Stati generali della nuova letteratura italiana - Associazione degli ...

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Stati generali della nuova letteratura italiana - Associazione degli ...
Stati generali
della nuova
letteratura italiana
 6 – 7 giugno 2019.
Istituto Italiano di Cultura, Bruxelles

L’ Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, attraverso due giorni di
dibattiti con alcuni fra i maggiori esperti di letteratura contemporanea,
si propone di fare il punto sulla situazione attuale del romanzo, della
poesia e della prosa saggistica in Italia.

             n.5
                                                                                                                             GB
                                                                                            NL
                                                                FR
                                  IT
                                                                                                                     OR      JOURNAL OF
                                                                                       RE   TIJDSCHRIFT VO
                                                                R E V U E D E C U LT U                                       CONTEMPORARY
                                  RIVISTA DI                                                HEDENDAAGSE                                               E
                                                           NA   ITALIENNE                                              UUR   I T A L I A N C U LT U R
                                  C U LT U R A I T A L I A                                  I T A L I A A N S E C U LT
                                                           A    CONTEMPORAINE
                                  CONTEMPORANE

              20 19

             Cartaditalia
             Letteratura
             italiana:
             il nuovo secolo
              Littérature
              italienne:
              le nouveau siècle
              Italiaanse
              literatuur:
              de nieuwe eeuw
               Italian literature:
               the new century
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Cartaditalia n.5                         Sommario
Rivista di cultura italiana              Editoriale
contemporanea                            Paolo Grossi
pubblicata dall’Istituto Italiano
di Cultura di Bruxelles                  Introduzione
Anno XI, n° 5 – nuova serie              Emanuele Zinato
maggio 2019                              La narrativa italiana
Direttore: Paolo Grossi                  del Duemila
Comitato scientifico: Guido              Morena Marsilio
Davico Bonino, Silvia Fabrizio-          La poesia italiana
Costa, Luca De Biase, Maurizio
Ferraris, Luisa Finocchi, Goffredo
                                         del Duemila
Fofi, Jean A. Gili, Elio Grazioli,       Marianna Marrucci
Nicola Lagioia, Claudio Magris,
                                         La saggistica letteraria
Vittorio Marchis, Carlo Ossola,
Salvatore Silvano Nigro, Martin          del Duemila
Rueff, Nicola Sani, Domenico             Valentino Baldi
Scarpa, Maurizio Serra, Antonio
Tabucchi (†), Gianfranco Vinay.

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Stati generali della nuova letteratura italiana - Associazione degli ...
Stati generali
della nuova
letteratura italiana
6 – 7 giugno 2019.
Due giorni di dibattiti

La letteratura italiana contemporanea sarà oggetto di dibattito a Bruxelles dal 6 al 7 giugno,
in occasione della pubblicazione di un nuovo numero della rivista “CARTADITALIA”,
dedicato a La letteratura italiana: il nuovo secolo a cura di Emanuele Zinato, Valentino
Baldi, Marianna Marrucci, Morena Marsilio. Oltre agli autori interverranno: Mario
Barenghi, Cecilia Bello, Marco Belpoliti, Andrea Cortellessa, Raffaele Donnarumma,
Paolo Giovannetti, Filippo La Porta, Matteo Marchesini, Luigi Matt, Martin Rueff,
Domenico Scarpa, Carlo Tirinanzi de Medici.

L’incontro, organizzato per iniziativa di Paolo Grossi, direttore della rivista “CARTADI-
TALIA” e dell’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, si propone di fare il punto sulla
situazione attuale del romanzo, della poesia e della prosa saggistica in Italia, in un mo-
mento in cui si moltiplicano bilanci e tentativi di sistemazione critica della più recente
produzione letteraria italiana. Durante due giorni di lavori i partecipanti si interroghe-
ranno, su temi, forme, linguaggi e strutture di un universo letterario, quello contempo-
raneo, che appare sempre meno riconducibile alle tradizionali categorie elaborate dalla
critica per rendere conto della letteratura del Novecento.

Nelle pagine seguenti vi proponiamo l’indice del fascicolo, il testo integrale dell’“Intro-
duzione” di Emanuele Zinato e due foto di Antonino Costa, autore del dossier fotografico
del nuovo numero di “CARTADITALIA”.

Il dibattito sarà trasmesso in diretta via facebook
Il testo integrale della rivista in quattro lingue sarà disponibile e scaricabile in PDF
sul sito dell’Istituto a partire dal 6 giugno.
Per ogni ulteriore informazione contattare: paololuigi.grossi@esteri.it
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Stati generali della nuova letteratura italiana - Associazione degli ...
Cartaditalia
n. 5 - 2019.

Letteratura italiana: il nuovo secolo
Introduzione

                                                              “l’arte di separare, pesare e distinguere:
                                                              sono tre esercizi utili anche a chi si
                                                              accinge a descrivere fatti o a dare corpo
                                                              alla propria fantasia”
                                                                         Primo Levi, L’altrui mestiere,
                                                                                                1985

                                                         I.
Questo numero di “CARTADITALIA” tenta di “pesare” e di “distinguere” nel primo
ventennio del Duemila quelle che un tempo si chiamavano le “patrie lettere”: operazio-
ne ardua e al contempo bisognosa di rinegoziare da zero le proprie ragioni e perfino le
proprie parole. Sulle “patrie lettere” scherzava già nel 1987 un critico fine e ironico come
Cesare Cases1 formulando al contempo, dalle pagine dell’“Indice dei libri del mese”, una
serie di giudizi lucidissimi sulla letteratura italiana del secondo Novecento. Si potrebbe
iniziare, continuando su quel solco, con la pura constatazione che le scritture in lingua
italiana sono oggi percepite dal senso comune come una periferia dell’intrattenimento
o dell’editoria transmediale: una zattera superstite e “cartacea” in un oceano visuale,
anglofono e digitale. È tuttavia necessario anche chiedersi quale punto di vista rifletta
una simile percezione, vale a dire che cosa metta a fuoco e che cosa lasci in ombra questa
fortunata immagine della cultura contemporanea. Il senso critico, infatti, non dovrebbe
corrispondere tout court al senso comune.
Va ricordato che la critica, l’operazione di chi descrive, interpreta e valuta le opere, si
differenzia dalla lettura perché, nella sua parzialità, è un atto pubblico dotato di una for-
ma e di uno stile. Non è un caso che in questo fascicolo dedicato alla letteratura italiana
dell’inizio del Duemila, oltre che per la narrativa e per la poesia ci sia uno spazio per la
“critica della critica”, ossia una breve verifica delle forme saggistiche e delle idee sulla
letteratura oggi circolanti: il mestiere del critico implica un agire comunicativo capace di

1 Cesare Cases, Patrie lettere, Torino, Einaudi, 1987.

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scommettere su ciò che potrebbe essere degno di durare e, nella sua forma essenziale, do-
vrebbe fondarsi, come quello del chimico, sull’“arte di separare il metallo dalla ganga”2.
Va anche detto che la legittimazione pubblica della critica non è costante nel tempo:
negli ultimi tre o quattro decenni, la funzione intellettuale pedagogica è percepita come
un ostacolo all’immediatezza di cui necessita l’industria dell’intrattenimento. È questa
una tendenza di dimensioni planetarie che in Italia sembra tuttavia presentarsi in modo
più subalterno e più estremo: l’ossessione espansionistica dell’audience e una malintesa
nozione di democrazia culturale, dalla fine del Novecento in poi, fanno assoluto divieto
di distinguere tra una letteratura di serie A e una di serie C, modificando le condizioni
di legittimità del critico e le forme del suo intervento pubblico.
Un secolo fa, a esempio, chi intendeva porsi un analogo compito di monitorare e di
giudicare le opere del presente, aveva alle spalle un capolavoro (la Storia della letteratura
italiana di Francesco De Sanctis) che identificava la letteratura con l’identità nazionale:
Benedetto Croce nelle “Note” sulla Letteratura della nuova Italia, dicendo la sua su Ga-
briele D’Annunzio, Giovanni Pascoli, Matilde Serao o Salvatore Di Giacomo era consa-
pevole dell’importanza estetica e storica della propria operazione parziale e, al contempo,
della difficoltà di affrontare un periodo “che nessuno aveva ancora criticamente esplora-
to”. Negli stessi anni, i giovani della “Voce” scoprivano per la prima volta la radicalità di
una crisi di mandato della letteratura e della critica, misurando la propria distanza dai
miti del Risorgimento e proponendo opere sperimentali basate sul frammento e sull’au-
tobiografia, ma mantenendo pur sempre la centralità dell’atto di scrittura-lettura.
Questa prospettiva ‘militante” è durata a lungo nel secolo che ci sta alle spalle anche
perché l’Italia è il Paese in cui alla letteratura è stato dato, a ragione o a torto, il compito
di custodire l’identità culturale. Da qualche decennio molti di questi presupposti sono
tramontati: si tratta di capire che cosa li abbia sostituiti.

                                                               II.
Alla fine del Novecento e nei due primi decenni del XXI secolo si è periodicamente discus-
so, nei convegni, sulle riviste accademiche e sui quotidiani, dello stato della letteratura, del-
la critica e dell’editoria italiana. Nella maggior parte dei casi si è trattato di una serie illustre
di cahiers de doléances (a esempio, quelli di Cesare Segre, Mario Lavagetto, Giulio Ferroni,
Alfonso Berardinelli)3. Si è insistito sulla crisi della critica, sull’impoverimento del linguag-
gio letterario, sull’interruzione della tradizione, sull’egemonia di modelli non italiani o non

2 Primo Levi, Il sistema periodico, in Id., Opere, a cura di Marco Belpoliti, Torino, Einaudi, 1997, vol. I, p. 858.
3 Cesare Segre, Notizie dalla crisi. Dove va la critica letteraria?, Torino, Einaudi, 1993; Mario Lavagetto, Eutanasia della critica,
Torino, Einaudi, 2005; Giulio Ferroni, Scritture a perdere. La letteratura degli anni zero, Roma-Bari, Laterza, 2010; Alfonso
Berardinelli, Non incoraggiate il romanzo. Sulla narrativa italiana, Venezia, Marsilio, 2011.

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letterari, sulla quantità soverchiante della produzione libraria. Da qualche tempo tuttavia
questi medesimi segni e sintomi non vengono più esposti in modo preoccupato, polemico
o nostalgico ma in maniera neutrale o euforica e apologetica (ad esempio da Alessandro
Baricco, Stefano Calabrese, Claudio Giunta, Gianluigi Simonetti)4. Sia che si tratti di una
metabolizzazione o di un adattamento, chi oggi prende la parola per parlare del campo let-
terario sembra l’ultimo esemplare di una specie che contempli la propria estinzione o che
punti viceversa a sopravvivere mutando in fretta con l’ecosistema. Più di qualcuno, per la
preoccupazione di disfarsi di un’ingombrante zavorra, sembra assumere a programma il ti-
tolo provocatorio di un rilevante romanzo di Walter Siti: Resistere non serve a niente (2012).
Il punto di svolta della “mutazione” (in cui il passato letterario sembra diventato una sco-
ria) viene per lo più attribuito a eventi epocali e inoppugnabili come la rivoluzione infor-
matica, il consolidarsi della cultura dei consumi, il formarsi di aree culturali e linguistiche
più ampie di quelle degli Stati nazionali, i desideri standardizzati del nuovo pubblico dei
ceti medi. In ogni caso, l’uno e l’altro atteggiamento, sia quello nostalgico e apocalittico
che quello disinvolto e disinibito, sono accomunati dall’idea che, con la perdita di presti-
gio della scrittura e del libro e con il tramonto della “letteratura di una volta” venga
a, la letteratura del nuovo millennio non si lascerebbe più conoscere o indagare dai con-
sueti strumenti d’analisi.
Gli assunti riguardanti le “patrie lettere” del nuovo millennio, insomma, rischiano di
tradursi in cortocircuiti logici che possono essere schematizzati più o meno così: 1) la
letteratura italiana di oggi è inevitabilmente inferiore a quella del secolo scorso ma, al
contempo, non è valutabile criticamente perché l’ipertrofia del mercato editoriale ren-
de impraticabili i tempi di assimilazione e di giudizio; 2) tutto il campo delle scritture
letterarie italiane del nuovo millennio, pur estremamente diversificato al suo interno
(da Mazzantini, Volo, Moccia e D’Avenia a Lagioia, Siti, Pecoraro, Covacich, Falco,
Trevisan, Pugno, Vinci e Vasta, passando per Camilleri, De Cataldo, Murgia, Ferrante e
Saviano) risponde agli stessi dispositivi omologhi alle nuove forme transmediali di comu-
nicazione, incentrate sulla leggerezza, sulla velocità e sull’immediatezza.

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Queste immagini “integrate” della letteratura del XXI secolo mettono bene a fuoco la forza
della “mutazione” socioculturale: dichiarano chiusa l’epoca in cui la letteratura era conside-
rata un’esperienza profonda e problematica e accolgono come un dato che la scrittura-let-
tura sia oggi per la larga maggioranza “un passatempo” (Simonetti). Tuttavia, per contro,

4 Stefano Calabrese, www,letteratura global. Il romanzo dopo il post-moderno, Torino, Einaudi, 2005; Claudio Giunta, E se non
fosse una buona battaglia?, Bologna, Il Mulino, 2017; Alessandro Baricco, The game, Torino, Einaudi, 2018; Gianluigi Simonetti,
La letteratura circostante. Narrativa e poesia nell’Italia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2018.

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pagano un alto pedaggio alla “normalizzazione”: lasciando in ombra la “bibliodiversità”5
stilistica e tematica della migliore letteratura odierna e dismettendo il compito fabbrile
della critica (quello di distinguere sempre tra livelli, generi, poetiche, modelli, temi).
Perché, occorre dirlo, nel nuovo millennio in Italia si continua a scrivere buona lette-
ratura e continuano a esserci seri tentativi di conoscerla e di giudicarla. Lo attestano i
critici che, nel primo ventennio del secolo, hanno cercato di argomentare un canone,
di costruire genealogie, di individuare degli stili dominanti, di ipotizzare delle perio-
dizzazioni. Per la poesia, vi sono state a esempio le antologie Parola plurale (2005) di
Giancarlo Alfano, Cecilia Bello, Andrea Cortellessa e altri; Poesia contemporanea dal
1980 a oggi (2007) di Andrea Afribo; Poesia e Storia. 1903-2013 (2013) di Niva Loren-
zini e Stefano Colangelo e Poeti italiani degli Anni Zero. Gli esordienti del primo decennio
(2011) di Vincenzo Ostuni; i numeri monografici delle riviste “Ulisse” (2013) e “Ti-
contre” (2017), i volumi Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (2017)
di Maria Borio; Poesia italiana postrema, Dal 1970 a oggi (2017) di Afribo e La poesia
italiana degli anni Duemila (2017) di Paolo Giovannetti. Per la narrativa, l’antologia
La terra della prosa (2014) curata da Andrea Cortellessa; Stile e tradizione nel romanzo
italiano contemporaneo (2007) di Alberto Casadei; Senza trauma: scritture dell’estremo e
narrativa del nuovo millennio (2011) di Daniele Giglioli; Ipermodernità. Dove va la nar-
rativa contemporanea (2014) di Raffaele Donnarumma; Forme della narrativa italiana di
oggi (2014) di Luigi Matt; Il romanzo contemporaneo. Dalla fine degli anni Settanta a oggi
(2018) di Carlo Tirinanzi De Medici.
Se, dalla fine del secolo scorso, i processi di concentrazione editoriale sono stati feroci e
i confini tra case editrici, network televisivi, editori di periodici e di quotidiani si sono
fatti più labili, numerosi editori indipendenti hanno tentato di costruire cataloghi dotati
di precise identità: Elliot, Fandango, Minimum fax, Nottetempo, Nutrimenti, Tunué,
NN (per citarne solo alcuni) dimostrano come l’odierna editoria italiana non risponda
per intero a logiche di standardizzazione. Del resto, anche negli interstizi dell’editoria
media e maggiore, per alcuni editori, editor, direttori di collana e traduttori non è venuta
meno l’arte progettuale di mantenere nel mercato un buon quoziente di “letterarietà”:
in questa direzione hanno lavorato a esempio Severino Cesari o Cesare De Michelis. Nel
2009 è nato Slowbookfarm, un bookshop con lo scopo di rilanciare la piccola editoria e di
mettere in vendita in rete i titoli “da salvare”. Dal 2009 al 2013, il festival Pordenone-
legge e il Premio Dedalus hanno istituito le “classifiche di qualità” (riproposte nel 2019
dalla rivista “l’Indiscreto”, a cura di Vanni Santoni) per tentare di ovviare alla strage dei
libri meritevoli e nel 2014, ideato da Paolo Grossi e redatto da Andrea Tarabbia, è stato
aperto booksinitaly, un portale on line bilingue che ha cercato di promuovere all’estero
la cultura e l’editoria italiana, con brevi pareri di lettura indipendenti e con sintetiche
motivazioni sul “perché tradurre” un libro. I “ferri del mestiere”6 della teoria e della cri-

5 Cfr. il fascicolo n. 37 del “Verri” (2007) dedicato alla “Bibliodiversità”.
6 Federico Bertoni, Letteratura. Teorie, metodi, strumenti, Roma, Carocci, 2018, p. 209

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tica possono evitare che la letteratura di oggi, abbandonata al senso comune, diventi il
terreno di nozioni vaghe e di impressioni generiche che assimilano il discorso sulle opere
a un inutile chiacchiericcio sul mondo e sulla vita. Se i difformi criteri di giudizio che
da quegli strumenti si possono desumere producono mappe incerte, plurali, variegate
e disomogenee (fin dalle diverse forcelle distintive impiegate: letteratura di ricerca vs di
consumo, letteratura di alta qualità vs di bassa qualità, letteratura effimera vs letteratura
longeva, letteratura leggera e d’intrattenimento vs letteratura colta) queste risultano pur
sempre preferibili all’assunzione dello status quo, del midcult in espansione o dell’assenza
di distinzioni come i soli orizzonti possibili. L’idea politica e culturale di Antonio Gram-
sci, ancora attuale, di considerare il campo letterario come un sistema organico nel quale
tutti i livelli, compreso quello popular, siano verificabili nelle loro reciproche interazioni
ed egemonie, non implica affatto l’abolizione del giudizio di valore differenziale, attua-
bile in ogni porzione del campo, né l’impossibilità di smascherare le ideologie annidate
nelle più banali forme testuali, a partire dalla “quistione” della lingua.

                                            IV.
Il primo, e il più collaudato, strumento di discernimento ereditabile dalla tradizione del
Novecento è dato dalla verifica dello stile e della lingua dei testi. A questo proposito, la
larghissima parte dei libri degli ultimi due decenni mostra un evidente processo di omo-
logazione stilistica: in buona sostanza, fra il 2000 e il 2018 hanno conosciuto un succes-
so di pubblico moltissimi libri mediocri, la cui lingua non presenta grandi diversità da
quella televisiva, e pressoché indistinguibili tra di loro per quanto riguarda la scrittura.
Questo medesimo dato, tuttavia, aiuta a mettere in luce per contrasto la differenza con-
cretamente apprezzabile che separa le migliaia di titoli fungibili pubblicati ogni anno, di
cui si presume non rimarrà memoria, dalle poche decine di libri potenzialmente longevi.
A esempio, la lingua, le tecniche narrative, la costruzione delle voci narranti, la gestio-
ne della temporalità di La valle dei ladri (2014) o di La galassia dei dementi (2018) di
Ermanno Cavazzoni, di Fiona (2005) o di La città interiore (2017) di Mauro Covacich,
di Riportando tutto a casa (2009) o di La ferocia (2014) di Nicola Lagioia, di Le rondini
di Montecassino (2010) o di La ragazza con la Leica (2017) di Helena Janeczek, di Tutto
il ferro della torre Eiffel (2002) o di Leggenda privata (2017) di Michele Mari, di Pausa
caffè (2004) o di La gemella H (2014) di Giorgio Falco, di Sirene (2007) o di Quando
verrai (2009) di Laura Pugno, di Il tempo materiale (2008) o di Spaesamento (2010) di
Giorgio Vasta, di Violazione (2012) o di L’amore normale (2014) di Alessandra Sarchi, di
I quindicimila passi (2002) o di Works (2016) di Vitaliano Trevisan, di Come prima delle
madri (2003) o di La prima verità (2016) di Simona Vinci, di Troppi paradisi (2006) o
di Il contagio (2008) di Walter Siti, di Kamikaze d’Occidente (2003) di Tiziano Scarpa,
                                              8
di Il duca di Mantova (2004) di Franco Cordelli o di La vita in tempo di pace (2013) di
Francesco Pecoraro possono infinitamente variare in una gamma che va dall’espressività
plurilingue e sperimentale alla linearità discorsiva, dai “linguaggi antitradizionali” fino
agli “stili semplici” (Matt) ma non sono mai banali o standardizzate. L’osservazione delle
specificità della lingua e dello stile, inoltre, è il mezzo più idoneo per ipotizzare delle
genealogie che connettano la letteratura duemillesca a quella del secolo precedente: per
tracciare cioè delle “funzioni” o delle linee stilistiche e per illuminare alcune perma-
nenze odierne (e non solo le dissolvenze) dei modelli italiani del Novecento: a partire
da Carlo Emilio Gadda, Beppe Fenoglio, Italo Calvino, Elsa Morante o Gianni Celati.
Smentendo, insomma, l’idea dominante che la tradizione sia per antonomasia liquefatta
dalla mutazione e che i soli modelli formali attingibili per gli scrittori del nuovo secolo
siano per decreto i media, le serie tv, i fumetti, i film. Un altro vantaggio delle indagini
linguistiche applicate al contemporaneo è dato dalla possibilità di mostrare l’inconsi-
stenza di accostamenti sospetti, facili e clamorosi fra scrittori del secolo passato, come
Pasolini, Morante o Primo Levi, e alcuni travolgenti casi culturali e editoriali del nuovo
millennio. Ad esempio, è stato messo in luce come i libri di Roberto Saviano, nonostan-
te la loro impostazione testimoniale, non abbiano nulla a che fare sul piano dello stile
con quelli di Levi proprio perché la “scrittura dell’enfasi” di Saviano (immagini estreme,
lessico performativo, forme apodittiche) è estranea alla lingua pacata e sobria del grande
scrittore torinese (Matt). Analogamente, è sensato pensare che un confronto sistematico
e per campioni fra la scrittura di Elsa Morante e quella di Elena Ferrante, assonanze
onomastiche a parte, finirebbe con l’evidenziare più difformità che somiglianze, a partire
dalla serialità presente nella seconda e non nella prima.
Una controprova viene dal campo variegatissimo della poesia italiana del Duemila. Sia
chi traccia una linea di direzione post-lirica che chi insiste invece sulle persistenze della
soggettività e del codice lirico, basa comunque la propria mappa su rilievi formali e su
comparazioni con l’intero arco della tradizione e non solo con la più recente oralità per-
formativa o musicale inerente l’area del rap, del rock, del pop e della canzone d’autore. A
proposito della poesia duemillesca sembra insomma ancora normale che per una rico-
gnizione sui testi sia importante lo stile e che sia possibile dunque istituire, a partire dalle
forme, confronti e accostamenti fra le raccolte di Sereni, Luzi, Zanzotto, Giudici, Forti-
ni, Pagliarani, Sanguineti, Rosselli, Raboni e Incontri e agguati (2015) di Milo De Ange-
lis, Disturbi del sistema binario (2006) di Valerio Magrelli, Dal balcone del corpo (2007)
di Antonella Anedda, Ronda dei conversi (2005) di Eugenio De Signoribus, Voi (2009)
di Umberto Fiori, Datura (2013) di Patrizia Cavalli, Ritorno a Planaval (2001) di Ste-
fano Dal Bianco, La paura (2008) di Riccardo Held, Lezioni d’amore (2004) di Patrizia
Valduga, Corpo stellare (2010) di Fabio Pusterla, Tersa morte (2013) di Mario Benedetti,
L’asso nella neve (2011) di Anna Maria Carpi, Jucci (2014) di Franco Buffoni, Sulla bocca
di tutti (2010) di Maria Grazia Calandrone, Madre d’inverno (2017) di Vivian Lamar-
que, Nel gasometro (2006) di Sara Ventroni o Neon 80 (2008) di Lidia Riviello.
Se stile e tradizione, i due concetti-guida più utilizzati dalla critica del Novecento, oggi
                                               9
soprattutto per la prosa sono insomma per lo più trascurati o dismessi, ciò non toglie
che anche per gli scrittori degli ultimi decenni sia “possibile se non necessario reinterpre-
tare la tradizione letteraria, intesa in primo luogo come eredità da riconquistare”7.

                                                               V.
Della letteratura italiana del primo Duemila si può tentare di descrivere anche il siste-
ma dei generi, la cui conclamata scomparsa è, probabilmente, il frutto di un abbaglio
prospettico. Sembra non essere rimasto granché nelle odierne “patrie lettere” dei grandi
generi della modernità e delle classi empiriche come poesia, romanzo, racconto, autobio-
grafia, saggio che hanno costituito “il più affidabile principio di generalizzazione tra le
opere singole e gli universali letterari”8. Il concetto stesso di “letteratura di genere” oggi
equivale infatti, nell’uso comune, a quello di “opere di consumo” e sugli scaffali delle
librerie i cartellini segnaletici mostrano partizioni esclusivamente merceologiche: fatta
eccezione per la riserva indiana della poesia, il campo della letteratura è suddiviso infatti
in romanzo storico, fantasy, per ragazzi, rosa, giallo. Confrontando le caselle della grande
distribuzione libraria con le
scelte testuali d’autore i risultati si possono riassumere così:
1) Il marketing editoriale tende a dare massimo risalto all’etichetta “romanzo” appiccica-
ta a testi diversissimi tra loro. Utilizza inoltre i concetti di finzione e non finzione come
equivalenti di discorso narrativo oppure argomentativo-informativo, assumendo grosso
modo la stessa modalità di distinzione di una rete televisiva che ponga in prima o in se-
conda serata una fiction, un talk show o un approfondimento.
2) La letteratura d’autore, o “di ricerca”, ha reagito inizialmente all’invadenza mediati-
ca della fiction con la fuga dal romanzo, vale a dire in modo non del tutto dissimile da
come le avanguardie reagirono un secolo fa ai generi “borghesi”. Gli autori italiani si
sono posti il problema di quali scritture opporre all’immaginario colonizzato dalle televi-
sioni al tempo “dell’inesperienza”9 sperimentando soprattutto prose poco finzionali e più
o meno testimoniali.
Esiste, tuttavia, un affollato territorio intermedio tra finzione e non finzione che può
essere indagato mediante la teoria dei generi: quello delle autofinzioni, delle biografie
finzionali e della non-fiction10. Le autofinzioni sono le prose in cui autore, narratore e

7 Alberto Casadei, Stile e tradizione nel romanzo italiano contemporaneo, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 119.
8 Antoine Compagnon, Il demone della teoria, Torino, Einaudi, 2001.
9 Antonio Scurati, La letteratura dell’inesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione, Milano, Bompiani, 2006.
10 Cfr. Hanna Serkowska (a cura di), Finzione, cronaca realtà. Scambi, intrecci e prospettive nella narrativa italiana contemporanea,
Massa, Transeuropa, 2011; L’io in finzione. Numero monografico del “Verri”, n. 64, 2017; Lorenzo Marchese, L’io possibile.
L’autofiction come paradosso del romanzo contemporaneo, Massa, Transeuropa, 2014; Riccardo Castellana, La biofiction. Teoria,
storia, problemi, “Allegoria”, n. 77, gennaio-giugno 2018, p. 67-97.

                                                                 10
personaggio coincidono (come nell’autobiografia) ma in cui il patto con il lettore è fin-
zionale (come nel romanzo): a esempio, in Troppi paradisi (2006) di Walter Siti, in Italia
de profundis (2007) di Giuseppe Genna o in A nome tuo (2011) di Mauro Covacich
l’autore fa capire in un modo o nell’altro che la storia narrata va interpretata come reso-
conto autobiografico non attendibile. Le biografie finzionali sono invece scritture su vite
documentate di personaggi storici, in cui il discorso fattuale della biografia si contamina
di finzione narrativa: a esempio, la biographie romancée di Benjamin in L’angelo della
storia (2001) di Bruno Arpaia, quella di Gerda Taro in La ragazza con la Leica (2017) di
Helena Janeczek o quella di Mussolini in M. Il figlio del secolo (2018) di Antonio Scurati,
libri in cui si esercitano le risorse della finzione a partire dal punto di vista, dalle voci
o dall’accesso all’interiorità dei personaggi. Infine, la non-fiction (i cui prototipi sono il
New Journalism nordamericano e in specie In Cold Blood di Truman Capote, del 1965),
veicola elementi finzionali solo “di contrabbando” ed è un territorio vasto e proteiforme,
a cavallo fra reportage, cronaca, memoria, autobiografia e saggio narrativo: da Antonio
Franchini che con l’Abusivo (2001) ha approfondito l’omicidio di camorra del giornalista
Giancarlo Siani, anticipando Gomorra (2006) di Saviano, ai testi non finzionali del col-
lettivo Wu Ming come Timira. Romanzo meticcio (2013) fino a La scuola cattolica (2014)
di Edoardo Albinati, un saggio narrativo che riflette sull’eros maschile negli anni Settan-
ta partendo dalla personale memoria del delitto del Circeo compiuto dai suoi compagni
di scuola.
La difficoltà di descrivere i fenomeni complessi, la “fatica dei concetti” (Donnarumma),
il bisogno di semplificare e la forza omologante del presente rischiano, anche nel campo
dei generi, di far scivolare le formule critiche nelle scorciatoie della generalizzazione: per
descrivere le oscillazioni e i confini “porosi” della finzione, incontrano molta fortuna ter-
mini passe-partout come ibridazione, meticciato o polimorfismo modellati implicitamente
su quanto accade nei palinsesti televisivi che, da tempo, fanno implodere la distinzione
tra programmi d’intrattenimento, d’informazione e di finzione attraverso l’allestimento
di generi misti (infotainment e docufiction).
È bene non farsi ipnotizzare dall’apoteosi dell’universale mescolanza, saggiando
viceversa, di volta in volta, il diverso “tasso di finzionalità” (Tirinanzi De Medici) di
queste prose e il loro dialogo con i generi della tradizione. Veridicità e invenzione, vero
e convenzionale nella letteratura italiana del Duemila come in quella del secolo che la
precede, si possono infatti considerare due modalità coesistenti (del testo e della sua
ricezione), che richiedono al lettore intensità diverse di fedeltà al patto romanzesco (per
dirla con Coleridge, diversi gradi di sospensione volontaria dell’incredulità)11. Si va dunque

11 Cfr. Francesco Orlando, Il soprannaturale letterario. Storia, logica, forme, Torino, Einaudi, 2017. Questa indagine pubblicata
postuma, come avverte Thomas Pavel nella sua “Prefazione”, riguarda la facoltà umana della finzione e le sue risorse (p. IX). Per
una mappa dei generi cosiddetti “ibridi” della letteratura italiana del Duemila, può risultare utile l’idea di Orlando che l’opera
letteraria ospiti sempre due o più istanze conflittuali, presenti a gradi diversi, e derivi la sua stessa forma dall’equilibrio instabile fra
di esse. Tra i diversi gradi di finzionalità nelle forme letterarie italiane dell’estremo contemporaneo si possono insomma ravvisare
tensioni e “formazioni di compromesso” capaci di dirci molto anche sui conflitti extraletterari e sull’inconscio politico del nostro
tempo.

                                                                     11
da un massimo di credulità necessaria (ad esempio, nel soprannaturale fantascientifico di
Sirene (2007) di Laura Pugno, di Bambini bonsai (2010) di Paolo Zanotti, di La galassia
dei dementi (2018) di Ermanno Cavazzoni o nel gotico di Leggenda privata (2017) di
Michele Mari) a un minimo tendente a zero (come nella messinscena veridico-testimo-
niale nella non fiction di Edoardo Albinati, Antonio Franchini o Roberto Saviano).
Che sia o meno legittimo chiamare “romanzo” ogni oggetto letterario interno a queste
polarità non è una questione solo nominalistica e, anche a questo proposito, il confronto
con la tradizione aiuta a discernere: se l’autofinzione è infatti sostanzialmente roman-
zesca perché mantiene parzialmente vivo il “patto finzionale”, non è così per tutta la
non fiction. Insomma la cosiddetta “ibridazione” tra storia e invenzione non è un tratto
esclusivo degli anni più recenti, tanto che già nel 1964 Luigi Meneghello rifletteva sul
genere non romanzesco dei Piccoli maestri con la sua consueta lucidità12. Del resto, nei
Promessi sposi Renzo è personaggio finzionale perché fittizio mentre il cardinale Federigo
Borromeo è personaggio finzionale ma non fittizio, l’io narrante della Recherche si chia-
ma Marcel come l’autore ma quella di Proust non è un’autobiografia, L’affaire Moro e
La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia o Lo stadio di Wimbledon di Daniele De
Giudice permettono al lettore di penetrare l’interiorità di Aldo Moro, di Ettore Majora-
na o di Bobi Bazlen attraverso gli incroci fra documento, storia e invenzione.

                                                            VI.
La fortuna della non finzione italiana, di cui il “caso” Gomorra (2006) è l’esempio più
noto, si può dunque spiegare ricorrendo alle dinamiche interne al campo dei generi
letterari: il rifiuto del “patto finzionale” per gli scrittori del primo decennio del Duemila
in cui la commistione fra neotelevisioni e potere politico è stata epocale, ha avuto a che
fare, cioè, con l’insofferenza verso il romanzo inteso come prodotto di consumo. È sta-
to insomma, al suo esordio, un tentativo di resistenza rispetto all’ invadenza del global
novel e dello storytelling televisivo: un tentativo capace tuttavia di diventare a sua volta e
in tempi brevi un supergenere, come dimostra la trasformazione del libro di Saviano in
brand internazionale13. Insomma, un po’ come negli anni Sessanta quando il Gruppo 63
collocava tra le “Liale” commerciali romanzieri come Bassani, Calvino e Moravia, anche
nel nuovo millennio risulta riduttiva l’idea che il territorio pulviscolare della letteratura
di finzione corrisponda per intero all’intrattenimento ben confezionato e seriale.

12 “Anzitutto, due parole sul genere. Il vecchio editore lo chiamò “romanzo”, il secondo anche, e io non ho niente in contrario;
ma non mi ero certo proposto di scrivere un romanzo (né del resto un non-romanzo). Ci tenevo bensì che si potesse leggere come
un racconto, che avesse un costrutto narrativo. Ma ciò che mi premeva era di dare un resoconto veritiero dei casi miei e dei miei
compagni negli anni dal ’43 al ’45 […]. Scrivere è una funzione del capire.” (Luigi Meneghello, “Nota” a I piccoli maestri (1964),
Milano, Rizzoli, 2007, p. 233-34).
13 Giuliana Benvenuti, Il brand Gomorra. Dal romanzo alla serie TV, Bologna, Il Mulino, 2018

                                                               12
Per verificare le persistenze nella narrativa italiana di forme finzionali di ricerca può essere
utile considerare l’area del racconto: un genere letterario che, proprio grazie alla posizio-
ne marginale e defilata nel campo culturale, ha potuto continuare a mettere a frutto sen-
za troppe abiure l’eredità della tradizione. Da Dove credi di andare (2007) di Francesco
Pecoraro a Segni sottili e clandestini (2008) di Alessandra Sarchi, da Per grazia ricevuta
(2005) di Valeria Parrella a Pazza è la luna (2007) di Silvana Grasso, da L’ubicazione del
bene (2009) di Giorgio Falco a L’amore e altre forme d’odio (2006) e I difetti fondamentali
(2017) di Luca Ricci, le raccolte di racconti del nuovo millennio, sempre rigorosamente
di finzione, non cedono alla narrativa di genere, conservano la forza propulsiva della
tradizione del moderno (l’introspezione, il monologo, l’analisi chirurgica di situazioni
psicosociali, familiari, provinciali o iperurbane) e non sono caratterizzate dalle ibridazio-
ni con l’autobiografia, con il documento o con il giornalismo.
Tutto questo probabilmente può essere letto come un segno di continuità di una linea
“neomodernista” che dal Novecento giunge al Duemila non solo orizzontalmente, attra-
verso i classici narratori stranieri di short stories (da Raymond Carver a Alice Munro) ma
soprattutto verticalmente, dalla nostra stessa tradizione novellistica più robusta, come
dimostrano in larga misura i racconti di Svevo, Pirandello, Tozzi, Palazzeschi, Gadda,
Delfini, Landolfi, Brancati, Moravia, Calvino, Buzzati, Primo Levi, Parise (e anche di
Saba e di Montale prosatori) talvolta esplicitamente rammentati dagli stessi attuali autori
di forme brevi14.
Il racconto italiano di oggi insomma sembra trarre forza e autonomia dalla sua stessa
marginalità. Non si tratta semplicemente di romanzi “scorciati” o di scritture di appren-
distato per futuri romanzieri: nella forma circolare delle short stories, più prossima all’o-
ralità, si nascondono tanto il personaggio modernista inetto e misantropo quanto l’at-
titudine al dettaglio, tipica del realismo, con cui “le bizzarrie e le stravaganze appaiono
sotto la veste delle cose di poco conto – e sono invece la crepa nell’edificio del mondo”
(Donnarumma). Basti pensare, per citare un solo caso, alla dimensione tellurica del quo-
tidiano, dello spazio urbano e dell’interiorità maschile, rappresentate nel racconto lungo
di Luca Ricci Trascurate Milano (2018).

Nei primi due decenni del Duemila anche nel campo della poesia, genere a sua volta per
vocazione appartato, vi sono stati dei tentativi di riscattare e di ridefinire la lirica e di cir-
coscrivere una “poesia di ricerca”. Paolo Zublena15 ad esempio, e Paolo Giovannetti16 si
sono serviti variamente di questa etichetta con riferimento alla prassi di quei poeti, come
Andrea Inglese, Marco Giovenale, Gherardo Bortolotti, Massimo Sannelli e Michele
Zafferano che nel 2006 hanno fatto confluire le comuni riflessioni e sperimentazioni nel

14 Alle forme brevi del narrare sono dedicati i numeri monografici di “Bollettino ’900” del 2005 e di “Moderna” del 2010.
Inoltre sulle forme brevi si rinvia a Mara Santi e Tiziano Toracca (a cura di), Il racconto modernista in Italia. Teoria e prassi.
Introduzione di Raffaele Donnarumma, Avellino, Edizioni Sinestesie, 2016.
15 Paolo Zublena, Come dissemina il senso la poesia ‘di ricerca’, “Enciclopedia Treccani” on line. Zublena ha anche curato Nuovi
poeti italiani, il fascicolo monografico di “Nuova corrente”, LII, 135, gennaio-giugno 2005.
16 Paolo Giovannetti, “Introduzione” a Prosa in prosa, Firenze, Le Lettere, 2009.

                                                               13
movimento GAMMM17. L’area della “poesia di ricerca” è tuttavia più ampia: a detta del-
lo stesso Giovannetti (nell’introduzione a Prosa in prosa) comprende anche esperienze di
segno opposto ma che comunque guardano all’origine della poesia legata alla dimensio-
ne orale, alla sua costitutiva relazione con la voce e con la musica (il principale esponente
di questo filone è Gabriele Frasca).
In senso più complessivo, è rilevante ai fini di una possibilità di discernere i fenomeni
delle scritture contemporanee, che per la poesia italiana “postrema” (Afribo) si sia avverti-
to, accanto alla centralità del binomio lingua e stile, il bisogno di rinominare le poetiche.
Le idee sul fare poesia infatti, anche quando sono per lo più individuali e non di gruppo,
esplicitano pur sempre un progetto artistico “che combina una parte empirica – quella dei
temi, dello stile – e una parte teorica”18. Pur essendo insomma quello della poesia italiana
contemporanea un campo “fluido”, “plurale”, “libero da sistemi e ideologie onnicom-
prensive”, risulta ancora un terreno in parte conoscibile con i criteri cosiddetti “tradizio-
nali”: le riflessioni sulla scrittura di autori come Antonella Anedda, Franco Buffoni, Fabio
Pusterla, Umberto Fiori, Antonio Riccardi, Mario Benedetti “declinano un punto di vista
lirico critico che accetta la fluidità e l’ibridazione” rinnovando “l’idea di canone, di generi
ma soprattutto il rapporto tra scrittura ed etica e tra soggettività e conoscenza” 19.

                                                              VII.
La letteratura del nuovo millennio, pur nella sua specifica forma plurale, presenta un
proprio repertorio di temi e di modelli dominanti. Uno dei primi numeri di questa
stessa rivista (“CARTADITALIA”, n. 2, 2009) tentava di raccontare la cultura italiana
del presente attraverso le voci di undici poeti20 e a partire da una constatazione: “i poeti
italiani contemporanei sono ossessionati […] dagli stati di violenza attuali”21. Proba-
bilmente è il conflitto la costante tematica o la figura ossessiva non solo della poesia ma
della letteratura italiana del Duemila. Mentre la soglia del secolo sembrava recare con sé
la promessa del tramonto dei muri e delle contraddizioni, l’immaginario ha continuato
viceversa a mettere a tema cocciutamente ciò che con il lessico di Samuel Beckett “non
smette di finire”. Scritture e stilemi di tipo realistico sono tornati al centro della ricerca

17 Marco Giovenale, Cambio di paradigma, “GAMMM”, 10 febbraio 2011. Nel 2009 una parte dei poeti del gruppo GAMMM
ha dato vita a Prosa in prosa il volume che raccoglie i loro testi scritti in una forma interamente prosastica e che, tuttavia, richiede
strumenti di lettura tipici della poesia. Alcuni di questi poeti trovano posto anche nell’antologia curata da Vincenzo Ostuni, Poeti
degli anni Zero. Gli esordienti del primo decennio, Roma, Ponte Sisto, 2011.
18 Mario Borio, Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000, Venezia, Marsilio, 2017, p. 11.
19 Ibidem, p. 16-17.
20 Giampiero Neri, Jolanda Insana, Patrizia Cavalli, Luciano Cecchinel, Eugenio De Signoribus, Franco Buffoni, Mariangela
Gualtieri, Fabio Pusterla, Antonella Anedda, Maria Grazia Calandrone, Maria Luisa Vezzali.
21 Martin Rueff, A corpo a corpo. Nuove variazioni belliche. Prefazione a “CARTADITALIA”, n. 2, novembre 2009, p. 6.

                                                                  14
letteraria e al fenomeno è stato dato il nome controverso di “ritorno alla realtà”22: alcuni
critici23 hanno letto nella tendenza a rappresentare il conflitto l’esaurimento delle poe-
tiche postmoderniste incentrate sul gioco (il citazionismo, il pastiche, l’intertestualità),
altri24 hanno interpretato il “New italian realism” come una “coazione alla cronaca”. In
effetti i temi politici e sociali, al di là della sincerità di chi li affronta, “fanno audience”
e solo la promozione dell’attualità a tema e dello scrittore a personaggio sembrano con-
sentire una qualche forma postmoderna di “impegno”25. Da ciò il proliferare “editoriale”
di motivi come le migrazioni, le guerre, il crimine, la precarietà, il terrorismo. Tuttavia,
anche sul piano del trattamento dei temi è possibile distinguere tra i moltissimi libri me-
diocri e i pochi che tendono a mettere in forma il nesso tra le storie private e quello che
Don DeLillo ha denominato “the power of history”, cioè il flusso del tempo collettivo
in cui raccogliere le temporalità frantumate delle esperienze singolari. Insomma, al di
là della retorica delle “storie vere”, vi sono in Italia scritture che tentano di situarsi nel
solco della tradizione moderna: quella che, da Flaubert in poi, è stata impietosa verso
ogni pretesa d’investimento di valore nelle proiezioni del sentimento e nel movimento
della storia e che in Roth, Yehoshua, Coetzee, Cunningham, McCarthy ha trovato dei
continuatori non epigonali. La letteratura italiana meno gracile prova a battere una stra-
da analoga nel trattare l’incrocio fra interiorità e mondo. Per apprezzarla e incoraggiarla
non basta redigere l’elenco dei temi “conflittuali” presenti in questi libri (a esempio, il
trauma degli anni di piombo in Il tempo materiale, la metamorfosi del lavoro in Ipotesi di
una sconfitta, l’ipnosi degli anni Ottanta in Riportando tutto a casa, la colonizzazione te-
levisiva in Troppi paradisi, la mutazione ecologica in Violazione o in Sirene o la catastrofe
del desiderio in Bruciare tutto), ma occorre analizzare l’ incrocio fra i temi e le diverse
scelte formali: il rilievo dei dettagli, la struttura multiprospettica, la costruzione di dispo-
sitivi di straniamento, la gestione della temporalità.
Che la nostra letteratura, quanto a risultati, sia inferiore a quelle anglofone o ispaniche
non giustifica il cinismo, la depressione o l’esterofilia con cui viene accolta. E soprattut-
to non esime la critica dal mettere a punto criteri di giudizio praticabili. I parametri di
“leggibilità” delle scuole di scrittura e dell’editoria (la bontà del plot e la seduzione del
lettore) non sono i soli possibili per misurare un’opera di oggi né di un secolo fa, quando
un capolavoro come Senilità di Svevo passava inosservato mentre Mimì bluette fiore del
mio giardino di Guido da Verona vendeva 300.000 copie. Il ritorno della trama a partire
dagli anni Ottanta (da Il nome della rosa in poi) non ha liquidato la variegata tensione a

22 Raffaele Donnarumma, Gilda Policastro, Giovanna Taviani, Ritorno alla realtà? Narrativa e cinema alla fine del postmoderno,
“Allegoria”, n. 57, 2008, p. 7-95; Wu Ming, New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi,
2009; Vittorio Spinazzola (a cura di), Tirature 2010. Il New Italian Realism, Milano, Il Saggiatore, 2010. Silvia Contarini, Maria
Pia De Paulis Dalembert, Ada Tosatti, Nuovi realismi: il caso italiano. Definizioni, questioni, prospettive, Massa, Transeuropa,
2016.
23 A esempio, Romano Luperini, Dal modernismo a oggi. Storicizzare la contemporaneità, Roma, Carocci, 2018.
24 A esempio, Pierluigi Pellini, Lo scrittore come intellettuale. Dall’“affaire Dreyfus” all’“affaire Saviano”: modelli e stereotipi,
“Allegoria”, n. 63, 2011, p. 135-163.
25 Pierpaolo Antonello e Florian Mussgnug (a cura di), Postmodern Impegno: Ethics and Commitment in Contemporary Italian
Culture, Berna, Peter Lang, 2009.

                                                                 15
sperimentare la forma romanzo che il Novecento italiano aveva posto in essere con opere
come La coscienza di Zeno, La cognizione del dolore, Una questione privata, Corporale,
Horcynus Orca, Aracoeli. Queste contraddizioni sono ancora attuali nell’arcipelago lette-
rario odierno: i romanzi di Elena Ferrante, a esempio, hanno incontrato negli Stati Uniti
un’accoglienza sconosciuta ai libri di Vitaliano Trevisan, di Mauro Covacich o di Simona
Vinci non solo per i motivi antropologici che veicolano ma anche per la riconoscibilità
delle situazioni attese e per la serialità dell’intreccio con cui sono confezionati. Il giudizio
di valore, del resto, non si esercita in modo grossolanamente quantitativo, in base all’alto
gradimento o al suo rovescio: occorre piuttosto cercare di chiarire a quale progetto auto-
riale e a quali bisogni dei lettori risponda un’opera e quali scarti o conferme la sua forma
e il suo stile producano nell’orizzonte d’attesa.
Per storicizzare la contemporaneità, infine, si può considerare in modo spassionato la
questione della globalizzazione dei modelli culturali. Non si tratta di un fenomeno del
tutto nuovo: la dicitura “patrie lettere” suscitava già negli anni Ottanta il sorriso di Ce-
sare Cases perché, com’è noto, la “letteratura nazionale” è una costruzione ottocentesca e
perché, da una certa data in poi, non c’è scrittore italiano che non si sia formato su Flau-
bert, su Dostoevskij, su Kafka, o su Baudelaire, su Eliot, su Valéry. Attingere a modelli
transnazionali non ha voluto dire, però, buttare alle ortiche quelli della propria tradizio-
ne linguistica quanto piuttosto rileggerli e contaminarli.

La condizione globale, unitamente all’invadenza della mediosfera, oggi viene impugnata
come prova dell’impoverimento inevitabile dell’esperienza letteraria. Tuttavia, se l’esteti-
ca globale contemporanea ha a che fare con la derealizzazione indotta dai nuovi media,
ciò non significa che il codice della scrittura-lettura sia stato privato di necessità della sua
forza di rappresentazione: come il romanzo e la poesia del Novecento hanno saputo mi-
surarsi con la folla, i tram elettrici, le conversazioni telefoniche, le sale cinematografiche,
le officine e le vetrine di merci, così oggi quei medesimi generi letterari sono in grado di
ritagliare dall’esperienza del mondo la percezione dei non luoghi, le conversazioni eroti-
che dei social, il lavoro interinale, il desiderio di acquisto su e-bay.

Si può dunque ipotizzare che, per la formazione degli scrittori italiani di oggi, non con-
tino solo Roberto Bolaño, Michel Houellebecq, David Foster Wallace o Bret Easton
Ellis ma anche la contaminazione fra questi autori e i sedimenti del nostro Novecento
e, in specie, di quei libri che hanno narrato gli “anni complicati” 26: l’età fra il Sessanta
e l’Ottanta che, con la trasformazione del territorio, le grandi migrazioni interne, l’av-
vento della cultura dei consumi, ha anticipato da noi ciò che sarebbe capitato poi su
scala globale. L’Italia non è solo un paese sgangherato e “mancato”27: è stata anche un
laboratorio culturale e sociale in cui le promesse emancipative della modernità si sono

26 Roberto Contu, Anni di piombo penne di latta. (1963-1980. Gli scrittori dentro gli anni complicati), Perugia, Aguaplano, 2015.
27 Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Roma, Donzelli, 2003.

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presentate con una forza concentrata e sconcertante (si pensi, a titolo di esempio, a Ivrea
olivettiana, al biennio 68-69, alla riforma Basaglia) e la letteratura è la sola sonda che
abbia esplorato per intero la nostra convulsa modernizzazione. Grazie alle più coraggiose
scritture del Duemila e al loro dialogo segreto con il Novecento, il non contemporaneo
può riaffiorare come contemporaneo28 e perfino opere in apparenza inattingibili come
La ragazza Carla di Elio Pagliarani, Memoriale di Paolo Volponi, La vita agra di Luciano
Bianciardi o Il padrone di Goffredo Parise, possono tornare ad agire indirettamente sulle
forme del nostro immaginario, presenti e future29.

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28 È un concetto coniato da Ernst Bloch in Eredità del nostro tempo (1935).
29 Giorgio Falco ha argomentato il debito del suo romanzo La gemella H (2014) nei confronti della scrittura di Pagliarani nella
conferenza “Un cielo di riporto”, tenuta presso la Scuola galileiana di studi superiori a Padova il 20 marzo 2018 e ora in corso
di stampa in “Studi novecenteschi”. Nello stesso ciclo di lezioni, sono stati indicati come modelli Paolo Volponi da Alessandra
Sarchi e Elsa Morante da Walter Siti. La scrittura narrativa di Francesco Targhetta in versi (Perciò veniamo bene nelle fotografie,
2012) e in prosa (Le vite potenziali, 2018) mostra a sua volta un robusto legame con la tradizione del racconto versificato del
Novecento.

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