Tredici poesie di Giuseppe Rollèri

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Tredici poesie
                           di Giuseppe Rollèri

Exit. All’alba
Ti rizzasti profetico, nel buio
solo il cuscino gessoso
accoglieva un poco
dell’esterno bluastro chiarore.
Segnando con la mano protesa
il tuo varco imminente gridasti
È buona! È buona!...
Intendesti, è vero? la vita e non
la morte?

Frost
Il giovane arancio
che piantammo e crebbe,
svelto di tronco e rotondo di fronde,
si trova ora per sempre
seccato.
Il gelo impomatò di venefica brina
le pomarance
ed impietrì gli zuccheri sanguigni.
Sfrondato e brutto di stecchi
non ha più età,
il giovane arancio,
come ogni morto,
e solo chiede di essere
presto divelto.

                                        
GIUSEPPE ROLLÈRI

***
Leggendo una brutta poesia
di un grande poeta mi parve
di non averlo mai
così tanto amato.
Fu forse in un calidoso week-end
e la strada era pure
da una foschia arancione
invasa, in una sera
come questa sconciata
dal suo stesso indifferente
passare.
La Belle-Alliance-Strasse tu, Gottfried,
risalivi adagio, infossato, a ritardare
lo scacco, la pena, imposti,
ma poi quanto a lungo
– mentre fuori incarboniva il giorno –
fosti tutt’uno col tuo vuoto
e la dura semplicità dello strumento,
dentro la luce cremosa dell’abat-jour.

Museo a Siracusa
Anelli, orecchini, lucerne,
cucchiai e specchi
stanno, in vetrina, sotto la scritta:
Anonima città di Monte San Mauro.
Di chi dopo allegra cena
soffiò su quel lume e sciolse
quella fibbia femminea dolcemente
neppure resta il nome del luogo,
grande di luci e di grida, antico,
ove quegli fu, dopo il piacere,
triste di essere pago.
Anche vi sono, sul lucido ripiano,
frammenti di leggi in verdastro bronzo,
prefissi, desinenze, rare
parole intere. Che resterà un giorno
del vasto, ben ordinato
museo?

                                        
TREDICI POESIE

Via del Mercato Vecchio
Per terra
una testa di pesce, grande,
intatta,
vicino all’occhio di stagno
un tocco di rosso,
poi anche, guardando,
un po’ di celeste o di verde,
in una via dietro il Mercato Vecchio,
per terra, nel chiarore senza sole,
di prima sera.
Non buttata. Messa,
dalla stessa mano,
per ricordarmi
come sono.

Ricordo della pittrice A. B. R.
Pochi colori nei tuoi abiti,
il lilla e nero del mezzo lutto,
e nell’ombra della morte sfumavano
anche i rosa e gli amaranto
dei pochi anni illusi.
Nel governare e crescere
cespugli versicolori e steli, inesperta;
mentre esibiva dai giardini intorno
ogni ebete madama stupende epifanie.
A te mal cresceva il geranio
sbandando dalla terrazza assolata
e le zinnie smaniose proliferavano
al montare di pulverolente infezioni.
Erano, per te, cose dell’anima, vietate
al mondo, i fiori,
quando nella penombra e nell’assente sorriso
la tavolozza odorosa di trementina
mettevi a confronto con il bouquet
nel cristallo punteggiato di luce.

                                        
GIUSEPPE ROLLÈRI

***
Dicevi, curvandoti al finestrino
della macchina già avviata: Butta via
– dicevi senza molta speranza –
butta via, spreca, una cartolina!
L’umiltà, di quella supplica attenuata
dal tono scherzoso.
La crudeltà, di quel mio negarmi nascente
da fondo insondabile.
Quanto è comune, quanto è atroce la storia
dell’atto filiale mancato: la racconti ognuno
con le sue parole più nude,
se ancora ne ha.

***
Piove laggiù,
sull’alto cimitero che dentella
il colle di Trespiano.
Ora la siepe d’acqua calerà
al vallone, lì in fosche ciarle
trattenuta dal pioppeto buio
del fondo.
Ma risalita a questa altura
che qualche tocco di sole smarrito
ancora inganna,
sarà, a un tratto, la nostra
volta.
Dagli occhi protesi
ci faremo lavare le ultime
croste di pianto.
Per la morte noi siamo
una meta.

                                        
TREDICI POESIE

***
Questa è la terrazza dove ardente
fissai la solitudine degli astri,
qui tremai alle mie
prime sortite
dal cono del raggiante camino, quando
il mio terroso pallore lavavo
in poche gocce.
Ma oggi quanto più alta
è l’ora,
quanto più lungo l’avvento.
Già Orione s’inalbera.
Lontano svolta
e non arriva che un’eco
dall’orchestrina delle Pleiadi.

***
Tornato ieri
dopo breve assenza
– e giorni d’acqua – dalla finestra
vedo dietro il grande cespuglio
levarsi una lingua di candida fiamma:
un giglio, un giglio di Sant’Antonio,
crebbe occulto
dietro il rosmarino.
Pare voglia dirmi qualcosa,
quel bianco tratto da povere oleografie
e grotte divote che sbuca
dall’aspro perenne verdazzurro
dei rametti nerboruti.
Sopra l’aroma virile degli arrosti
galleggia fin qui
un filo di lunare profumo.
Chi chiama, l’inatteso
simbolo?
Non sono io, mi dico, non io.
Eppure, mentre inizio la dura giornata,
sono frastornato da una speranza.

                                       
GIUSEPPE ROLLÈRI

***
Tu, prossimo alla nuda finestra,
alloro, con tutto l’intatto candore
del tuo verde, tristemente
ondeggiando mi persuadi
come si perda di questa sera
il senso
tra le mille che ricuoce
quel calderone di rame
lontano.

Vacanza sveva
Quando ogni notte riaccende
la mischia degli astri,
sull’alto ponte dell’estate,
ho girato le valli del Neckar
raccogliendo sere azzurre
rarissime
e ritagliando le ali ai tramonti
per la mia raccolta di farfalle.
Ho cercato fin dai primi giorni
i segni della fine:
quando questa è venuta
io solo mormoravo felice
colchiques dans les près
nella generale tristezza.

Piccolo notturno
Sorpresa nuda,
pudica la luna attraversa
di corsa
una radura fra le nubi.

                                         
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