Zefiro e i NEET 2020 Il fenomeno NEET, un'utenza con bisogni specifici Analisi comparativa e descrittiva - Cooperativa Zefiro
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Zefiro e i NEET 2020 Il fenomeno NEET, un’utenza con bisogni specifici Analisi comparativa e descrittiva Lucca, 06/09/2018 1
INDICE 1) Perché questa indagine La scelta di lavorare con i giovani e la nostra esperienza in merito. Il nostro approccio e la nostra esperienza. • Corsi finanziati • Azioni dedicate ai NEET • Orientamento di I e II livello • Progetti europei 2) Il contesto Dati statistici 3) Universo NEET: il fenomeno (il fenomeno?); i bisogni formativi, occupazionali, personali 4) La nostra esperienza: DA NEET a NET 5) Focus- “Non è una scuola per maschi” Ricerca indagine – da un'intervista col CPP di Piacenza 2
L'amore per la vita propria e altrui non si costruisce in astratto, ma solo crescendo accanto ad adulti coraggiosi, ricchi di sogni ed esperienze e innamorati della realtà (R. Massa) 1) Perché questa indagine La scelta di lavorare con i giovani e la nostra esperienza in merito. Zefiro crede nei giovani. Questo si ripercuote sulle scelte metodologiche, sullo stile comunicativo, sulla visione stessa della politica aziendale. I giovani rappresentano il target ideale con il quale relazionarsi: sono curiosi, interessati, desiderosi di apprendere. E più i “nostri” giovani vengono definiti senza futuro, casi umani, disagiati e più noi ci divertiamo a lavorare con loro. Tendenzialmente, infatti, i nostri giovani provengono dall'ampia categoria (se di categoria si può parlare) dei neet, dei drop out, del cosiddetto svantaggio. Noi di Zefiro crediamo fermamente che la formazione fatta ai e con i giovani, così come l'orientamento di primo e di secondo livello, sia uno degli elementi principali della nostra mission aziendale. A partire da questo, abbiamo strutturato nel tempo rapporti di collaborazione con gli Istituti di istruzione del territorio, portati avanti attraverso molteplici progetti. Attraverso i nostri servizi, abbiamo cercato di dare risposte all'emergenza lavoro quale preponderanza in termini di necessità tra i giovani come tra le donne. Perché le risposte siano efficaci è necessario che esse costituiscano il punto di arrivo di un percorso, in armonia con un insieme di relazioni e di comportamenti che si costruiscono e maturano esplorando tutti gli altri ambiti di sviluppo, da quello formativo e di orientamento, a quello relazionale e sociale. Una visione nella quale il lavoro viene ri-dimensionato, collocato cioè in quella sfera di competenza personale acquisita al termine di un processo di sviluppo e maturazione: solo in questo modo la persona può raggiungere una soddisfacente occupazione che abbia come esito l'inserimento nella comunità in cui si riconosce e da cui viene riconosciuta come cittadino o cittadina. Un percorso complesso e per niente scontato che deve fare i conti con sistemi formativi e di istruzione che producono in uscita giovani con profili deboli e competenze non sempre spendibili sul mercato del lavoro, contesti di crescita confusi e a bassa densità valoriale, politiche di accoglienza dei migranti che spesso non riescono ad integrare e che tendono a produrre gruppi etnici carenti di quelle competenze e di quegli strumenti, linguistici, culturali, sociali, formativi, civici, che la nostra comunità richiede. A partire da questa esperienza, l'Agenzia formativa ha rafforzato in questi anni l'attenzione e la cura dei servizi di orientamento e accompagnamento agli allievi nei percorsi formativi attraverso attività in ingresso, azioni continuative in itinere, anche individuali, personalizzazione degli stage e di servizi di consulenza in uscita e re-ingresso nel mondo del lavoro. Zefiro ha attivi percorsi di IeFP, Drop Out, Gestisce gli sportelli Informagiovani e InformaDonna, progetti di orientamento all'interno degli istituti scolastici (attraverso i PEZ e PON), azioni di rimotivazione e riorientamento per giovani a rischio dispersione, nonché inserimenti lavorativi e contatti professionalizzanti grazie all'apporto di counsellor e psicologi. 3
Il nostro approccio e la nostra esperienza. Corsi finanziati Una delle regole fondamentali che Zefiro si dà e condivide con il proprio staff è quella di un approccio dinamico, includente, attivante. I nostri corsisti non sono numeri o meri nomi su un elenco ma sono personalità precise, coacervo di interessi e passioni diverse, caratteri in evoluzione, portatori di ricchezze e di visioni del mondo. Pilastri del nostro approccio sono la motivazione, l'interesse, il coinvolgimento e dei ragazzi e delle ragazze che dei docenti. Non si può, infatti, fare formazione attiva e accattivante se i docenti in primis non accettano di mettersi in gioco e in discussione. Quello che abbiamo imparato, sia grazie ai percorsi di formazione personali che grazie ai corsi aziendali di gruppo, è che la formazione deve essere al servizio dell'utenza, e non viceversa. Decisi gli argomenti e le competenze da veicolare, fermo restando un pacchetto di conoscenze prestabilito e strutturato, la vera differenza la fa il come. Per imporsi e imporre attenzione è necessario, prima di tutto, sostenere e rafforzare un'idea di rispetto reciproco, di ascolto, di accettazione delle diversità, degli errori come punti di partenza, del tentare più che del riuscire. Se la didattica si fa includente, se i docenti – coadiuvati dalle figure chiave dei tutor – si fanno recettori dei bisogni, se l'aula si impegna ad abbassare completamente la soglia del giudizio ecco che allora si ha un terreno fertile dal quale partire. Un momento fondamentale è dato dalla stesura del patto formativo che solitamente occupa il primo incontro di orientamento di gruppo. Nostra prassi è, infatti, quella di accompagnare le lezioni a un continuo e costante monitoraggio fatto attraverso gli incontri di orientamento di gruppo e i colloqui dedicati ai singoli corsisti. In queste occasioni è possibile discutere del clima d'aula, dei rapporti tra i corsisti e tra i corsisti e i docenti, di eventuali problematicità. È possibile, anche, pensare allo stage e, dunque, visualizzare le tappe del proprio futuro. Ragionare in concreto, infatti, sulla figura professionale verso la quale ci si sta formando permette sia di capire se sia effettivamente quella la strada desiderata che di visualizzare quali sono gli step necessari per tagliare il traguardo. Quello dell'orientamento, che Zefiro effettua secondo modalità narrative, è un momento di incontro e scambio, di sintonizzazione sul proprio io, uno spazio di pausa dal rumore di fondo del quotidiano che permette di far riecheggiare i propri pensieri e le proprie emozioni. Attraverso la presentazioni di letture scelte ad hoc si cerca di far capire come siano gli individui ad essere padroni e protagonisti del proprio destino, come sia salutare anche se difficile compiere delle scelte, come tutto risieda nell'agire, nel darsi da fare. Molto spesso i giovani, ma assolutamente non solo loro, si lasciano trasportare dalla confortante apatia del day by day, del già detto e del già fatto convinti di non aver alcun potere di modifica del cammino già tracciato. A maggior ragione se questo cammino è definito da tutti come irto di ostacoli, faticoso, senza futuro. Il rifugio, allora, si trova nella musica, nelle serie tv, negli amici: negli spazi, insomma, dove pare sia ancora ammesso e lecito sognare. I ragazzi, per lo più, sembrano stanchi e delusi da un futuro che sentono di non meritare, del quale non si sentono parte: a forza di sentirsi dire che sono dei falliti, che la crisi non lascia scampo, che l'unica cosa da fare è trovare un lavoro, qualunque esso sia, finiscono inevitabilmente per introiettare queste convinzioni perdendo la voglia di sperimentarsi, l'interesse ad immaginarsi altro rispetto a quanto viene loro raccontato. E così facendo sopiscono aspirazioni e interessi ma non solo: sopiscono anche passioni e curiosità perché “tanto non portano a nulla”. L'orientamento narrativo, allora, ma l'approccio di Zefiro in generale, intende cercare di far risuonare i campanelli silenziati, solleticare quella parte desiderosa e affascinata dalla scoperta. Numerose ricerche (Batini e Giusti in primis) spiegano come la riflessione su di sé, sul vissuto passato e sulla proiezione nel 4
futuro, facilitino le dinamiche relazionali e sviluppino le competenze orientative dei ragazzi per saper scegliere e progettare. Un processo di empowerment, perciò, che aumenta la capacità di controllo sulla propria vita ottenendo così una migliore conoscenza e percezione di sé e un conseguente miglioramento del benessere individuale. Inoltre, attraverso la modalità dell'orientamento di gruppo avviene anche il coinvolgimento di aspetti emotivi che stimolano l'apprendimento e incidono sul cambiamento di comportamenti e di strategie. Il percorso di accompagnamento esplora con i corsisti diverse dimensioni personali e professionali in relazione all'apprendimento. La metodologia adottata è quella narrativa poiché stimola la riflessione su di sé, sul vissuto passato e sulla proiezione nel futuro, facilita le dinamiche relazionali e sviluppa le competenze orientative dei ragazzi per saper scegliere e progettare. Tutte le attività sono anticipate da una narrazione guida; il criterio che guida la selezione delle narrazioni da proporre è l’aderenza al vissuto, alle esperienze, alle aspettative e alla futura professionalità dei corsisti. Le narrazioni sono uno straordinario serbatoio di metafore significative e l'orientamento narrativo è un processo che protegge i partecipanti perché permette loro di riflettere su sé, sui propri desideri, sulle paure e sul vissuto personale riferendosi ai personaggi e alla loro storia. Gli incontri di orientamento previsti all'interno dei progetti vanno nella direzione di creare coesione nel gruppo, indagare le aspettative e i desideri dei partecipanti sia in merito al percorso formativo sia per quando riguarda il futuro, capire l'entità della spinta motivazionale e come la scelta effettuata si collochi all'interno della storia del soggetto. Il consulente di orientamento, che sia in un momento dedicato al gruppo o nello spazio del singolo, non consiglia, non guida, non dà soluzioni: attraverso un approccio maieutico fa riflettere. Pone domande, certamente, si pone come specchio riflettente dell'altro, sostiene ma rende indipendenti. L'obiettivo principale dell'orientamento è quello di fornire degli strumenti, una sorta di mansionario, per rendere l'individuo in grado di compiere scelte razionali, ragionate, motivate e strutturate. E anche, nel caso specifico dei drop-out che scelgono di far formazione con noi, dare loro fiducia in se stessi senza regalare niente ma semplicemente facendo ragionare ciascuno sulle proprie e precipue abilità, competenze e conoscenze. Una chiara concezione del sé, infatti, è la base per una maturazione e per un'adultità più serena e consapevole. Un altro strumento che riteniamo fondamentale e che solitamente viene fatto durante il primo incontro di orientamento è il patto formativo: un vero e proprio patto che i corsisti fanno tra di loro, con i docenti, con l'agenzia e che a propria volta i docenti e l'agenzia fanno con i corsisti. Questo è il primo elemento di attenzione al singolo e di sua messa in opera prettamente concreto. I corsisti, infatti, insieme all'operatore (docente o orientatore) stipulano le regole di comportamento da seguire durante le lezioni e da tenere negli spazi comuni. Sono regole e modelli comportamentali estremamente concreti che regolano, ad esempio, l'uso del cellulare, i ritardi, le uscite anticipate, il rispetto dei turni di parola, il rispetto del materiale, la pulizia dei locali. Il patto formativo è un momento essenziale perché mette immediatamente i ragazzi al centro, rendendoli protagonisti del microcosmo aula che per due anni appartiene loro. Inoltre se le regole (e non comandi, come insegna il pedagogista Daniele Novara) provengono da loro e sono state decise e approvate in modo collettivo si ottengono due grandi risultati: un esercizio di democraticità e la necessarietà della loro messa in atto proprio perché frutto del gruppo e non calate dall'alto da una figura altra. Non solo i ragazzi devono rispettare queste regole ma anche il tutor e i docenti: si ritiene necessario, infatti, che anche loro si mettano sullo stesso piano dei corsisti in virtù della regola sociale per cui non posso pretendere un comportamento positivo a fronte di un mio comportamento negativo. Il rispetto, infatti, passa anche dalla presa visione dell'impegno e del tentativo di sforzarsi, di venire incontro all'utenza. In sostanza se i ragazzi decidono che il cellulare in aula non si usa anche il docente dovrà tenerlo silenzioso dentro la borsa. Queste considerazioni, che possono risultar banali, sono invece un elemento chiave per agganciare i corsisti e concorrere a creare un clima d'aula sereno e positivo. Altra raccomandazione che facciamo ai nostri docenti, e dalla quale non 5
prescindiamo, è che se anche i nostri corsisti sono giovani ciò non vuol dire che siano bambini: sono persone in formazione e vanno trattate con il rispetto e l'accortezza che si riserverebbero agli adulti. Non esistono punizioni o urla contro comportamenti considerati scorretti: il docente può appoggiarsi al tutor, al coordinatore, agli orientatori e con loro mettere in piedi un sistema di confronto e dialogo che non miri né a sottolineare l'errore né a porre l'attenzione sul disagio ma, bensì, cerchi di chiarire la situazione, comprendere le motivazioni dell'agire, lavorare insieme alla persona per migliorare insieme. Si considera sempre valida l'opzione, infatti, che anche i comportamenti dei docenti (così come dello staff) possano essere errati e suscettibili di migliorie. Si intende anche responsabilizzare i corsisti mostrando loro fiducia e rispetto: durante le pause li si lascia liberi di uscire purché rientrino nei tempi prestabiliti. Tutto questo riesce ad avvenire dove, come già detto, l'aula presenta un clima positivo e sereno. Sarebbe sempre auspicabile, ma con questa utenza in modo imprescindibile, un ascolto attivo (ovvero non un semplice sentire, suoni che toccano casualmente l'orecchio senza una reale intenzionalità, ma una decisione cosciente di porsi in ascolto. L'ascolto, per essere tale, necessita del silenzio. Silenzio fuori, nella stanza, e silenzio dentro, tra i propri pensieri. L'ascolto mette in gioco orecchio e cervello: richiede concentrazione e anche, fatica, a volte ma è l'unico modo per entrare davvero in connessione con l'altro.) e non giudicante. La sospensione del giudizio è ciò che permette un libero scambio di opinioni, che rassicura sull'opportunità o meno di fare una domanda, che dà il via a discussioni di senso nelle quali ciascuno porta un pezzo di sé. Nei nostri corsi nessuno deve sentirsi intimidito o spaventato all'idea di esprimersi: da ogni affermazione si può ricavare qualcosa di buono, ogni domanda pone l'accento su un contenuto diverso, ogni richiesta di chiarimento segnala uno snodo cognitivo. J. Gaarder in “C'è nessuno” scrive “Una risposta non merita mai un inchino: per quanto intelligente e giusta ci possa sembrare, non dobbiamo mai inchinarci a una risposta” Annuii con un cenno della testa, pentendomi immediatamente perché Mika poteva pensare che mi ero inchinato alla sua risposta. “Chi si inchina si piega” continuò Mika “Non devi mai piegarti davanti a una risposta” “E perché no?” “Una risposta è il tratto di strada che ti sei lasciato alle spalle. Solo una domanda può puntare oltre” Ci interessa, dunque, che i nostri corsisti sappiano di potersi esprimere liberamente senza il timore di essere ripresi o giudicati. Ci sono voluti anni per capire che demonizzare l'errore non porta ad alcun risultato positivo, grazie all'apporto di uno dei pilastri della narrativa e della pedagogia contemporanea quale Gianni Rodari, che attraverso la Grammatica della Fantasia e Il libro degli errori ci spiega che “Sbagliando s’impara, è un vecchio proverbio. Il nuovo potrebbe essere che sbagliando s’inventa”. E questo lo richiediamo sia al nostro staff che ai corsisti stessi: il giudizio tra pari, infatti, può essere feroce e paralizzante, specialmente in un'età formativa come quella in esame. Figura cardine, collante e confessore, corsista e docente, organizzatore e gestore dell'imprevisto è quella del tutor. I nostri tutor vivono l'aula insieme ai ragazzi, sempre accanto a loro ma anche un passo indietro: pronti a sorreggerli e a sospingerli, all'occorrenza, ma senza mostrare loro direttamente la strada. Fare il tutor, farlo in modo sensato, non è affatto banale e alla portata di tutti: occorrono spiccate doti relazionali, molta pazienza, empatia, voglia di mettersi in gioco, capacità di ascolto. Il tutor viene percepito dai ragazzi come uno di loro ma non troppo: q.b. si direbbe, se questo fosse un libro di cucina. È una figura sempre in bilico, con i piedi su un sottile filo sospeso nel vuoto. Il tutor è il tramite tra l'Agenzia e i docenti, si fa portavoce delle eventuali problematiche che sorgono tra i ragazzi, accoglie le esigenze degli insegnanti, tiene sotto controllo il registro e prepara fisicamente il materiale necessario e la predisposizione dell'aula. Allo stesso tempo, però, si trova a dover fare i lavori di gruppo insieme ai ragazzi, a risolvere esercizi, a contribuire al mantenimento del silenzio e dell'attenzione. Inoltre deve riuscire a entrare in connessione con i ragazzi pur senza travalicare la linea dell'amicizia perché, comunque, il tutor è e deve rimanere una 6
figura professionale, un membro dello staff dell'Agenzia. “Amichevole ma non amicale”, si potrebbe dire. In realtà dire, si potrebbero dire molte cose ma l'evidenza dei fatti esplicita che poter contare su una figura tutoriale esperta, di senso, consapevole rende la gestione dei corsi drop-out molto più snella e lineare sia per l'Agenzia che per i docenti in aula. E i ragazzi, da parte loro, quando si confrontano con un tutor così percepiscono la differenza, la qualità della relazione istituitasi. Altro elemento che ci sta molto a cuore è la cura del materiale. Riteniamo, infatti, che preparare slide con il giusto quantitativo di testo e colori ben abbinati, prevedere video il cui audio sia ben bilanciato, arrivare a lezione con schede appositamente preparate, le fotocopie pronte, esercizi creati su misura per quella specifica classe siano tutti altri segni dell'interesse che il docente, e l'Agenzia di conseguenza, pone nei riguardi della propria utenza. Sono dettagli, sicuramente, e da soli non bastano a fare una didattica funzionale ma senza dubbio anche da questi risuonano una sensibilità e un interesse che non passano inosservati. Più di una volta, infatti, i nostri giovani corsisti si sono stupiti di ricevere schede “create apposta per noi”, “diverse dalle solite”. Un esempio? Schede con i personaggi dei fumetti o dei videogiochi che amano, citazioni dai libri d'amore più amati dalle ragazze, spezzoni di film con Fast&Furious e Avengers. Il principio, infatti, è che si possa partire da qualunque cosa per fare didattica quindi perché non partire da ciò che quella classe in particolare più ama? Aver cura del materiale significa immagazzinare gli stimoli che vengono dall'utenza, riuscire a captare i loro interessi e, partendo da quelli, inventare le lezioni. Lezioni che, ovviamente, necessitano di distanziarsi da un modello formale, burocratico, scolastico dal quale sono fuggiti. Le nostre lezioni si rifanno ai principi della didattica senza cattedra e dell'apprendimento cooperativo e collaborativo. Crediamo nel cooperative learning così come nel peer to peer. Crediamo che l'aula debba avere le sedie in cerchio, i tavoli movibili, fogli colorati, riviste dalle quali staccare pagine per creare colorati collage, connessione wi-fi e pc a disposizione. I docenti devono cercare di limitare i momenti di didattica frontale e pensare a strategie didattiche che siano includenti e attivanti: giochi di ruolo, simulazioni, discussioni di casi concreti provenienti dal mondo del lavoro. Ben venga l'uso di fumetti, graphic novel, libri illustrati, serie tv, film, canzoni, videogiochi. Ben vengano, anche, attività di ludobiografia come i giochi narrativi e i giochi sonori. Ben vengano i giochi da tavola, le carte da gioco, le fiabe, le sfide e i racconti di vita. Ben venga tutto ciò che è in grado di interessare i ragazzi e renderli partecipi. Si richiede, infatti, di farli lavorare costantemente (da soli, in coppia, a gruppi) ma di renderglielo interessante. Il docente, ovviamente, deve essere il primo a voler abbandonare una modalità tradizionale del fare scuola, ancorata ancora all'idea di programma ministeriale, per entrare nell'ottica delle competenze da veicolare, di un saper essere, saper fare e saper agire che prescinde dall'imparare a memoria delle poesie o dal sapere le regole a poi non conoscere la loro applicazione. Preferiamo partire dal concreto, spiegare alla luce dei risultati ottenuti, portare i corsisti a estrapolare le regole a partire dall'esperienza diretta. Attualmente è in corso il progetto WORK IN SOCIAL TOURISM rivolto a 20 adulti disoccupati o inoccupati Percorso di qualifica per Tecnico della progettazione turistica. Progetti conclusi nell'anno 2017: MEDEA Operatore Grafico multimediale rivolto a 16 allievi dai 18 ai 30 anni non occupati non inseriti in percorsi di studio o formazione. AZIONI dedicate ai Neet L'esperienza di Zefiro parte col progetto Active NEET (2016) attraverso il quale sono stati realizzati alcuni workshop formativi che hanno riscosso molto successo e che hanno interessato diverse tematiche. Anche in questi casi valgono le regole generale del “come facciamo didattica”. Nello specifico tre sono stati gli appuntamenti: “Ciclofficina”, “Ai social ci penso io!”, “I ferri del mestiere”. Ciclofficina è stato un laboratorio pratico esperienziale tenutosi a Marlia in cui si è scelto di usare la bicicletta come metafora. Recuperare i pezzi di una due ruote, ripulirli, dare loro nuova vita e 7
rimetterli in strada. Un modo per imparare a prendersi cura di ciò che abbiamo, un modo per riCiclare e ripartire. Con due esperti ed appassionati di bicicletta e di riparazione fai da te i ragazzi e le ragazze di ActiveNeet si sono cimentate con l’arte del riciclo e del recupero. Un percorso pratico creato per dare una competenza pratica e la sensazione, per chi al momento non sta studiando o lavorando, di essere in grado di portare a termine un lavoro. “Ai social ci penso io!”, invece, si è tenuto in Garfagnana ed è sorto sulla scia di considerazioni quali l'ipertrofia iconica di cibo e gatti su facebook o la necessità di imparare a promuovere al meglio la propria immagine per cercare lavoro o quella di un’associazione, di un gruppo, di un piccolo negozio o una piccola impresa locale. Ai social ci penso io! È stato un laboratorio pratico e gratuito direzionato all'imparare a utilizzare i social network e il web per farsi notare e (possibilmente) vendere e promuovere sul web nell’era digitale, scoprendo trucchi, segreti e magie del social media marketing per le PMI “Più che parlare occorre saper ascoltare in rete” – sono le parole di Alessandro Tovani, docente del seminario ed esperto di social media marketing. “E’ importante sapere come pubblicare contenuti interessanti e mantenere la conversazione, ma anche l’ascolto e gestire il dissenso col cliente in rete.” “I ferri del mestiere”, infine, workshop realizzato presso il Cantiere Giovani di Lucca, è stato condotto da Andrea Cardoni, giornalista che dice di sé: “Appassionato di cose nuove da fare e di belle storie da raccogliere. Sono stato preceduto da generazioni di viaggiatori per lavoro dai quali, fin da piccolo, ho sentito parlare di Africa e quando sono diventato grande abbastanza ci sono andato. E ci sono tornato per coltivare insieme a Tulime onlus. Mi occupo della comunicazione dei volontari delle pubbliche assistenze Anpas. E racconto le loro storie, storie di SUV: Sono Un Volontario. Ho trovato l’innovazione nelle mani di una contadina della Tanzania, in quelle di una famiglia di apicoltori nel Parco Nazionale d’Abruzzo e nella mano destra di mio nonno che chatta con me quando sono lontano.” Zefiro, infatti, ama guardarsi intorno e offrire alla propria utenza i nomi più significativi, forte dell'idea che la qualità vada ricercata anche oltre i confini del proprio territorio. La due giorni si è così strutturata: nel primo incontro si è trattato del Raccontare storie: dallo script al punto di vista (da Zoro a The Pills e Jackal); Il tema: gattini + torte + sport vs persone; L’intervista: ti chiederanno chi sei, da dove vieni e quando te ne vai?; Strumentazione: treppiedi, microfoni, luci, batterie… e la telecamera?; Fare un video: inquadratura, luce, audio e pazienza (tanta); esercitazione: creazione di un format e realizzazione interviste sul tema “Storie di lavori fatti e sognati”. Il secondo giorno, invece, è stato trattato il tema del montaggio: dalla musica (piattaforme per scaricare musica free legalmente), al font dei titoli di coda: l'editing: il programma di editing dall’importazione all’esportazione; la pubblicazione: le piattaforme video per la condivisione; la diffusione: dai social alla proposta editoriale. Tutti gli appuntamenti hanno avuto un ottimo riscontro di partecipazione e critica: segnale, questo, della necessità reale di creare occasioni di incontro e scambio, di formazione pratica e incentrata sui reali fabbisogni formativi dell'utenza. Anche in questo caso Zefiro si è servito dei mezzi di comunicazione social, improntando campagne promozionali accattivanti e a misura dell'utenza ricercata. Lo stile comunicativo, le immagini scelte, i canali usati, infatti, sono già di per sé degli indicatori della filosofia aziendale e della reale o meno conoscenza del gruppo sul quale si vuol far presa e realizzare la formazione. Incontri di orientamento di I e II livello Zefiro può vantare operatori formati nel campo dell'orientamento di I e di II livello. L'esperienza che abbiamo parte dagli sportelli InformaGiovani e InformaDonna si esprime al meglio durante gli incontri di orientamento presso gli istituti scolastici del territorio. L'orientamento, di I e II livello, viene fatto a tu per tu con gli studenti seguendo dei canovacci di lavoro sempre e comunque piegati sulla persona con la quale si lavora. La flessibilità, infatti, è un requisito imprescindibile in questo tipo di attività. Orientarsi non significa fare una scelta ma imparare a fare scelte. L’orientamento si 8
configura quindi come un’azione professionale di supporto alla persona finalizzata allo sviluppo di competenze di relazione tra il soggetto, il mondo lavorativo e formativo, di conoscenza e di interpretazione del mondo in continua evoluzione e modificazione con l’intento di favorire l’autonomia e l’empowerment della persona. In questo senso ogni soggetto dovrebbe riuscire a muoversi sempre più in modo autonomo, essere in grado di gestire l’imprevisto e la non linearità dei propri percorsi formativi e professionali in un più complesso percorso di vita. Zefiro ritiene che proprio strategico offrire servizi di accompagnamento in un’ottica di lifelong learning come supporto alle scelte e con una prospettiva ed un approccio formativi. Abbiamo una presenza costante e diffusa di momenti di orientamento, sia individuale che in gruppo, presso gli sportelli informagiovani, nelle scuole e all’interno di percorsi formativi o consulenziali. I nostri consulenti di orientamento lavorano per rendere competente la persona in ogni momento della sua vita, in grado di fare scelte consapevoli e di gestire in modo attivo i cambiamenti in ogni momento della sua esistenza. Gli incontri di orientamento, gli sportelli di ascolto, gli appuntamenti per redigere il curriculum vitae e compiere un'analisi delle competenze personali sono, di nuovo, momenti dedicati ai giovani, incentrati su di essi, durante i quali si cerca di renderli più strutturati, autonomi, decisi nel pensare alle tappe del loro futuro. Progetti europei A noi di Zefiro, però, non basta occuparci dei giovani in casa nostra, ci piace farlo anche fuori dal territorio nazionale. Zefiro, infatti, fa parte dello Yes Forum (organizzazione europea per i giovani e il lavoro sociale): una rete transnazionale di organizzazioni europee attive nel settore del sociale e dei giovani, con l’obiettivo di promuovere l’inclusione sociale, la partecipazione e la cittadinanza europea attiva dei giovani e degli adulti, anche in situazione di svantaggio. Yes Forum è nato nel 2002 e le organizzazioni fondatrici hanno scelto la forma giuridica del gruppo d’interesse economico europeo (G.E.I.E.). I membri sono enti governativi e ONG di livello locale, regionale o nazionale, attivi nel settore del lavoro sociale o giovanile. Dal maggio 2011, per l'appunto, anche Zefiro è membro dello Yes Forum. Grazie a questa adesione, Zefiro dispone non solo di un accesso facilitato ai bandi e ai finanziamenti europei, ma anche di una rete di potenziali partner per la costituzione di partenariati europei. Per Yes Forum i giovani sono la forza trainante del processo di costruzione di un’identità Europea e di un’Europa sociale. La partecipazione dei giovani con poche possibilità e il loro diretto coinvolgimento nelle attività di rete è una priorità per Yes forum fin dalla sua fondazione. Nel quadro di una prospettiva di lungo periodo, Yes forum elabora strategie sostenibili per rendere l’empowerment e la cittadinanza attiva una realtà concreta per tutti i giovani. Parallelamente, Yes Forum opera come punto di riferimento per il confronto delle politiche sociali e giovanili in Europa, sostiene la cooperazione e i partenariati trai suoi membri ed è riconosciuto come organizzazione competente sulle tematiche collegate allo svantaggio giovanile dalla Commissione Europea. 2) Il contesto. GENERAZIONE NEET. . .QUELLI CHE NON SONO ...ovvero come classificare negando. L'acronimo inglese NEET, che sta per Not (engaged) in education, employment or training, è divenuto rapidamente di uso comune nel corso degli ultimi anni, per indicare tutti i ragazzi dai 18 ai 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in attività formative o di ricerca attiva del lavoro. La generazione NEET ha riscosso un'attenzione mediatica importante negli ultimi tempi, ma indica un fenomeno decisamente non nuovo e già significativo in Italia, a partire dagli anni Novanta del '900. 9
Le ricerche e gli studi utilizzati per la progettazione e le indagini preliminari di MEDEA, l'esperienza di Zefiro nella gestione di interventi sperimentali rivolti ai NEET attraverso il progetto regionale ACTIVENEET, ci confermano sostanzialmente 3 aspetti cardine del nostro programma di lavoro: 1) i cosiddetti NEET sono numericamente in aumento e costituiscono oramai un fenomeno emergente, portandosi dietro alcuni bisogni espressi e altri inespressi, in quanto legati a fenomeni anche altri dalla crisi e dalla disoccupazione 2) sono un target molto variegato e perciò difficile da identificare e ancor più da intercettare 3) sono quanto mai necessari sul territorio interventi formativi, ma anche di rete, integrati, innovativi e sperimentali, ma soprattutti non generalisti, bensì specifici e mirati all'individuo nel proprio contesto di riferimento (quel ragazzo, quella ragazza lì) Chi sono i NEET Non bastano le rilevazioni statistiche a raccontarci chi siano veramente i NEET, limitandosi a raggruppare un insieme di persone molto diverse tra di loro. Per questo le più recenti ricerche sono state tutte tese a capire “chi siano i giovani toscani che possono riferirsi a questa categoria”. La premessa generale è che l’Italia è un paese in fase di invecchiamento. In Toscana il fenomeno è particolarmente rilevante: ha meno di 30 anni appena il 26% del totale (in Italia siamo al 30%). Non solo, i giovani, rispetto ai paesi scandinavi, alla Germania e all’Austria, dove esistono modelli formativi e di welfare diversi, in Italia e in Toscana sono sottoutilizzati. Tra i Neet, fino a 24 anni non esiste una differenziazione di genere. Con il crescere dell’età, invece, le ragazze aumentano sensibilmente rispetto ai maschi. Sulla base del livello di istruzione, il fenomeno riguarda per il 43% chi possiede bassi livelli di istruzione, per il 42% chi possiede un diploma e per il 15% chi possiede una laurea (IRPET, 2013). I bisogni principali, rispetto al nostro mercato del lavoro riguardano ancora l'allargamento della base produttiva, per attrarre nuovi investimenti da paesi esteri e favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro (Garanzia Giovani può essere il dispositivo che consente ai giovani con il tirocinio di effettuare un’esperienza nel mondo del lavoro) ed ampliare le politiche attive . In questi mesi il Sistema Pubblico è stato oggetto di molte critiche e di pesanti attacchi collegati alla mancanza di efficacia (erogazione di politiche attive inutili e ripetitive) e di efficienza (impossibilità di collocare i soggetti in cerca di occupazione). Il recente rapporto del CNEL compara i dati riferiti ad una ricerca multicanale riguardante i diversi metodi utilizzati dai disoccupati per la ricerca di un lavoro utilizzando sia canali formali che quelli informali. Il canale pubblico è scelto in maniera massiccia in Germania (oltre l’80%), nel Regno Unito (62,2%) e Francia (58,2%), mentre in Italia solo il 32,1% dei disoccupati ha contattato uno SPI a fronte del rispettivo del 18,6% che si è recato in un CPI. Anche a livello provinciale (Rapporto sul mercato del lavoro, Provincia di Firenze, 2014) il dato è confermato: sono pochi i nostri giovani che trovano nel Centro per l’Impiego un interlocutore efficace - il 46,2% dei giovani disoccupati e il 67% degli inattivi tra 18 e 29 anni non è mai stata iscritta al CPI. I soggetti disoccupati non in studio né in formazione tra i 18-29 sono 24,3% del totale della popolazione in quella fascia d’età, oltre 10.000 persone in valore assoluto. I numeri portano inoltre all’attenzione la necessità di non tralasciare una quota significativa di quella popolazione in possesso di titoli di studio elevati. Sono pochi i giovani che trovano nel CPI un interlocutore efficace, nonostante le misure messe in atto da Garanzia Giovani. La nuova fase recessiva, dopo la breve ripresa a cavallo tra 2010 e 2011, ha agito, se possibile, con ancor più forza rispetto al primo shock economico sviluppatosi nel corso del 2008-2010, innestandosi in una situazione economica che aveva solo in minima parte recuperato lo svantaggio accumulato negli anni precedenti. Nel 2012 si concentra più della metà della perdita di occupazione registrata dal terzo trimestre 2008 in poi. Ma la crisi occupazionale di questi anni non si manifesta esclusivamente attraverso la contrazione dei posti di lavoro o l'aumento dei tassi di disoccupazione, ma anche attraverso il sottoutilizzo della forza lavoro disponibile, aumentando il disallineamento tra il livello di istruzione posseduto e il profilo professionale ricoperto, determinando così un incremento degli occupati "overeducated". 10
Vengono così ad essere ridefiniti i confini dell'occupazione italiana lungo direttrici che non sembrano coerenti con l'idea della società della conoscenza delineata nei principi di Europa 2020 anche in ragione della ridotta capacità innovativa dei sistemi produttivi locali. Bisogni emergenti del contesto sociale-culturale-relazionale La situazione provinciale rispecchia quella nazionale: un paese in cui la condizione di Neet è, rispetto agli altri paesi, meno legata alla condizione di disoccupato e più al fenomeno dello scoraggiamento. Sono di meno quelli che cercano attivamente lavoro e molti di più quelli che rientrano nelle forze di lavoro potenziali. La maggior parte di queste ragazze e ragazzi "inattivi" sono relativamente invisibili rispetto ai servizi territoriali. Tra i problemi maggiormente emergenti vi è il mismatch, non solo tra domanda e offerta di lavoro, ma tra i fabbisogni formativi del mercato e le competenze possedute dai nostri giovani. Occorre adottare una scelta condivisa di intervenire, attraverso una riflessione sistemica che apra a scenari possibili e modalità diverse di azione (RETE) C'è bisogno di una risposta istituzionale al fenomeno, che offra garanzie di opportunità per tutti i ragazzi Di un supporto maggiore alle marginalità (dipendenze, seconde generazioni, povertà) Di consolidate reti di sostegno composte da aziende, associazioni, individui, enti pubblici e privati. Necessità di individuare i settori economici dove, in questi ultimi anni, sono stati creati posti di lavoro per i giovani. Bisogni emergenti – espressi e inespressi - relazionali I bisogni espressi sono noti, ma il disorientamento interiore é ancora più difficile da contenere e trasformare in attivazione. La fragilità si fa povertà relazionale diffusa che richiede di agire su bisogni relazionali, sull’orizzonte dei legami tra persone e gruppi e sulla ricerca del senso della vita C'è bisogno di fiducia, nei giovani, di reference marks e accompagnamento/incoraggiamento da cui partire per riprogrammare il proprio percorso professionale e di vita. Bisogno di (ri)educare la capacità di adattarsi ai rapidi cambiamenti del mercato del lavoro e reinventarsi. Bisogno dell'individuo di scoprire in sé le risorse, dando dignità alle potenzialità, a ciò che c'è più che a ciò che manca Necessità di agire sul riequilibrio, guardando alla persona in modo multidimensionale Superare l’orfananza educativa dei giovani tra famiglia, lavoro, relazioni Necessità di coltivare e curare le reti, nello sforzo della intercettazione, per l'individuo in isolamento, per le solitudini plurime. Necessità di aggregazione giovanile, partecipazione, spunti e punti di osservazione nuovi. I giovani e la crisi. I giovani in crisi. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, cioè la quota di giovani disoccupati sul totale di quelli attivi (occupati e disoccupati) è pari al 41,5%, in calo di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente. Dal calcolo del tasso di disoccupazione sono esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi. Il numero di giovani inattivi aumenta dell’1,0% nel confronto mensile (+43 mila). Il tasso di inattività dei giovani tra 15 e 24 anni cresce di 0,8 punti percentuali, arrivando al 74,3%. Con riferimento alla media degli ultimi tre mesi, per i giovani 15-24enni si osserva la crescita del tasso di disoccupazione (+0,3 punti percentuali) e il calo del tasso di inattività (-0,2 punti), mentre il tasso di occupazione rimane stabile. (dati Istat) Dai più recenti dati statistici in ambito regionale emerge che nel 2014 il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è pari a 35,7%. Anche le misure attivate attraverso Garanzia Giovani non hanno portato ad oggi i risultati sperati. In una regione dove la percentuale di disoccupazione giovanile è 8 punti inferiore a quella nazionale, i ragazzi fra i 15 e i 29 anni che non studiano né hanno un impiego - i “Neet” secondo un acronimo inglese - hanno aderito a migliaia a “Garanzia giovani”, progetto di accompagnamento e introduzione nel mondo del lavoro. In Toscana, infatti, dal 28 aprile, al 16 febbraio al portale di “Garanzia giovani” si sono iscritti in 11
23.091 giovani. I Centri per l'impiego hanno preso in carica quasi 16.800 di questi iscritti sottoponendoli a colloqui formativi. La maggior parte degli aspiranti lavoratori, fra l’altro, è risultata giovanissima, fra i 15 e i 24 anni. In poco meno di 14mila sono anche stati “presi in carico” dai centri per l’impiego. Ma di questi, meno di un terzo è riuscito a essere avviato a una qualche forma di lavoro: solo 91, appunto, ha avuto un contratto a tempo fisso; circa 1300 ha avuto contratti a tempo determinato (ma non è specificata la durata); gli altri si sono divisi fra contratti di apprendistato e, la maggioranza, tirocini (oltre 2500). Di per sé il dato potrebbe anche non sembrare negativo, se si considera che la Regione ha investito in tirocini 58 milioni, il 25% delle risorse stanziate per “Giovani sì”. La Toscana, infatti, è stata la prima regione a pretendere che i tirocini venissero retribuiti, con un mensile di 500 euro. Eppure i tirocini non hanno funzionato come sperato. Non hanno consentito ai giovani di trovare lavoro. Hanno rappresentato un metodo di contatto fra i giovani e il mondo del lavoro e i centri per l’impiego hanno fatto un lavoro importante, ma lo sbocco occupazionale non c’è stato. Oltretutto c’è un uso improprio dei tirocini per le attività di manovalanza e sicuramente esiste l’abuso per alcune figure. In Toscana 36mila ragazzi senza lavoro: il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), a settembre 2014 è al 37%, in crescita rispetto all’anno precedente. E il fatto che sia - 8,2% sul dato nazionale non costituisce una consolazione. Soprattutto perché resta a + 15% sulla media europea. Il 60% dei giovani beneficia di un «avviamento» entro un anno dalla fine del tirocinio, ma si tratta di tanti contratti, ma brevi. All’interno di questo 60% al 25% viene proposto un altro tirocinio, al 75% un contratto vero e proprio a tempo determinato, indeterminato, apprendistato o altro». Nel 2013 su 3371 rapporti di lavoro attivati in seguito a tirocini di “Giovani Sì”, solo 153 (il 4,5%) sono stati a tempo fisso. La maggioranza sono stati a tempo determinato, anche per pochi giorni (il 39,4%) e di apprendistato (il 28,8%). Una misura che perfino Irpet definisce «deludente» negli esiti. Di sicuro, segnala l’istituto regionale c’è stato un crollo nel ricorso a questa forma di avviamento al lavoro: 5000 circa nel 2014, contro i 10mila del 2008. Dati Provincia di Lucca Nell’ultimo anno, le dinamiche che hanno interessato il mercato del lavoro della provincia di Lucca hanno condotto ad una riduzione dell’occupazione e ad un aumento della disoccupazione. La contrazione del numero di occupati è stata stimata dall’ISTAT nell’ordine di circa 6.000 unità mentre l’incremento dei disoccupati è valutato attorno a 3.000 unità (la differenza viene attribuita a passaggi dall’occupazione all’inattività). Nel 2014 gli avviamenti al lavoro sono diminuiti del 5,8% e gli avviati dell’8,1%. L’andamento del mercato del lavoro è ovviamente collegato a quello dell’economia. Secondo le stime diffuse dall’IRPET, il PIL regionale è diminuito dell’1,3% e i consumi dell’1,7%.3 Questi risultati vanno sommati a quelli dei periodi precedenti degli ultimi 6 anni. I settori economici che nel 2014 presentano una (modesta) variazione positiva in termini di individui avviati si contano sulle dita di una mano (industria estrattiva, utilities, PA, istruzione). Il quadro migliora lievemente andando a vedere gli avviamenti, poiché ai comparti sopra indicati si aggiungono il commercio (+ 1,7%), i trasporti (+ 11,1%) ed i servizi alle imprese (+ 1,3%). In questi ultimi casi, l’incoerenza fra variazione degli avviati e variazioni degli avviamenti indica una tendenza a ricorrere a tipologie contrattuali più aleatorie (ad esempio, la somministrazione o il tempo determinato di breve durata) che contemplano la possibilità di avviare un individuo più volte nel corso dell’anno (non necessariamente nella stessa impresa). In questo scenario, uno dei segnali positivi desumibili dal quadro degli avviamenti riguarda i giovani. Tale segmento della forza lavoro, infatti, è stato beneficiato nel corso dell'ultimo anno da un incremento, sia in termini di avviamenti (+ 8%) che di avviati (+ 4,5%). Il dato dell’ultimo anno si inserisce in un trend che risale almeno al 2011. Pertanto occorre prudenza nell’attribuire il fenomeno in oggetto alle misure incentivanti introdotte recentemente nell’ordinamento. A questo proposito, si deve invece rilevare un tendenza all’aumento della volatilità degli episodi lavorativi, testimoniata dall’andamento del rapporto fra avviamenti ed avviati. Gli avviamenti sono aumentati sensibilmente nell’area della Piana di Lucca (CPI Lucca) e sono invece crollati (- 15%) in Versilia e in Valle del Serchio. Seppur in proporzioni più contenute, l’andamento degli avviati mostra un analogo divario fra i mercati del lavoro territoriali. L’andamento delle iscrizioni è caratterizzato da una tendenza costante alla riduzione dell’età media degli 12
iscritti ai Centri per l'Impiego. L’incremento in termini assoluti e relativi delle iscrizioni di giovani rispecchia le crescenti difficoltà incontrate dalle componenti più deboli dell’offerta di lavoro e dipende in parte anche dal fatto che l’intervento degli ammortizzatori sociali tende ad essere concentrato nel segmento adulto della forza lavoro. Di fatto, in sintesi, il nostro mercato del lavoro non offre certezze, richiede flessibilità, capacità di adattarsi al cambiamento in maniera veloce, impensabile solo pochi anni addietro. Siamo partiti da qui, da numeri che in realtà corrispondono a volti, per delineare la cornice in cui ci muoviamo. Siamo ormai assuefatti a certe statistiche, alle cifre in percentuale. Trend occupazionali I dati di Contabilità Nazionale (Istat, 2015) offrono elementi informativi per valutare l’andamento dell’input di lavoro nel contesto delle dinamiche produttive dei principali macro-settori. Nel primo trimestre 2015, resta negativa la dinamica dell’industria (che assorbe circa il 22% delle posizioni lavorative dell’intera economia) per effetto soprattutto del persistente calo del settore delle costruzioni. Un segnale meno sfavorevole riguarda le attività manifatturiere, il cui monte ore lavorate ha segnato una graduale ripresa nel corso del 2014 e una sostanziale stabilità all’avvio di quest’anno. Decisamente più positivo è il quadro fornito dagli indicatori per i settori dei servizi, che rappresentano il 72,3% delle posizioni lavorative totali: la dinamica tendenziale delle posizioni ha registrato un progressivo rafforzamento nel corso del 2014 che indica, nonostante l’attenuazione del primo trimestre di quest’anno, una ripresa dell’input di lavoro nel comparto. Le dinamiche complessive dell’occupazione dipendente risentono di una domanda di lavoro da parte delle imprese industriali e dei servizi notevolmente differenziata a livello settoriale. Se nell’industria continua una significativa riduzione delle posizioni lavorative rispetto al trimestre precedente (-0,7%) e in termini tendenziali (-2,8%), nei servizi anche nel primo trimestre 2015 prosegue un andamento positivo (+0,2% la crescita congiunturale e +0,4% quella tendenziale). In particolare è nei servizi personali e sociali (Istruzione, sanità e assistenza sociale, attività artistiche e altre attività di servizi) che si registra l’incremento maggiore (+0,3% rispetto al trimestre precedente, +1,2% in termini tendenziali). 3) Universo NEET: il fenomeno (il fenomeno?); i bisogni formativi, occupazionali, personali. Nello scenario dell'era contemporanea si insinua il famigerato fenomeno dei Neet, definizione che accompagna come un'ombra gran parte dei giovani del Terzo Millennio in Italia così come in Europa. Il neologismo, di per sé, sta a indicare Not in Education, Employment or Training ovvero chi non stia studiando, lavorando o partecipando ad alcun tipo di formazione (un po' come cantavano i CCCP sul finire degli anni '80 o come presagivano, scherzosamente, Andrea e Bart in Santa Maradona: L'affitto è in nero. Non andiamo all'università, non lavoriamo, non siamo iscritti a nessuna lista di collocamento... tecnicamente non esistiamo!) La sociologia ci insegna che la transizione nel modello di società occidentale è segnata da cinque tappe: l’uscita dalla casa dei genitori, il completamento del percorso educativo, l’ingresso nel mercato del lavoro, la formazione di una famiglia, l’assunzione di responsabilità verso i figli. E se fino agli anni '70 circa questo non era messo in discussione, dagli anni del boom economico e della maggior agiatezza il processo ha allargato le proprie maglie e dallo schema “scuola-lavoro- famiglia” si è passati ad una situazione molto più frastagliata. Basandosi sulla ricerca effettuata da WeWorld, ONG italiana di comprovato spessore, in collaborazione con CNCA, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) – 13
associazione di promozione sociale organizzata in 17 federazioni regionali a cui aderiscono circa 250 organizzazioni presenti in quasi tutte le regioni d'Italia, fra cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, associazioni di volontariato, enti religiosi – si possono raccogliere molti dati utili a comprendere le dinamiche del fenomeno Neet. Sempre ammesso che si voglia perpetuare una categorizzazione e classificazione che rimanda a sfere cognitive legate al disagio e all'insuccesso, più che occuparsi specificatamente dei soggetti coinvolti e interrogarsi sui loro bisogni specifici. La ricerca è partita dall’idea di base di raccogliere degli spunti utilizzabili nel lavoro di approfondimento tramite le interviste biografiche e l’indagine campionaria via web. Il sondaggio è stato rivolto a giovani coinvolti in iniziative e attività promosse e gestite dalle diverse Organizzazioni del CNCA e di realtà che si occupano di politiche giovanili di diverse regioni italiane. Ai giovani è stato proposto di considerare sette quesiti, proposti nella forma della domanda aperta: • esiste il fenomeno Neet? • ti consideri un Neet? • tra i tuoi amici più ristretti vi sono Neet? • quale livello di consapevolezza c’è nei giovani del fenomeno Neet? • quali sono le cause della condizione Neet tra i giovani? • quali azioni si potrebbero attivare per contrastare il fenomeno Neet? Il sondaggio ha coinvolto 100 giovani di undici regioni (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto) con una prevalenza di giovani del Nord Italia con un equilibrio quasi perfetto tra maschi e femmine. L’età media degli intervistati è di 23 anni, con limiti di 15 e 40 anni: il 21% ha meno di diciotto anni, il 55% ha tra 19 e 24 anni, il 15% ha tra 25 e 29 anni, il 5% ha 30 anni o più. L’87% dei giovani partecipanti è di nazionalità italiana. Tra le altre nazionalità sono presenti quella marocchina (4 giovani) e quella rumena (2 giovani) e singole unità di provenienza dal Kossovo, da Macedonia, Polonia, Tunisia e Turchia. Il 26% dei giovani ha solo la licenza media, il 12% ha conseguito una qualifica professionale, il 43% ha completato la scuola superiore, il 15% ha raggiunto una laurea triennale e il 4% ha completato gli studi con una laurea specialistica. Sono giovani che, considerata l’età prevalente, presenta titoli di studio ancora in divenire: tra chi è nella fascia dai 19 ai 24 anni il 13% ha solo la licenza media, il 73% ha conseguito qualifica o diploma e il 13% una laurea; tra chi è tra 25 e 29 il 61% ha una qualifica-diploma e il 39% una laurea; tra chi è nella fascia 30-35 il 20% ha qualifica-diploma e l’80% ha una laurea e, infine, tra chi ha più di 35 anni il 20% ha la licenza media, il 40% qualifica-diploma e il 40% una laurea. La condizione Neet è conosciuta dal 90% dei giovani che hanno risposto al sondaggio (il 4% ritiene non esista e il 6% non sa esprimersi in proposito). Da notare che una parte consistente dei partecipanti ritiene il fenomeno in crescita e ne parla in termini di notevole preoccupazione. Da segnalare, inoltre, che alcuni giovani ritengono il fenomeno esistente ma eccessivamente strumentalizzato ed enfatizzato dai media, ritenendo che la condizione “Neet” sia un passaggio fisiologico della vita dei giovani e che l’uscita da questa condizione dipenda sostanzialmente dalla fortuna. Di fronte al quesito circa le cause del fenomeno Neet, le indicazioni raccolte permettono di costruire una mappa complessiva del pensiero dei giovani nella quale emergono quattro focus di attenzione: l’ambiente familiare, l’ambiente scolastico e formativo, l’ambiente sociale e la dimensione personale. Questo ultimo è l’aspetto maggiormente messo in rilievo (quasi il 40% delle segnalazioni hanno a che fare con questo aspetto). In particolare, vi è chi sottolinea la diffusione di atteggiamenti e comportamenti giovanili, ai quali è fatta risalire la possibilità di entrare nella condizione di Neet: 14
• una mentalità non progettuale e non attiva, con la tendenza ad aspettare soluzioni e possibilità provenienti dall’esterno, • una propensione per il divertimento piuttosto che l’impegno personale e sociale, • la scarsa determinazione personale nelle proprie responsabilità, • la scarsa disponibilità di mettersi in gioco, • avere visioni ristretta della vita e del futuro, • la scarsa disponibilità a fare fatica, • la tendenza ad accontentarsi di ciò che si ha senza mirare a qualcosa di meglio, • la facile demotivazione rispetto alle difficoltà, • la disillusione verso le promesse della società non mantenute, • la scarsa capacità di adattamento. Il peso degli atteggiamenti personali dei giovani incrocia e s’intreccia con una serie di problematiche di natura sociale che attraversano l’intera società e che costituiscono per i giovani un consistente ostacolo nel percorso di crescita e autonomizzazione dalla famiglia. In particolare, sono molti quelli che connettono questa situazione alla crisi economico-sociale ed etica che il mondo sta vivendo da diversi anni, con impoverimento sociale e culturale progressivo nonché crisi del mondo del lavoro. C’è chi annota anche la mancanza di riforme e di lungimiranza dei governi e chi ritiene che proprio il mondo dei giovani sia quello su cui si concentra il massimo di disattenzione delle istituzioni. Tutto ciò si traduce in scarse opportunità di lavoro per i giovani, in paradossi quali la ricerca di giovani lavoratori con molta esperienza nel campo e la debolezza dei titoli di studio, soprattutto di quelli professionalizzanti. La terza dimensione che agisce come concausa è individuata nel sistema formativo (il 21% delle segnalazioni attiene a quest’ambito). Gran parte delle annotazioni ruota intorno alla debolezza dei titoli di studio e alla scarsa correlazione tra percorsi formativi e opportunità lavorative (comprensivi delle esperienze di stages e tirocini scolastici). Sotto accusa, quindi, è la capacità delle scuole di promuovere nei giovani il desiderio e la voglia di studiare e di formarsi riguardo alle esigenze della società e del mondo del lavoro. Sono molte le considerazioni inerenti l’aumento dei costi per lo studio (che causa una diminuzione dei giovani in condizioni di poter proseguire gli studi, soprattutto universitari) e la mancanza di opportunità di orientamento dentro i percorsi scolastici e tra essi e i percorsi di inserimento lavorativo. L’ultima dimensione evidenziata è quella della famiglia (l’8% delle segnalazioni) della quale si annotano la tendenza alla perdita di valore come ambiente formativo e di stimolo verso l’autonomia e di promozione dello studio come valore in sé, e non solo come “strumento per”. Della famiglia i giovani segnalano, inoltre, la tendenza a delegare sempre più alla scuola, e alla società in genere, le responsabilità educative verso i giovani, nonché la tendenza a essere poco autorevole e eccessivamente permissivi. La questione che unisce famiglia e scuola è individuata nella comune scarsa capacità di ascoltare e dialogare con i giovani. L’esito dell’intreccio di tutti questi fattori costituisce la condizione Neet, di cui si sottolineano la componente psicologica dei giovani, ovvero la crescente sfiducia generalizzata (se riferita alla società e al presente/futuro dei giovani) e personalizzata (se riferita a sé e al proprio presente/futuro), nonché il crescente disorientamento che porta molti giovani allo stallo e alla rassegnazione. Si rende abbastanza evidente ed esplicito, quindi, che il senso di abbandono e di disagio la facciano da padrone senza il bisogno di rincarare la dose con ghettizzazioni lessicali. I Neet necessitano di sprono, di interventi di orientamento, di percorsi di qualifica, di sportelli lavoro e Zefiro, sul territorio, cerca di muoversi esattamente in queste direzioni. E non si deve nemmeno pensare che questi ragazzi siano tutti sbandati senza arte né parte: molti, infatti, sono in possesso di titoli di studio elevati e molti sono anche gli scoraggiati, quelli che potenzialmente rientrano nella forza lavoro ma che non hanno gli strumenti, le conoscenze o lo 15
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