il presidente
della Cciaa di Udine-Pordenone, Giovanni Da Pozzo, e Renzo Simonato, direttore di Intesa Sanpaolo
Veneto, Fvg e Trentino. Cosa faranno quindi i nostri figli? Di sicuro non i telemarketer, destinati a
scomparire al contrario di dentisti e clero, che all'avanzata digitale non pagheranno dazio. In mancanza
di vocazione, ripiegheranno sul "futuro", su big data e stampanti 3D.

Nel 2020 ricercatissimi i risolutori di problemi complessi
Lo studio rivela la centralità delle relazioni interpersonali

Friulani e tecnologia: arriveranno a breve
nuovi mestieri per due scolari su tre
Maurizio Cescon / BUTTRIO Una certa distanza. Non si sa se è quella "giusta", per rievocare il titolo di
un film di qualche anno fa, ma di sicuro esiste. Si tratta del solco che si è creato tra i friulani e la
tecnologia, più precisamente la digitalizzazione spinta che sta travolgendo le nostre esistenze. È stato
questo il tema del focus illustrato da Fabrizio Fornezza, presidente di Eumetra, che in proposito ha
realizzato una dettagliata ricerca. È stato lo stesso Fornezza, nel corso del convegno su "Le sfide
dell'innovazione, viaggio nell'Italia che investe sul futuro", organizzato da La Stampa con il Messaggero
Veneto e svoltosi ieri nell'open space di "Digi&met", la nuova struttura di Danieli Automation, a spiegare
i contenuti del report. «Tra Udine e la tecnologia c'è un rapporto a due facce - ha osservato lo studioso
-. Il Friuli e la sua provincia spiccano nel contesto delle aree urbane italiane, ai primi posti di molte
classifiche sulla qualità della vita, sulla sicurezza o per il benessere economico. Ma quando si parla di
tecnologia il discorso cambia: la tecnologia è valutata in modo positivo per quanto riguarda l'ambito del
lavoro, ma in generale conta di più la relazione umana, diretta, tra persone. C'è poi una differenza
"geografica": la città capoluogo è più vocata alla rivoluzione, meno la provincia, forse perché in alcune
aree, come la montagna, le infrastrutture digitali sono piuttosto scarse. Ma in ogni caso è essenziale
sottolineare che, per i friulani, la tecnologia serve per il lavoro, non per il resto». Fornezza, pungolato
dalle domande del vicedirettore vicario de La Stampa Luca Ubaldeschi, ha poi spiegato che «la quota
di laureati a Udine non è così elevata, si può fare di meglio». «Una alta sensibilità tecnologica - ha
aggiunto - la riscontriamo nella città capoluogo, mentre è carente nella maggioranza della provincia. A
Udine non si registra tanto un rifiuto aprioristico della tecnologia, quanto piuttosto il desiderio di vivere
una vita semplice e vera, continuando nelle proprie abitudini e tradizioni, senza troppe diavolerie
moderne». Positive le opportunità di lavoro grazie alla tecnologia «quasi a livelli di media europea»,
mentre il grado di soddisfazione per la tecnologia «è elevato, ma prima, come accennato, vengono le
relazioni umane, perché secondo i friulani la tecnologia non è un obiettivo, ma un mezzo. Il 67% del
territorio udinese, infine, è vocato alla rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo». Alla domanda «la
tecnologia mi semplifica la vita?», a Udine la risposta è tendenzialmente negativa. «Solo il 14% degli
abitanti della provincia - ha raccontato Fornezza - si trova d'accordo su questa affermazione, meno
della metà della media europea ed esattamente la metà della media italiana. Insomma un gentile e
fermo "no grazie" a un impiego intensivo della tecnologia nelle nostre vite». Le tecnologie sociali più
diffuse sono Internet e smartphone, un po' di prenotazioni via web, ma comunque con percentuali più
basse della media di altre regioni. A quanto pare, per esempio, in banca si continua ad andare, meglio
se si ha davanti l'impiegato, come da tradizione, mentre altrove l'home banking ha preso molto più
piede. «In sintesi - ha concluso Fornezza - la provincia di Udine risulta un territorio dalla spiccata
identità, di alta qualità sociale e ambientale, che esprime bisogni tecnologici ancora piuttosto tiepidi, ma
che va orgoglioso della sua impresa 4.0».Il direttore del Messaggero Veneto Omar Monestier ha quindi
intervistato il rettore dell'università di Trieste Maurizio Fermeglia, il presidente della Camera di
commercio Pordenone-Udine Giovanni Da Pozzo e il direttore per il Triveneto di Intesa SanPaolo
Renzo Simonato. Il tema? Le professioni del futuro e quelle che, comuni nel 2018, tra pochi anni
spariranno, perché sostituite dai robot. «La digitalizzazione assieme ai cambiamenti climatici - ha detto
il rettore Fermeglia - avranno un impatto decisivo sulla società che verrà. Ci sono dei mestieri che oggi
possiamo ipotizzare, altri come l'analizzatore di big data o il risolutore di problemi complessi, che sono
totalmente nuovi. E c'è da evidenziare che il 65% dei bambini che oggi vanno alle scuole elementari
sarà impiegato in mestieri che attualmente non conosciamo, semplicemente perché ancora non
esistono». «Il digitale è la madre di tutte le tecnologie - ha spiegato il presidente Da Pozzo - con un
tasso di crescita esponenziale, stiamo assistendo a una trasformazione epocale che impatta sul mondo
dei servizi e del terziario. Non è facile essere pronti perché l'economia di stampo tradizionale ha
potenzialità minori di correre alla stessa velocità di una economia digitalizzata. Sono sufficienti le nuove
professioni a "coprire" quelle che verranno eliminate? Questo risultato è difficilmente raggiungibile».
Infine il direttore di Intesa Simonato ha illustrato le peculiarità dell'ufficio innovazione che ha aderito al
competence center di Padova, con ricadute positive sul territorio del Nordest.

Il presidente apre all'asse con i governatori leghisti «tutelando i nostri interessi»
E sul futuro: «Insieme rappresentiamo l'80% del Pil italiano, difficile dirci di no»
Autostrade, ferrovie e appalti
Fedriga scommette sul Nord
Mattia Pertoldi / UDINE La strada è lunga, per molti versi complicata, ma pare tracciata e porta a una
grande alleanza che da Milano (ma forse addirittura da Torino, a partire dalla prossima primavera)
arriva fino a Trieste e si basa, sostanzialmente, su tre maxi-temi: autostrade, ferrovie e, possibilmente,
la gestione comune dei grandi appalti.La vittoria di Maurizio Fugatti a Trento, sommato all'exploit del
Carroccio a Bolzano, disegnano, infatti, una cornice pressoché perfetta per la Lega a Nordest. Non
soltanto in questa zona, però, perché ieri il governatore lombardo Attilio Fontana ha voluto rilanciare
una sorta di "santa alleanza" che abbracci l'intero Settentrione e porti Milano a entrare in sistema con
Veneto, Trentino e Fvg. «Siamo disponibili a ragionare con tutti - conferma Massimiliano Fedriga -,
sempre nell'interesse del Fvg e bilanciando bene pesi e contrappesi di eventuali aggregazioni. Credo
però che, nel caso, riuscire a far sì che il Fvg possa compartecipare alle decisioni sui principali assi
strategici delle Regioni più grandi sia positivo».Una possibilità, in altre parole, per «contare di più a
livello nazionale» considerato come tutte assieme «le Regioni governate dalla Lega rappresentano
l'80% del Pil italiano» e quindi se si muovono all'unisono «diventa difficile per Roma dirci di no». Il
ragionamento, d'altronde, è quantomai chiaro. Fontana, Fedriga e Fugatti - che ha già spiegato di
volersi muovere sul tema infrastrutturale assieme a Fvg e Veneto - hanno di fronte a loro 5 anni di
governo, Luca Zaia almeno altri due, ma l'aria che tira dalle parti di Venezia non è certo quella di un
centrosinistra in grado di insidiare il Carroccio anche nel caso in cui il governatore, nel 2020, dovesse
passare la mano. E a Bolzano, per la prima volta, l'Svp rischia di finire all'angolo, sullo scenario
nazionale e settentrionale perché o Arno Kompatscher scende a patti con la Lega oppure (con un
partito non più determinante per la maggioranza a Roma) può davvero essere isolato dall'onda lunga
ex padana.Chiaro, quindi, che Fedriga punti davvero molto su questo asse per quanto, nel momento in
cui parla di pesi e contrappesi, immagini uno scenario in versione Commissione europea. Una
prospettiva, cioè, in cui si possono unire forze e società a patto che le decisioni vengano prese
nell'interesse di tutti lasciando una sorta di diritto di veto alle Regioni più piccole. «Se una proposta è
positiva per il Fvg - prosegue il governatore - non vedo perché non dovrei valutarla. Le autostrade sono
un nodo cruciale, certamente, ma guardo pure alle ferrovie e, perché no, ai grandi appalti in cui,
insieme, potremmo davvero avere un peso negoziale notevole».Parole, quelle del governatore, che
possono sembrare un assist a Zaia e al suo progetto di holding autostradale del Nordest, anche se
Fedriga toglie il piede dall'acceleratore. «Vedremo - conclude -. Prima completiamo il percorso della
Newco e poi ragioneremo anche di questa ipotesi, sempre mettendo davanti a tutto gli interessi della
regione. I tempi per arrivare alla conclusione dell'operazione in house? Abbiamo risolto gran parte dei
problemi legati ai pedaggi e sono convinto che riusciremo a chiudere tutto entro fine anno.
Probabilmente anche prima».

venezia-trieste
Serracchiani al M5s
«Le solite bufale sull'alta velocità»
UDINE«I grillini erano e restano dei venditori di bufale: il progetto dell'alta velocità Venezia-Trieste non
esiste più da anni, eppure la vendono come se fosse la grande rivoluzione di questa legislatura.
Ovviamente si sono inventati loro anche la "Cura del ferro", che ha portato in giro per l'Italia Graziano
Delrio».Lo afferma la deputata del Pd Debora Serracchiani in merito a quanto affermato da Arianna
Spessotto, portavoce del M5s alla Camera che ha rivendicato l'eliminazione dell'alta velocità Venezia-
Trieste dallo Schema di Contratto di Programma 2017-2021 tra Mit e Rfi.

riforma ater

Blitz di Progetto Fvg e gli alleati s'infuriano
Saro nel mirino di Fi
Viviana Zamarian / Udine Prima annuncia di illustrare sette emendamenti di cui la IV Commissione non
è a conoscenza e che non riguardano i requisiti di accesso alle case Ater - all'ordine del giorno - ma la
riforma nel suo complesso con la proposta di portare le Ater da 5 a 3 (Trieste-Gorizia, Udine-Tolmezzo
e Pordenone). Poi che non li illustra e li ritira. Infine, avendoli depositati, li fa distribuire e ritirare. È così
che ieri è andato in scena il «triste teatrino» (citando la consigliera dem Mariagrazia Santoro) del
consigliere di Progetto Fvg Per una Regione Speciale/Ar Giuseppe Sibau. E in commissione è bagarre.
Con il presidente Piero Camber (Fi) che ricorda il procedimento istituzionale da seguire, il coordinatore
regionale di Progetto Fvg Ferruccio Saro che al telefono dà le direttive e spinge per il voto agli
emendamenti, l'assessore della Lega Graziano Pizzimenti che contesta il metodo dell'alleato e il
presidente del Fvg Massimiliano Fedriga che interviene ordinando il ritiro degli emendamenti.
«Abbiamo assistito - afferma Camber - a una spaccatura tra Progetto Fvg e Lega. Le ingerenze esterne
nella commissione sono inopportune. È la seconda volta che Saro dà una spallata agli assessori della
Lega, questa volta a Pizzimenti, la scorsa a Roberti, sulla mozione per togliere l'onorificenza a Tito».Il
primo a contestare il metodo è Pizzimenti. «Il centrodestra ha approvato i nuovi requisiti di accesso alle
case Ater - dichiara -. La riforma però non si fa attraverso degli emendamenti presentati all'ultimo, ma
con una legge basata sul confronto con maggioranza e territorio. Se qualcuno vuole fare fughe in
avanti, non mi riguarda. Non entro nel merito della proposta di Sibau che può essere una valida base
da cui partire». Proposta che, come illustra Sibau, riguarda «il numero delle Ater» da portare a tre,
Venezia Giulia con Trieste e Gorizia, Udine Alto Friuli con Udine e Tolmezzo e Pordenone» e «la
presenza di un Cda e di un revisore dei conti unico e la presa in carico dell'edilizia scolastica che
l'assessore ha valutato positivamente. Da qui la richiesta di non presentarli come emendamenti perché
saranno proposti dalla giunta». «Una pessima figura della maggioranza - commentano i consiglieri del
Pd Diego Moretti e Nicola Conficoni - che evidenzia la sete di poltrone di Progetto Fvg». «Siamo
contrari ai nuovi criteri di accesso alle case Ater - dice Santoro - perché dietro agli slogan contro gli
immigrati c'è una ingiustizia sociale che lascia a casa più di 300 italiani».

Patto finanziario con lo Stato
Mattia Pertoldi / UDINE Il problema, così come l'eventuale vulnus, non è di lana caprina, bensì
strettamente politico, prima ancora che (eventualmente) economico. Sì, perché la legge di Bilancio
nazionale ha messo nero su bianco le cifre che le Autonomie Speciali - a eccezione di Trento e
Bolzano - dovranno versare alle casse dello Stato da qui al 2021 a meno che queste Regioni,
compreso il Fvg, non firmino i nuovi accordi finanziari con Roma entro il prossimo 31 marzo.Nel
concreto, per quanto riguarda il Fvg, parliamo di 716 milioni di euro per il 2019 e 836 per il 2020 e il
2021 a titolo di «concorso al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica». Ora, i numeri non sono
una novità visto che parliamo, nel dettaglio, dell'ammontare comprendente lo "sconto" da 120 milioni
contenuto nel Padoan-Serracchiani per l'anno in corso e del valore del "vecchio" Tondo-Tremonti per il
biennio successivo. Ma il problema, come accennato, è soprattutto politico. Perché la cifra, attaccata
duramente dal centrodestra in campagna elettorale, non è stata ancora modificata da inizio
legislatura.«Il cosiddetto Governo amico chiede al Fvg quasi 2,4 miliardi in tre anni - attacca il
segretario regionale del Pd Salvatore Spitaleri -. A venti giorni dalla presentazione della finanziaria
regionale non sappiamo ancora su quali risorse potrà fare affidamento Massimiliano Fedriga per
costruire il bilancio e se ci saranno ulteriori riduzioni in conseguenza dell'introduzione della flat tax.
Intanto vale ancora lo sconto previsto dal vituperato Serracchiani-Padoan. Fedriga si è accorto al
fotofinish che per ottenere qualcosa bisogna parlare con il ministro Giovanni Tria, ed è lecito chiedersi
se abbia finora portato qualche frutto il confronto con i sottosegretari. Certo è che sono trascorsi quasi
sei mesi dall'insediamento e siamo ancora alle formule della campagna elettorale, con i famosi 800
milioni di cui siamo caricati che aspettano di essere tagliati. Dal prossimo anno scade il Padoan-
Serracchiani e bisognerà ricominciare sul serio la trattativa con lo Stato, soprattutto per quanto riguarda
le compartecipazioni, che dovrebbero essere riallineate all'incremento storico degli oneri per le diverse
funzioni a suo tempo trasferite. Questo comporta la costituzione del tavolo previsto dalla legge sul
federalismo fiscale: Fedriga ricordi a Tria che spetta al Governo convocarlo».Pronta la replica della
giunta, con l'assessore alle Finanze Barbara Zilli. «Prima di tutto vale la pena ricordare - risponde la
leghista - come il sottosegretario Massimo Garavaglia abbia detratto al Fvg i quasi 200 milioni di euro
che l'ex ministro Enrico Costa chiedeva, a partire da quest'anno, alla nostra regione come
partecipazione al risanamento dei conti della sanità pubblica. Per cui credo che un primo risultato lo
abbiamo già ottenuto». Detto questo, Zilli va oltre. «La giunta Fedriga - prosegue - ha come obiettivo
quello di arrivare a un accordo duraturo con il Governo e l'incontro di lunedì con Tria va proprio in
questa direzione».E dopo aver assicurato che il Fvg «concluderà senza dubbio prima del 31 marzo del
prossimo anno la trattativa con lo Stato», Zilli conferma quelli che sono i cardini della discussione con
Roma: «Puntiamo a rivedere l'ammontare dei versamenti al Governo - conclude -, riottenere i 9,1
decimi di Iva e fissare in Statuto una quota massima di intervento statale». Sul modello, cioè, di Trento
e Bolzano, vere stelle polari di ogni autonomista.

Ufficiale l'addio di Giacomini: pochi dipendenti e senza guida
I sindacati: crisi mai vista prima, serve un'azione urgente

Roma snobba il Fvg scuola decapitata
di dirigenti e presidi
Michela Zanutto / UDINE La scuola del Friuli Venezia Giulia piomba in una crisi senza precedenti. Non
bastano le 73 presidenze scoperte su 171, 12 scuole rimaste senza capo di segreteria, l'Ufficio
scolastico regionale (Usr) - declassato nel 2014 - con la metà dei dipendenti necessari (67 su 133), la
carenza di insegnanti di sostegno e di personale. Dal primo novembre l'istruzione del Fvg resterà
acefala, perché anche il direttore dell'Usr, Igor Giacomini, ha gettato la spugna.In plancia, in via Santi
Martiri a Trieste, Giacomini ha resistito poco meno di un anno. Aveva sostituito la dimissionaria Alida
Misso (per lei sono bastati sette mesi) il 9 novembre 2017. Il problema è che l'Usr lavora con metà del
personale necessario. Ci sono dipendenti che hanno accumulato mesi di ferie e con turni di lavoro fino
a undici ore. Solo per fare in modo che la scuola della regione funzioni, nonostante tutto. Perché dal
2014, quando cioè l'Usr è caduto sotto i colpi della spending review, in Fvg nulla è stato più lo stesso. E
lavorare in queste condizioni non è facile, per nessuno degli attori coinvolti. Tanto più se sulla tua figura
pendono responsabilità penali. Come accade per i dirigenti scolastici che, in caso di incidenti gravi,
sono chiamati a rispondere personalmente in tribunale (Livio Bearzi, suo malgrado, è un esempio).
Oggi però 73 presidi sono obbligati a dirigere due scuole contemporaneamente e c'è anche chi ne ha
tre. Medesime responsabilità per Giacomini che non aveva neppure il personale d'ufficio e in più
occasioni si è dovuto improvvisare factotum. Il direttore dell'Usr ha esposto più volte i problemi della
scuola del Fvg al Ministero. In estrema ratio, ha inviato una lettera di dimissioni con elencate, punto per
punto, tutte le mancanze e le difficoltà. Senza ricevere granché in risposta. Poi ha chiesto personale.
Ma nulla. E, se situazione resterà questa, il prossimo anno scolastico non potrà partire.Per Donato
Lamorte, segretario regionale della Cisl Scuola, «il Miur ha dimenticato il Fvg. Questi sono problemi che
denunciamo da anni, ma fatti non ce ne sono. Le parole vengono dette al vento: onorevoli, deputati,
senatori che si riempiono la bocca con promesse, cosa hanno fatto? Nulla. Il Miur non si rende conto di
cosa sta accadendo, anzi continua a prelevare personale per portarlo a Roma (Antonietta Zancan, ex
Kennedy, ndr). Il ministro Marco Bussetti venga a vedere cosa succede in Fvg: la nostra scuola è in
piedi solo grazie allo spirito di sacrificio dei lavoratori». A chiedere un «intervento immediato del
Ministero» è anche Giovanni Zanuttini (Snals), mentre Adriano Zonta (Cgil) ha ricordato che la causa
delle dimissioni di Giacomini è legata all'«impossibilità di ottenere risorse necessarie per far funzionare
in maniera accettabile gli uffici». Infine, Ugo Previti (Uil), critico contro la proposta di regionalizzare
l'istruzione, ha annunciato la richiesta di un incontro all'assessore Alessia Rosolen.

emendamento alla finanziaria
Pittoni (Lega) ci riprova
«Otterremo poteri e un direttore generale»
UDINE Dal presidente della commissione Cultura del Senato, il friulano Mario Pittoni, arriva la
promessa della cancellazione del declassamento dell'Ufficio scolastico regionale. «Ho presentato un
emendamento alla manovra Finanziaria con cui, in accordo con il ministero dell'Istruzione,
cancelleremo il declassamento dell'Usr del Friuli Venezia Giulia», ha assicurato. In questo caso sarà
piuttosto semplice verificare se la promessa verrà mantenuta perché il documento deve essere votato
dal Parlamento entro il 31 dicembre. Entro quella data, dunque, sapremo se, dopo quattro anni, avremo
di nuovo un dirigente di primo livello alla guida dell'istruzione regionale. «In attuazione dell'articolo 6
della Costituzione, lo Stato italiano con la legge 482 del 1999 ha normato la tutela e la valorizzazione
delle minoranze linguistiche storiche d'Italia - ha premesso Pittoni -. In Fvg la legge ha individuato le
popolazioni slovene, germaniche e quelle parlanti la lingua friulana. Nei confronti della minoranza
slovena la successiva legge 38 del 2001 prevede interventi di tutela "globali". Le lingue riconosciute
come ufficiali nella regione, quindi, sono quattro: l'italiano e le tre lingue minoritarie friulano, sloveno e
tedesco». Il grimaldello su cui fa leva Pittoni è che «una regione che possiede una così alta varietà
linguistica e nella quale, a seguito di accordi internazionali, esiste un sistema scolastico delle scuole
frequentate da alunni di lingua slovena - ha ricordato l'esponente del Carroccio -, non può essere
governata con il pieno raggiungimento di tutte le finalità istituzionali da un ufficio scolastico regionale
che non sia retto da un dirigente di prima fascia, vale a dire da un direttore generale che possiede
poteri amministrativi tali da consentire il regolare funzionamento del sistema». La soluzione proposta fa
rimanere inalterati i saldi di bilancio, quindi non presenta un costo aggiuntivo e consente di ripristinare il
più corretto sistema di gestione di una regione di particolare complessità.

Tappa della segretaria al congresso provinciale di Pordenone
Stoccata alla Lega: usa il diverso per costruire paure sociali

Camusso boccia
Governo e manovra
«Del tutto assente un'idea di Paese»
Chiara Benotti / PORDENONE «Il lavoro al centro». È il primo comandamento sindacale di Susanna
Camusso segretario generale Cgil presente ieri pomeriggio al congresso provinciale di
Pordenone.«Insoddisfacenti i primi annunci sulla legge di Bilancio». Camusso lo dice chiaro e incassa
la standing ovation dai 133 delegati pordenonesi del Villaggio del fanciullo andando contro la manovra
economica del Governo. «La manovra aumenterà il deficit - ha continuato - senza una politica di
investimenti espansiva». Il futuro? «È quello di un sindacato che traguarda le alleanze con i lavoratori -
è un altro comandamento di Camusso - e costruisce per i giovani. Che aumenta la base e ha l'obiettivo
di ricostruire livelli sociali di uguaglianza e diritti». Il contropelo è alla Lega. «Prima gli italiani dicono,
ma è uno schema insufficiente - ha bacchettato il Carroccio -. Bisogna ricominciare dall'umanità e
dall'uguaglianza. L'idea di costruire paure sociali sul "diverso" è sbagliata. Tutti possono diventare
diversi». Camusso tira una riga di bilancio per affrontare il problema della precarizzazione che si è
estesa a tutti i settori. «Difendere i lavoratori e le aziende - è la "mission" di Camusso - come abbiamo
fatto all'Electrolux».Poi si torna sulla manovra nazionale, sonoramente bocciata. «È in atto una
discussione sulla legge di Bilancio - ha puntato il dito Camusso - improvvisata, fatta di slogan ricollocati
nel contratto di Governo. Siamo agli annunci, mentre un progetto per il Paese non compare». E ancora:
«Quota 100 è soltanto una risposta parziale sulle pensioni da riformare». Quello che la segretaria ha
rimandato «ai testi definitivi» è la valutazione approfondita, ma il sindacato reclama un ruolo di
interlocutore sulle politiche nazionali sul lavoro. «Se la legge di Bilancio - ha continuato Camusso -
resterà quella annunciata, l'insoddisfazione sarà immediata: perchè mancano infatti scelte che
garantiscano un futuro al Paese». Il coro dei "no" è a voce unitaria. «Cgil, Cisl e Uil hanno avanzato un
insieme di proposte che riteniamo fondamentali - ha aggiunto la leader sindacale -. Le sosterremo con
la nostra iniziativa, a partire da una richiesta di confronto con il Governo». Le azioni immediate?
«Abbiamo deciso di avviare una larga campagna di informazione, di mobilitazione, di assemblee - ha
aggiunto - con i lavoratori e i delegati nelle aziende».E quota 100, come accennato, è insufficiente.
«Una norma per essere utile deve essere scritta bene, ma le indiscrezioni lasciamo adito a molti
dubbi». Il progetto del Governo, per la segretaria generale non basta. «È una risposta parziale a chi nel
mondo del lavoro con la legge Fornero ha subito gravi penalizzazioni - ha invocato giustizia Camusso -.
Inoltre non fornisce soluzioni alle problematiche pensionistiche delle donne, dei giovani, di coloro che
hanno lavori discontinui. Queste tematiche che rappresentano un problema diffuso non sono
affrontate». La segretaria generale ha ascoltato la relazione del segretario della Camera del lavoro
pordenonese Flavio Vallan, dedicata ai grandi temi nazionali, alla situazione economica e
dell'occupazione nella Destra Tagliamento. «L'impatto della crisi ha colpito duramente l'occupazione,
che sta mostrando segnali di ripresa: ma solo dal punto di vista numerico - ha valutato -. È in atto un
evidente peggioramento delle condizioni di lavoro, con la precarizzazione e reddito basso». Con alla
mano i numeri dell'Istat e dell'Ires Fvg l'obiettivo è essenzialmente uno: lavoro al centro.

Blasoni: vogliamo trasmettere positività nelle zone difficili
Sereni Orizzonti si farà carico anche di piazza XX settembre

L'imprenditore delle case di riposo
si offre per illuminare tutto Borgo stazione
Cristian Rigo Anche Borgo stazione avrà le sue luminarie. A regalarle alla città sarà l'imprenditore
Massimo Blasoni, azionista di maggioranza di Sereni Orizzonti spa.«Illumineremo Borgo stazione, con
via Roma, viale Leopardi e zona stazione perché riteniamo che sia necessario illuminare e
simbolicamente portare il Natale anche nelle zone più difficili e problematiche della città (non lo dico io,
ma il problema della prostituzione in viale Leopardi è noto e il recente lutto in stazione impongono delle
riflessioni)», ha annunciato Blasoni che oggi prenderà contatto con i referenti di Confcommercio e della
Camera di commercio.«Vogliamo che tutta Udine sia attrattiva per residenti e turisti. Il Natale deve
brillare dappertutto - ha detto Blasoni -. Al di là del contenuto religioso, è bello pensare che anche le
luci di Natale possano essere a loro modo da un lato un deterrente alla microcriminalità dall'altro uno
sprone per i tanti residenti e commercianti di ogni nazionalità».E non è finita qui: «Voglio però
illuminare, come fatto gli anni scorsi, anche una parte del centro storico. Metteremo le luci di Natale in
piazza XX Settembre dove, fra l'altro, c'è palazzo Kechler, di proprietà del Gruppo. Ci auguriamo che
tutto ciò faccia piacere al sindaco, a Confcommercio, ai residenti e ai commercianti di Borgo stazione».
L'auspicio di Blasoni è che anche altri imprenditori seguano il suo esempio e contribuiscano a illuminare
la città. «Per l'intervento, come ConfCommercio, ci avvarremo della ditta Luminarie Danilo Marin e il
costo sarà sostenuto da Sereni orizzonti spa. Il Gruppo (uno dei primi 3 operatori italiani nella
costruzione e gestione di residenze sanitarie per anziani, con oltre 5 mila posti letto attivi e 3 mila in
costruzione, ha quasi 3 mila dipendenti, ndr) ci tiene a mantenere orgogliosamente la sede legale a
Udine. Questo gesto vuole essere un segnale, un rafforzamento ulteriore, simbolo del forte legame di
Sereni Orizzonti con la sua città».

L'assessore Ciani: «Riportiamo la legalità rispondendo alle richieste dei cittadini
per troppi anni rimaste inascoltate»

Sgomberati due edifici in via Bariglaria
C'erano sette profughi, bivacchi, siringhe
Cristian Rigo Da anni i due edifici abbandonati al margine della ciclabile che collega via Zilli e via
Bariglaria erano diventati dei rifugi abituali per stranieri e senza fissa dimora, ma ieri gli immobili sono
stati sgomberati. Il blitz del nucleo di prossimità della polizia locale, coadiuvato dalle Volanti della
Questura, è scattato poco prima delle sette del mattino. All'interno sono stati trovati 7 stranieri ai quali
era stata riconosciuta la protezione sussidiaria, 6 pachistani e un afghano, di età compresa tra i 20 e i
30 anni, due dei quali sono stati denunciati per la violazione del foglio di via. «Abbiamo sgomberato e
iniziato la procedura di messa in sicurezza di due stabili di via Bariglaria, all'altezza del civico 128,
abbandonati da anni e diventati nel tempo vere e proprie discariche e bivacchi per senzatetto e
occupanti avvezzi al vandalismo, come dimostra la distruzione degli infissi presenti e di altre parti delle
strutture - spiega l'assessore alla Sicurezza, Alessandro Ciani -. Sono state inoltre trovate siringhe a
dimostrazione del fatto che all'interno si consumava e presumibilmente si spacciava anche droga. Per
anni le richieste dei cittadini, preoccupati per il continuo viavai, sono rimaste inascoltate, ma per quanto
ci riguarda non abbiamo alcuna intenzione di tollerare abusivismo e occupazioni illegali di
immobili».Dopo averli ripuliti, le ditte incaricate si occuperanno di sigillare gli ingressi in modo tale da
non rendere più accessibili gli edifici sui quali è stato anche apposto il cartello "divieto di accesso"
tradotto anche in inglese e arabo. «Le due palazzine - precisa Ciani - non sono state mai completate e
già in passato la polizia di prossimità era intervenuta per liberarle dai rifiuti pericolosi presenti e da
coloro che ci vivevano abusivamente, tanto da spingere i tecnici dell'ufficio Ambiente del Comune a
concordare con i proprietari dei terreni l'installazione di tre sbarre per impedire l'ingresso agli estranei.
Negli ultimi anni tuttavia - aggiunge l'assessore - la situazione è peggiorata. Per questo si è deciso di
procedere con questo intervento dettato da motivi di igiene e sicurezza pubblica sui due stabili, uno
privato e oggetto di ingiunzione per la sua messa in sicurezza (le spese quindi sono a carico del
proprietario) e l'altro oggetto di procedura di fallimento stabilita nel 2016 dal tribunale di Gorizia. È ora
che le periferie tornino a essere a pieno titolo parte integrante della città e non più, come sono state per
anni, terre di nessuno, abbandonate dalle amministrazioni e in balia di discariche abusive e di
occupanti dediti al vandalismo e al traffico di droga».Dopo aver ripulito di recente anche l'ex distributore
di viale Venezia, il Comune intende proseguire con altre operazioni analoghe. «Vogliamo contrastare
sia le occupazioni che gli immobili abusivi per cui stanzieremo dei fondi ad hoc e parteciperemo a un
bando regionale per poter avviare anche delle demolizioni». Nell'elenco, oltre a diversi edifici abusivi
costruiti da alcuni privati, c'è anche la cascina Mauroner di proprietà comunale: «Ormai - assicura Ciani
- recuperarla è impossibile».

IL PICCOLO

Approvato il contratto fra ministero dei Trasporti e Rete ferroviaria italiana
che prescrive il ritiro dei progetti abbandonati per potenziare le tratte esistenti

Da Roma pietra tombale
sull'Alta velocità fra Venezia e Trieste
Marco Ballico / trieste La commissione Lavori pubblici del Senato dà il via libera allo schema di
contratto di programma 2017/21 tra il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Rete ferroviaria
italiana, un documento che prevede un incremento di risorse per gli investimenti ferroviari pari a 13,2
miliardi di euro. Secondo il Movimento 5 Stelle, il via libera contiene però anche l'altolà all'Alta velocità
in Friuli Venezia Giulia. La «pietra tombale» dei progetti Tav da Venezia a Trieste, sottolinea Stefano
Patuanelli, capogruppo grillino a Palazzo Madama. Nel contratto, sostiene il movimento di governo,
compaiono un paio di prescrizioni che richiamano alla memoria l'ipotesi che aveva spaventato per anni
il Carso. Per gli interventi 0291 Linea Av/Ac Venezia-Trieste-tratta Venezia-Ronchi dei Legionari e 0262
Linea Ac/Ac Venezia-Trieste-tratta Ronchi dei Legionari-Trieste, si legge, «si proceda con il ritiro dei
progetti in quanto definitivamente abbandonati nel 2014, dopo aver concluso le procedure di Via con
esiti negativi». I fondi risparmiati? Da utilizzare, come da progetto 0365 da 1,8 miliardi di euro, per
ammodernare e potenziare la linea esistente. Un secondo ritiro di progetto è previsto pure per
l'intervento 1604B Nuova linea Trieste-Divaccia, attualmente in fase di progettazione preliminare, con
utilizzo dei relativi fondi per l'intervento 1604A di potenziamento della linea attuale. Nel dossier, accanto
alle prescrizioni, compaiono anche alcune osservazioni, informa ancora il M5s. Per la "variante Ronchi-
Bivio Aurisina", lì dove il progetto di potenziamento attualmente dispone la realizzazione di una nuova
linea tra Ronchi Aeroporto e Aurisina con contestuale adeguamento della fermata di Ronchi Aeroporto,
si suggerisce di «valutare l'immediato ritiro del preliminare e lo studio di nuove soluzioni di
efficientamento». Mentre per la "variante di Latisana" si chiede di «valutare attentamente l'opportunità
di costruire un nuovo ponte sul fiume Tagliamento, viste le numerose esondazioni registrate negli ultimi
anni che hanno costretto la Regione a ripetuti interventi di adeguamento e messa in sicurezza, e la
funzionalità di costruire la nuova stazione di Latisana in una zona al di fuori del centro abitato». Un
quadro complessivo che Patuanelli legge come «una grande vittoria M5s che da sempre si batte contro
le opere inutili». Con la Lega c'è stato sostanzialmente un "do ut des". I pentastellati hanno dato parere
favorevole, ma hanno preteso alcune condizioni. La Tav sembrava essere peraltro già in archivio visti i
pareri negativi Via per l'impatto di un'opera ciclopica nella Bassa friulana e nel Carso, ma anche per i
costi esorbitanti: 7 miliardi di euro per le sole spese in Fvg. E invece, dopo aver letto nel testo "nuova
linea", i grillini hanno sentito puzza di bruciato all'interno di un contratto Mit-Rfi che avrebbe dovuto
essere ratificato dallo scorso Parlamento e invece è rientrato all'ordine del giorno di questo avvio di
legislatura. «Il governo Gentiloni, che pure aveva fatto nascere quell'accordo, non se ne era poi
occupato - ricostruisce Patuanelli -, a conferma di quanto fosse interessato ai temi della sicurezza
infrastrutturale e ferroviaria. Alla nostra lettura, in due passaggi del documento si rimetteva mano ai 28
chilometri di galleria che devasterebbero il Carso con risparmi complessivi in termini di tempo, tra
Mestre e Trieste, di non più di 11 minuti. Con questo definitivo stop si procederà finalmente al
potenziamento della linea esistente». Il voto in commissione viene commentato con soddisfazione dal
ministero dei Trasporti. «Siamo orgogliosi - si legge in una nota - di un incremento di risorse superiore
ai 13 miliardi, soldi che serviranno per potenziare tratte, metterne in sicurezza altre e, in generale, per
garantire a tutti coloro che usano il treno per viaggiare un servizio eccellente, degno di un Paese
civile». Tra le opere sovraregionali viene citata anche la linea Venezia-Mestre-Udine, con
un'assegnazione di 220 milioni, metà dei quali riguardano però il ripristino della linea dei Bivi di Venezia
Mestre. Dopo il via libera da parte delle Camere, ora il contratto sarà sottoscritto dal Mit e da Rfi e,
successivamente a un Decreto di approvazione e alla sua registrazione da parte della Corte dei conti,
entrerà in vigore.

Razeto di Confindustria: «Ciò che conta è far viaggiare
i treni a 200 all'ora e intervenire sui binari attuali lo consentirà»
Il Wwf: «Una buona notizia»

Serracchiani contro i pentastellati
«Colpo di freno già dato nel 2016»
TRIESTE Il M5s che stoppa la Tav? Una lettura che Debora Serracchiani incenerisce. «Il loro modo di
governare è nauseante», dichiara l'ex governatrice ricostruendo la storia del progetto. I 5 Stelle,
prosegue la deputata dem, «erano e restano dei venditori di bufale un tanto al chilo: il progetto dell'alta
velocità Venezia-Trieste non esiste più da anni, eppure la vendono come se fosse la grande rivoluzione
di questa legislatura. Ovviamente si sono inventati loro anche la "Cura del ferro", che ha portato in giro
per l'Italia il ministro Delrio». Serracchiani risponde alle dichiarazioni di Arianna Spessotto, portavoce
del M5s alla Camera e relatrice del provvedimento in commissione, che ha rivendicato, come poi anche
il capogruppo Stefano Patuanelli, l'eliminazione dell'Alta velocità Venezia-Trieste. «Già nel 2016 Delrio
aveva dato il colpo di freno decisivo - ricorda Serracchiani - e la Tav nel 2017 era uscita dall'allegato
Infrastrutture che ha accompagnato il varo del Def. C'era invece, e rimane, la velocizzazione della
Venezia-Trieste a carico di Rfi per 1,8 miliardi. Ed è scritto anche nel documento attuale che "la nuova
struttura del contratto di programma dipende dalle richieste formulate dal Cipe in sede di approvazione
dell'aggiornamento 2015, dell'aggiornamento 2016 del contratto oltre che dal parere reso sullo schema
il 7 agosto 2017». I grillini? Per Serracchiani, «oltre a essere incompetenti, danno la chiara sensazione
che a loro non importa la sostanza delle cose: pensano solo a quando correranno a farne
comunicazione e propaganda». Nemmeno industriali e ambientalisti credono che il voto in commissione
abbia cambiato la storia, nella convinzione che il progetto dell'Alta velocità, soprattutto causa costi, non
fosse più praticabile. «Pareva realmente un'opera irrealizzabile - osserva Sergio Razeto, presidente di
Confindustria Trieste e Gorizia -. Quello che conta è che i treni possano viaggiare a 200 chilometri
all'ora e credo che il potenziamento dell'esistente possa consentire di centrare questo obiettivo. Di
infrastrutture, tuttavia, c'è assolutamente bisogno e a me fa paura che per principio si bocci qualsiasi
proposta». Non troppo diverso il ragionamento di Antonio Paoletti, presidente camerale: «Il treno si è
perso per i tentennamenti sul tracciato che hanno riguardato molto più il Veneto del Fvg. La crisi
economica ha fatto il resto e si è optato per un riammodernamento che speriamo si possa
concretizzare. Ma Trieste, in una fase di esplosione del turismo, dell'economia, della logistica e del
porto, rimane nel cul-de-sac. Non dimentichiamo che la terza corsia si fermerà a Villesse, quando
invece dovrebbe arrivare fino alla congiunzione con la superstrada che porta in Slovenia». Il delegato
regionale del Wwf Alessandro Giadrossi si limita invece alla «buona notizia». L'associazione si è del
resto più volte espressa negativamente sulla Tav: «Riammodernando l'esistente, si raggiungeranno gli
stessi risultati».

Controdeduzioni da presentare entro il 29 ottobre, poi
il 7 novembre a Torino un'audizione pubblica Intanto assemblea rinviata

Tariffe di Autovie nel mirino dell'Autorità
dei trasporti
TRIESTE Le tariffe di Autovie Venete sono nel mirino dell'Autorità di regolazione dei trasporti. Un
esame che riguarda, assieme alla A4 Trieste-Venezia, anche la A23 Palmanova-Udine, la A28
Portogruaro-Conegliano, la A57 Tangenziale di Mestre per la quota parte e la A34 raccordo Villesse-
Gorizia, le tratte destinate a un affidamento della gestione "in house". All'ordine del giorno dell'Autorità
istituita nel 2011 dal decreto "Salva Italia" ci sono il metodo del price cap (il tetto ai prezzi) a cadenza
quinquennale e la formula tariffaria con meccanismi di penalità a carico del concessionario in caso di
mancata o ritardata realizzazione degli investimenti e delle attività di manutenzione. Autovie, come da
disposizione dell'Art, può formulare osservazioni e proposte sul documento di consultazione entro
lunedì 29 ottobre e sarà poi convocata a un'audizione pubblica, cui dovrebbe partecipare anche il
presidente della Regione Massimiliano Fedriga, il 7 novembre a Torino, nella sede del Lingotto. La
partita delle tariffe si gioca nei giorni dell'assemblea di fine anno. Con il Veneto che vuole pesare di più,
ma anche con gli appetiti dei partiti da soddisfare, le quote rosa da rispettare, il futuro di Maurizio
Castagna da definire. La composizione del nuovo cda è un rebus e non sorprende dunque che la
Regione, d'intesa con i vertici societari uscenti, prenda tempo: la seduta di bilancio e rinnovo cariche
prevista il 26 ottobre, oggi, slitta di una decina di giorni. Se ne riparla il 6 novembre, in seconda
convocazione. Nell'attesa, non mancano le prime voci sullo spoil system del centrodestra. A partire da
Lorio Murello, indicato da Progetto Fvg per Fvg Strade ma saltato all'ultimo minuto di fronte alla
necessità di indicare una donna (la scelta è ricaduta su Cristiana Gallizia) tra i tre membri del consiglio,
ma spuntano anche le ipotesi di Oriano Turello, già direttore generale di Fvg Strade, e di Giovanni
Petris, ex direttore centrale Ambiente e commissario della Laguna di Grado e Marano, entrambi vicino
a Riccardo Riccardi, che nella concessionaria conserva un posto da dirigente. Non si tratta però di
decidere solo i nomi, ma anche i numeri. Perché c'è chi sostiene che per una società chiamata a breve,
nell'ottica del rinnovo della concessione senza gara europea, a liquidare i soci privati e a diventare a
capitale interamente pubblico cambiando veste e diventando Newco "in house", sarebbe opportuno
prevedere un cda ridotto. Passare quindi dall'attuale composizione a 7 (presidente Maurizio Castagna,
vicepresidente Tiziano Bembo, consiglieri Fabio Albano, Amedeo De Toma, Giancarlo Fancel, Ornella
Stradaioli e Benedetta Zambon) a una più ridotta a 5, se non a 3. Un quadro però difficile da comporre
in una fase in cui i privati comunque ci sono ancora, i partiti appunto spingono e il Veneto insiste per
avere più spazio o almeno perché il vice Bembo possa incidere più di quanto gli sia stato consentito
finora. Più probabile dunque che si resti a 7 con Castagna riconfermato a tempo. Quello necessario a
completare l'operazione Newco o forse un anno, ma non di più, giacché il presidente a targa
centrodestra non potrà essere un manager indicato da Debora Serracchiani. Altre indiscrezioni
raccontano che nel dossier sul tavolo di Fedriga c'è anche il riassetto dell'organigramma, con il ritorno
allo sdoppiamento delle deleghe ora tutte in capo a Castagna. La concessionaria reinserirà la figura
dell'amministratore delegato o del direttore generale, riducendo i poteri del presidente.

Restano 716 i milioni da versare allo Stato, gli stessi stabiliti dal patto
Serracchiani-Padoan
Il presidente vedrà Tria lunedì. Il Pd: «Vale ancora il nostro accordo». Zilli:
«Stiamo trattando»

Il governo non fa sconti al Fvg
Fedriga si gioca la carta dell'Iva
IL RETROSCENA Diego D'Amelio / TRIESTENemmeno un euro di sconto in più. La bozza della
manovra finanziaria ufficializza l'entità del contributo delle Regioni autonome al raggiungimento degli
obiettivi della finanza pubblica e per il Fvg la situazione resta immutata rispetto a quella tracciata dal
patto Padoan-Serracchiani. Nel 2019 la Regione dovrà infatti versare a Roma 716 milioni, che
torneranno a essere 836 dal 2020, quando un ipotetico patto Tria-Fedriga dovrà ottenere una nuova
decurtazione che il centrodestra ha promesso sarà maggiore dei 120 milioni che l'esecutivo precedente
è riuscito a strappare per 4 anni a Roma. Massimiliano Fedriga ha già tenuto diversi incontri a Roma e
lunedì avverrà il primo confronto ufficiale con il ministro delle Finanze Giovanni Tria dopo aver già visto
il ministro per gli Affari regionali Erika Stefani e il viceministro dell'Economia Massimo Garavaglia.
L'idea è di ridiscutere il sistema di compartecipazioni e lavorare soprattutto all'aumento dei decimi che il
Fvg può vantare sull'Iva pagata nel proprio territorio, alzando dunque gli attuali 5,91, frutto dell'accordo
con cui la giunta Serracchiani aveva accettato di scendere dai 9,1 decimi dell'epoca in cambio di un
ampliamento della platea dei tributi su cui calcolare le compartecipazioni. Davanti al testo ufficiale della
finanziaria, il Pd critica la giunta per non aver ottenuto propri risultati sul piano delle risorse da
trattenere in Fvg. Per il segretario regionale Salvatore Spitaleri «il cosiddetto governo amico chiede al
Fvg quasi 2,4 miliardi in tre anni. A venti giorni dalla presentazione della finanziaria regionale non
sappiamo ancora su quali risorse potrà fare affidamento Fedriga. Intanto vale ancora lo sconto previsto
dal vituperato patto Serracchiani-Padoan». Spitaleri evidenzia che «dal prossimo anno scade quel patto
e bisognerà ricominciare sul serio la trattativa con lo Stato». La difesa della giunta arriva dall'assessore
al Bilancio Barbara Zilli: «Ricordo a Spitaleri che i numeri della finanziaria saranno applicati se non ci
sarà accordo con Roma e la giunta sta lavorando alacremente per ottenere il risultato. Con il ministro
Tria vogliamo stipulare un patto definitivo». Zilli sottolinea poi che «il Fvg ha già ottenuto uno sconto da
200 milioni: le precedenti finanziarie chiedevano infatti 200 milioni di compartecipazione alla spesa
sanitaria nazionale per il 2017 e 2018 ma il governo ci ha risparmiato questa somma». Nel frattempo
però la Regione aspetta di sapere se potrà utilizzare in finanziaria i 10 milioni accantonati proprio per
fare fronte al contributo alla spesa della sanità nazionale, che nel 2019 ammonterà a 62 milioni.

Progetto Fvg tenta il blitz sui tempi del riassetto ma la giunta predica gradualità
Solo il chiarimento tra Fedriga, Pizzimenti e Saro riporta il sereno in
maggioranza

Riforma delle case popolari
Il centrodestra si divide
Diego D'Amelio / trieste Riforma di sistema o intervento circoscritto all'innalzamento degli anni di
residenza per l'accesso alle case popolari. La proposta di legge sulle Ater approderà in aula dopo il
braccio di ferro inscenato ieri dal centrodestra in commissione, che ha registrato l'approvazione del
testo ma anche lo scontro tra i civici di Progetto Fvg e l'assessore Graziano Pizzimenti. I primi
desiderosi di ottenere subito un riassetto complessivo dell'edilizia popolare, il secondo in difesa della
linea del governatore Massimiliano Fedriga, che preferisce ritardare per non creare nuove tensioni
nell'Isontino. La giunta ha infatti già in tasca la riforma di sistema, ma questa prevede la riduzione delle
Ater da tre a cinque, sulla falsariga di quanto si farà in sanità, dove il nuovo regime si baserà sulle tre
aree vaste di Trieste-Gorizia, Udine e Pordenone. In questo scenario, Progetto Fvg ha tentato il blitz
per forzare la mano all'esecutivo e ribadire la propria insoddisfazione rispetto a un'azione di governo
ritenuta troppo lenta. Le frizioni sono cominciate quando il consigliere Giuseppe Sibau si è presentato
in commissione con un plico di emendamenti contenente lo schema di riforma già all'attenzione della
giunta. Non soltanto la creazione delle tre aree vaste, con accorpamento fra Gorizia e Trieste, ma
anche la reintroduzione dei consigli di amministrazione di nomina che garantiscano un confronto
politico tra sindaci e Ater. Pizzimenti condivide il merito ma non ammette di farsi dettare i tempi. Alla
fine della giornata si è impegnato allora a tenere conto delle indicazioni di Progetto Fvg, ma non prima
di aver contestato animatamente nei corridoi la prova muscolare di Sibau. E così solo una
triangolazione di telefonate tra Fedriga, Saro, Pizzimenti e Sibau ha sciolto la tensione e optato per una
riforma in due fasi. Prima passerà in aula il testo che innalza da due a cinque anni il requisito della
residenza per beneficiare di un alloggio Ater, aggiungendo l'obbligo per gli stranieri di fornire
documentazione ufficiale e non solo un'autocertificazione che atetsti il mancato possesso di
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