Venezia: tra alta marea, Mose di
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Venezia: tra alta marea, Mose e nuove soluzioni di monitoraggio Abbiamo visto in poco più di sei mesi Venezia completamente sottacqua a novembre 2019 e poi completamente vuota, con le gondole ferme e le acque dei canali limpide durante il lockdown da Covid-19. Ma l’emergenza Coronavirus non deve farci dimenticare il Mose, la grande opera di ingegneria idraulica che dovrebbe difendere dall’acqua alta questa città, fragile e bellissima. L’ultimo test sul Mose Secondo Elisabetta Spitz, commissario straordinario per il Mose, l’opera sarà consegnata il 31 dicembre 2021 ma se fosse necessario durante il prossimo autunno, potrà entrare in funzione per situazioni di emergenza legate al fenomeno dell’acqua alta. Il 31 maggio scorso intanto c’è stata una doppia prova di sollevamento delle schiere di paratoie del Mose, 19 alla bocca di porto di Malamocco, visibile dal Lido di Venezia, e 18 in quella di Chioggia. L’innalzamento delle dighe in laguna è iniziato poco dopo le 13 e si è concluso alle 15: un collaudo svolto con buone condizioni meteo e mare calmo per questo che è stato l’ultimo test prima della prova generale del 30 giugno. Nonostante le necessità di distanziamento imposte dalle regole post emergenza Covid-19 i veneziani non hanno voluto perdersi l’azione di sollevamento delle paratoie, come fosse uno spettacolo al quale assistere in spiaggia e dalla diga degli Alberoni.
Cos’è di preciso il Mose Intanto la parola Mose è una sigla che significa Modulo Sperimentale Elettromeccanico. Il nome deriva dal primo singolo cassone sperimentale costruito negli anni ’70. Ma il nome di quell’oggetto sperimentale era ricco di assonanze e richiamava Mosè che, narra la Bibbia, divise le acque del mar Rosso, salvando il suo popolo dalla minaccia del cattivo faraone. La sigla piacque tantissimo e venne estesa a tutto il progetto. Il progetto Mose è stato scelto al termine di un lungo iter
progettuale e decisionale durante il quale il sistema di paratoie alle bocche di porto è stato confrontato con numerose soluzioni alternative. E’ risultato l’unica opera in grado di rispondere ai precisi vincoli e requisiti richiesti, ovvero: non modificare gli scambi idrici alle bocche di porto; non avere pile intermedie fisse nei canali alle bocche di porto; assicurare la completa difesa del territorio dagli allagamenti; non interferire con il paesaggio; non interferire con le attività economiche che si svolgono attraverso le stesse bocche. Il Mose consiste in 4 barriere costituite da 78 paratoie mobili tra loro indipendenti in grado di separare temporaneamente la laguna dal mare e di difendere Venezia sia dagli eventi di marea eccezionali e distruttivi, sia da quelli più frequenti. Le barriere sono collocate alle bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia. Sono i tre varchi del cordone litoraneo attraverso i quali la marea si propaga dal mare Adriatico in laguna. Il Mose può proteggere Venezia e la laguna da maree alte fino a 3 metri e da un innalzamento del livello del mare fino a 60 centimetri nei prossimi 100 anni. Come funziona il Mose? Quando sono inattive, le paratoie sono piene d’acqua e giacciono completamente invisibili in alloggiamenti collocati nel fondale. In caso di pericolo di maree particolarmente sostenute che possano provocare un allagamento del territorio, nelle paratoie viene immessa aria compressa che le svuota dall’acqua. Via via che l’acqua esce le paratoie, ruotando attorno all’asse delle cerniere, si sollevano fino ad emergere e a bloccare il flusso della marea in ingresso in laguna. Le paratoie restano in funzione per la sola durata dell’evento di acqua alta. Quando la marea cala, e in laguna e in mare si
raggiunge lo stesso livello, le paratoie si riempiono nuovamente d’acqua e rientrano nella propria sede. Ciascuna paratoia è costituita da una struttura scatolare metallica vincolata attraverso due cerniere al cassone di alloggiamento. Ogni paratoia è larga 20 metri e ha lunghezze diverse proporzionali alla profondità del canale di bocca dove viene installata e spessore variabile. Il tempo medio di chiusura delle bocche di porto è di circa tra 4/5 ore (compresi i tempi di manovra per l’apertura e la chiusura delle paratoie). Venezia e l’alta marea Venezia ha un’enorme familiarità con l’acqua alta: è sempre pronta a rispolverare passerelle e stivali. Ma i 187 cm raggiunti nella notte del 12 novembre dello scorso anno e la successiva settimana di livelli emergenziali, hanno determinato due vittime ed almeno un miliardo di euro di
danni. Molte opere d’arte, spostate ai piani alti, si sono salvate, ma la Basilica di San Marco e 70 delle 120 chiese della città sono state danneggiate. Sono andati fuori uso prese elettriche, ascensori, computer e terminali pos nei negozi e centinaia di abitazioni hanno subìto gravi danni. L’evento ha segnato un record. Dal 1982 valgono specifici criteri di misurazione e il mese di novembre 2019 ha fatto registrare per la prima volta due maree di oltre 150 cm e tre di oltre 140 cm nello stesso anno e nella stessa settimana. Inoltre, per la seconda volta nella storia si sono superati i 140 cm in due occasioni in meno di 24 ore. Eventi eccezionali che un giorno forse rischiano di non essere più considerati tali. I cambiamenti climatici e il
laboratorio sottomarino ENEA Questi eventi eccezionali di Venezia hanno tra le cause il climate change. Lo scioglimento dei ghiacciai artici provoca l’innalzamento del livello dei mari, mentre l’aumento della loro temperatura media fa crescere il volume della massa acquatica. Secondo il ricercatore dell’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie (ENEA) Gianmaria Sannino, sempre più spesso saranno colmati quei 40-50 cm di differenza tra una marea normale, gestibile senza danni, e quelle di metà novembre. Il risultato sarà una Venezia allagata ad ogni alta marea. Lo scenario è sconfortante. Entro fine secolo si prevede un aumento del livello dei mari fino a un metro. Ma già nel 2050 l’acqua potrebbe arrivare alle porte di Rovigo e di Ravenna. A Venezia, dal 1872, il livello è già cresciuto di oltre 30 centimetri. Il laboratorio in uso a La Spezia A questo proposito non è assolutamente da escludere l’installazione di un laboratorio sottomarino per monitorare giornalmente lo stato di salute del mare, finalizzato allo studio degli effetti del cambiamento climatico. Questa tecnologia è già in funzione nel Golfo dei Poeti di La Spezia. Un laboratorio hi-tech a 10 metri sotto il livello del mare, dotato di: telecamera digitale, sensori per il monitoraggio dei parametri ambientali (temperatura, salinità e velocità delle correnti), speciali gabbie per lo studio della degradazione delle plastiche e l’assorbimento di sostanze inquinanti in ambiente marino. Questo è l’identikit dell’innovativo osservatorio sottomarino installato dal Distretto Ligure delle Tecnologie Marine (DLTM), in collaborazione con ENEA, CNR, INGV, Istituto
Idrografico della Marina, Comune di Lerici e Cooperativa Mitilicoltori Associati, nell’ambito del progetto LabMare finanziato dalla Regione Liguria. Tale laboratorio potrebbe essere molto utile alla causa “Venezia”, in supporto al Mose. Purtroppo la situazione idrogeologica è responsabile “solo” dell’intensificarsi dei danni dovuti ai fenomeni meteorologici estremi. Senza risolvere i quali la manutenzione del territorio serve a poco. La causa è l’emergenza climatica. Ed è questa che dobbiamo combattere, riducendo drasticamente le emissioni di anidride carbonica, abbandonando le fonti di energia fossile in favore di quelle rinnovabili, investendo sulle tecnologie di assorbimento della CO 2 già presente in atmosfera, incentivando i mezzi di trasporto ecologici e tassando le aziende più inquinanti. Queste sono le strategie da seguire se non vogliamo che quanto toccato a Venezia diventi la normalità di tante altre città e territori del nostro Paese. Articolo pubblicato il 29 maggio 2020 – aggiornato il 4 giugno 2020
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