10 GENNAIO - UFFICIO STAMPA - Libero Consorzio Comunale di Ragusa

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ATTUALITA                                                                                                          10/1/2019

La mappa

Sì al piano ospedali: 5mila assunzioni
Roma approva la nuova rete varata da Musumeci e Razza. Tagliati 196 primariati, salvi i mini-
presidi del Catanese

GIUSI SPICA

Via libera da Roma alla rete ospedaliera targata Musumeci. I ministeri della Salute e dell’Economia, come annunciato
dall’assessore alla Salure Ruggero Razza, hanno dato parere favorevole al piano della Regione che porterà al taglio di 196
poltrone da primario ( 89 nel pubblico e 107 nel privato) e all’aumento di 1.700 posti letto. La sforbiciata farà risparmiare
subito due milioni di euro di superstipendi.
Il sì del governo giallo-verde
Il ministero dell’Economia, guidato da Giovanni Tria, e quello della Salute, retto dalla cinquestelle catanese Giulia Grillo,
hanno promosso il piano che in commissione Sanità all’Ars era stato bocciato proprio dai componenti M5S nell’agosto scorso.
L’assessorato regionale sta mettendo a punto il decreto di approvazione definitiva della rete, che aprirà la nuova stagione dei
concorsi al palo dal 2012. Le oltre 5mila assunzioni previste potranno partire solo dopo l’approvazione delle nuove piante
organiche da parte delle 18 aziende sanitarie e ospedaliere. Il piano Musumeci è una rivisitazione di quello dell’ex assessore
Baldo Gucciardi che aveva ottenuto il parere favorevole da Roma. Rispetto al predecessore, l’assessore alla Salute Ruggero
Razza non ha calcato la mano su Catania e provincia, la sua zona, salvando ospedali a perdere come Giarre e non toccando
Militello, paese del governatore Musumeci, mentre è ridimensionata la provincia di Trapani, terra di Gucciardi che nella
vecchia bozza aveva ottenuto molte concessioni.
Il taglio dei primariati
La nuova rete si adegua ai parametri del decreto Balduzzi che fissa un rapporto preciso tra posti letto e unità complesse. I
primariati nel pubblico si riducono a 740 rispetto agli 839 attuali. Nel privato passano da 185 a 93. Ma qui il taglio è quasi
indolore: le case di cura non perderanno un euro di budget né posti letto. Rispetto alla bozza Gucciardi, la provincia più
penalizzata è Trapani, che perde 19 unità complesse. La scure anche su Palermo: il Civico taglia 10 unità, Villa Sofia- Cervello
9, ma molte esistevano solo sulla carta. Nel Messinese sono 20 le poltrone da primario che saltano.
Più posti letto
Complessivamente nasceranno 1.700 posti letto che non erano stati attivati in passato. I posti per pazienti acuti cresceranno di
264 unità, gli altri saranno di lungodegenza e riabilitazione. Ma è sul piano politico che si è combattuta la battaglia per salvare
piccoli ospedali come Giarre, Barcellona Pozzo di Gotto e Petralia Sottana.
La Sicilia occidentale
Nel Palermitano la rete prevede il declassamento degli ospedali Villa Sofia e Cervello come Dipartimenti per l’emergenza e
accettazione (Dea) di primo livello, conferma l’azienda Civico e il Policlinico come strutture di secondo livello con tutte le
specialità, mentre il Giglio di Cefalù diventa ospedale di primo livello, come l’Ingrassia. Restano come "presidi di base" gli
ospedali di Partinico e Termini Imerese, mentre Corleone e Petralia Sottana sono classificati come presidi in zone disagiate. A
Trapani l’ospedale di Marsala diventa Dipartimento di primo livello come gli "ospedali riuniti" di Trapani e Salemi. Confermati

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come ospedali di base, ovvero dotati di pronto soccorso e di almeno quattro specialità, le strutture di Mazara del Vallo,
Castelvetrano e Alcamo. Presidio in zona disagiata quello di Pantelleria.
La Sicilia orientale
Una novità riguarda l’ospedale di Giarre, che diventa autonomo rispetto ad Acireale e riconquista il pronto soccorso. Per il
resto, confermato il piano Gucciardi: il Cannizzaro, il Garibaldi e il Policlinico sono i tre ospedali di secondo livello, mentre
quelli di primo livello sono il Gravina di Caltagirone e l’ospedale di Acireale. Presidi di base quelli di Biancavilla e Paternò che
eviteranno la chiusura, mentre Militello Val di Catania diventa struttura in zona disagiata. Poche novità nell’area Ragusa-
Siracusa, se si esclude la "promozione" dell’ospedale di Modica-Scicli a Dipartimento di primo livello.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Assessore
Ruggero Razza, esponente del movimento Diventerà bellissima del governatore Musumeci e titolare della delega alla Sanità
nella giunta regionale

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Il business

Amministrazione online la Regione ci riprova
Affare da 300 milioni
L’assessore Gaetano Armao, rilancia l’agenda digitale che in passato è costata sprechi e scandali.
Ecco chi torna in corsa per gestirla

antonio fraschilla

L’ultima volta che la Regione ha tentato il grande salto nel mondo dell’informatizzazione e dell’hi-tech è stato un bagno di
sangue da oltre 200 milioni di euro: software pagati a peso d’oro e mai utilizzati, progetti faraonici che hanno fatto la fortuna
solo delle società di consulenza, contenziosi milionari con i privati, assunzioni senza alcuna selezione pubblica. Di questa
epopea nata in epoca cuffariana e proseguita con il governo Lombardo e con quello di Crocetta se ne stanno occupando i
giudici civili alle prese con i contenziosi e le richieste di risarcimento. Ma adesso, nella nuova era Musumeci, la Regione ci
riprova: ed ecco sul piatto oltre 300 milioni di euro di fondi statali ed europei per la creazione «dell’agenda digitale della Sicilia
» . « Abbiamo già speso 75 milioni per portare la banda larga in tutta l’Isola, un progetto importante per fare dell’Isola un hub
informatico del Mediterraneo », dice l’assessore all’Economia Gaetano Armao.
L’ex assessore del governo Lombardo adesso tornato sulla poltrona di via Notarbartolo all’Economia, come primo atto dal suo
insediamento aveva sospeso la pianificazione lasciata in eredità sull’agenda digitale dal suo predecessore, Alessandro Baccei.
Troppo politicamente delicata la materia, considerando che sull’informatizzazione a disposizione c’è davvero un fiume di
denaro. Soltanto per portare la banda larga in tutti i 390 comuni dell’Isola lo stanziamento è di 184 milioni. L’appalto è gestito
attraverso il ministero dello Sviluppo economico, che a sua volta ha affidato il contratto al consorzio Open Fiber: « La
certificazione della spesa procede spedita », dice l’assessore Armao.
Ma nel grande calderone dell’agenda digitale ci sono altri progetti per sviluppare connessioni e soprattutto nuovi software per
la pubblica amministrazione che sono molto ambiti dalle aziende del settore. Qui sul piatto ci sono altri 150 milioni di euro
circa. Si va dal progetto per portare il wi- fi pubblico nei «principali itinerari e luoghi del turismo in Sicilia » ( quindi piazze
storiche, siti Unesco e parchi archeologici), alla realizzazione di un data center regionale per consentire la dismissione del
vecchio centro dati di Sicilia e-Servizi che per anni è stato ospitato in alcuni stanzoni di Pont Saint Martin in Valle d’Aosta. Ma
la vera partita che si apre è soprattutto quella dei software della pubblica amministrazione. Molti progetti riguardano la sanità:
si va dalla cartella clinica elettronica al portale del cittadino che consentirebbe di prenotare online le visite, ricevere documenti
sulla situazione clinica, chiedere appuntamenti e pagare anche prestazioni e ticket. Sempre in tema sanitario, previsto un nuovo
sistema di comunicazione per il 118.
Un progetto importante è quello per «l’aggiornamento tecnologico delle postazioni di lavoro » dei dipendenti regionali: un
sistema che dovrebbe portare online tutta la burocrazia regionale consentendo a cittadini e imprese di comunicare in maniera
veloce e di sapere in ogni momento a che punto è la loro pratica. In questo sistema tutti i pagamenti con la Regione potrebbero
avvenire online.

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Nel programma dell’agenda digitale previsto anche un software per una nuova piattaforma degli appalti pubblici: in passato la
Regione ha pagato circa 2 milioni di euro per un software analogo mai utilizzato, salvo poi scoprire che poteva utilizzare
gratuitamente un sistema già creato per lo Stato.
I progetti per la nuova avventura informatica di Palazzo d’Orleans sono comunque una miriade. Ma chi li gestirà? Come
saranno assegnate le commesse? La Regione non farà appalti pubblici, ma si affiderà alla Consip, la stazione appaltante dello
Stato. La Consip in base alla materia e al tipo di richiesta ha già fatto gare con ditte private. Ad esempio ha già affidato la gara
per l’assistenza informatica agli enti locali della Toscana e di diverse regioni del Centro- Sud, compresa la Sicilia: gara vinta da
un raggruppamento d’imprese composto da Engineering, Ntt data e Pricewaterhouse, che quindi si occuperebbero di alcuni
punti dell’agenda digitale dell’Isola.
Nulla di strano, se non fosse che Engineering è stata il socio privato di Sicilia e-Servizi ai tempi d’oro e ha in corso un
contenzioso da 90 milioni di euro contro la Regione per pagamenti di prestazioni fatte come socio di e- Servizi. Inoltre un ruolo
in questa partita lo avrà Sicilia Digitale, ex e- Servizi, alla guida della quale Musumeci ha nominato Massimo Dell’Utri:
avvocato, con Cuffaro è stato vice presidente dell’Irfis e quando Saverio Romano era ministro ha avuto un incarico in una
controllata dell’Agea.
Insomma, un pezzo del passato che torna in questa partita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gaetano Armao e Nello Musumeci

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Il documento

Montante, la strategia dei dossier
"Ho avuto rapporti confidenziali con quasi tutti i magistrati di Caltanissetta". L’ultima mossa show in
udienza

Salvo palazzolo

Lo stile è quello di sempre, inconfondibile. Nelle 62 pagine appena depositate nel rito abbreviato che lo vede imputato Antonello
Montante dice e non dice. Manda segnali, non è mai chiaro a chi. Lascia intendere e promette di aggiungere. Chissà quando. Però,
intanto, ha raggiunto l’obiettivo che si era prefisso. Far sapere che conta ancora, nonostante sia in carcere da maggio con l’accusa di
associazione a delinquere.
Conta — fa intendere — perché sa, perché ha conservato, schedato e rielaborato. È ormai una certezza leggendo la sua ultima sfida.
Un’istanza alla Corte di Cassazione, per provare a spostare il processo. Invocando la legittima suspicione, come tanti altri imputati
eccellenti hanno fatto prima di lui. L’intramontabile accusa che non c’è serenità attorno al processo. Testualmente: « C’è assenza di
serenità da parte dei soggetti processuali che si stanno occupando del mio caso », ha scritto Montante. E senza girarci attorno ha
precisato: « Con la maggior parte dei magistrati di Caltanissetta non ho avuto solo intensi rapporti istituzionali, per le iniziative prese
come responsabile di Confindustria, ma frequentazioni intime e confidenziali».
Dice e non dice, citando praticamente tutti i vertici giudiziari nisseni dal 2004 a oggi. « Lo scrivente, nella qualità di vertice locale,
regionale e nazionale di Confindustria, a partire dal 2005 ha intrapreso una intransigente lotta a Cosa nostra » . Il suo cavallo di
battaglia. « I rapporti con la magistratura sono stati continui, stretti, stimolanti, fino all’incitazione di collaborazioni giudiziarie molto
incisive ed anche di reciprocità di comportamenti di rispetto e di solidarietà istituzionale e personale » . Un capolavoro di sintesi. Per
ricordare, senza dire. Per legittimarsi, minacciando di delegittimare. « I costanti rapporti di Antonello Montante con la magistratura »
, si intitola un capito dell’istanza alla Corte di Cassazione, depositata dall’avvocato Giuseppe Panepinto e dal nuovo legale dell’ex
presidente di Sicindustria, il vulcanico professore Carlo Taormina, che ha preso il posto di Nino Caleca, nominato al Consiglio di
giustizia amministrativa.
Montante e i suoi dossier pieni zeppi di nomi, magari ce ne sono altri conservati da qualche altra parte. L’istanza è una sorta di
promemoria. Quando parla della «fitta rete di rapporti con tutti i magistrati ( ma anche con le forze dell’ordine) » spiega che sono «
sia di natura istituzionale, dovuti alla partecipazione a convegni, manifestazioni ed iniziative, inevitabilmente anche di carattere
personale » . Che in fondo potrebbe essere una cosa normale nella dinamica dei rapporti sociali. Ma Montante accentua, fa intendere.
Parla di « frequentazioni intime e confidenziali » . Dice e non dice. Come quando fa intendere che quei rapporti erano addirittura
tramandati. Come dire, l’unico « sistema » che esisteva era quello dell’antimafia. E non a caso Montante usa un’altra espressione
chiave che dà molto il senso: il passaggio del testimone di un « personale rapporto di amicizia » trasferito dall’allora procuratore
Francesco Messineo al «suo successore, il dottore Sergio Lari, che al momento del suo insediamento, nel 2008, riceve la specifica
consegna del rapporto di leale ed assoluta collaborazione già collaudata con Montante». Come se Montante, con la sua svolta
antimafia in Confindustria, e la procura nissena fossero stati la stessa cosa. Quando invece è stata proprio la procura di Sergio Lari ad
avviare l’indagine su Montante, dopo le prime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Tanto che l’attuale procuratore nisseno
Amedeo Bertone ha subito replicato dopo la presentazione dell’istanza: « Noi siamo sereni e tranquilli, come sempre. Anche rispetto
a questa richiesta della difesa. Non abbiamo scheletri negli armadi » . E il processo prosegue.
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La riforma costituzionale

Referendum, c’è l’accordo Lega e 5S: “ Quorum
al 25%”
Accolto emendamento Pd, soglia valida per le consultazioni propositive e abrogative

concetto vecchio,

roma
Il referendum propositivo che sta per nascere in Parlamento sarà valido se il 25 per cento degli aventi diritto avrà votato sì.
Questo quorum approvativo del 25 per cento sarà introdotto anche per i referendum abrogativi, cambiando così l’articolo 75
della Costituzione. È la doppia novità sancita ieri in Commissione Affari Costituzionali della Camera, dove la relatrice M5S
Fabiana Dadone ha dato parere positivo a un emendamento di Stefano Ceccanti (Pd).
Il passo indietro M5S. I Cinquestelle rinunciano così all’idea iniziale di un referendum senza quorum, e vanno incontro alla
Lega, che nei giorni scorsi aveva presentato e poi ritirato una modifica che introduceva una soglia sui votanti del 33 per cento.
«Il quorum zero è morto, vittoria della nostra proposta», ha twittato Emuanele Fiano, della presidenza del gruppo Pd alla
Camera. « Un passo avanti significativo » , ha commentato Roberto Speranza (Leu).
Le trivelle venivano stoppate.
Con questa modifica non sarà più possibile pensare di affossare le consultazioni, invitando i cittadini ad andare al mare. La
battaglia si sposterà sul merito. È stato calcolato che i referendum per essere validi dovranno avere almeno 12,5 milioni di sì, a
patto naturalmente che questi superino i no. Il referendum sulle trivelle, per dire, il 17 aprile 2016 così sarebbe passato: i sì
furono oltre 13 milioni.
Legge attuativa. Dadone si è espressa favorevolmente anche su un altro emendamento di Ceccanti, per il quale la legge
attuativa della riforma deve essere approvata dalla maggioranza assoluta delle Camere.
Fraccaro: riforme con tutti.
« Sulle riforme il governo ha sempre inteso favorire il più ampio consenso possibile. Per questo valutiamo positivamente la
decisione di cancellare il quorum strutturale. Con questa innovazione l’impianto degli istituti di democrazia diretta ne risulterà
rafforzato » , ha detto il ministro per i Rapporti con il parlamento e la Democrazia diretta, Riccardo Fraccaro.
Due nodi da sciogliere. Ma restano sul tavolo due nodi rilevanti, che le opposizioni contestano fortemente. Il primo riguarda le
materie oggetto di referendum propositivo. Pd e Forza Italia chiedono l’esclusione delle leggi di spesa e di materia penale. Il
testo base al momento pone dei limiti soltanto «se la proposta non rispetta i principi e i diritti fondamentali garantiti dalla
Costituzione, nonché i vincoli europei ed internazionali » . « Ma in questo modo - ha fatto notare il radicale Riccardo Magi di +
Europa sarà possibile proporre quota 50 per le pensioni, indicando genericamente le relative coperture di spese».
Il rischio ballottaggio. C’è, in secondo luogo, la grande questione del ballottaggio popolo-Parlamento. La riforma prevede
infatti un derby tra il testo dei promotori e quello espresso dalle Camere. Le opposizioni restano pesantemente contrarie a
questa ipotesi. Il Pd Andrea Giorgis teme uno svuotamento dell’articolo 70 della Costituzione che affida la funzione legislativa
al Parlamento, poiché la riforma pretende che il Parlamento approvi la proposta di iniziativa popolare entro 18 mesi dalla

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presentazione. «La democrazia diretta non può sostituire l’articolo 70. Si rischia un lobbismo preordinato», ammonisce
Francesco Paolo Sisto ( Forza Italia).
Emendamenti. Ieri in Commissione è iniziato il voto degli emendamenti. Erano 270, ne hanno respinti 50. Accolto quello che
fissa a 200mila firme la soglia per il vaglio di ammissibilità del referendum. Il 16 gennaio la proposta dovrà andare in aula.
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Le alleanze

Estremisti di destra, pirati, anarchici lo strano
casting dei 5S per le europee
alberto d’argenio,

Dal nostro corrispondente
bruxelles
Prende forma la squadra con la quale Luigi Di Maio punta a conquistare l’Europa. Sul fronte interno il vicepremier sogna
candidature televisive, con Licia Colò e Sarah Varetto in cima ai desideri per recuperare consensi dopo il calo nei sondaggi. E
per rinforzare la nuova alleanza con la quale il Movimento intende diventare ago della bilancia nella Ue. Anche se per ora la
rete è composta appena da altri tre partiti guidati rispettivamente da un rocker polacco di estrema destra, un punk croato
antisistema e una giovane studentessa finlandese iper liberista.
Le europee di maggio si avvicinano, ma Di Maio nei prossimi cinque anni rischia di dover far accomodare i suoi tra i banchi
che l’Europarlamento riserva ai non iscritti. Per formare un gruppo nell’Assemblea Ue, infatti, servono almeno 25
europarlamentari provenienti da 7 paesi. Per ora Di Maio & Co sono in 4. E nemmeno tutti sicuri di portare eletti a Strasburgo.
Questo il frutto della missione super riservata del vicepremier martedì a Bruxelles. A informare gli europarlamentari dei
negoziati, ieri, è stata Cristina Belotti, ex ras del gruppo pentastellato in Europa oggi tra le figure più vicine al capo politico a
Roma. Nel corso dei colloqui ha fatto due esempi di personalità della società civile capaci di prendere voti: Di Maio punta a
candidare Licia Colò e l’ex direttore di Sky Tg24, Sarah Varetto. Ipotesi circolata e smentita nei giorni scorsi, ma ieri
confermata nelle segrete stanze di Bruxelles.
Poi c’è il capitolo alleanze, con i Cinquestelle che causa Brexit resteranno orfani dello Ukip. Di Maio, già respinto da Macron,
Liberali e Verdi, punta a un gruppo tutto suo, con partiti nuovi pronti a riunirsi in un manifesto a base di «democrazia diretta,
diritti sociali, innovazione e lotta ai privilegi». Ma chi sono i tre leader che il vicepremier ha incontrato a Bruxelles definendoli
poi «le energie più fresche e belle dell’Europa»?
Il più noto e forte nelle urne è il polacco Pawel Kukiz, cantante rock, fondatore di “Kukiz 15”, partito anti-establishment nato
da una scissione dal Movimento Nazionale, compagine nota per le manifestazioni pro razza bianca nel centro di Varsavia e per i
contatti con Forza Nuova, franchisti e Jobbik. Questo è il retroterra del 56enne vocalist, contrario ad aborto e adozioni gay che
alle ultime presidenziali ha preso il 20%. Ma ora la sua creatura è crollata nei sondaggi, viaggia sul 6%: con queste percentuali
in Europa porterebbe giusto una manciata di deputati. Alleanza che oltretutto nel Movimento sta creando diversi dubbi, come
testimoniava ieri la senatrice Elena Fattori: «Siamo preoccupati per la predilezione a dirigere il nostro pragmatismo verso
l’estrema destra».
Forse il secondo alleato scovato dai talent scout di Di Maio, guidati dall’europarlamentare Castaldo, tranquillizzerà i suoi, visto
che viene da un mondo opposto a quello di Kukiz: si tratta del 28enne croato Ivan Vilibor Sincic, leader di Zivi Zid (“Scudo
umano”). Viene descritto come un ex punk anarchico. Capace di prendere il 16% alle presidenziali del 2014 con le sue politiche
anti sistema e contro i pignoramenti delle banche. Vuole portare la Croazia fuori dall’Unione, dalla Nato e professa il

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protezionismo. Ma nonostante i buoni sondaggi, causa scarso numero di deputati riservati al suo Paese, al momento
prenderebbe massimo due seggi.
Chi invece rischia di non arrivare a Strasburgo sono gli alleati finlandesi di Liike Nyt. Di Maio ha incontrato la giovane co-
fondatrice del partito, Karolina Kahonen, in corsa per un Phd in Scienze politiche all’Università di Turku. Il leader è Haary
Harkimo, eletto con 11mila voti a Helsinki con il centrodestra tradizionale di Jyrki Katainen, membro del Ppe e iper rigorista,
dal quale si è successivamente staccato. Ad oggi Liike Nyt — al contrario dei croati super liberista — non è nemmeno
accreditato nei sondaggi e in Finlandia per prendere uno dei 14 seggi a disposizione serve almeno il 6-7%.
Ammesso (e non concesso) che tutti gli alleati di Di Maio riescano a portare eletti a Strasburgo, per fare un gruppo
mancherebbero comunque tre formazioni. Per questo i Cinquestelle sono in contatto con i Pirati, anche se difficilmente
riusciranno ad allearsi con i tedeschi di Julia Reda, quelli più forti ma ancorati ai Verdi. Più facile stringere un accordo con i
cugini (Pirati) sloveni. E ancora, si tratta con gli animalisti olandesi. Ma il colpo grosso il vicepremier vuole farlo con i Gilet
gialli: «Stiamo organizzando un contatto con la parte non violenta ». In realtà, spiegano dal Movimento, i lavori sono in alto
mare. Il sogno era di vederli lunedì insieme a Di Battista nella missione a Strasburgo pensata per lanciare la campagna
elettorale rigorosamente fuori dai palazzi dell’Europarlamento. Ma le difficoltà potrebbero anche portare alla cancellazione
della trasferta. Si vedrà nelle prossime ore.
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ECONOMIA                                                                                                             10/1/2019

Il decreto

Dovranno trovare il lavoro ai disoccupati ma
saranno precari
Reddito di cittadinanza, i 4.500 navigator verranno assunti con co.co.co. Pensioni d’invalidità,
risorse ancora insufficienti

valentina conte,

roma I futuri navigator saranno precari. Gli assistenti speciali, incaricati di seguire i beneficiari del Reddito di cittadinanza per
indirizzarli alla formazione e all’impiego, verranno assunti da Anpal Servizi Spa con un contratto di collaborazione. A
giudicare dalla cifra stanziata - 250 milioni per 2019 e 2020 - ne entreranno 4.500-4.600 nel biennio. Basterà inviare il
curriculum e superare un colloquio.
La novità emerge dall’ultima bozza del decreto legge che istituisce Rdc e Quota 100. E il cui varo, previsto per oggi, slitterà al
Consiglio dei ministri di domani. Troppe le incognite, a partire dai due nodi aperti su disabili e statali. Il paradosso dei
navigator precari è nei numeri. I soldi per gli stipendi ci sono solo per due anni. Anpal Servizi non è in grado di assumere in
pianta stabile, avendo già superato il limite di contratti a tempo (100 a termine e 530 co.co.co a fronte di 400 indeterminati). Ma
può garantire procedure più rapide di selezione, in quanto società di diritto privato fuori dalla pubblica amministrazione,
seppure controllata al 100% da Anpal, l’Agenzia nazionale pubblica per le politiche attive. Lo stipendio dei navigator avrà una
quota variabile, legata alle assunzioni agevolate.
Se in Anpal Servizi cresce la preoccupazione per la gestione delle nuove assunzioni - il personale quadruplica - in Inps e Inail
regna il caos. Il governo potrebbe indicare i nuovi presidenti già al Cdm di domani. Nel toto-nomi per l’Inps ci sono Pasquale
Tridico ( consigliere di Di Maio e docente a Roma Tre), Marina Calderone ( presidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei
consulenti del lavoro) e Mauro Nori ( già direttore generale Inps e consigliere del ministro Tria). In realtà, il presidente Inps
uscente Tito Boeri gode di una proroga amministrativa di 45 giorni, senza bisogno di atto o norma ad hoc. Rimarrà dunque al
suo posto, sin quando la procedura di nomina del suo successore e del cda di 4 componenti - che il governo reintroduce - non
sarà completata ( con il parere delle commissioni Lavoro di Camera e Senato e il passaggio in Corte dei Conti e Consiglio di
Stato per la registrazione).
Il vicepremier leghista Salvini nel frattempo è tornato sulla questione disabili. « Senza fondi per le pensioni di invalidità non
voteremo il RdC » , dice da Varsavia.
« Non è una ripicca, magari c’è stata distrazione». Gli risponde il vicepremier M5S Di Maio, assicurando che « 260 mila
invalidi sotto la soglia di povertà avranno una pensione di invalidità più alta, svincolati dall’obbligo di ricerca del lavoro » . Il
sottosegretario al Lavoro Claudio Cominardi (Cinque Stelle) aggiunge che nel decreto saranno inseriti « coefficienti di ricalcolo
della prestazione, con clausole più vantaggiose per chi ha figli disabili » . È l’ammissione di una colpevole dimenticanza: nel
calcolo per il RdC la scala di equivalenza per determinare l’assegno “pesa” solo maggiorenni e minorenni. «Chi ha figli disabili
sarà tutelato sia nei requisiti di accesso al RdC, sia nei vincoli chilometrici legati all’accettazione delle proposte di lavoro » .

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Spunta anche un fondo da 400 milioni ad hoc per invalidi e pensioni minime. Se fosse così, la normativa per il RdC andrebbe
riscritta.
Ultima questione aperta: la liquidazione degli statali. Chi deciderà di andare in pensione con Quota 100 - almeno 62 anni di età
e 38 di contributi - potrebbe incassare il Tfs, il trattamento di fine servizio, fino a 7 anni dopo. Ai 5 per raggiungere i 67 anni
della pensione di vecchiaia, si sommano 2 ulteriori di prassi. Il governo pensa di erogare la somma subito, come per i privati.
Facendola però anticipare dalle banche. « Gli interessi saranno a carico dello Stato » , assicura il ministro della Pubblica
amministrazione Giulia Bongiorno. Ad un tasso del 3% ( lo stesso concordato per l’Ape volontaria), sarebbero 2 mila euro
all’anno, su un Tfr medio di 70 mila. Non poco.
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Politica e credito

Di Maio vuole la Carige pubblica Tria lo stoppa:
meglio il mercato
Il vicepremier: non ridaremo la banca a chi l’ha spolpata o ad altri banchieri. E chiede di pubblicare
l’elenco dei debitori. Giorgetti: se i privati non mettono soldi la nazionalizzazione è possibilità
concreta

vittoria puledda,

milano
La complessa opera di messa in sicurezza di Carige continua a dividere tutti. A partire dal fronte governativo, tentato
soprattutto nella componente Cinque Stelle dall’ipotesi di veder nascere una banca di Stato. Scenario, secondo un copione
ormai consolidato, che vede di tutt’altro avviso il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Rispondendo al “ question time” alla
Camera, Tria ha cominciato spiegando perché il decreto legge è fotocopia di quello Gentiloni, a suo tempo tanto criticato da
M5S e Lega: non poteva essere altrimenti, perché non è cambiata la cornice normativa. Ma Tria ha anche spiegato i termini in
cui avverrà, eventualmente, l’ingresso dello Stato: «E’ opportuno ricordare che la ricapitalizzazione precauzionale comporta la
presentazione di un piano di ristrutturazione » e soprattutto « è temporanea, perché la partecipazione di controllo deve essere
dismessa al termine del periodo di ristrutturazione » ; quindi, « la nazionalizzazione sarebbe a termine » . Un’ipotesi che
continua ad essere il Piano B, perché « una soluzione di mercato è preferibile», ha chiarito.
Ma il vicepremier pentastellato, Luigi Di Maio, ha in mente uno schema diverso. « Non ho nessun problema a pensare alla
banca dello Stato » , ha detto, spiegando anche la futura missione di una Carige eventualmente nazionalizzata: « Dare crediti
alle imprese in difficoltà, alle piccole e medie imprese, migliorare i mutui alle famiglie, aiutare di più i giovani a diventare
indipendenti, ad andare via di casa » . E che la nazionalizzazione sia « una possibilità concreta se nessun privato ci metterà i
soldi » lo conferma il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, per quanto i commissari Carige
continuino a definirla «ipotesi del tutto residuale» e il governatore ligure Giovanni Toti abbia sottolineato di essere « molto
contrario a questa furia statalizzatrice del M5S».
Di Maio in versione giustizialista invece in un intervento su Facebook ha già preannunciato che se metterà un euro nella banca
« non sarà per ridarla a chi l’ha spolpata o per darla ad un altro banchiere». E anzi ha già anticipato che chiederà ai commissari
di promuovere un’azione di responsabilità verso gli ex amministratori e promette: chiederemo l’elenco dei debitori « e
pubblicheremo quei nomi » . E ancora: aiutiamo i risparmiatori, puniremo i responsabili del buco su Carige.
Intanto i commissari lavorano per rendere la banca “ presentabile” per un nuovo partner, unico sbocco possibile per evitare la
nazionalizzazione e ottemperare alle richieste della Bce. Dunque, in prima fila la vendita degli npl. L’obiettivo dichiarato è di
venderne prima del piano industriale un minimo di 1,5 miliardi lordi, cioè circa la metà di quelli in portafoglio, per arrivare ad
un Npl ratio del 10%. Molto dipenderà dall’offerta e dal prezzo: le soffferenze sono coperte oltre il 70%, i crediti dubbi al
38,5%; se la vendita avviene a valori troppo bassi le perdite rischiano di mangiare ancor più capitale. Poi la richiesta di
emettere bond con garanzia statale: l’avvio formale dell’iter è questione di ore, e sarà per l’importo massimo. Infine, la

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negoziazione della riduzione del tasso sul bond subordinato, sottoscritto dallo Schema volontario del Fondo interbancario. Ieri i
banchieri ne hanno informalmente parlato a Milano, forse se ne tornerà a parlare al consiglio di fine mese. Tra le varie difficoltà
sembra ci sia che se le banche accettassero uno “sconto” sul tasso, poi sarebbero costrette a svalutare il bond.
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Al momento non si può stabilire se ci sarà l’esigenza di ricapitalizzare, perché in fondo una soluzione di mercato sarebbe
comunque preferibile
La nazionalizzazione è un’ipotesi concreta, un’eventualità prevista dal decreto. Quindi se nessun privato ci metterà i soldi
arriverà la nazionalizzazione

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