Traiettorie ed esperienze di vita migratoria degli italiani della Svizzera romanda: tra finzione letteraria e racconto autobiografico - AGEI
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Marina Marengo, Angela Alaimo Traiettorie ed esperienze di vita migratoria degli italiani della Svizzera romanda: tra finzione letteraria e racconto autobiografico “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. (Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950) Summary: Migratory trajectories and daily practices of italian iMMigrants in switzerland: between literary fiction and autobiographic narratives Literary texts may represent significant sources for getting a better understanding of migrant routes and life experiences. In this article, a novel and two diaries are taken into account, in order to focus on the stories of Italians immigrants in Switzerland, and on their different experiences, from the moment of the departure to the potential homecoming, through the ambivalent experience of arrival and settlement in a new society. To be in movement, though a process of constant transformation, seems to be, for them, the leitmotif of experience. From this constantly changing perspective, even going back is not a return. This awareness brings to the development of unusual routes and unexpected directions. Keywords: literature, migrations, Switzerland, italians. Introduzione sto meno importante come quella degli italiani in Svizzera. Una volta immersi nella profondità delle L’emigrazione italiana in Svizzera è stata ogget- traiettorie migratorie grazie alla rarefazione della to di innumerevoli riflessioni scientifiche (Piguet, parola di Pasquali, “entrare” nei racconti di vita 2009; Fibbi, 2005; Meyer Sabino, 2002; Marengo, di Carla Belotti e di Marie-Rose de Donno è più 2005a e b). A questa vasta produzione si è aggiun- agevole, ed è pure meno difficile sentirsi intrusi ta, in contemporanea o in momenti diversi, una nelle loro vite. Le due migranti hanno con grande produzione più divulgativa o artistica, spesso efficacia descritto un’“epopea” migratoria, molto multimediale (come dimenticare, per esempio, le vicina a noi e, tuttavia, quasi dimenticata, almeno evocative immagini evocative del film Pane e ciocco- in Italia. Eppure le loro storie di speranze, di do- lata di Franco Brusati?) (Guzzo, 2010). Il presente lore, di soprusi, di vittorie insperate rimandano saggio vuole esplorare una parte di quest’ultima spesso a quelle lette sui media italiani ed europei produzione, meno conosciuta ma non meno im- di oggi. Riguardano altri migranti, ma il fil rouge portante per la conservazione e la trasmissione non si è mai spezzato: i meccanismi sono i medesi- della memoria migratoria. Nello specifico, si vo- mi e sin troppo simili sono dolori, soprusi e picco- gliono indagare le traiettorie e le esperienze di le ma fondamentali riuscite nel Paese di approdo, vita attraverso la finzione romanzesca di Adrien reale o metaforico. Pasquali ne L’éloge du migrant. È pericoloso sporger- si, e i racconti autobiografici di Carla Belotti ne L’émigrée e di Sylviane Roche e Marie-Rose de Don- La Svizzera: il richiamo migratorio no ne L’Italienne. Grazie alla scrittura raffinata di Adrien Pasqua- La Svizzera e l’immigrazione italiana in questo li è possibile ricostruire meccanismi migratori di Paese costituiscono una pietra miliare nella com- valenza universale, ieri come oggi, applicati ad prensione dei meccanismi migratori, nonché nei una migrazione “di prossimità”, ma non per que- processi di costruzione delle politiche migratorie. 24 AGEI - Geotema, 50 05 - MARENGO - ALAIMO.indd 24 08/06/2016 9.38.28
La Confederazione elvetica, fino alla seconda chiaramente individuati e, quindi più facilmente metà del XIX secolo, è stata una terra di forte emi- gestibili: “Uno spazio per coltivare e uno per lavo- grazione, tanto che solo nel “[…] 1890 si contano, rare: due mondi, due vite. È questa la condizione per la prima volta, più immigranti che emigranti” del viaggiatore, il cui scalo stagionale non consu- (Piguet, 2009, p. 12). L’Italia e la Svizzera defini- ma la soglia della propria casa. Spazio ‘fuori’, spa- scono una prima convenzione bilaterale proprio zio ‘dentro’, da riconoscere, delimitare, tutelare o in questo periodo. Il liberalismo imperante lascia conquistare, ma mai da usurpare o invadere” (Pa- grande spazio alla libera circolazione dei migran- squali, 1984, p. 15). ti e delle loro famiglie. È a quest’epoca che risale La decisione di emigrare è spesso data dall’il- la “tradizione” migratoria dalle vallate piemonte- lusione di trovare la soluzione rapida ai propri si e lombarde verso la Confederazione. In alcuni problemi e la soddisfazione dei bisogni: “E sono casi si trattava di migrazioni stagionali, in altri già partito perché fuori le cose mi richiamavano col si profilava l’intenzione di domiciliazione (Aude- loro fascino, dissimulando il rigore sacro del poco nino, Corti, 2000; Corti, 1986 e 1990). È d’altron- che avevamo ereditato […] Così ci consacravamo de in questo periodo che non pochi imprenditori alla fonte di una quotidianità migliore, all’origi- svizzeri hanno scelto, a loro volta, di insediarsi ne di tutte le ricompense terrestri: al di là delle nelle vallate alpine italiane, creando non poche montagne, nel paese del nuovo Eldorado, nuovo attività industriali, le cui eredità sono ben visibili o ancora da costruire, in cui il lavoro liberava da ancora oggi. ogni schiavitù …” (ibidem, p. 24). La reciprocità degli scambi e l’apertura liberi- Le migrazioni internazionali sono talvolta sta si smorzano nel primo dopoguerra, quando precedute da “prove di migrazione” interna che nel “[…] 1934 viene promulgata la Legge concer- permettono al migrante di cominciare a prende- nente la dimora e il domicilio degli stranieri che re le distanze dal luogo d’origine: “Ho vissuto a rimarrà in vigore per tutto il secolo. Essa enun- Dossello fino a tredici anni, poi sono andata a cia le due caratteristiche fondamentali del regi- lavorare […] Ero vicino a Milano, mi occupavo me d’immigrazione svizzero: l’autorizzazione di di una bambina. Qualcuno, non mi ricordo più dimora vincolata al permesso di lavoro e le tre chi, mi aveva trovato questo posto […] Mi sono categorie di permessi – stagionale, annuale e di ritrovata in una buona famiglia […] E quello che domicilio –” (Piguet, 2009, p. 13). guadagnavo a fine mese, lo inviavo a mamma per Nell’immediato secondo dopoguerra, lo svi- mantenere i miei fratellini” (Belotti, 1981, pp. 37- luppo economico e soprattutto industriale della 38). Si tratta spesso di una sorta di iniziazione alla Confederazione richiede sempre più manodo- lontananza, al lavoro subordinato: “In Ticino ho pera straniera. Nel 1948 viene siglata una nuova trovato un posto davvero piacevole […] facevo le convenzione Italia-Svizzera: è questo accordo che pulizie, cucinavo, mi occupavo della spesa e, a vol- apre un periodo di immigrazione di massa, in te, rispondevo al telefono” (ibidem, p. 59). A sua particolare dal Mezzogiorno italiano. È a questo volta, grazie all’opportunità di movimento degli contesto storico-sociale e politico-economico che stranieri nella Confederazione fino a tutti gli anni fanno preciso riferimento i racconti autobiogra- Sessanta, era possibile progettare e realizzare fici di Carla Belotti e Marie-Rose De Donno, e il non necessariamente dei ricongiungimenti, ma romanzo di Adrien Pasquali. almeno dei “riavvicinamenti” familiari: “Se sono andata via, è perché i miei fratelli erano tutti nel cantone di Vaud: uno era a Morges, l’altro vicino a La partenza e il viaggio Losanna […] Non sapevo una parola di francese; quando sono arrivata a Losanna, è stato durissi- La scelta di emigrare costituisce il primo tas- mo” (ibidem). L’arrivo in un contesto non italofo- sello di un percorso concepito come circolare, no apre alla “vera” migrazione, allo spaesamento almeno nelle migrazioni di prossimità: l’idea del e alla necessità di rimettere in gioco l’insieme dei ritorno fa parte, in maniera esplicita o meno, del punti di riferimento culturali. progetto migratorio. All’origine di tali scelte, tro- Nel periodo di massima emigrazione dall’Italia viamo condizioni di vita alquanto precarie e op- alla Svizzera, la manodopera in partenza provie- portunità di lavoro scarse o insufficienti a garanti- ne, non più dalle vallate alpine italiane, come per re il necessario per sé e i propri famigliari. il caso di Carla Belotti, ma dal Mezzogiorno. Il Quando il movimento è concepito quale tem- movimento diviene pressante, quasi ossessivo, nel- poraneo, stagionale, per utilizzare il termine più la speranza di ottenere, già dall’inizio del viaggio, corretto, gli spazi del “qui” e dell’ “altrove” sono una sorta di “ascensione”, non tanto sociale ma AGEI - Geotema, 50 25 05 - MARENGO - ALAIMO.indd 25 08/06/2016 9.38.29
quanto di comodità di viaggio: “Il treno arrivava, le o clandestino che fosse, del viaggio e dell’attra- tutti si alzavano, urlavano, correvano. Col treno versamento della frontiera, il passo successivo non ancora in movimento, la gente saliva su, cercava è certo più semplice: l’ottenimento dell’ufficialità di entrare dai finestrini. C’erano degli scatoloni, del soggiorno e, di conseguenza, di tutte le tute- delle valige legate, e gente che si picchiava per le necessarie ad una vita dignitosa: “Sono passate aver posto. Urla […] Si sarebbe detto che partiva- molte mattine dal giorno in cui ho messo piede no, non saprei, per un luogo meraviglioso, che ne sul marciapiede della stazione […] le montagne andava della loro vita … In realtà andavano solo ma anche l’insieme dei problemi quotidiani mi a lavorare in Svizzera” (Roche, De Donno, 2000, ricordavano la mia condizione, sottomessa all’ot- pp. 22-23). tenimento di un permesso di lavoro” (Pasquali, Se la partenza, silenziosa o avvolta dalla folla 1984, p. 39). urlante, costituisce l’avvio del movimento migra- Le esperienze iniziali non sono necessaria- torio, è il passaggio della frontiera a costituire il mente negative, anzi; la loro positività permet- vero e proprio “rito di passaggio”, la trasformazio- te ai migranti di rimodellare la loro identità, di ne in immigrante, straniero soggetto a controlli di adattarla alla nuova situazione di vita e di lavoro, routine, ma alla base della costruzione dell’“altro senza traumi o difficoltà particolari: “[…] i miei da sé”: “Sentivo che gli occhi degli altri mi osser- padroni erano molto gentili, molto comprensivi; vavano, mi scrutavano non volevo mostrare la mia erano umani con me e non potevo lamentarmi” immagine, – Passaporti, per favore! –” (Pasquali, (Belotti, 1981, p. 59). In caso di temporanea dif- 1984, p. 27). ficoltà, tra un contratto di lavoro ed un altro, le Non solo straniero, ma spesso anche escluso, istituzioni del Paese di accoglienza erano allora troppo diverso per essere in grado di realizzare in grado di sostenere i migranti, garantendo loro nel tempo di una vita i sogni che lo aveva spinto a una transizione dignitosa, quasi una vacanza: “Da partire, l’immigrante era: “[…] scrutato, perquisi- qualche giorno ero senza lavoro; stavo all’Eserci- to, fino all’etichetta del mio bagaglio. Squadrato, to della Salvezza in cui ero stata accolta davvero come per ricoprirmi dello sguardo di quell’altro, molto bene, in cui pagavo pochissimo; mi ave- più importante di me; spogliato della mia pelle vano sfamato per tre o quattro giorni, dato un d’uomo, per indossare quella dell’escluso, di colui alloggio e tutto il resto. Era magnifico, e soprat- che viene da altrove e che, con la sua presenza, tutto contenta di potermi riposare un po’ prima modifica le sembianze del luogo in cui si insedia, di cominciare un lavoro che già sapevo proprio dello straniero che mi proponeva un abito attil- non leggero” (ibidem, p. 85). I rapporti di lavoro lato, dal colore gradevole ma dal taglio rigido e si trasformano non solo in rapporti di fiducia tra definitivo” (ibidem, p. 27). Alla fine, pur nella datori e lavoratori, ma anche in rapporti di sere- massa, pur nella folla, ogni migrante deve fare i na familiarità: “Avevo trovato un lavoro a Pully; ci conti soprattutto con se stesso: “Mi sentivo così sono rimasta diversi anni. Fino al 1954. Non era sola, in quel treno; avevo ventidue anni” (Belotti, male […] Mi trattavano bene e mi davano corret- 1981, p. 59). tamente da mangiare […] Mi facevano lavorare, Non sempre il pathos del viaggio è stato così for- certo, ma mi hanno anche fatto curare. Questo te e presente. Tra la seconda metà dell’Ottocento mostra che era gente onesta […] E d’estate, mi e la prima metà del Novecento, nelle migrazioni mandavano in montagna, con le loro figlie” (ibi- alpine di prossimità, non c’era bisogno di passeur: dem, pp. 70-71). erano i parenti che insegnavano il percorso attra- I percorsi di integrazione pregni di positività verso i passi montani per andare a trovare lavoro non sono certo rari, in particolare a causa delle in Svizzera. La questione, soprattutto per i più gio- difficili condizioni di vita nel Paese d’origine di vani, era già il permesso di soggiorno: “[…] Ma- molti migranti. È particolarmente chiaro che la rio è andato molto giovane in Svizzera. Passava la Svizzera per queste persone costituisce un vero e frontiera senza documenti. Pure mio padre la at- proprio Eldorado, malgrado difficoltà, soprusi e traversava spesso clandestinamente. Non era facile altre angherie che nel tempo dovranno soppor- ottenere un permesso di lavoro” (ibidem, p. 40). tare. L’estrema indigenza di molti migranti rende sorprendente il fatto che si possano consumare pasti regolari: “Guardavo mia madre che ci dava L’incontro di mondi lontani: rappresentazioni a da mangiare. – Mamma, ma qui si mangia anche confronto di sera? – per me era inimmaginabile. A casa non avevamo già niente da mangiare a mezzogiorno, Una volta compiuto il rito di passaggio, ufficia- mangiare la sera mi pareva un lusso incredibile… 26 AGEI - Geotema, 50 05 - MARENGO - ALAIMO.indd 26 08/06/2016 9.38.29
Eccolo, il mio primo contatto con la Svizzera. Un comportamenti, così diffusi ancora oggi, mostra paese dove la gente mangia anche di sera! Era come in realtà la circolarità migratoria non sia assolutamente sbalorditivo” (Roche, De Donno, costituita solo di movimenti, ma anche di itera- 2000, pp. 24-25). zioni nei modi e nei comportamenti nei Paesi In ogni caso, Paese della cuccagna la Svizzera di origine come di accoglienza. Carla Belotti lo lo rimane per molto tempo, e questo malgrado dichiara serenamente, anche se trapela l’amarez- la tendenza all’esclusione dell’altro, crudele ma za di fondo: “Non so se una governante nata in molto comune già a partire dalla prima scolariz- Svizzera sarebbe stata trattata come me in certi zazione: “La prima volta che sono andata a scuola posti di lavoro: ‘[…] è una sporca italiana’. No, qui, avevo quasi otto anni. Non parlavo il france- un cane, non lo si spinge in quel modo […] Una se, neanche una parola, e tutti mi prendevano in volta a casa, mi sono messa a piangere come un giro, tutti ridevano perché mi parlavano e io non bambino di dieci anni, dicendomi: – Ecco che capivo […] Ho anche dei bei ricordi di quella vuol dire essere straniero –” (ibidem, pp. 108- scuola. Per esempio, a ricreazione, ci davano del 109). latte. La Svizzera era davvero fantastica. Anche La coscienza di essere l’altro, di essere oggetto a scuola ci davano da mangiare, ti rendi conto? di comportamenti chiaramente razzisti, di “con- Era assolutamente straordinario! […] A volte, ci tare meno” perché straniero rimane, almeno per davano delle mele all’intervallo. La Svizzera per le prime generazioni, molto forte: “Non c’è dub- me, era il cibo. Avevamo da mangiare” (ibidem, bio che ero considerata meno perché straniera. pp. 35 e 37). Sentivo che mi trattavano da straniera. E lo sento Se non proprio di integrazione, in particolare ancora adesso. Certo, non le persone a cui voglio per i lavoratori stagionali (permesso di lavoro A), bene. E poi, anche se adesso sono svizzera, mi si può anche parlare di un progressivo processo di sento ancora un po’ straniera” (Belotti, p. 109). accomodamento reciproco tra immigrati italiani Malgrado la presa di distanza dall’esperienza e la e svizzeri, in attesa di una stabilizzazione dei per- sicurezza acquisita nel tempo, le esperienze di ri- messi di lavoro e di soggiorno: “[…] ogni anno, il fiuto degli svizzeri rimangono ben presenti: “Mi 1° Agosto è festa nazionale: è bello, i fuochi illu- dicevano delle cose come: ‘Lurida italiana, maca- minano le creste delle colline e i ripiani lungo le roni, carogna italiana! Tornatene a casa tua, non scarpate dei versanti […] Diventava un po’ pure la ti vogliamo!’. Cose di questo genere. Per una bam- nostra festa” (Pasquali, 1984, pp. 95-96). bina, era davvero difficile da vivere” (Roche, De Donno, 2000, p. 36). Se il sequestro del passaporto è stato nel tem- Il gioco crudele fra apertura e chiusura po il ricatto più prepotente per uomini e donne immigrati, il ricatto sessuale ha riguardato non Il Paradiso terrestre così agognato diviene poche donne che, non avendo altra scelta, hanno tuttavia anche una realtà crudele fatta di emar- dovuto sottostare a ripetute e continuate violen- ginazione e di esclusione, a cui si aggiungono la ze, in cambio di un’ufficialità della loro presenza malafede e la disonestà dei datori di lavoro, mal- in Svizzera: “Mia madre aveva cambiato padrone grado l’appartenenza a classi sociali spesso molto […] Andava a letto con quello là […] E sì, era pra- elevate: “Mario mi aveva fatto venire perché mi ticamente obbligata, a causa del permesso di lavo- aveva trovato un lavoro provvisorio […] Non era ro, un vero ricatto” (ibidem, p. 47 e p. 50). una famiglia di persone molto […] Intanto non Il razzismo si poteva manifestare in vari modi: capivo niente, non sapevo il francese. Mi hanno il più diffuso, e non solo in Svizzera, era costitui- quasi subito confinato in cucina da mattina a sera, to dal rifiuto di procurare alloggi decenti ai mi- alla mercé dei voleri di tutti. Ho detto loro che vo- granti, spesso obbligati a vivere in abitazioni di levo andare via, che ero stata assunta solo per una fortuna, sovente, ancora una volta, ricattati dai sostituzione […] Allora, mi hanno preso il passa- datori di lavoro: “In quel periodo, trovare un ap- porto, mi hanno detto che dovevano dichiararmi partamento per mia madre era impossibile […] alla polizia […] In realtà, mi volevano obbligare eravamo italiani ed era la cosa peggiore. Gli ita- e rimanere […] Quel padrone era un banchiere” liani erano molto mal visti. La gente diceva che (Belotti, 1981, pp. 65-66/68). eravamo sporchi […] E poi non avevamo soldi, ci Queste esperienze ne ricordano molte altre proponevano delle stamberghe … metti la gente sopportate, non solo dagli Italiani, ma da mi- nelle topaie, impedisci loro di vivere altrove, e poi granti di ogni epoca ed origine e, purtroppo, dici ‘guarda come sono sporchi’… È sempre la so- in tutti i Paesi dì accoglienza. Il ripetersi di tali lita storia” (ibidem, pp. 52-53). AGEI - Geotema, 50 27 05 - MARENGO - ALAIMO.indd 27 08/06/2016 9.38.29
Cittadino dell’Eldorado permette anche chiare considerazioni sul diritto all’Eldorado così duramente conquistato: “[…] Negli anni Sessanta, una Svizzera in piena se fossi stata svizzera non mi avrebbe sequestrato espansione economica deve far fronte a reazioni il passaporto per portalo alla polizia, Lo hanno di chiusura nei confronti di quella che viene de- fatto perché ero straniera. L’ho ben capito, non finita sovrappopolazione degli immigrati. L’Italia c’è dubbio, Lo hanno fatto perché sapevano che riesce tuttavia a definire un nuovo accordo bila- potevano farlo, che potevano spremermi come un terale particolarmente favorevole ai nostri immi- limone. Avevo un permesso A” (ibidem). E lascia grati, poiché incentrato sulla stabilizzazione dei anche spazio ad un’analisi, semplicistica forse, ma permessi di lavoro, nonché al ricongiungimento quanto mai veritiera degli effetti delle politiche familiare (Piguet, 2009, p. 21). Tra la fine degli migratorie: “È facile rimandare la gente nel loro anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta pren- paese, dopo dieci o quindici anni […] dopo averla dono vita le iniziative xenofobe denominate di sfruttata per tutto il tempo di cui ne hanno avuto Schwarzenbach, dal nome del loro promotore. Que- bisogno” (ibidem, pp. 149). Sono effetti dramma- ste hanno provocato panico e molto malessere tra tici, perversi e sempre umilianti nei confronti di gli italiani della Confederazione. Carla Belotti persone migrate per sopravvivere o per migliorare racconta senza alcuna reticenza questo periodo, le loro condizioni di vita: scelte politiche iterate nonché il “processo di naturalizzazione” a cui lei all’infinito in Europa come altrove, ieri come oggi. e il marito hanno fatto fronte per ritrovare la sicu- rezza perduta: “Uno dei fatti importanti della no- stra nuova vita è stata la nostra naturalizzazione. Il mito del ritorno: fra ostacoli e desideri L’abbiamo chiesta perché avevamo costruito il no- stro châlet e che, comunque, ci eravamo abituati a La maggior parte dei percorsi migratori vengo- vivere in Svizzera […] Certo, le iniziative Schwar- no realizzati con l’obiettivo, non necessariamen- zenbach hanno non poco contribuito alla nostra te dichiarato, di chiudere in ogni caso il cerchio decisione. Quando le persone hanno lavorato in al percorso tornando all’origine, a quella “Terra Svizzera per trent’anni e che si fanno rimandare promessa” lasciata per cercare migliori condizioni al loro paese senza niente, non è normale. Abbia- di vita. mo avuto paura. Avevamo paura di essere espulsi Per molti migranti, stagionali, il ritorno è la e di dover lasciare il nostro piccolo châlet in cui norma: “Le mie stagioni sono alle spalle; stase- avevamo investito tutti i nostri risparmi. Cosa ra prenderò il treno per un viaggio che conosco avremo fatto in Italia? Chi ci avrebbe dato lavoro bene, anche se un po’ sfocato dalle foschie del alla nostra età e dopo una così lunga assenza?” desiderio, ma non della memoria. Le mie valigie, (Belotti, 1981, pp. 143-144). Carla Belotti raccon- due sole, gonfie di un magro raccolto, tanto che ta ancora il percorso ad ostacoli sopportato: “La scricchiolano tra il cuoio e le strisce di legno che procedura di naturalizzazione è durata tre anni; danno loro l’apparenza di un vero bagaglio” (Pa- e questo perché avevamo delle ottime raccoman- squali, 1984, p. 87). dazioni. Tre anni che mi hanno molto umiliata. La scelta della stagionalità si è tuttavia spesso Bisognava conosce le istituzioni e un po’ di sto- trasformata in bisogno di una permanenza nel ria svizzera […] Arrivati nella sala, ci siamo fatti Paese di immigrazione, non fosse altro che per prendere dal panico; anche se sapevamo molte poter fondare una famiglia. Il progetto di ritorno cose, non ci riuscivamo … il cuore si era bloccato, rimane comunque la logica conclusione del per- non riuscivamo ad andare avanti. Ci hanno fatto corso migratorio: “[…] non avevamo mai pensato domande che non avevano niente a che fare con di rimanere in Svizzera, che ci si stabilisca lì. Tor- quello che ci avevano detto di imparare” (ibidem, nare in Italia, era il sogno di mio marito. Per que- pp. 144-145). sto risparmiava e faceva costruire la casa di cui ho La cittadinanza elvetica, malgrado il percorso parlato, con gli appartamenti e il garage” (Roche, lungo, costoso e spesso umiliante, permette di De Donno, 2000, p. 105). raggiungere una serenità insperata: “[…] adesso La circolarità del percorso migratorio è in real- sono sicura di non poter più essere espulsa in Ita- tà una spirale che non prende in considerazione lia […] Adesso siamo svizzeri e non possono più solo la dimensione spaziale ma anche quella tem- mandarci via per far posto agli altri. Prima, non porale. Il ritorno, dopo aver accumulato usi, co- avevamo nessuna sicurezza; a causa soprattutto di stumi ed un bagaglio culturale altro, può rivelarsi quella storia di Schwarzenbach” (ibidem, p. 148). difficoltoso, se non impossibile: “[…] avevo vissuto La consapevolezza della sicurezza acquisita per parecchio tempo in Svizzera. Avevo davvero 28 AGEI - Geotema, 50 05 - MARENGO - ALAIMO.indd 28 08/06/2016 9.38.29
assimilato quella mentalità. Era davvero molto sti, luoghi, lingue, emozioni, a volte contrastanti). difficile riadattarmi alle abitudini di laggiù. Non Per dirla musicalmente, con le parole di Edward ero più come gli altri, non avevo più la stessa men- Said, si tratta di una consapevolezza contrappun- talità, non ero più né di qui né di laggiù” (ibidem, tistica: “La maggior parte delle persone conosce p. 111). per lo più una cultura, un contesto, una casa; gli esuli ne conoscono almeno due, e questa pluralità di prospettiva dà origine a una consapevolezza di Circolarità e riproducibilità dei percorsi migratori: dimensioni simultanee, una consapevolezza che – una storia infinita per usare un termine musicale – è contrappunti- stica” (Said, 2008, p. 141). Dall’analisi svolta e dai racconti di vita riportati La circolarità dei percorsi di migrazione rap- nei testi analizzati, risulta chiaro come i percorsi presenta, dunque, un’idea iniziale che è spesso migratori abbiano spesso delle caratteristiche co- messa a dura prova e cambiata dalle esperienze e muni. dalle traiettorie di vita. Come si evince dai raccon- Il migrante che arriva viene vissuto come non ti degli autori citati, il ritorno a casa si trasforma, facente parte della comunità. Egli non può, dun- a volte, nel riconoscere la “nuova” casa, il paese di que, condividere usi, costumi, lingua, emozioni, accoglienza, che attraverso meccanismi legislativi, sensazioni, affetti. Egli ha spezzato un legame ed come l’acquisizione della cittadinanza, rende pos- erra alla ricerca di nuovi approdi in un nuovo con- sibile un arrivo, nella consapevolezza dell’impos- testo, spesso sconosciuto e ostile. Questa rottura sibilità di ritornare in luoghi cui non si sente più comporta e causa un senso di estraniamento che di appartenere e che non esistono più. nasce già nel momento di partire: io parto, sono Il percorso intrapreso nelle testimonianze let- costretto a uscire dalla mia comunità, entro in terarie ricostruisce traiettorie migranti dimenti- un’altra di cui non faccio parte. La ritroviamo nei cate che portano alla luce sedimenti del nostro co- racconti dei migranti e in altre fonti letterarie. Per mune essere sempre in movimento. Come ricorda esempio, Lo straniero di Albert Camus si apre così: Nancy Huston, la condizione migrante è ricca poi- “Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so” ché rivela incessantemente a chi la vive il nostro (Camus, 2000, p. 7). Chi migra, in effetti, porta essere molteplicità: “Gli esiliati, loro, sono ricchi. con sé una perdita di senso e un vuoto di appar- Ricchi delle loro identità accumulate e contrad- tenenza. Non è un caso che, nel linguaggio comu- dittorie. A dire il vero siamo tutti molteplici, non ne, siano usate le espressioni lingua madre e terra fosse che per la ragione seguente: che noi siamo madre: “C’è stata la galleria, il nero dell’assenza stati bambini, poi adolescenti; non lo siamo più; dello sguardo e del vuoto delle parole” (Pasquali, lo siamo ancora. […] L’espatriato scopre in manie- 1984, p. 35). ra cosciente (e spesso dolorosa) certe realtà che Alla rottura segue la ricomposizione. L’emigra- modellano, spesso a nostra insaputa, la condizio- zione è sempre un percorso aperto, in cui vinco- ne umana” (Huston, 1999, p. 18). li e possibilità si mescolano, in cui la speranza è messa a dura prova dalle esperienze, da ricatti, da chiusure, ma si nutre anche di aperture e trasfor- Fonti primarie mazioni inaspettate. L’influenza del cambiamen- to la ritroviamo fortemente presente nel tema del Belotti C., L’émigrée, Genève, Éditions Gronauer, 1981. ritorno. Chi migra, novello Ulisse, vuole tornare Roche S., De Donno M.R., L’Italienne, histoire d’une vie, Lau- nella sua Itaca, nella sua terra natia, luogo miti- sanne, Bernard Campiche Éditeur, 2000. Pasquali A., Éloge du migrant. È pericoloso sporgersi, Lausanne, co dai sapori e dagli odori antichi: ma, spesso si Éditions de L’Aire, 1984. tratta di un ritorno impossibile. Il cambiamento ha, infatti, attraversato sia le persone, sia la terra d’origine. Ci si ritrova in una sorta di una terra Bibliografia sospesa, una terra di mezzo (Marengo, 2001); io non appartengo completamente al paese dove Alaimo A., Le associazioni di immigrati italiani a Losanna: alla ri- vivo, ma non appartengo più al paese da cui sono cerca di un’identità debole, in «Pluriverso», 3, 2000a, pp. 86-96. partito: “[…] non ero più né di qui né di laggiù” Alaimo A., Le projet migratoire entre nomadisme et sédentarité, in P. (Roche, De Donno, 2000, p. 111) esprime magi- Centlivres, I. Girod (a cura di), Les défis migratoires, Berne, Seismo, 2000b, pp. 211-216. stralmente, in forma letteraria, questo nuovo uni- Alaimo A., Les associations d’immigrés italiens de Lausanne, Lau- verso di cittadinanza che non appartiene più com- sanne, Institut de Géographie de Lausanne - Travaux et re- pletamente, ma che si sviluppa attraverso (conte- cherches de l’Institut, n. 20, 2001. AGEI - Geotema, 50 29 05 - MARENGO - ALAIMO.indd 29 08/06/2016 9.38.29
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