Tre racconti in Centopagine - Italo Calvino e Gustave Flaubert: opere, idee, analogie - OpenEdition Journals

Pagina creata da Nicole Berardi
 
CONTINUA A LEGGERE
Tre racconti in Centopagine - Italo Calvino e Gustave Flaubert: opere, idee, analogie - OpenEdition Journals
Flaubert
                          Revue critique et génétique
                          14 | 2015
                          Flaubert et l'Italie

Tre racconti in Centopagine
Italo Calvino e Gustave Flaubert: opere, idee, analogie

Dario Pontuale

Edizione digitale
URL: http://journals.openedition.org/flaubert/2472
ISSN: 1969-6191

Editore
Institut des textes & manuscrits modernes (ITEM)

Notizia bibliografica digitale
Dario Pontuale, « Tre racconti in Centopagine », Flaubert [En ligne], 14 | 2015, mis en ligne le 15
décembre 2015, consulté le 06 février 2020. URL : http://journals.openedition.org/flaubert/2472

Questo documento è stato generato automaticamente il 6 febbraio 2020.

Flaubert est mis à disposition selon les termes de la licence Creative Commons Attribution - Pas
d'Utilisation Commerciale - Pas de Modification 4.0 International.
Tre racconti in Centopagine   1

Tre racconti in Centopagine
Italo Calvino e Gustave Flaubert: opere, idee, analogie

Dario Pontuale

                                     […] puisque personne, jamais, ne peut donner
                                            l’exacte mesure de ses besoins, ni de ses
                                   conceptions, ni de ses douleurs, et que la parole
                                    humaine est comme un chaudron fêlé où nous
                                        battons des mélodies à faire danser les ours,
                                            quand on voudrait attendrir les étoiles1.
                                      Il mio lavoro di scrittore è stato teso fin dagli
                                  inizi a inseguire il fulmineo percorso dei circuiti
                                   mentali che catturano e collegano punti lontani
                                                           dello spazio e del tempo2.

Flaubert, 14 | 2015
Tre racconti in Centopagine   2

1   È il 1946 quando Italo Calvino oltrepassa
    per la prima volta la soglia della redazione
    di casa Einaudi. Ha poco più di vent’anni.
    In via Biancamano è stato personalmente
    invitato da Cesare Pavese, suo maestro e
    primo lettore, il quale assieme a Elio
    Vittorini, ha apprezzato quei racconti
    giovanili sulla lotta partigiana apparsi su
    Aretusa e sul Politecnico. L’incontro tra
    Calvino e Giulio Einaudi sarà l’inizio di un
    proficuo sodalizio che, seppur con brevi
    pause, durerà quasi quattro decenni nei
    quali lo scrittore ligure si affermerà come
    uno dei maggiori autori del Novecento e il
    marchio torinese assurgerà a modello
    editoriale italiano. Calvino comincia la
    propria carriera professionale vendendo
    libri a rate per lo «struzzo» e
    pubblicandovi il primo romanzo Il sentiero
    dei nidi di ragno3. Lavora come redattore di
    terza pagina a L’Unità, ma torna presto in
    via Biancamano per essere assunto prima
    nell’ufficio stampa e, più tardi, nella direzione della Piccola biblioteca scientifica letteraria.
    Dal 1955 al 1961, assume un ruolo dirigenziale per poi concludere la carriera, tra
    notorietà e riconoscimenti, come consulente esterno.
2   La vera impresa einaudiana alla quale più organicamente Calvino lega il proprio nome
    è, tuttavia, la collana «Centopagine», un progetto da lui stesso fondato nel 1971 e
    diretto fino al 1985, anno della sua morte. Settantasette i volumi editi, un impegno
    letterario che setaccia opere dal Cinquecento fino al Novecento, con particolare
    predilezione per il Diciannovesimo secolo. Scrittori meno celebri, Iginio Ugo Tarchetti,
    Enrico Pea, Giovanni Boine, affiancano gli intramontabili: Conrad, Balzac, James,
    Stevenson, Dostoevskij. Seguendo la personale poetica narrativa e saggista, nonché il
    palato di lettore, Calvino attua un calibrato criterio selettivo spiegato nel quartino di
    presentazione allegato ai primi quattro volumi:
         Centopagine è una nuova collezione Einaudi di grandi narratori di ogni tempo e di
         ogni paese, presentati non nelle opere monumentali, non nei romanzi di vasto
         impianto, ma in testi che appartengono a un genere non meno illustre e nient’altro
         minore: il «romanzo breve» o il «racconto lungo». Il nome della collezione non va
         preso alla lettera: ogni volume darà un romanzo compiuto e le pagine potranno
         essere anche centocinquanta o duecento, o magari solo novanta; più che sulla
         dimensione il criterio di scelta si baserà sull’intensità di una lettura sostanziosa che
         possa trovare spazio anche nelle giornate meno distese della nostra vita
         quotidiana4.
3   Prerogative esatte, parole chiare, intenti limpidi per una collana d’autore. Entrano in
    catalogo Le notti bianche5 (Belye noči), Pierre e Jean6 (Pierre et Jean), La linea d’ombra7 (The
    shadow line), Storia di un fannullone8 (Aus dem leben eines taugenichts), Il padiglione sulle
    dune9 (The pavillon on the links), Due ussari10 (Dva gusara), capolavori per i quali Calvino
    sceglie traduttori, firma introduzioni e quarte di copertina. C’è un titolo, tuttavia, a cui

    Flaubert, 14 | 2015
Tre racconti in Centopagine   3

    tiene particolarmente ; l’autore è un romanziere per il quale lo scrittore sanremese
    nutre da sempre riconoscenza e stima, citato nella saggistica e fonte di ispirazione nella
    narrativa: Gustave Flaubert. L’opera si intitola Tre racconti 11 (Trois Contes), tradotta per
    «Centopagine»12 da Lalla Romano nel febbraio del 1980 come sessantaduesimo numero
    della collezione e riportante in copertina un delicato bozzetto di Renoir con degli studi
    su visi femminili. Una scelta editoriale acuta, intelligente, perfino coraggiosa con la
    quale Calvino presenta al pubblico italiano il genio eremita di Flaubert da
    un’angolazione diversa, non quella più conosciuta del romanziere, bensì la meno nota
    di autore di racconti. Cura personalmente la quarta del volume. Con scrupolosa
    esattezza terminologica e concettuale, cesella frasi che spiegano la profondità del
    messaggio letterario di Flaubert accennando, neppure troppo velatamente, al ruolo
    rivestito nella sua formazione letteraria. Più che un testo destinato alla quarta di un
    volume, si presenta come un saggio breve, tale è preciso lo scavo analitico. Riferendosi,
    appunto, ai racconti annota:
         Sono le ultime opere che Flaubert ha portato a termine nella sua vita e
         rappresentano la sintesi più piena e perfetta del suo ostinato lavoro per dare alla
         prosa narrativa moderna un rigore e un’essenzialità quali solo la poesia in versi si
         era fino ad allora proposta di raggiungere13.
4   Evidente quanto queste righe siano un indiscusso tributo all’impeccabile stile
    flaubertiano, nonché un nuovo spunto interpretativo. I racconti che compongono il
    volume, Un cuore semplice ( Un cœur simple), La leggenda di san Giuliano ospitaliere ( La
    Légende de Saint-Julien l’hospitalier) e Erodiade (Hérodias), infatti non erano inediti per il
    panorama librario italiano. Flaubert li aveva scritti tra il 1875 e il 1877, concedendosi
    una pausa da Bouvard e Pécuchet, e l’Einaudi li aveva inseriti nel 1944 nella collana
    «Universale Einaudi», seconda solo a un’edizione della Sonzogno 14. Racconti molto
    diversi per genere, ma essenza dello stile di Flaubert, per i quali Calvino non si esime
    dal commentare:
         Risultati straordinari tutti e tre, in tre direzioni diverse: Un cuore semplice
         nell’identificazione con la minuta realtà quotidiana del proprio tempo, con il
         vissuto dell’umanità più umile; La leggenda di san Giuliano Ospitaliere nella
         trasfigurazione favolosa di una leggenda medioevale; Erodiade nell’evocazione
         storica dell’antichità15.
5   Inoltre, l’8 maggio del 1980, con un articolo apparso su La Repubblica dal titolo «L’occhio
    del gufo», in occasione dei cento anni esatti dalla morte dello scrittore francese, lo
    stesso Calvino ribadisce, ampliandole, alcune osservazioni sui racconti soprattutto su
    Un cuore semplice e su La leggenda di san Giuliano Ospitaliere. Partendo dal fondamentale
    dato comune, quello visivo, le definisce storie capaci di «far vedere» persone e cose
    esplorando l’animo con un’acutezza prodigiosa. Una «visibilità romanzesca» iniziata da
    Stendhal e proseguita da Balzac, che tocca con Flaubert il perfetto rapporto fra parola e
    immagine, tanto che i tre racconti sono: «testimonianza d’uno dei più straordinari
    itinerari spirituali che mai siano stati compiuti al di fuori di tutte le religioni» 16. La dote
    affilata della visibilità, soprattutto come avvalsa da Flaubert, è un tema caro al Calvino
    narratore e critico, infatti rientra nelle «sei proposte per il prossimo millennio», un
    ciclo di conferenze che l’autore avrebbe dovuto tenere presso l’Università di Harvard.
    Sciaguratamente la morte lo sorprende poco prima della stesura dell’ultima proposta,
    così la Garzanti pubblica postumo il volume Lezioni americane 17 dove sono raccolte tutte
    le considerazioni prodotte. Il ruolo rivestito dalla «visibilità» nel mestiere di scrittore,

    Flaubert, 14 | 2015
Tre racconti in Centopagine   4

    soprattutto nella resa espressiva, secondo Calvino, è un concetto cardinale e nell’analisi
    compiuta evidenzia le comunanze con il metodo flaubertiano:
         Diciamo che diversi elementi concorrono a formare la parte visuale
         dell’immaginazione letteraria: l’osservazione diretta del mondo reale, la
         trasfigurazione fantasmatica e onirica, il mondo figurativo trasmesso dalla cultura
         ai suoi vari livelli e un processo d’astrazione, condensazione e interiorizzazione
         dell’esperienza sensibile, di importanza decisiva tanto nella visualizzazione quanto
         nella verbalizzazione del pensiero18.
6   Osservare, descrivere ed evocare come metodo espressivo, come fonte di ispirazione, è
    il principio sul quale si erigono Le città invisibili19, una delle opere calviniane più
    immaginifiche. L’occhio di Marco Polo è quello del viaggiatore che scruta, annota,
    riflette ciò che lo circonda, riportandolo, carico di significato, all’imperatore tartaro
    Kublai Kan. La forma delle città, i materiali e i tessuti che adornano i palazzi, l’aspetto
    dei popoli incontrati, sono sentimenti dell’anima trasformati in «visibilità
    romanzesca», la medesima apprezzata nei Tre racconti, in cui i gesti e l’universo di
    Félicité, Julien e Hérodias, sono luci che offrono a Calvino nuove intuizioni narrative. Le
    analogie, difatti, tra La leggenda di san Giuliano Ospitaliere e il racconto Ultimo viene il
    corvo20 e due dei romanzi della trilogia dei Nostri antenati21, sembrano confermarlo.
7   La foga sanguinaria del giovane Giuliano che, prima della redenzione, con arco, lancia o
    qualunque altra arma, abbatte cervi, falconi e daini, molto si avvicina all’impeto di
    «faccia di mela», il protagonista senza nome del racconto che dà il titolo all’omonima
    raccolta del 1949. Seppur ambientati il primo in un remoto medioevo, l’altro durante la
    lotta partigiana, le anime dei protagonisti soffrono entrambe un inspiegabile senso di
    inquietudine sopito unicamente dalla brama della caccia. Sono infallibili cecchini,
    vittime di pulsioni inconsce che nel gesto meccanico di scoccare una freccia o nel far
    esplodere un bossolo, trovano momentaneo giovamento alla propria smania. Una
    smania spietata e sanguinaria, sostanza di un male avvertito, sintomo di una tetra metà
    che prevale su quella positiva. Tuttavia se il personaggio calviniano resta privo di atto
    espiativo, lasciando al lettore la consapevole problematicità della condizione umana in
    perenne bilico tra giusto e ingiusto, nelle pagine di Flaubert simile processo salvifico si
    compie. In Giuliano convivono bene e male, così come accade in Medardo di Terralba,
    protagonista del Visconte dimezzato22, opera nella quale la disamina calviniana si evolve,
    passando da una vicenda dai toni neorealisti a una di stampo fiabesco-allegorico:
         Avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema
         dell’uomo tagliato in due, dell’uomo dimezzato, fosse un tema significativo, avesse
         un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti
         realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra23.
8   In questo romanzo, edito nella collana «I gettoni»24, la coesistenza tra opposte nature
    viene estremizzata con l’espediente narrativo del dimidiamento tra parte destra e parte
    sinistra, tra il «Buono» e il «Gramo» così come accade ai due volti di Giuliano, il
    parricida e il virtuoso. La spietata uccisione dell’amata averla, che spinge alla morte di
    crepacuore il conte Aiolfo, padre di Medardo; il malvagio allontanamento della balia
    Sebastiana presso Pratofungo, città dei lebbrosi, avvalorano e stringono il legame tra i
    testi. Interessante sottolineare, inoltre, come la morte del santo ospitaliere, avvenuta
    nella fedele abnegazione al proprio spirito cristiano, ricordi l’estremo gesto del
    protagonista del Barone rampante25. Nel secondo capitolo del ciclo dei Nostri antenati,
    infatti, Cosimo Piovasco di Rondò, coerente con il proprio ideale, preferisce aggrapparsi
    a una mongolfiera di passaggio piuttosto che rimettere piede a terra dopo un’intera

    Flaubert, 14 | 2015
Tre racconti in Centopagine   5

     vita trascorsa sugli alberi. Difende, dunque, la propria estrema scelta fino allo strenuo.
     Entrambi questi decessi si consumano attraverso una simbolica ascesa, Giuliano
     raggiunge gli spazi celesti accompagnato dalle braccia caritatevoli di Cristo; Cosimo
     scompare aggrappato a una fune e sospinto lontano da un vento colmo di allegoria.
9    Morti senza rimpianti perché coerenti con un preciso vissuto, alle quali si può
     avvicinare, senza forzature, anche il mesto addio di Félicité: donna dall’esistenza priva
     di sussulti e specificità, marginale, unicamente impegnata nel soddisfare le esigenze
     altrui. La fedele domestica vive, soprattutto muore, rispondendo coerentemente alla
     propria natura, non possiede certo la ribellione del Barone, ma incarna sicuramente la
     medesima purezza d’animo. Dopo aver baciato l’adorato pappagallo impagliato, in una
     stanza zeppa delle più strane carabattole, spicca il salto nell’ignoto con la stessa fede
     con la quale Cosimo abbandona i rami. Il barone e la domestica, seppur attraverso
     dissimili interpretazioni idealistiche, si accomiatano con trasparente e coerente
     candore, lasciando un vuoto che il fratello di Cosimo esprime con dolce rimpianto:
          Ora che lui non c’è, mi pare che dovrei pensare a tante cose, la filosofia, la politica,
          la storia, seguo le gazzette, leggo i libri, mi ci rompo la testa, ma le cose che voleva
          dire lui non sono lì, è altro che lui intendeva, qualcosa che abbracciasse tutto, e non
          poteva dirla con parole, ma solo vivendo come visse. Solo essendo così
          spietatamente sé stesso come fu fino alla morte, poteva dare qualcosa a tutti 26.
10   A suo modo anche Félicité è «spietatamente sé stessa fino alla morte», perpetuamente
     semplice e misericordiosa. La quotidianità monotona, il blando ripetersi dei gesti,
     l’oscuro tedio della provincia sono elementi con i quali Flaubert palesa il tragico
     destino umano. Un cuore semplice non è soltanto un racconto dalle sfumature
     malinconiche, spaccato di asfittica solitudine e realismo letterario, bensì la summa di
     un pensiero filosofico espresso tramite l’arte. Lo sguardo critico di Calvino ne coglie il
     senso intimo in Natura e storia del romanzo dove afferma con assoluta puntualità:
          È un fatto che quando con Flaubert la letteratura realista tocca la sua punta
          massima di fedeltà ai dati dell’esperienza, il senso che ne risulta è quello della
          vanità del tutto. Dopo aver accumulato minuziosi particolari e costruito un quadro
          di perfetta verità, Flaubert ci batte sopra le nocche e mostra che sotto c’è il vuoto,
          che tutto quel che succede non significa niente. La terribilità di quel grande
          romanzo L’Educazione sentimentale consiste in questo: per centinaia e centinaia di
          pagine vedi scorrere la vita privata dei personaggi o quella pubblica della Francia,
          finché non senti disfarti tutto sotto le dita come cenere27.
11   In Un cuore semplice non scorre la vita pubblica francese e non servono centinaia di
     pagine per accorgersene, basta uno squarcio di Normandia e l’esperienza di una
     ragazza di campagna. Sono sufficienti gli oggetti che circondano il letto di Félicité,
     l’amorevole impegno nel conservare cianfrusaglie scartate da altri, per toccare
     l’inconsistenza della cenere citata da Calvino, per vedere oltre il panno sbiadito del
     tempo. Si scopre, allora, che sotto la grande «visibilità romanzesca», dietro l’equilibrio
     flaubertiano tra parola e immagine, tutte quelle «cose» sono vuote, dentro non c’è
     nulla, proprio come nell’armatura del Cavaliere inesistente 28. Scrivere sul nulla, anzi
     scrivere il grande romanzo sul nulla, è proprio l’arduo intento dichiarato da Flaubert
     nella lettera indirizzata a Louise Colet il 16 gennaio del 1852. Quel lapidario: «ce que je
     voudrais faire, c’est un livre sur rien»29 non lascia dubbi, neppure a Calvino che cita la
     frase nella «Molteplicità»30, quinto valore letterario fondamentale fissato in Lezioni
     americane. Questa volta, però, il richiamo all’opera dell’autore normanno è esplicito,
     specialmente all’ultimo suo romanzo, l’incompiuto, quello che avrebbe proprio dovuto
     essere il “libro sul nulla”:

     Flaubert, 14 | 2015
Tre racconti in Centopagine   6

          Bouvard e Pécuchet è certo il vero capostipite dei romanzi che passo in rassegna,
          anche se la patetica ed esilarante traversata del sapere universale compiuta dai due
          Don Quijote dello scientismo ottocentesco si presenta come un susseguirsi di
          naufragi. Per i candidi autodidatti ogni libro apre un mondo, ma sono mondi che si
          escludono a vicenda, o che con le loro contraddizioni distruggono ogni possibilità di
          certezza. Per quanta buona volontà ci mettano i due scrivani sono privi di quella
          specie di grazia soggettiva che permette di adeguare le nozioni all’uso che se ne
          vuol fare o al gratuito piacere che se ne vuole trarre, una dote che si impara sui
          libri31.
12   Calvino consacra la fatica di Flaubert conferendogli il merito di aver spalancato,
     attraverso l’impervio tragitto nello scibile umano, un’«idea di un’Enciclopedia aperta»
     32
        , aggiungendosi all’opinione già espressa nel 1966 da Michel Foucault in merito a un
     altro capolavoro dell’autore normanno. Il filosofo francese, nel saggio «La Bibliothèque
     fantastique»33, scorge nella Tentazione di sant’Antonio le particolarità di una scrittura che
     trova nel sapere e nella citazione i propri nuclei determinanti aprendo «lo spazio di una
     letteratura che esiste solo nella rete e attraverso la rete del già scritto» 34. Il modello di
     molteplicità calviniano rappresentato da Bouvard e Pécuchet, il tentativo di guardare il
     mondo da angolazioni varie, di considerare le conoscenze umane un intreccio di
     relazioni inestricabili, di penetrare il groviglio della realtà pur senza riuscirvi, sono i
     princìpi fondamentali di Se una notte d’inverno un viaggiatore 35. Gli zelanti copisti
     trasferitisi nella bucolica fattoria del Calvados, quel loro arrabattarsi incessante tra
     libri e nozioni, sono l’antica genia dei protagonisti, chiamati anonimamente «lettore» e
     «lettrice», del romanzo calviniano. Questi ultimi, intenzionati a concludere la lettura
     del romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore, per strane ragioni devono rimandare
     simile intento e leggere, di volta in volta, altri libri. L’opera, considerata da molti un
     metaromanzo, si presenta come invito a descrivere il mondo nelle sue potenzialità
     illimitate, proprio come tentato da Bouvard e Pécuchet, cercando di condensare le
     innumerevoli possibilità offerte dalla conoscenza umana nell’impossibile compito di
     interpretare la realtà:
          Compresi che quell’oggetto racchiudeva un messaggio per me e dovevo decifrarlo:
          l’àncora un’esortazione a fermarmi, ad aggrapparmi, ad andar a fondo, ponendo
          fine al mio stato fluttuante, al mio tenermi in superficie. Ma questa interpretazione
          poteva lasciar adito a dubbi: poteva esser pure un invito a salpare a buttarmi verso
          l’ignoto36.
13   Lavoro concettualmente attinente è Il castello dei destini incrociati 37 dove si assiste a «un
     numero finito di elementi le cui combinazioni si moltiplicano a miliardo di miliardi» 38.
     Ambientato in un castello solitario ai margini di un bosco, descrive il passaggio di vari
     personaggi, sconosciuti tra loro, reduci ognuno da un’avventura, ma incapaci di
     raccontarla perché privi di voce. Per riuscirvi si servono di un mazzo di tarocchi e,
     adottando come sistema iconografico e linguistico l’arte combinatoria delle carte,
     intessono un filo narrativo che si addentra nel labirinto enigmatico delle simbologie,
     nel dedalo suggestivo delle cognizioni. Il castello dei destini incrociati, tanto quanto Le
     città invisibili, si presta a una lettura fiabesco-allegorica, a un gioco della mente che
     riporta la memoria in età scomparse, conduce in un’anamnesi cognitiva che approda
     dove le parole non giungono. Seppur non ascrivibile all’elenco delle similitudini,
     piuttosto a quello delle affinità, è comunque lecito menzionare l’interesse di Flaubert e
     Calvino per le epoche lontane. Numerose, infatti, le trame ambientate nel passato, un
     passato addirittura assai remoto: Salammbô, La Tentation de saint Antoine, La Légende de
     saint Julien l’Hospitalier, Hérodias da una parte, i Nostri antenati, le Fiabe italiane 39, Le città

     Flaubert, 14 | 2015
Tre racconti in Centopagine   7

     invisibili, Il castello dei destini incrociati dall’altra. Non certamente meri espedienti
     artistici poiché nel passato, nel richiamo alle civiltà sparite, agli eroi scomparsi, scorre
     una vena sotterranea dalla quale sgorgano santi, re, imperatori, cavalieri, baroni,
     visconti, viaggiatori. Una congerie di figure stagliate contro un tempo perduto, perdute
     come, in fondo, sono alcune qualità morali, certi valori etici che ambedue gli scrittori
     non sembrano più rintracciare nelle loro epoche. Una visione nostalgica, a volte
     trasognante, che si realizza nella pagina scritta in una simmetrica fusione tra ironia e
     tragedia, tra reale e fantastico, come affermato da Harold Bloom in Yesod, il
     diciassettesimo lustro in Il genio40. Se poi la matrice storica dall’autore di Croisset sia
     minuziosa e documentata, mentre quella dello scrittore di Sanremo si esprima in modo
     più fantasioso e incantato, è certamente un chiasmo che non ne altera le finalità
     speculative, ma permette comunque a Calvino, cento anni dopo, di avventurarsi nella
     narrazione del fantastico recuperando ed espandendo il concetto di molteplicità. In Le
     città invisibili, Il castello dei destini incrociati, come pure in Se una notte d’inverno un
     viaggiatore, la molteplicità narrativa è manifesta, tangibile quanto l’influsso di
     quell’«idea di un’Enciclopedia aperta» suggerita da Bouvard e Pécuchet.
14   L’influenza dell’opera di Flaubert sul percorso calviniano, saggistico e narrativo, è
     confermata, pertanto, da numerosi richiami e analogie, nonché da un’immagine, non
     propriamente ascrivibile a simile computo, che ricorda il metodo creativo dell’eremita
     di Croisset. In «Rapidità», terza proposta letteraria tratta da Lezioni Americane, Calvino
     espone le funzioni necessarie nel lavoro di composizione e, scegliendo le mitiche figure
     di Mercurio e Vulcano, dichiara:
          Parlo di Vulcano-Efesto, dio che non spazia nei cieli, ma si rintana nel fondo dei
          crateri, chiuso nella sua fucina dove fabbrica instancabilmente oggetti rifiniti in
          ogni particolare, gioielli e ornamenti per le dee e gli dèi, armi, scudi, reti, trappole.
          […] Mercurio e Vulcano rappresentano le due funzioni vitali inseparabili e
          complementari: la «sintonia», ossia la partecipazione al mondo intorno a noi e la
          «focalità», ossia la concentrazione costruttiva41.
15   Sebbene i riferimenti non siano perspicui, difficile credere come in quel «chiuso nella
     sua fucina» oppure in quella «concentrazione costruttiva», non vi sia un sotteso
     rapporto che avvicini il battente e riservato martello del dio del fuoco con l’instancabile
     e solitario inchiostro di Flaubert. Forse un omaggio critico incastonato dentro una
     mitica traslazione, certamente un consiglio da imitare con doveroso rispetto, un
     modello da tramandare come esercizio creativo e stilistico. Calvino in tutta la propria
     carriera, in realtà, mai nasconde il debito di gratitudine con Flaubert; l’esegesi svolta è
     un atto di affezione duraturo e schietto che trova le necessarie e poetiche parole in una
     risposta data dallo stesso scrittore nel 1959. Una frase «leggera», «rapida», «esatta»,
     «visibile», «molteplice», quanto le Lezioni americane, una frase «coerente» come la
     lezione che non ebbe tempo di redigere: «Amo Flaubert perché dopo di lui non si può
     più pensare di fare come lui»42. Questo non è un semplice tributo, bensì un rispettoso
     proclamo.

     Flaubert, 14 | 2015
Tre racconti in Centopagine   8

NOTE
1. Gustave Flaubert, Madame Bovary, édition présentée, annotée par Jacques Neefs, Librairie
générale française, Paris, «Classiques de poche», 1999, p. 301.
2. Italo Calvino, Lezioni americane, Mondadori, Milano, 2002, p. 47.
3. Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Torino, Einaudi, 1947.
4. Quartino di presentazione allegato ai primi quattro volumi della collana e redatto dallo stesso
Calvino.
5. Fëdor Dostoevskij, Le notti bianche, nota introduttiva di Angelo Maria Ripellino, traduzione di
Vittoria de Gavardo, n° 4, Einaudi, Torino, 1971.
6. Guy de Maupassant, Pierre e Jean, nota introduttiva di Italo Calvino, traduzione di Gioia Zannino
Angiolillo, n° 3, Einaudi, Torino, 1971.
7. Joseph Conrad, La linea d’ombra, nota introduttiva di Cesare Pavese, traduzione di Maria Jesi,
n° 7, Einaudi, Torino, 1971.
8. Joseph von Eichendorff, Storia di un fannullone, nota introduttiva di Cesare Cases, traduzione di
Ugo Natoli, n° 8, Einaudi, Torino, 1971.
9. Robert Louis Stevenson, Il padiglione delle dune, nota introduttiva di Italo Calvino, traduzione di
Ninì Agosti Castellani, n° 24, Einaudi, Torino, 1973.
10. Lev Tolstoj, Due ussari, nota introduttiva di Italo Calvino, traduzione di Agostino Villa, n° 28,
Einaudi, Torino, 1973.
11. Flaubert, Tre racconti, nota introduttiva e traduzione di Lalla Romano, n° 62, Torino, Einaudi,
1980.
12. Collana della casa editrice Einaudi, attiva dal 1971 al 1985 diretta da Italo Calvino, pubblicò
settantasette titoli.
13. Tratto dalla quarta di copertina di Tre racconti, op. cit.
14. Flaubert, Tre racconti, traduzione di Almerico Ribera, Sonzogno, Milano, 1906.
15. Tratto dalla quarta di copertina di Tre racconti, op. cit.
16. Calvino, «L’occhio del gufo», La Repubblica, 8 maggio 1980, ora in Perché leggere i classici,
Mondadori, Milano, 1995, p. 173.
17. Calvino, Lezioni americane: sei proposte per il nuovo millennio, Milano, Garzanti, 1988.
18. Calvino, «Visibilità», Lezioni americane: sei proposte per il nuovo millennio, op. cit., p. 97.
19. Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino, 1972.
20. Calvino, Ultimo viene il corvo, Einaudi, Torino, 1949.
21. Trilogia edita nel 1960 dalla casa editrice Einaudi e costituita dai romanzi Il visconte dimezzato,
Il barone rampante e Il cavaliere inesistente.
22. Calvino, Il visconte dimezzato, Einaudi, Torino, 1952.
23. Calvino, «Il gusto dei contemporanei», Quaderno, n. 3, 1987, p. 9.
24. Collana della casa editrice Einaudi, attiva dal 1951 al 1958 diretta da Elio Vittorini, pubblicò
cinquantotto titoli.
25. Calvino, Il barone rampante, Einaudi, Torino, 1957.
26. Ibid., p. 280.
27. Calvino, «Natura e storia del romanzo», in Una pietra sopra, Mondadori, Milano, 1995, p. 25.
28. Calvino, Il cavaliere inesistente, Einaudi, Torino, 1959.
29. Flaubert, Correspondance, édition établie, présentée et annotée par Jean Bruneau, t. II,
Gallimard, Paris, «Bibliothèque de la Pléiade», 1980, p. 31.
30. Calvino, «Molteplicità», in Lezioni americane: sei proposte per il nuovo millennio, op. cit., p. 124.
31. Ibid., p. 125.
32. Ibid., p. 126.

Flaubert, 14 | 2015
Tre racconti in Centopagine   9

33. Michel Foucault, «La Bibliothèque fantastique», in Travail de Flaubert, Seuil, Paris, 1983; trad.
it. «Un “fantastico” da biblioteca», in Saggi letterari, Feltrinelli, Milano, 2004.
34. Ibid., p. 138.
35. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi, Torino, 1979.
36. Ibid., p. 61.
37. Calvino, Il castello dei destini incrociati, Einaudi, Torino, 1973.
38. Ibid.
39. Calvino, Fiabe italiane, Einaudi, Torino, 1956.
40. Harold Bloom, Il genio, Rizzoli, Milano, 2005, p. 749.
41. Calvino, «Rapidità», in Lezioni americane: sei proposte per il nuovo millennio, op. cit., p. 62.
42. Calvino, «Nove domande sul romanzo», Nuovi Argomenti, n° 38, 1959, p. 11.

RIASSUNTI
Il saggio evidenzia il significativo ruolo assunto da Italo Calvino nell’esegesi flaubertiana e
indaga, al tempo stesso, le influenze subite nel lavoro di scrittore in opere quali Ultimo viene il
corvo, Il visconte dimezzato, Il barone rampante. Partendo dalla raccolta Tre racconti, apparsa nel 1980
all’interno di «Centopagine», collana ideata e diretta dallo stesso Calvino, vengono sottolineati
non solamente gli influssi, ma anche le analogie intercorse con le trame e i personaggi di Un cuore
semplice, La leggenda di San Giuliano ospitaliere ed Erodiade. Approfondendo, inoltre, il lavoro critico
svolto in Lezioni Americane dallo scrittore ligure, con particolare riferimento alle lezioni sulla
Visibilità, Molteplicità e Rapidità, sono state rintracciate le citazioni, dirette o indirette, inerenti
alle concezioni stilistiche di Gustave Flaubert, accostandole poi alla genesi o alla struttura di altri
lavori calviniani: Se una notte d’inverno un viaggiatore e Il castello dei destini incrociati e Le città
invisibili.

Cet article met en évidence le rôle significatif tenu par Italo Calvino dans l’exégèse flaubertienne
et analyse les influences subies par l’écrivain dans son travail, en particulier dans Le Corbeau vient
le dernier, Le Vicomte pourfendu, Le Baron perché. En se basant sur le recueil Trois Contes, publié en
1980 dans la collection “Centopagine” par Calvino lui-même, cette étude souligne non seulement
l’ascendant de Flaubert sur Calvino, mais aussi les analogies entre les textes calviniens et le
recueil de Flaubert. On analysera également l’influence de l’esthétique flaubertienne dans la
genèse et la structure d’autres œuvres de Calvino : Si par une nuit d’hiver un voyageur, Le Château
des destins croisés et Les Villes invisibles.

This article shows the significant role held by Italo Calvino in Flaubertian interpretation and
analyzes Flaubert’s influence on Calvino’s works, in particular Le Corbeau vient le dernier, Le
Vicomte pourfendu, Le Baron perché. Focusing on the book of short stories Trois contes, published in
1980 by Calvino himself in the series “Centopagine”, that he himself created and directed, this
study highlights not only the ascendance of Flaubert on Calvino, but also the analogies between
Calvino’s texts and Flaubert’s book. We will also analyze the influence of Flaubert’s aesthetics in
the genesis and structure of some of Calvino’s other works, such as Si par une nuit d’hiver un
voyageur, Le Château des destins croisés and Les Villes invisibles.

Flaubert, 14 | 2015
Tre racconti in Centopagine   10

AUTORE
DARIO PONTUALE
Bibliotecario e critico letterario, Roma

Flaubert, 14 | 2015
Puoi anche leggere