Associazione Italiana di Psicologia Giuridica - AIPG
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Associazione Italiana di Psicologia Giuridica Corso di Formazione in Psicologia Giuridica e Psicopatologia Forense Teoria e Tecnica della Perizia e della Consulenza Tecnica in ambito Civile e Penale, adulti e minorile “La valutazione del danno nel minore vittima di bullismo e cyberbullismo” Candidata Luciana Chiarello
“Si prova una vergogna tremenda ad essere vittima di bullismo, perché ad un certo punto cominci a pensare che ci sia un motivo per cui sei stato preso di mira.” MATT REEVES (…)la capacità di rendersi conto del valore di un atto entra nel patrimonio di conoscenza di una persona attraverso processi continui di comunicazione con la realtà circostante e più che la personalità astratta sono le azioni dell'individuo che esprimono i diversi livelli di comunicazione. Dosi ,1985 p.83 Nei testi consultati, in questa mia ricerca sul bullismo e sul cyberbullismo, ho letto di storie in cui si ritrova un susseguirsi di vissuti che negli anni si sono ripetuti “sulla pelle” dei giovani protagonisti. Mi stupisco nel leggere che : “Già nel 1982 in Norvegia un giornale riporta la storia di un suicidio di 3 ragazzi, tra i 10 Ei 14 anni, la cui causa viene attribuita ad una grave forma di bullismo perpetrata nei loro confronti da un gruppo di coetanei, come emerge dal ritrovamento delle lettere lasciate alle famiglie. Quasi 30 anni dopo, in Inghilterra una ragazza di 15 anni, tornando da scuola si getta da un ponte, a casa lascia una lettera di addio ai suoi genitori in cui spiega il suo gesto descrivendolo gli anni di continue angherie sofferte fuori e dentro la scuola. La ragazza, a causa delle ripetute prepotenze subite, era stata trasferita dalla famiglia in un altro istituto, ignara del fatto che i precedenti compagni avrebbero contattato i nuovi creando una alleanza contro di lei. Gli scherzi e le prese in giro non si arrestano anzi continuano e si amplificano la quindicenne viene inondata per mesi di messaggi derisori, insultanti e denigratori, minacce ed insulti veicolati attraverso il suo profilo presente sui social network” (Al di là del) Bullismo,2010. In effetti, oggi queste notizie possono apparire non più indecifrabili rispetto a qualche decennio fa. Molti sono infatti gli studi sul bullismo che riconoscono il fenomeno come generatore di grande sofferenza ed una minaccia per la personalità della vittima, con danni che possono manifestarsi anche dopo molto tempo. Non stupisce pertanto scoprire che a livello internazionale il bullismo sia considerato uno dei più significativi fenomeni di devianza di gruppo attualmente esistenti (Smith, Howard e Thompson, 2007) nonché un problema importante di salute pubblica e sul quale è necessario intervenire. Non stupisce nemmeno quanto si legge nella “Dichiarazione di Kandersteg contro il bullismo nei bambini e negli adolescenti”; il documento sottoscritto dai partecipanti alla conferenza “Joint Ef Against Victimization” tenutasi a Kandesterg nei giorni 8 e 10 giugno 2007 : “ Oggi si stima che circa 200 milioni di bambini e di giovani nel mondo siano abusati dai loro compagni. E riconosciuto in tutto il mondo come un problema serio e complesso. Ha molte facce a seconda dell'età del genere della cultura e può attuarsi anche mediante l'utilizzo improprio delle moderne tecnologie. I bambini e gli adolescenti che sono coinvolti nel fenomeno ne soffrono profondamente. Il bullismo e la
vittimizzazione iniziano in età precoce e per alcuni individui possono durare tutta la vita. A livello scientifico si conoscono molti fattori di rischio e di protezione a associati al bullismo e alla vittimizzazione in diversi paesi si stanno realizzando programmi di prevenzione con risultati incoraggianti le conseguenze mentali fisiche sociali scolastiche del bullismo hanno un impatto enorme sul capitale umano e sociale. I costi del bullismo gravano sul sistema scolastico e sanitario, sui servizi sociali, sull'amministrazione della giustizia e anche sulla produttività e sull'innovazione nel campo del lavoro.” Un problema quindi che coinvolge tutti, il sistema scuola, il sistema famiglia, ma anche l'intera società, le vittime come i bulli, entrambi espressione di un disagio spesso sommerso che trova nella prevaricazione –agita/subita- una modalità per manifestarsi, una forma di comunicazione. Il bullismo, però, è anche un fenomeno dinamico e multidimensionale che rischia spesso di essere confuso con altre forme di disagio che si manifestano durante l'infanzia o l'adolescenza con altre forme di condotte aggressive. Esistono diverse definizioni di bullismo presenti in letteratura e/o costruire dall’immaginario collettivo. Denominatore comune è la considerazione di questo fenomeno come una forma di aggressività. (Dodge, 1991, Olweus,1993; Smith e Thomson, 1991) In Italia, gli studiosi hanno tradotto il termine bullying con il termine “prepotenza”(Genta 2002; Genta et al.,1996) e condiviso la definizione internazionale che vede il bullismo come un'oppressione, psicologica o fisica, reiterata nel tempo, perpetuata da una persona o da un gruppo di persone più potenti nei confronti di un'altra persona percepita come più debole (Gini, 2002; Olweus, 1993;Smith e Sharp, 1994,Farrington, 1998): Un ragazzo subisce delle prepotenze quando un altro ragazzo un gruppo di ragazzi gli dicono cose cattive e spiacevoli. E’ sempre prepotenza quando un ragazzo riceve colpi, pugni, calci o minacce, quando viene rinchiuso in una stanza, riceve i bigliettini con offese e parolacce, quando nessuno gli rivolge la parola e altre cose di questo genere. Questi fatti capitano spesso e chi subisce non riesce a difendersi. Si tratta di prepotenze anche quando un ragazzo viene preso in giro e con cattiveria. Non si tratta di prepotenze quando due ragazzi all'incirca della stessa forza, litigano fra loro e fanno la lotta (Menesini, 2000, p.27) Le caratteristiche distintive di questa tipologia di condotta che si vengono a delineare secondo Menesini, Fonzi e Caprara 2007 sono pertanto: l'intenzionalità, la persistenza nel tempo, l’asimmetria di potere e la natura sociale del fenomeno. Intenzionalità: un'azione viene definita offensiva quando una persona infligge intenzionalmente o arreca un danno ad un'altra, il bullo agisce deliberatamente con il preciso scopo di dominare sull'altra persona e di arrecarle disagio. Persistenza nel tempo: sebbene anche un singolo episodio grave possa essere considerato una forma
di bullismo, solitamente le prevaricazioni hanno un carattere di cronicità. Nel cyberbullismo, questo aspetto, non è dato tanto dalla frequenza e dalla ripetitività delle prevaricazioni come nel bullismo tradizionale, ma soprattutto dalla possibilità di accedere ad un numero illimitato di volte ad un contenuto offensivo pubblicato online o diffuso tramite cellulare di cui è impossibile mantenere il controllo. Asimmetria di potere: alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori c'è un abuso di potere è un desiderio di intimidire e dominare ( Farrington,1993; Smithe Sharp,1994) Natura sociale del fenomeno: come testimoniato da molti studi, la condotta prevaricatoria avviene frequentemente alla presenza di altri coetanei che possono assumere un ruolo di rinforzo del comportamento del bullo o semplicemente legittimare il suo operato, ad esempio non intervenendo in aiuto della vittima o non parlandone con gli adulti. Il bullismo può pertanto essere considerato come un comportamento aggressivo intenzionale, reiterato nel tempo, direttamente o indirettamente collegato al contesto scolastico e agito da un bambino/adolescente (considerato) più forte (bullo) contro un altro bambino/adolescente considerato più debole (vittima), sempre alla presenza di altri bambini/adolescenti (spettatori, sostenitori del bullo e/o difensori della vittima). Bullismo e Cyber-bullismo forme e tipologie. Alcuni ricercatori (Witney e Smith,1993; Smith e Shu,2000; Kristensen,Smith,2003) (Tabella1,I) hanno suddiviso le esperienze di bullismo in 5 tipologie: fisico, verbale, indiretto, legato al danneggiamenti o alla sottrazione di un oggetto di proprietà della vittima o alla sua esclusione dal gruppo . Tipologie di bullismo secondo Witney e Smith(1993), Smith e Shu (2000), Krinsten e Smith “2003) Tipologie Descrizione Fisico Colpire, prendere a calci spintonare “Attacco alla Sottrarre e/o danneggiare oggetti e/o denaro proprietà” Verbale Apostrofare con appellativi e/o volgari e/o insultare minacciare (con ulteriore distinzione tra forme di bullismo verbale di natura razzista e non razzista) Indiretto Raccontare bugie /o spargere voci negative su qualcuno “isolamento sociale” Escludere e/o ignorare di proposito Secondo Wolke e Samara (2004) tutte le tipologie di bullismo riscontrate – verbale, gestuale, fisico e relazionale- possono assumere sia una forma diretta che indiretta. I comportamenti tipici del
bullismo indiretto sono l’esclusione dal gruppo dei pari, l’isolamento, la diffusione di calunnie e di pettegolezzi, la manipolazione dei rapporti di amicizia, l’uso ripetuto di smorfie e gesti volgari. Denominatore comune di tutte le manifestazioni delle condotte bullistiche – fisiche, verbali e psicologiche- è l’intenzione di escludere la vittima socialmente. Per quanto concerne il contesto in cui si sviluppano queste condotte, la letteratura esaminata fornisce una indicazione sulla prevalenza dei fenomeni di bullismo in ambito scolastico, anche se, tra le diverse espressioni della condotta prevaricatoria, c’è da tenere in considerazione anche una forma abbastanza recente di bullismo, quella che nasce e si sviluppa in un contesto altro, il cyber spazio. Questo fenomeno definito “cyber-bulling” si riferisce all’utilizzo delle informazioni elettroniche e dispositivi di comunicazione per molestare una persona o un gruppo. Mentre il bullismo tradizionale avviene di solito in luoghi e momenti specifici, a causa di limiti spazio-temporali, il cyber-bullismo investe la vittima ogni volta che si collega al mezzo elettronico. Nello scenario virtuale, azioni di bullismo reale possono essere fotografate o videoriprese, pubblicate e diffuse sul web (socialnetwork, siti di foto-video sharing, email, blog, forum e chat) trasformandosi in vere e proprie azioni di prepotenza informatica, di persecuzione, di molestia e di calunnia. Si tratta di azioni molto aggressive che possono ledere fortemente il benessere psico-fisico della vittima “designata” e che possono essere perpetrate all’interno di servizi web di social – networking, di messaggistica, di chat, di forum e di giochi di ruolo. Willard (2007) distingue otto tipologie di cyber-bullismo, differenti per la modalità attraverso la quale si manifestano e lo “spazio” e contesto virtuale in cui si inseriscono: flaming: invio di messaggi violenti e/o volgari mirati a suscitare scontri verbali; harassment: l’invito ripetuto di messaggi insultanti con l’obiettivo di ferire qualcuno; denigration: il parlar male di qualcuno per danneggiare la sua reputazione, via email, messaggistica istantanea, etc; impersonation: la sostituzione di persona, di farsi passare per un’altra persona per spedire messaggi o pubblicare testi reprensibili, exposure: la pubblicazione online di informazioni private e/o imbarazzanti su un’altra persona; trickery: l’inganno ovvero ottenere la fiducia di qualcuno per poi pubblicare e condividere con altri le informazioni confidate; exclusion: escludere deliberatamente una persona da un gruppo per ferirla; cyberstalking: ripetute e minacciose molestie e denigrazioni. La natura spesso indiretta dell’attacco – quando ad esempio gli autori delle prepotenze rimangono nell’anonimato – unita al numero di persone che possono assistere all’episodio e alla risonanza mediatica che assumono messaggi scritti, foto o filmati, rendono particolarmente gravose le
conseguenze di tali azioni per la vittima. E’ doveroso precisare che come per il bullismo tradizionale, si parla di cyber-bullismo se entrambi i soggetti coinvolti sono minorenni; a tal proposito, alcun studiosi inglesi differenziano appunto il cyberbulling dal cyberharassement, una molestia che avviene invece tra adulti o tra adulti e minori. Una sintesi delle principali tipologie di bullismo e cyberbullismo (Al di là del Bullismo), 2010 Tipologia Modalità diretta Modalità indiretta Verbale Insultare, prendere in giro, Fare telefonate anonime, offendere , fare dei brutti diffondere pettegolezzi scherzi , minacciare malevoli, persuadere un’altra apostrofare con appellativi persona a criticare, offendere, offensivi o volgari. denigrare e prendere in giro anche via mail, farsi passare per un’altra persona Non verbale o visivo Gesticolare in modo Allontanare o distogliere minaccioso o osceno deliberatamente Fisico Colpire, prendere a calci Fra si che un’altra persona spintonare aggredisca qualcuno Sottrarre e/o danneggiare Spostare e nascondere oggetti oggetti e/o denaro personali Relazionale Formare apertamente una Persuadere un’altra persona o coalizione contro qualcuno altri ad escludere qualcuno con l’effetto di isolarlo, escludere deliberatamente una persona da un cyber gruppo Il danno alla persona Nelle linee guida dell’ Ordine degli Psicologi del Lazio per l’accertamento e la valutazione psicologico giuridica del danno alla persona, la personalità viene definita come espressione peculiare dell’individuo ed il risultato della naturale interazione di molteplici e multiformi fattori. La personalità è “un’organizzazione di modi di essere, di conoscere e di agire, che assicura unità, coerenza, continuità, stabilità, e progettualità alle relazioni dell’individuo con il mondo” Ogni individuo reagisce in maniera diversa ai vari eventi con i quali è costretto ad interagire, e gli eventuali traumi causati da eventi esterni non necessariamente configurano lo stesso livello di problematicità, infatti la risposta patologica dipende da numerosi fattori tra cui, oltre alle condizioni mentali della
persona al momento del verificarsi dell’evento, il modo del tutto personale di spiegarsi l’evento all’interno della storia della propria vita ed il significato personale che la persona stessa attribuisce all’evento. Toppetti F., 2005 Nella Valutazione del danno alla persona, gli illeciti ed i reati si configurano come eventi psicosociali stressanti che possono generare un trauma di natura psichica. I traumi si configurano come un lutto reale o simbolico, tra ciò che era prima e ciò che è ora., l’illecito inoltre si caratterizza come una ferita, una lacerazione, o una frattura fra l’individuo ed il mondo in cui le persone devono affrontare un percorso esterno (iter legale) e interno (elaborazione psichica) lungo e difficile, si tratta di percorsi che le persone non hanno scelto e in cui sono state costrette a sacrificare la loro vita. Ci si trova, dunque, nel sacrificio senza scelta, subito dal destino nella forma dell’altro, che impersona d’improvviso il trauma. Capri P. 2009 Quando mi sono imbattuta nel trattare il tema del danno alla persona, sin dalle prime letture ho percepito la complessità dell’argomento e la necessità di approfondirle. In effetti anche a livello legislativo, non è stato semplice raggiungere, in breve periodo, il riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale, salvo in caso di reato. Solo attraverso un lungo processo si è raggiunto il riconoscimento del valore della persona nei suoi aspetti vitali e umani. Addentrandoci nel percorso storico sul tema del danno alla persona, scopriamo che questa categoria comprende tutti i danni, patrimoniali e non, che sono cagionati ad un essere umano. Si tratta di un genere, che oggi , racchiude al suo interno molte categorie: danno alla salute, danno biologico, danno esistenziale, danno morale, danno non patrimoniale, danno patrimoniale, danno all’onore, alla riservatezza, ecc. Qualsiasi danno che faccia capo ad un soggetto, di qualsiasi tipo o entità, è inquadrabile in questa categoria. Questa configurazione ha subito nei decenni un progressivo cambiamento, partendo da un’ottica squisitamente patrimoniale, ove erano considerati eccezionali i risarcimenti per le voci di danno che non fossero calcolabili dal punto di vista economico, ad un’ottica non patrimoniale, per cui qualsiasi tipo di lesione, qualunque sia la sua natura, deve essere risarcita. Il danno alla persona dal 1942 agli anni '70, all’indomani dell’uscita del codice civile, e per diversi decenni, è stato per dottrina e giurisprudenza senza dubbi un danno alla persona risarcibile solo se legato all’aspetto patrimoniale. Per danno patrimoniale si intendeva una perdita secca del patrimonio, quantificabile e calcolabile, che fosse dimostrata in modo inequivocabile. Il danno non patrimoniale invece era considerato irrisarcibile, salvo in caso di reato; l’articolo 2059 cod. civ. infatti, che limita il risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge, era interpretato in modo restrittivo, e nei “casi previsti dalla legge” vi si faceva rientrare il solo
risarcimento del danno morale previsto dal diritto penale. Per fare un esempio, se una persona perdeva una gamba in un incidente, non si valutava il danno alla salute in sé e per sé, ma si valutavano le ripercussioni patrimoniali di tale lesione: un calciatore o un avvocato in carriera potevano essere risarciti con somme elevatissime, mentre poco o nulla veniva risarcito a casalinghe, studenti, disoccupati, ecc. A meno che il fatto illecito da cui scaturiva la lesione non costituisse anche reato, nel qual caso la somma ottenibile a titolo di risarcimento poteva essere molto elevata, sub specie di danno morale. Si delineavano così i tipi di danno: danno patrimoniale (articolo 2043): risarcibile sempre, ma solo se sussisteva una comprovata perdita patrimoniale; danno non patrimoniale, identificabile col danno morale (articolo 2059): risarcibile solo in caso di reato. Il sistema era giustificato perché si sosteneva che il diritto civile potesse occuparsi solo degli interessi patrimoniali, mentre quelli non patrimoniali (come il danno alla salute, o alla vita) potessero essere disciplinati solo dal codice penale. Per giunta, si aggiungeva, non sarebbe stata quantificabile patrimonialmente la perdita della vita, o della salute, per l’impossibilità di attribuire valore economico a tali voci. Alcuni giungevano a sostenere che attribuire un prezzo alla vita umana, o a valori come la salute, sviliva addirittura il valore della persona, riducendola alla stregua di un oggetto di mercato, valutabile secondo prezzi, listini o mercuriali, assimilando l’essere umano a quello degli animali da macello. Un simile stato di cose (ingiusto, perché finiva per risarcire i danni alla persona solo alle persone che avevano un loro reddito e che potevano giustificare una perdita patrimoniale a seguito dell’illecito) trovava dei correttivi nella giurisprudenza, che riconosceva come danni patrimoniali anche quelli che, in teoria, non lo sarebbero stati: il danno alla vita di relazione, il danno da perdita della capacità lavorativa generica (quando il soggetto non aveva un reddito e non poteva quindi dimostrare il danno al patrimonio), il danno estetico, ecc. In pratica si risarciva come danno patrimoniale, con una vera e propria “finzione giuridica”, anche danni che non producevano alcuna perdita patrimoniale concreta al soggetto danneggiato. A partire dagli anni '80 la giurisprudenza giunge a riconoscere la risarcibilità del danno biologico e del danno alla salute, dando la prevalenza all’articolo 32 della Costituzione sull’articolo 2059 che pure, in teoria, ne precluderebbe il risarcimento. Le argomentazioni poste a sostegno di questo cambio di rotta furono diverse: anzitutto sarebbe stato sommamente ingiusto un sistema che avesse tutelato la vittima solo in caso di reato, oppure nell’unica ipotesi in cui avesse avuto un patrimonio da tutelare, a fronte di lesioni che, dal punto di vista personale, sono da considerarsi identiche; il sistema patrimoniale del danno alla persona, lungi dal tutelare il valore dell’essere umano lo sviliva ancor di più.
il codice civile del 1942 era improntato alla patrimonialità perché nell’epoca in cui fu redatto ancora si tendeva a privilegiare gli aspetti patrimoniali della persona; ma tale concezione poteva reggere difficilmente in un’epoca più moderna, alla luce delle innovazioni introdotte dalla costituzione, che tendono a rivalutare la persona nei suoi aspetti di vita soprattutto non patrimoniali ed umani; da qui l’applicazione dell’articolo 32 ai rapporti giuridici e quindi il riconoscimento del danno alla salute indipendentemente da una proibizione da parte dell’articolo 2059. Il danno biologico viene definito come “il danno all’integrità psico-fisica del soggetto” e comprende il risarcimento di tutti i danni che la persona ha subito a seguito dell’illecito, indipendentemente dalle conseguenze sul patrimonio .Il diritto civile si apre quindi alla tutela di posizioni, soggetti, e fatti che un tempo erano delegati solo alla tutela penalistica, o che addirittura non erano tutelati per niente; si pensi al risarcimento per la perdita dell’animale d’affezione, o al risarcimento dei disagi subiti a seguito di una cartella esattoriale inesatta. Negli anni '80 quindi il sistema del danno alla persona era così schematizzabile: danno patrimoniale (risarcibile ex articolo 2043): risarcibile in caso di comprovata perdita patrimoniale; danno non patrimoniale o morale (articolo 2059): risarcibile solo in caso di reato; danno alla salute (da alcuni considerato danno patrimoniale, da altri non patrimoniale), risarcibile in ogni caso, indipendentemente dalla sua patrimonialità o meno, grazie all’applicazione diretta dell’articolo 32 della Costituzione. A partire dagli anni 2000, grazie soprattutto all’opera dottrinaria di Paolo Cendon, inizia a essere riconosciuta dalla giurisprudenza la figura del danno esistenziale, definibile come la perdita della facoltà di godersi la vita, o come “il disagio arrecato all’esistenza e al benessere della vita quotidiana”. In un primo momento i giudici hanno stentato a riconoscere tale figura, e anche parte della dottrina era fermamente contraria all’introduzione di un istituto che, si diceva, era dai contorni incerti, di difficile quantificazione, e costituiva una mera duplicazione del danno morale. Nonostante queste opposizioni la giurisprudenza risarcì spesso questo tipo di danno, il cui cammino fu pressoché inarrestabile. In linea di massima si viene in questo periodo a staccare il risarcimento del danno alla salute dalle altre voci di danno alla persona di tipo non patrimoniale, mentre in precedenza il danno morale e non patrimoniale venivano risarciti solo come conseguenza di un danno biologico o alla salute, negli ultimi anni si risarciscono i danni non patrimoniali anche quando non è dimostrato un danno biologico o alla salute di base (Cass. 22585/2013: la mancanza di danno biologico non esclude in astratto la configurabilità di un danno morale e di un possibile danno relazionale). A giustificare questo new deal del diritto civile concorrono molti fattori. Da una parte, come si è detto, la rilettura in chiave costituzionalmente orientata del sistema del diritto civile; dall’altra però anche il ripensamento del ruolo del diritto civile all’interno del sistema giuridico nel suo complesso.
Fino a qualche decennio fa infatti prevaleva una visione che separava nettamente il diritto penale dal diritto civile, il primo destinato a punire e sanzionare i comportamenti umani moralmente più riprovevoli, il secondo destinato prevalentemente a riparare i danni e a regolare diritti patrimoniali. In questi ultimi anni si è visto che la scelta di inquadrare una disciplina nell’ambito del diritto penale o del diritto civile non è sempre così netta; vi sono dei comportamenti infatti che possono essere moralmente riprovevoli ma che possono trovare un’adeguata sanzione anche (o solo) col diritto civile, specie a fronte dell’attuale tendenza del diritto penale a rinviare a tempo indefinito l’erogazione della pena, per giunta a fronte di sanzioni penali sempre più deboli e inefficaci. Il sistema a partire dal 2000 (data approssimativa in cui è emersa la figura del danno esistenziale) e fino al 2008 era quindi schematizzabile in questo modo: danno patrimoniale (risarcibile ex articolo 2043): risarcibile sempre; danno non patrimoniale o morale ( articolo 2059): (risarcibile solo in caso di reato); danno alla salute, risarcibile in ogni caso, indipendentemente dalla sua patrimonialità o meno, per l’applicazione diretta dell’articolo 32 della Costituzione; danno esistenziale, considerato – secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti - come danno non patrimoniale, risarcibile nel caso si possa dimostrare una effettiva compromissione della capacità di godere di alcuni aspetti della vita. Il sistema attuale dopo le SS.UU del 2008: il sistema bipolare con le note sentenze nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008 le Sezioni Unite della Cassazione delineano in modo definitivo i contorni del danno alla persona, risistemando, e per certi versi innovando profondamente, la materia del danno alla persona. Il sistema poggia ora sui seguenti punti fondamentali: l’articolo 2059 non limita il risarcimento del danno non patrimoniale al solo danno morale da reato, ma lo limita ai soli casi previsti dalla legge; e per legge deve intendersi qualsiasi legge, primaria, secondaria, costituzionale o comunitaria, e persino i principi fondamentali dell’ordinamento; il danno alla salute è danno non patrimoniale, risarcibile perché l’articolo 2059 lo consente espressamente, così come il danno esistenziale, essendo necessario unicamente che la posta risarcibile trovi fondamento in una norma giuridica; non esiste una autonoma categoria di danno esistenziale, o di danno alla salute; esiste invece come categoria autonoma solo la categoria del danno patrimoniale, affiancata da quella del danno non patrimoniale. In altre parole, il danno alla persona si fonda sul bipolarismo “danno patrimoniale – danno non patrimoniale”, all’interno delle quali categorie devono essere ricomprese tutte le altre, che vanno considerate mere sottocategorie, o specificazioni, delle due categorie principali; il danno patrimoniale, previsto dall’articolo 2043, è atipico; il danno non patrimoniale, previsto dall’articolo 2059, è tipico, essendo risarcibile nei soli casi previsti dalla legge. Questa lettura, che non ha precedenti in dottrina e giurisprudenza, viene
introdotta per la prima volta dalla Cassazione. Le sezioni unite danno per la prima volta una lettura non solo innovativa, ma anche intelligente e coerente con il sistema, che in teoria dovrebbe sopire le discussioni e sanare i contrasti; il risarcimento del danno non patrimoniale non conosce differenze a seconda che sia chiesto in via extracontrattuale, o contrattuale. Se negli anni precedenti alcuni autori sostenevano che in via contrattuale potesse chiedersi il solo danno patrimoniale alla persona (nonostante non ci fosse traccia nella legge di un simile limite), e dunque il danneggiato che voleva l’integrale ristoro dei danni dovesse agire con entrambe le azioni, cumulativamente, da adesso in poi potrà affermarsi con certezza che il danno non patrimoniale può essere chiesto anche in via contrattuale, senza limiti di sorta. Il sistema del danno alla persona può quindi essere, oggi, schematizzabile in questo modo: danno patrimoniale (articolo 2043): risarcibile sempre; danno non patrimoniale (articolo 2059): risarcibile in sede civile nei casi previsti dalla legge (ordinaria, costituzionale, o comunitaria). Tale sistema è detto “bipolare” perché anziché disarticolare il danno alla persona in una pluralità di voci di danno, si compone di due sole grandi voci (danno patrimoniale e non patrimoniale) al cui interno rientrano tutte le altre. La conseguenza, sul piano operativo, rispetto al sistema multipolare, è la seguente: in caso di domanda risarcitoria, è sufficiente che il danneggiato chieda il risarcimento dei soli danni patrimoniale e non patrimoniale per vedersi riconosciute tutte le voci che in teoria sono comprensibili dentro a queste due categorie (mentre in precedenza il danneggiato aveva l’onere di indicare espressamente tutti tipi di danno che intendeva ottenere); la richiesta in sede di appello o di comparsa conclusionale di una voce non richiesta con l’atto introduttivo (ad esempio il danno esistenziale) non è considerata domanda nuova; il giudice può – senza violare il principio della corrispondenza tra il chiesto e il giudicato – riconoscere il danno alla salute o quello esistenziale, anche se non è stato richiesto dal danneggiato, sol che costui abbia indicato genericamente la voce del “danno non patrimoniale”. Finiscono finalmente tutte le dispute sull’inquadramento di singole figure: ad es., il danno alla vita di relazione è danno alla salute, danno morale, o danno patrimoniale (con la conseguenza che veniva risarcito solo in alcuni casi)? Il danno da perdita di un parente è danno morale, danno alla salute, patrimoniale o danno esistenziale? E tali danni sono risarcibili solo iure proprio o anche iure hereditatis? A questo stadio dell’evoluzione del danno alla persona ben può riconoscersi che questi danni rientrano un po’ in tutte queste categorie, ma il problema del loro corretto inquadramento non sussiste più perché verranno ricompresi nell’ampia categoria del danno non patrimoniale, indipendentemente poi dalla ulteriore difficoltà di collocamento in una o più delle sottocategorie
citate; il danneggiato che agisce con l’azione contrattuale può chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale, senza necessità di intentare entrambe le azioni col cosiddetto concorso cumulativo. La Costituzione della Repubblica Italiana (art. 32) riconosce specifica tutela alla salute delle persone che, in quanto diritto del singolo e interesse della collettività, rappresenta un «bene giuridico» primariamente protetto. La lesione alla salute è prova di per sé dell’esistenza del danno. La Corte osserva infatti che la persona che non abbia ancora, o che non abbia più, o che non abbia affatto una capacità di reddito subisce – ove la sua salute riceva una qualsiasi lesione – un pregiudizio ad un bene primario tutelato dall’art. 32 della Costituzione, che va risarcito di per sé, indipendentemente da qualsiasi altro eventuale danno concorrente. Il problema si complica ulteriormente quando il dramma esistenziale non riguarda una persona adulta (maggiorenne) ma un bambino o un adolescente (minorenne), cioè una “persona” non ancora in grado di dare un senso, fare scelte e badare a sé stesso in modo autonomo. Qual è oggi il panorama attuale per quanto riguarda la valutazione del danno alla persona riguardo i minorenni? Non esistono norme ad hoc, la legge vigente non si è occupata in modo specifico della valutazione del danno nei bambini o negli adolescenti promuovendo approfondimenti e suggerendo una disciplina particolare. Sotto il profilo risarcitorio, i minori sono equiparati agli adulti. Per la Corte il danno biologico è: “la menomazione dell’integrità psico-fisica della persona in sé e per sé considerata, in quanto incidente sul “valore uomo” in tutta la sua concreta dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell’ambiente in cui la vita si esplica, ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica. È stato un lungo cammino quello che ha portato a valutare il danno alla persona come pregiudizio all’uomo inteso come portatore di valori extraeconomici. I danni all’uomo, inteso come portatore di valori non patrimoniali, sono tutti relativi alla sua esistenza, alla sua qualità della vita. Non tutte le avversità della vita costituiscono danni in senso giuridico. Esse concretizzano un pregiudizio giuridicamente apprezzabile solo quando siano considerate illecite. L’ordinamento stabilisce se un fatto pregiudizievole è illecito o meno in base alla valutazione degli interessi contrapposti di chi lo provoca e chi lo subisce. Impone una sanzione solo se valuta che l’interesse di chi ha subito il danno debba prevalere sull’interesse di chi lo ha generato. Ciò che conta ai fini di una loro precisa definizione è il modo in cui la qualità dell’esistenza viene pregiudicata. I danni al valore uomo possono consistere in: - Menomazioni psicofisiche;
- Sensazioni di dolore fisico nel momento in cui si verifica il fatto dannoso; - Sofferenza psichica, priva di carattere patologico, nell’immediatezza del fatto dannoso; - Alterazioni delle attività, delle relazioni e delle opportunità con le quali si realizza la personalità individuale; - Sensazioni di dolore fisico successive a quelle provate nel momento del fatto dannoso; - Sofferenze psichiche, prive di carattere patologico, successive a quelle provate nell’immediatezza del fatto dannoso. Sono state individuate cinque diverse fasce corrispondenti ad altrettanti intervalli percentuali. Il criterio di attribuire un valore in punti percentuali ad una determinata configurazione del disagio esistenziale è in linea con l’obbiettivo della personalizzazione del danno. - Danno lieve (6 - 15%): lieve alterazione dell’assetto psicologico, delle relazioni familiari – affettive e delle attività realizzatrici. - Danno moderato (16 - 30%): moderata alterazione dell’assetto psicologico, delle relazioni familiari - affettive e delle attività realizzatrici. - Danno medio (31 - 50%): media alterazione dell’assetto psicologico, delle relazioni familiari ‐ affettive e delle attività realizzatrici. - Danno grave (51 - 75%): grave alterazione dell’assetto psicologico e della personalità, delle relazioni familiari‐affettive e delle attività realizzatrici. - Danno gravissimo: (76 - 100%): gravissima alterazione dell’assetto psicologico e della personalità, delle relazioni familiari‐affettive e delle attività realizzatrici. I pregiudizi che “in quanto attengono all’esistenza della persona, per comodità di sintesi possono essere descritti come esistenziali”, secondo l’art. 2059 c.c. sono risarcibili: nei casi in cui la riparazione è espressamente prevista dalla legge, quando è stato commesso un reato (cfr. art. 185 c.p.), qualora derivino dalla lesione di un diritto inviolabile garantito dalla Costituzione. Il danno ingiusto da “bullismo” e “ cyberbullismo” Pennetta (2019) descrive che un’indagine svolta da Eurodap (associazione europea disturbi da attacchi di panico) diretta a monitorare i comportamenti antisociali diffusi nel mondo degli adolescenti, emerge che nella fascia di età compresa tra i 25 ed i 45 anni l'80% di coloro che hanno risposto al sondaggio considera i comportamenti di cui abbiamo parlato in precedenza come qualcosa di negativo è pericoloso ma tende a considerarli bravate di cui i social sono i maggiori responsabili; solo il 20% del campione pensa che si dovrebbero fare i corsi ai genitori per migliorare la loro capacità nel gestire la crescita dei figli” nella fascia di età tra i 45 Ei 65 anni invece l’80% delle persone si dice consapevole della gravità di questi comportamenti giovanili ma sposta sulla scuola e sui social
la responsabilità di questo problema generazionale assolutamente allarmante. La realtà normativa e giurisprudenziale riconosce invece anche una precisa responsabilità ai genitori. Responsabilità derivante dal loro dovere di educare, nonostante si sia ormai in presenza di una discontinuità nelle cure e nell’ attenzione da parte dei genitori i quali occupati nel mondo del lavoro, per produrre il reddito necessario ad offrire i figli ogni bene materiale da loro desiderato invero li privano di tutto ciò che è per loro importante vale a dire quell’ appoggio, quella protezione, la trasmissione dei concetti del bene e del male e la presenza che offre anche un esempio comportamentale ed in particolare l’ ascolto. Fatta questa premessa, possiamo vedere cosa prevede il nostro sistema giuridico. (Pennetta,) 2019 Il principio generale che riguarda l’obbligo del risarcimento del danno è espresso nell’articolo sopracitato 2043 del codice civile che così recita “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Prendendo in considerazione le obbligazioni risarcitorie da fatto illecito, intendendosi per illecito la lesione di un interesse giuridicamente protetto, tali obbligazioni si fondono sull’esigenza di riparare al danno ingiusto. Gli atti di devianza minorile fra i quali sono ricompresi gli atti di bullismo e cyberbullismo possono determinare la responsabilità civile al risarcimento del danno per effetto della sofferenza psicologica sofferta alla vittima È ovvio che tale responsabilità si riferirà sia il soggetto minorenne, sia i suoi genitori, che ai suoi docenti nonché nell’istituto scolastico a secondo del luogo in cui si sono verificati i fatti attribuitigli. Mentre il riferimento all’ordinamento giuridico significa un rinvio in generale a tutta la normativa e quindi anche i principi di rango costituzionale, il legislatore con l’espressione utilizzata nell’ articolo 2043 del codice civile qualunque fatto ha optato per un sistema aperto che consente di far derivare l’obbligo al risarcimento del danno per ogni comportamento illecito doloso o colposo che provochi un danno ingiusto. Da ciò deriva la tipicità dell’illecito civile rispetto alla tipicità dell’illecito penale e richiede la descrizione della figura di reato illecito civile altresì caratterizzato dalla sua antigiuridicità o meglio dalla antigiuridicità del comportamento manifestato dalla lesione di un interesse protetto a causa di un atto doloso o colposo. Questa elasticità determinata dalla scelta del legislatore nella scelta della definizione di atto illecito nell’ambito della responsabilità civile, ha consentito alla giurisprudenza di esprimersi con creatività caso per caso. Ed infatti anche la Corte Costituzionale ha precisato che l’articolo 2043 del codice civile è una sorta di norma in bianco: mentre nello stesso articolo espressamente e chiaramente indicata l’obbligazione risarcitoria che consegue il fatto doloso o colposo, non sono individuati i beni giuridici la cui lesione è vietata, l’illeicità oggettiva del fatto che condiziona il sorgere dell’obbligazione risarcitoria, viene indicato unicamente attraverso l’ingiustizia del danno prodotto dall’illecito. Costituiscono elementi costituitivi, il fatto lesivo, il dolo o la colpa del danneggiante
l’antigiuridicità o l’ingiustizia del danno, il nesso di causalità il danno. E’ il danno ingiusto che legittima la vittima all’azione risarcitoria. Non può infatti esistere un fatto illecito giuridicamente rilevante senza il danno ingiusto. Ma cosa si intende per danno ingiusto? Si intende la lesione di un interesse giuridicamente protetto. E la lesione in sé che dà vita al diritto al risarcimento e del resto quando si pensa al danno ingiusto si fa riferimento alla lesione di un bene di rilievo costituzionale. Si pensi agli atti lesivi della vita, della salute del patrimonio dell’integrità fisica, della dignità. Tutti beni costituzionalmente garantiti. Le lesioni, come ho ampiamente discusso prima, possono derivare non solo da atti materiali ma anche da atteggiamenti parole che possono provocare per chi le riceve sofferenza morale, e del resto, il diritto penale, prevede e riconosce reati quali la minaccia, la diffamazione e gli apprezzamenti che offendono l’altrui reputazione. Come abbiamo potuto vedere sopra, negli ultimi anni il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul concetto di danno alla persona è stato particolarmente vivace e la riscoperta dei diritti costituzionalmente garantiti e quindi dei diritti di rilievo costituzionale , hanno portato a due sentenze della Corte di Cassazione comunemente denominate Sentenze gemelle le numero 8827/ 8828/2003 che hanno ridisegnato la struttura del danno alla persona con effetto simile a quella di una riforma legislativa. Le sentenze appena richiamate hanno affermato il diritto al risarcimento patrimoniale in ogni caso in cui venga leso un interesse di rilievo costituzionale. Nel bullismo e nel cyberbullismo il giovane deviante non provoca sempre malattia valutabile sotto il profilo medico legale; la lesione si presenta in maniera più subdola, circostanza che prima dell’intervento delle sentenze richiamate, provocava l’impossibilità di tutela risarcitoria. E quindi con l’evoluzione giurisprudenziale per effetto delle sentenze del maggio 2003 le lesioni derivanti da malversazioni di tipo psicologico hanno invece la possibilità di tutela risarcitoria nei casi in cui rientrino nell’ambito delle lesioni di interesse di rilievo costituzionale. (Pennetta,) 2019 Con le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2008 sentenze di San Martino e una ridefinizione dei contorni del danno alla persona si afferma che il danno non patrimoniale rappresenta una categoria generale e non deve essere oggetto di tipologie di danno autonomo, con la conseguenza per la quale il danno morale danno biologico, che rispondono alle esigenze di classificazione non giustificano l’esigenza di autonome categorie di tale danno. In particolare la Corte di Cassazione ha precisato che non sono meritevoli di tutela risarcitoria invocata a titolo di danno esistenziale i pregiudizi consistenti in disagi fastidi disappunti ansie ed ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati nella vita quotidiana che ciascuno con conduce nel contesto sociale al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità di risarcimento non
patrimoniale. L’orientamento è stato confermato dalla successiva sentenza della Suprema Corte di Cassazione emessa 12 novembre 2013 recante il numero e 25409. La differenza che esiste tra illecito civile è illecito penale consiste nella necessità per quest’ultimo dell’esistenza della volontà dell’ intenzione di offendere, mentre per responsabilità civile ai sensi dell’articolo citato 2043 del codice civile è sufficiente la colpa. Quanto sinora espresso rappresenta in estrema sintesi l’evoluzione del concetto del danno alla persona che si è venuto sviluppando nell’ultimo decennio e costituisce la base di riferimento per trattare dei vari tipi di responsabilità derivanti dalle azioni di bullismo e cyberbullismo, individuare i soggetti tenuti al risarcimento del danno conseguente, valutare la normativa applicabile dando una interpretazione costituzionalmente orientata. L’articolo 10 del codice civile vieta di pubblicare l’immagine di una persona quando non ne sia giustificata l’esposizione per la notorietà, per motivi didattici, ecc, e nel ricordare questi principi che sono basilari del vivere civile prima ancora della normativa dei codici, vengono in mente gli episodi di cyberbullismo realizzati attraverso la pubblicazione e la diffusione nell’etere, non solo di immagini dei minori ma addirittura di minori ripresi in momenti rubati alla vita intima, da parte di loro coetanei. Ed ecco che le problematiche che si devono affrontare sono particolarmente rilevanti, per le conseguenze che derivano dai comportamenti dei minorenni in capo agli adulti di riferimento poichè , per il sistema giuridico “le colpe dei figli minori, ricadono sui genitori” riconosciuti responsabili, ai sensi dell’articolo 2048, insieme ai tutori, ai precettori ed ai maestri d’arte “per il danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette a tutela, che abitano con essi” e non di minore interesse, sotto il profilo dell’educazione o rieducazione dei giovani minori di età. E’ opportuno osservare che tutti i soggetti che hanno partecipato a qualunque titolo ad episodi di bullismo e/o cyberbullismo sono corresponsabili e particolare attenzione deve essere dedicata, per fare un esempio, ai like e alle chat. Colui che non ha capacità di intendere e di volere non risponde alle conseguenze del fatto dannoso. In tal caso sarà il Magistrato che dovrà verificare, caso per caso, se il minorenne autore del comportamento dannoso fosse capace di intendere e di volere. Per concludere, il danno non patrimoniale sarà risarcibile in tutti i casi, sia in quelli previsti dalla legge ordinaria sia nei casi in cui vi sia stata lesione di valori costituzionalmente garantiti e interessi in una persona umana si pensi alla famiglia all’onore alla salute eccetera e le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno affermato che il danno non patrimoniale non deve essere oggetto di tipologie di danno autonome e che il giudice deve tenere comunemente punto nel liquidare l’unica somma spettante in riparazione di tutti gli aspetti che danno non patrimoniale assume nel caso concreto, danno alla vita e la salute, rapporti affettivi e familiari e sofferenze psichiche. Viene così assicurato alle vittime di bullismo e cyberbullismo il diritto ad un risarcimento per i danni subiti siano essi patrimoniali che non patrimoniali. Ne deriva che nella liquidazione equitativa dei pregiudizi ulteriori
il giudice in relazione alla meno alla menzionata funzione unitaria del risarcimento del danno alla persona non può non tenere conto di quanto già eventualmente riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo pure esso risarcibile quando vi sia la lesione di un tale tipo di interesse anche se il fatto non sia configurabile come reato. Il danno non patrimoniale costituisce quindi una categoria unitaria che comprende al proprio interno e danno biologico e danno esistenziale e danno morale voci queste che avranno un valore descrittivo che non rientreranno nella categoria del danno non patrimoniale Ma che non costituiscono voci di danno autonome . L’Articolo 2059 del codice civile che prevede l’obbligo del risarcimento del danno non patrimoniale utilizza una locuzione molto ampia e generica che in realtà confligge con l’espressione danni morali adottata dalla dottrina. La stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto che per danno non patrimoniale deve intendersi ogni danno non succettibile direttamente di valutazione economica e che conseguentemente in esso devono intendersi ricompresi sia il danno morale sia il danno alla salute Le voci di danno risarcibili alla vittima dell’atto di bullismo e cyberbullismo saranno quindi costituite dal danno patrimoniale e o dal danno non patrimoniale. La vittima di fatti di bullismo e cyberbullismo può subire un danno psichico non patrimoniale ed in tal caso se non sia configurabile anche una astratta fattispecie di reato, ma solo un illecito civile, la vittima ha come unica possibilità di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale attraverso l’interpretazione costituzionalmente orientata nell’articolo 2059 del c.c. Nell’ipotesi in cui invece le violenze psichiche derivino da un illecito penale sarà sicuramente possibile il risarcimento del danno non patrimoniale. In questo caso infatti non vi saranno le imitazioni risarcitorie derivanti dall’interpretazione costituzionalmente orientata dall’articolo 2059 del codice civile in cui è necessario provare la lesione di un diritto inviolabile della persona caratterizzato da lesione seria e da pregiudizio grave. La valutazione del danno nel minore La psicologia giuridica, in ambito evolutivo, sottolinea la necessità di procedere attraverso un’analisi multicategoriale che analizzi simultaneamente le caratteristiche individuali, i pattern di relazioni interpersonali e i contesti ambientali in cui è collocata la persona in età evolutiva. Un principio di base che guida la ricerca nell’ambito della psicopatologia dello sviluppo è, infatti, che la conoscenza dello sviluppo normale è necessaria al fine di comprendere eventuali aspetti psicopatologici (Cicchetti, 1989; Cicchetti e Cohen, 1995). Il danno biologico di natura psichica, inteso come menomazione dell'integrità psichica della persona, è stato definito come: "la compromissione durevole di una o più funzioni della personalità (intellettive, emotive, affettive, volitive, di capacità di adattamento e di adeguamento, di relazionarsi con gli altri) che possono giungere fino a condotte devianti etero o autoaggressive e che incide anche
sul rendimento scolastico" (Introna e Raimondo, 1998). Un danno biologico di natura psichica si configura, quindi, quando un dato evento comporta una menomazione peggiorativa del modo di essere psichico del soggetto" (Brondolo e Marigliano, 1996) e determina una lesione temporanea o permanente all’integrità mentale della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato (Cendon & Negro, 2011). Per poter essere considerato tale, il danno psichico deve aver causato una vera e propria patologia psichica che inficia l'equilibrio di personalità del soggetto, provocandone uno stato di disagio e di sofferenza (Cfr. Cass. 11 giugno 2009, n. 13530). L’obiettivo della valutazione del danno è di identificare se, e se sì in quale misura, l’evento traumatico ha causato nel soggetto l’insorgenza di un danno biologico di natura psichica. L’esperto ha il compito di determinare il grado in cui un certo evento ha contribuito alla condizione psicopatologica dell’individuo oggetto di valutazione. Nell'eziologia del danno è fondamentale esaminare lo "stato di malattia" sopravvenuto, adottando un criterio comparativo tra il prima e il dopo, al fine di comprendere il significato che ha assunto per quella persona quel particolare evento psicolesivo sul suo diritto fondamentale alla salute. La questione non è quindi quanto l'individuo sia danneggiato nel momento attuale, ma piuttosto quanto sia diverso ora da ciò che era prima che intervenisse l'evento traumatico. L'insorgenza di un danno biologico di natura psichica è determinata non solo dalla gravità dell'evento critico, ma anche e soprattutto dal modello di risposta personale del soggetto agli eventi critici della vita e dal modo soggettivo in cui egli elabora le esperienze. Nono sono gli eventi ad essere traumatici di per sé, ma la reazione ad essi. Quando si effettua una valutazione psicodiagnostica riguardo un soggetto in età evolutiva, non si può prescindere dal tener conto in primo piano il concetto di sviluppo in tutte le sue componenti individuali ed ambientali (Camerini, Sabatello, Sartori e Sergio, 2011). In proposito il modello della "Psicopatologia dello sviluppo" consiste nello studio delle origini e del decorso dei pattern individuali e del disadattamento comportamentale, qualunque sia l'età di inizio, di qualunque tipo siano le cause e le manifestazioni comportamentali nel percorso di sviluppo (Rutter, 2002). Secondo tale approccio, l'insorgere di un disagio o di un vero e proprio disturbo (quindi di una condizione psicopatologica) rappresenta l'esito di un processo complesso legato al rapporto tra "fattori di rischio e fattori protettivi" che possono essere individuali (riguardanti la maggiore o minore vulnerabilità del soggetto allo stress) e ambientali (legati a variabili di contesto relazionale, sociale familiare, ecc.). Adattamento e vulnerabilità vengono visti, dunque, come risultati opposti dell'interazione tra fattori protettivi e fattori di rischio. Un danno psico-fisico è sempre una sofferenza, questa sofferenza diventa totale nel caso di una sofferenza che cambia la vita, una malattia cronica o una lesione che provoca uno stato di disabilità
permanente. In questo caso si pone il problema, nel minore colpito, di ricostruirsi una visione del mondo, di rimodellare la propria quotidianità, ridisegnare gli orizzonti della propria esistenza. Il minore, in questo caso, è chiamato a immaginare un mondo nuovo alla cui costruzione vengono coinvolte tutte le risorse coscienti in termini soggettivi, nel tentativo di trovare un senso ad una nuova condizione. Per valutare la presenza e la consistenza del trauma, occorre un’analisi approfondita del minore, caso per caso, con aspetti metodologici che dovranno riguardare non soltanto i colloqui clinici, ma anche test di livello, di personalità, proiettivi e neuropsicologici, al fine di valutare oltre alle eventuali alterazioni delle funzioni mentali primarie di pensiero, anche gli stati emotivo‐affettivi, la struttura e la sovrastruttura dell’Io, nonché i meccanismi difensivi. Nei minori, ovviamente, sono necessari i colloqui con i genitori e con ogni figura di riferimento significativa dell’ambiente circostante. Al fine di valutare l’esistenza o meno del trauma, è necessario valutare se il danneggiato ha subito una compromissione, una menomazione, una riduzione della sua capacità di comprendere e di accettare la realtà, attraverso processi di adattamento non più equilibrati. L’accertamento della preesistenza o meno di disturbi rappresenta un punto importante delle indagini perché consente di verificare se vi siano o meno concause in riferimento al disturbo oltre all’evento traumatico. E’necessario procedere con una accurata raccolta dei dati anamnestici, con l’esame della documentazione clinica e con l’analisi delle deposizioni testimoniali orientate ai fini clinici per accertare l’esistenza di patologia psichica in atto o precedente e il suo inquadramento nosografico. Naturalmente la metodologia psicologica prevede la fase di osservazione, i colloqui clinici ed i test psicologici. A completamento dell’indagine classica (anamnesi, colloquio clinico e osservazione), appare necessario un accurato e specialistico esame psicodiagnostico, effettuato rispettando la metodologia di somministrazione e interpretazione e facendo riferimento alle linee guida relative all’utilizzazione dei test psicologici in ambito forense. Secondo Camerini (2011), gli eventi ambientali in grado di produrre un danno psichico di valore risarcitorio, nell’infanzia e nell’adolescenza sono: lesioni cerebrali (con compromissione delle funzioni superiori); eventi incidentali stressanti e/o traumatici; esperienze di trascuratezza e di vittimizzazione fisica, psicologica e/o sessuale; perdita luttuosa di un genitore (orfanezza) coinvolgimento nelle dispute tra i genitori in corso di separazione con ostacolo ai diritti di visita. In questo elaborato vorrei approfondire alcuni aspetti di criticità che si possono riscontrare nella valutazione del minore vittima di danno biologico di natura psichica. Le criticità valutative nel danno biologico di natura psichica in età evolutiva sono molte, possiamo
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