Traiettorie ed esperienze di vita migratoria degli italiani della Svizzera romanda: tra finzione letteraria e racconto autobiografico - AGEI

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Marina Marengo, Angela Alaimo

              Traiettorie ed esperienze di vita migratoria
              degli italiani della Svizzera romanda:
              tra finzione letteraria e racconto autobiografico
                                                                                           “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di
                                                                                           andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli,
                                                                                           sapere che nella gente, nelle piante, nella terra
                                                                                           c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei
                                                                                           resta ad aspettarti”.
                                                                                                  (Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950)

              Summary: Migratory       trajectories and daily practices of italian iMMigrants in         switzerland:    between literary
                            fiction and autobiographic narratives

              Literary texts may represent significant sources for getting a better understanding of migrant routes and life experiences.
              In this article, a novel and two diaries are taken into account, in order to focus on the stories of Italians immigrants in
              Switzerland, and on their different experiences, from the moment of the departure to the potential homecoming, through
              the ambivalent experience of arrival and settlement in a new society. To be in movement, though a process of constant
              transformation, seems to be, for them, the leitmotif of experience. From this constantly changing perspective, even going back
              is not a return. This awareness brings to the development of unusual routes and unexpected directions.

              Keywords: literature, migrations, Switzerland, italians.

              Introduzione                                                     sto meno importante come quella degli italiani in
                                                                               Svizzera. Una volta immersi nella profondità delle
                  L’emigrazione italiana in Svizzera è stata ogget-            traiettorie migratorie grazie alla rarefazione della
              to di innumerevoli riflessioni scientifiche (Piguet,             parola di Pasquali, “entrare” nei racconti di vita
              2009; Fibbi, 2005; Meyer Sabino, 2002; Marengo,                  di Carla Belotti e di Marie-Rose de Donno è più
              2005a e b). A questa vasta produzione si è aggiun-               agevole, ed è pure meno difficile sentirsi intrusi
              ta, in contemporanea o in momenti diversi, una                   nelle loro vite. Le due migranti hanno con grande
              produzione più divulgativa o artistica, spesso                   efficacia descritto un’“epopea” migratoria, molto
              multimediale (come dimenticare, per esempio, le                  vicina a noi e, tuttavia, quasi dimenticata, almeno
              evocative immagini evocative del film Pane e ciocco-             in Italia. Eppure le loro storie di speranze, di do-
              lata di Franco Brusati?) (Guzzo, 2010). Il presente              lore, di soprusi, di vittorie insperate rimandano
              saggio vuole esplorare una parte di quest’ultima                 spesso a quelle lette sui media italiani ed europei
              produzione, meno conosciuta ma non meno im-                      di oggi. Riguardano altri migranti, ma il fil rouge
              portante per la conservazione e la trasmissione                  non si è mai spezzato: i meccanismi sono i medesi-
              della memoria migratoria. Nello specifico, si vo-                mi e sin troppo simili sono dolori, soprusi e picco-
              gliono indagare le traiettorie e le esperienze di                le ma fondamentali riuscite nel Paese di approdo,
              vita attraverso la finzione romanzesca di Adrien                 reale o metaforico.
              Pasquali ne L’éloge du migrant. È pericoloso sporger-
              si, e i racconti autobiografici di Carla Belotti ne
              L’émigrée e di Sylviane Roche e Marie-Rose de Don-               La Svizzera: il richiamo migratorio
              no ne L’Italienne.
                  Grazie alla scrittura raffinata di Adrien Pasqua-              La Svizzera e l’immigrazione italiana in questo
              li è possibile ricostruire meccanismi migratori di               Paese costituiscono una pietra miliare nella com-
              valenza universale, ieri come oggi, applicati ad                 prensione dei meccanismi migratori, nonché nei
              una migrazione “di prossimità”, ma non per que-                  processi di costruzione delle politiche migratorie.

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La Confederazione elvetica, fino alla seconda          chiaramente individuati e, quindi più facilmente
              metà del XIX secolo, è stata una terra di forte emi-      gestibili: “Uno spazio per coltivare e uno per lavo-
              grazione, tanto che solo nel “[…] 1890 si contano,        rare: due mondi, due vite. È questa la condizione
              per la prima volta, più immigranti che emigranti”         del viaggiatore, il cui scalo stagionale non consu-
              (Piguet, 2009, p. 12). L’Italia e la Svizzera defini-     ma la soglia della propria casa. Spazio ‘fuori’, spa-
              scono una prima convenzione bilaterale proprio            zio ‘dentro’, da riconoscere, delimitare, tutelare o
              in questo periodo. Il liberalismo imperante lascia        conquistare, ma mai da usurpare o invadere” (Pa-
              grande spazio alla libera circolazione dei migran-        squali, 1984, p. 15).
              ti e delle loro famiglie. È a quest’epoca che risale         La decisione di emigrare è spesso data dall’il-
              la “tradizione” migratoria dalle vallate piemonte-        lusione di trovare la soluzione rapida ai propri
              si e lombarde verso la Confederazione. In alcuni          problemi e la soddisfazione dei bisogni: “E sono
              casi si trattava di migrazioni stagionali, in altri già   partito perché fuori le cose mi richiamavano col
              si profilava l’intenzione di domiciliazione (Aude-        loro fascino, dissimulando il rigore sacro del poco
              nino, Corti, 2000; Corti, 1986 e 1990). È d’altron-       che avevamo ereditato […] Così ci consacravamo
              de in questo periodo che non pochi imprenditori           alla fonte di una quotidianità migliore, all’origi-
              svizzeri hanno scelto, a loro volta, di insediarsi        ne di tutte le ricompense terrestri: al di là delle
              nelle vallate alpine italiane, creando non poche          montagne, nel paese del nuovo Eldorado, nuovo
              attività industriali, le cui eredità sono ben visibili    o ancora da costruire, in cui il lavoro liberava da
              ancora oggi.                                              ogni schiavitù …” (ibidem, p. 24).
                 La reciprocità degli scambi e l’apertura liberi-          Le migrazioni internazionali sono talvolta
              sta si smorzano nel primo dopoguerra, quando              precedute da “prove di migrazione” interna che
              nel “[…] 1934 viene promulgata la Legge concer-           permettono al migrante di cominciare a prende-
              nente la dimora e il domicilio degli stranieri che        re le distanze dal luogo d’origine: “Ho vissuto a
              rimarrà in vigore per tutto il secolo. Essa enun-         Dossello fino a tredici anni, poi sono andata a
              cia le due caratteristiche fondamentali del regi-         lavorare […] Ero vicino a Milano, mi occupavo
              me d’immigrazione svizzero: l’autorizzazione di           di una bambina. Qualcuno, non mi ricordo più
              dimora vincolata al permesso di lavoro e le tre           chi, mi aveva trovato questo posto […] Mi sono
              categorie di permessi – stagionale, annuale e di          ritrovata in una buona famiglia […] E quello che
              domicilio –” (Piguet, 2009, p. 13).                       guadagnavo a fine mese, lo inviavo a mamma per
                 Nell’immediato secondo dopoguerra, lo svi-             mantenere i miei fratellini” (Belotti, 1981, pp. 37-
              luppo economico e soprattutto industriale della           38). Si tratta spesso di una sorta di iniziazione alla
              Confederazione richiede sempre più manodo-                lontananza, al lavoro subordinato: “In Ticino ho
              pera straniera. Nel 1948 viene siglata una nuova          trovato un posto davvero piacevole […] facevo le
              convenzione Italia-Svizzera: è questo accordo che         pulizie, cucinavo, mi occupavo della spesa e, a vol-
              apre un periodo di immigrazione di massa, in              te, rispondevo al telefono” (ibidem, p. 59). A sua
              particolare dal Mezzogiorno italiano. È a questo          volta, grazie all’opportunità di movimento degli
              contesto storico-sociale e politico-economico che         stranieri nella Confederazione fino a tutti gli anni
              fanno preciso riferimento i racconti autobiogra-          Sessanta, era possibile progettare e realizzare
              fici di Carla Belotti e Marie-Rose De Donno, e il         non necessariamente dei ricongiungimenti, ma
              romanzo di Adrien Pasquali.                               almeno dei “riavvicinamenti” familiari: “Se sono
                                                                        andata via, è perché i miei fratelli erano tutti nel
                                                                        cantone di Vaud: uno era a Morges, l’altro vicino a
              La partenza e il viaggio                                  Losanna […] Non sapevo una parola di francese;
                                                                        quando sono arrivata a Losanna, è stato durissi-
                 La scelta di emigrare costituisce il primo tas-        mo” (ibidem). L’arrivo in un contesto non italofo-
              sello di un percorso concepito come circolare,            no apre alla “vera” migrazione, allo spaesamento
              almeno nelle migrazioni di prossimità: l’idea del         e alla necessità di rimettere in gioco l’insieme dei
              ritorno fa parte, in maniera esplicita o meno, del        punti di riferimento culturali.
              progetto migratorio. All’origine di tali scelte, tro-        Nel periodo di massima emigrazione dall’Italia
              viamo condizioni di vita alquanto precarie e op-          alla Svizzera, la manodopera in partenza provie-
              portunità di lavoro scarse o insufficienti a garanti-     ne, non più dalle vallate alpine italiane, come per
              re il necessario per sé e i propri famigliari.            il caso di Carla Belotti, ma dal Mezzogiorno. Il
                 Quando il movimento è concepito quale tem-             movimento diviene pressante, quasi ossessivo, nel-
              poraneo, stagionale, per utilizzare il termine più        la speranza di ottenere, già dall’inizio del viaggio,
              corretto, gli spazi del “qui” e dell’ “altrove” sono      una sorta di “ascensione”, non tanto sociale ma

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quanto di comodità di viaggio: “Il treno arrivava,      le o clandestino che fosse, del viaggio e dell’attra-
              tutti si alzavano, urlavano, correvano. Col treno       versamento della frontiera, il passo successivo non
              ancora in movimento, la gente saliva su, cercava        è certo più semplice: l’ottenimento dell’ufficialità
              di entrare dai finestrini. C’erano degli scatoloni,     del soggiorno e, di conseguenza, di tutte le tute-
              delle valige legate, e gente che si picchiava per       le necessarie ad una vita dignitosa: “Sono passate
              aver posto. Urla […] Si sarebbe detto che partiva-      molte mattine dal giorno in cui ho messo piede
              no, non saprei, per un luogo meraviglioso, che ne       sul marciapiede della stazione […] le montagne
              andava della loro vita … In realtà andavano solo        ma anche l’insieme dei problemi quotidiani mi
              a lavorare in Svizzera” (Roche, De Donno, 2000,         ricordavano la mia condizione, sottomessa all’ot-
              pp. 22-23).                                             tenimento di un permesso di lavoro” (Pasquali,
                 Se la partenza, silenziosa o avvolta dalla folla     1984, p. 39).
              urlante, costituisce l’avvio del movimento migra-           Le esperienze iniziali non sono necessaria-
              torio, è il passaggio della frontiera a costituire il   mente negative, anzi; la loro positività permet-
              vero e proprio “rito di passaggio”, la trasformazio-    te ai migranti di rimodellare la loro identità, di
              ne in immigrante, straniero soggetto a controlli di     adattarla alla nuova situazione di vita e di lavoro,
              routine, ma alla base della costruzione dell’“altro     senza traumi o difficoltà particolari: “[…] i miei
              da sé”: “Sentivo che gli occhi degli altri mi osser-    padroni erano molto gentili, molto comprensivi;
              vavano, mi scrutavano non volevo mostrare la mia        erano umani con me e non potevo lamentarmi”
              immagine, – Passaporti, per favore! –” (Pasquali,       (Belotti, 1981, p. 59). In caso di temporanea dif-
              1984, p. 27).                                           ficoltà, tra un contratto di lavoro ed un altro, le
                 Non solo straniero, ma spesso anche escluso,         istituzioni del Paese di accoglienza erano allora
              troppo diverso per essere in grado di realizzare        in grado di sostenere i migranti, garantendo loro
              nel tempo di una vita i sogni che lo aveva spinto a     una transizione dignitosa, quasi una vacanza: “Da
              partire, l’immigrante era: “[…] scrutato, perquisi-     qualche giorno ero senza lavoro; stavo all’Eserci-
              to, fino all’etichetta del mio bagaglio. Squadrato,     to della Salvezza in cui ero stata accolta davvero
              come per ricoprirmi dello sguardo di quell’altro,       molto bene, in cui pagavo pochissimo; mi ave-
              più importante di me; spogliato della mia pelle         vano sfamato per tre o quattro giorni, dato un
              d’uomo, per indossare quella dell’escluso, di colui     alloggio e tutto il resto. Era magnifico, e soprat-
              che viene da altrove e che, con la sua presenza,        tutto contenta di potermi riposare un po’ prima
              modifica le sembianze del luogo in cui si insedia,      di cominciare un lavoro che già sapevo proprio
              dello straniero che mi proponeva un abito attil-        non leggero” (ibidem, p. 85). I rapporti di lavoro
              lato, dal colore gradevole ma dal taglio rigido e       si trasformano non solo in rapporti di fiducia tra
              definitivo” (ibidem, p. 27). Alla fine, pur nella       datori e lavoratori, ma anche in rapporti di sere-
              massa, pur nella folla, ogni migrante deve fare i       na familiarità: “Avevo trovato un lavoro a Pully; ci
              conti soprattutto con se stesso: “Mi sentivo così       sono rimasta diversi anni. Fino al 1954. Non era
              sola, in quel treno; avevo ventidue anni” (Belotti,     male […] Mi trattavano bene e mi davano corret-
              1981, p. 59).                                           tamente da mangiare […] Mi facevano lavorare,
                 Non sempre il pathos del viaggio è stato così for-   certo, ma mi hanno anche fatto curare. Questo
              te e presente. Tra la seconda metà dell’Ottocento       mostra che era gente onesta […] E d’estate, mi
              e la prima metà del Novecento, nelle migrazioni         mandavano in montagna, con le loro figlie” (ibi-
              alpine di prossimità, non c’era bisogno di passeur:     dem, pp. 70-71).
              erano i parenti che insegnavano il percorso attra-          I percorsi di integrazione pregni di positività
              verso i passi montani per andare a trovare lavoro       non sono certo rari, in particolare a causa delle
              in Svizzera. La questione, soprattutto per i più gio-   difficili condizioni di vita nel Paese d’origine di
              vani, era già il permesso di soggiorno: “[…] Ma-        molti migranti. È particolarmente chiaro che la
              rio è andato molto giovane in Svizzera. Passava la      Svizzera per queste persone costituisce un vero e
              frontiera senza documenti. Pure mio padre la at-        proprio Eldorado, malgrado difficoltà, soprusi e
              traversava spesso clandestinamente. Non era facile      altre angherie che nel tempo dovranno soppor-
              ottenere un permesso di lavoro” (ibidem, p. 40).        tare. L’estrema indigenza di molti migranti rende
                                                                      sorprendente il fatto che si possano consumare
                                                                      pasti regolari: “Guardavo mia madre che ci dava
              L’incontro di mondi lontani: rappresentazioni a         da mangiare. – Mamma, ma qui si mangia anche
              confronto                                               di sera? – per me era inimmaginabile. A casa non
                                                                      avevamo già niente da mangiare a mezzogiorno,
                 Una volta compiuto il rito di passaggio, ufficia-    mangiare la sera mi pareva un lusso incredibile…

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Eccolo, il mio primo contatto con la Svizzera. Un       comportamenti, così diffusi ancora oggi, mostra
              paese dove la gente mangia anche di sera! Era           come in realtà la circolarità migratoria non sia
              assolutamente sbalorditivo” (Roche, De Donno,           costituita solo di movimenti, ma anche di itera-
              2000, pp. 24-25).                                       zioni nei modi e nei comportamenti nei Paesi
                 In ogni caso, Paese della cuccagna la Svizzera       di origine come di accoglienza. Carla Belotti lo
              lo rimane per molto tempo, e questo malgrado            dichiara serenamente, anche se trapela l’amarez-
              la tendenza all’esclusione dell’altro, crudele ma       za di fondo: “Non so se una governante nata in
              molto comune già a partire dalla prima scolariz-        Svizzera sarebbe stata trattata come me in certi
              zazione: “La prima volta che sono andata a scuola       posti di lavoro: ‘[…] è una sporca italiana’. No,
              qui, avevo quasi otto anni. Non parlavo il france-      un cane, non lo si spinge in quel modo […] Una
              se, neanche una parola, e tutti mi prendevano in        volta a casa, mi sono messa a piangere come un
              giro, tutti ridevano perché mi parlavano e io non       bambino di dieci anni, dicendomi: – Ecco che
              capivo […] Ho anche dei bei ricordi di quella           vuol dire essere straniero –” (ibidem, pp. 108-
              scuola. Per esempio, a ricreazione, ci davano del       109).
              latte. La Svizzera era davvero fantastica. Anche            La coscienza di essere l’altro, di essere oggetto
              a scuola ci davano da mangiare, ti rendi conto?         di comportamenti chiaramente razzisti, di “con-
              Era assolutamente straordinario! […] A volte, ci        tare meno” perché straniero rimane, almeno per
              davano delle mele all’intervallo. La Svizzera per       le prime generazioni, molto forte: “Non c’è dub-
              me, era il cibo. Avevamo da mangiare” (ibidem,          bio che ero considerata meno perché straniera.
              pp. 35 e 37).                                           Sentivo che mi trattavano da straniera. E lo sento
                 Se non proprio di integrazione, in particolare       ancora adesso. Certo, non le persone a cui voglio
              per i lavoratori stagionali (permesso di lavoro A),     bene. E poi, anche se adesso sono svizzera, mi
              si può anche parlare di un progressivo processo di      sento ancora un po’ straniera” (Belotti, p. 109).
              accomodamento reciproco tra immigrati italiani          Malgrado la presa di distanza dall’esperienza e la
              e svizzeri, in attesa di una stabilizzazione dei per-   sicurezza acquisita nel tempo, le esperienze di ri-
              messi di lavoro e di soggiorno: “[…] ogni anno, il      fiuto degli svizzeri rimangono ben presenti: “Mi
              1° Agosto è festa nazionale: è bello, i fuochi illu-    dicevano delle cose come: ‘Lurida italiana, maca-
              minano le creste delle colline e i ripiani lungo le     roni, carogna italiana! Tornatene a casa tua, non
              scarpate dei versanti […] Diventava un po’ pure la      ti vogliamo!’. Cose di questo genere. Per una bam-
              nostra festa” (Pasquali, 1984, pp. 95-96).              bina, era davvero difficile da vivere” (Roche, De
                                                                      Donno, 2000, p. 36).
                                                                          Se il sequestro del passaporto è stato nel tem-
              Il gioco crudele fra apertura e chiusura                po il ricatto più prepotente per uomini e donne
                                                                      immigrati, il ricatto sessuale ha riguardato non
                 Il Paradiso terrestre così agognato diviene          poche donne che, non avendo altra scelta, hanno
              tuttavia anche una realtà crudele fatta di emar-        dovuto sottostare a ripetute e continuate violen-
              ginazione e di esclusione, a cui si aggiungono la       ze, in cambio di un’ufficialità della loro presenza
              malafede e la disonestà dei datori di lavoro, mal-      in Svizzera: “Mia madre aveva cambiato padrone
              grado l’appartenenza a classi sociali spesso molto      […] Andava a letto con quello là […] E sì, era pra-
              elevate: “Mario mi aveva fatto venire perché mi         ticamente obbligata, a causa del permesso di lavo-
              aveva trovato un lavoro provvisorio […] Non era         ro, un vero ricatto” (ibidem, p. 47 e p. 50).
              una famiglia di persone molto […] Intanto non               Il razzismo si poteva manifestare in vari modi:
              capivo niente, non sapevo il francese. Mi hanno         il più diffuso, e non solo in Svizzera, era costitui-
              quasi subito confinato in cucina da mattina a sera,     to dal rifiuto di procurare alloggi decenti ai mi-
              alla mercé dei voleri di tutti. Ho detto loro che vo-   granti, spesso obbligati a vivere in abitazioni di
              levo andare via, che ero stata assunta solo per una     fortuna, sovente, ancora una volta, ricattati dai
              sostituzione […] Allora, mi hanno preso il passa-       datori di lavoro: “In quel periodo, trovare un ap-
              porto, mi hanno detto che dovevano dichiararmi          partamento per mia madre era impossibile […]
              alla polizia […] In realtà, mi volevano obbligare       eravamo italiani ed era la cosa peggiore. Gli ita-
              e rimanere […] Quel padrone era un banchiere”           liani erano molto mal visti. La gente diceva che
              (Belotti, 1981, pp. 65-66/68).                          eravamo sporchi […] E poi non avevamo soldi, ci
                 Queste esperienze ne ricordano molte altre           proponevano delle stamberghe … metti la gente
              sopportate, non solo dagli Italiani, ma da mi-          nelle topaie, impedisci loro di vivere altrove, e poi
              granti di ogni epoca ed origine e, purtroppo,           dici ‘guarda come sono sporchi’… È sempre la so-
              in tutti i Paesi dì accoglienza. Il ripetersi di tali   lita storia” (ibidem, pp. 52-53).

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Cittadino dell’Eldorado                                 permette anche chiare considerazioni sul diritto
                                                                      all’Eldorado così duramente conquistato: “[…]
                 Negli anni Sessanta, una Svizzera in piena           se fossi stata svizzera non mi avrebbe sequestrato
              espansione economica deve far fronte a reazioni         il passaporto per portalo alla polizia, Lo hanno
              di chiusura nei confronti di quella che viene de-       fatto perché ero straniera. L’ho ben capito, non
              finita sovrappopolazione degli immigrati. L’Italia      c’è dubbio, Lo hanno fatto perché sapevano che
              riesce tuttavia a definire un nuovo accordo bila-       potevano farlo, che potevano spremermi come un
              terale particolarmente favorevole ai nostri immi-       limone. Avevo un permesso A” (ibidem). E lascia
              grati, poiché incentrato sulla stabilizzazione dei      anche spazio ad un’analisi, semplicistica forse, ma
              permessi di lavoro, nonché al ricongiungimento          quanto mai veritiera degli effetti delle politiche
              familiare (Piguet, 2009, p. 21). Tra la fine degli      migratorie: “È facile rimandare la gente nel loro
              anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta pren-      paese, dopo dieci o quindici anni […] dopo averla
              dono vita le iniziative xenofobe denominate di          sfruttata per tutto il tempo di cui ne hanno avuto
              Schwarzenbach, dal nome del loro promotore. Que-        bisogno” (ibidem, pp. 149). Sono effetti dramma-
              ste hanno provocato panico e molto malessere tra        tici, perversi e sempre umilianti nei confronti di
              gli italiani della Confederazione. Carla Belotti        persone migrate per sopravvivere o per migliorare
              racconta senza alcuna reticenza questo periodo,         le loro condizioni di vita: scelte politiche iterate
              nonché il “processo di naturalizzazione” a cui lei      all’infinito in Europa come altrove, ieri come oggi.
              e il marito hanno fatto fronte per ritrovare la sicu-
              rezza perduta: “Uno dei fatti importanti della no-
              stra nuova vita è stata la nostra naturalizzazione.     Il mito del ritorno: fra ostacoli e desideri
              L’abbiamo chiesta perché avevamo costruito il no-
              stro châlet e che, comunque, ci eravamo abituati a         La maggior parte dei percorsi migratori vengo-
              vivere in Svizzera […] Certo, le iniziative Schwar-     no realizzati con l’obiettivo, non necessariamen-
              zenbach hanno non poco contribuito alla nostra          te dichiarato, di chiudere in ogni caso il cerchio
              decisione. Quando le persone hanno lavorato in          al percorso tornando all’origine, a quella “Terra
              Svizzera per trent’anni e che si fanno rimandare        promessa” lasciata per cercare migliori condizioni
              al loro paese senza niente, non è normale. Abbia-       di vita.
              mo avuto paura. Avevamo paura di essere espulsi            Per molti migranti, stagionali, il ritorno è la
              e di dover lasciare il nostro piccolo châlet in cui     norma: “Le mie stagioni sono alle spalle; stase-
              avevamo investito tutti i nostri risparmi. Cosa         ra prenderò il treno per un viaggio che conosco
              avremo fatto in Italia? Chi ci avrebbe dato lavoro      bene, anche se un po’ sfocato dalle foschie del
              alla nostra età e dopo una così lunga assenza?”         desiderio, ma non della memoria. Le mie valigie,
              (Belotti, 1981, pp. 143-144). Carla Belotti raccon-     due sole, gonfie di un magro raccolto, tanto che
              ta ancora il percorso ad ostacoli sopportato: “La       scricchiolano tra il cuoio e le strisce di legno che
              procedura di naturalizzazione è durata tre anni;        danno loro l’apparenza di un vero bagaglio” (Pa-
              e questo perché avevamo delle ottime raccoman-          squali, 1984, p. 87).
              dazioni. Tre anni che mi hanno molto umiliata.             La scelta della stagionalità si è tuttavia spesso
              Bisognava conosce le istituzioni e un po’ di sto-       trasformata in bisogno di una permanenza nel
              ria svizzera […] Arrivati nella sala, ci siamo fatti    Paese di immigrazione, non fosse altro che per
              prendere dal panico; anche se sapevamo molte            poter fondare una famiglia. Il progetto di ritorno
              cose, non ci riuscivamo … il cuore si era bloccato,     rimane comunque la logica conclusione del per-
              non riuscivamo ad andare avanti. Ci hanno fatto         corso migratorio: “[…] non avevamo mai pensato
              domande che non avevano niente a che fare con           di rimanere in Svizzera, che ci si stabilisca lì. Tor-
              quello che ci avevano detto di imparare” (ibidem,       nare in Italia, era il sogno di mio marito. Per que-
              pp. 144-145).                                           sto risparmiava e faceva costruire la casa di cui ho
                 La cittadinanza elvetica, malgrado il percorso       parlato, con gli appartamenti e il garage” (Roche,
              lungo, costoso e spesso umiliante, permette di          De Donno, 2000, p. 105).
              raggiungere una serenità insperata: “[…] adesso            La circolarità del percorso migratorio è in real-
              sono sicura di non poter più essere espulsa in Ita-     tà una spirale che non prende in considerazione
              lia […] Adesso siamo svizzeri e non possono più         solo la dimensione spaziale ma anche quella tem-
              mandarci via per far posto agli altri. Prima, non       porale. Il ritorno, dopo aver accumulato usi, co-
              avevamo nessuna sicurezza; a causa soprattutto di       stumi ed un bagaglio culturale altro, può rivelarsi
              quella storia di Schwarzenbach” (ibidem, p. 148).       difficoltoso, se non impossibile: “[…] avevo vissuto
                 La consapevolezza della sicurezza acquisita          per parecchio tempo in Svizzera. Avevo davvero

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assimilato quella mentalità. Era davvero molto            sti, luoghi, lingue, emozioni, a volte contrastanti).
              difficile riadattarmi alle abitudini di laggiù. Non       Per dirla musicalmente, con le parole di Edward
              ero più come gli altri, non avevo più la stessa men-      Said, si tratta di una consapevolezza contrappun-
              talità, non ero più né di qui né di laggiù” (ibidem,      tistica: “La maggior parte delle persone conosce
              p. 111).                                                  per lo più una cultura, un contesto, una casa; gli
                                                                        esuli ne conoscono almeno due, e questa pluralità
                                                                        di prospettiva dà origine a una consapevolezza di
              Circolarità e riproducibilità dei percorsi migratori:     dimensioni simultanee, una consapevolezza che –
              una storia infinita                                       per usare un termine musicale – è contrappunti-
                                                                        stica” (Said, 2008, p. 141).
                 Dall’analisi svolta e dai racconti di vita riportati       La circolarità dei percorsi di migrazione rap-
              nei testi analizzati, risulta chiaro come i percorsi      presenta, dunque, un’idea iniziale che è spesso
              migratori abbiano spesso delle caratteristiche co-        messa a dura prova e cambiata dalle esperienze e
              muni.                                                     dalle traiettorie di vita. Come si evince dai raccon-
                 Il migrante che arriva viene vissuto come non          ti degli autori citati, il ritorno a casa si trasforma,
              facente parte della comunità. Egli non può, dun-          a volte, nel riconoscere la “nuova” casa, il paese di
              que, condividere usi, costumi, lingua, emozioni,          accoglienza, che attraverso meccanismi legislativi,
              sensazioni, affetti. Egli ha spezzato un legame ed        come l’acquisizione della cittadinanza, rende pos-
              erra alla ricerca di nuovi approdi in un nuovo con-       sibile un arrivo, nella consapevolezza dell’impos-
              testo, spesso sconosciuto e ostile. Questa rottura        sibilità di ritornare in luoghi cui non si sente più
              comporta e causa un senso di estraniamento che            di appartenere e che non esistono più.
              nasce già nel momento di partire: io parto, sono              Il percorso intrapreso nelle testimonianze let-
              costretto a uscire dalla mia comunità, entro in           terarie ricostruisce traiettorie migranti dimenti-
              un’altra di cui non faccio parte. La ritroviamo nei       cate che portano alla luce sedimenti del nostro co-
              racconti dei migranti e in altre fonti letterarie. Per    mune essere sempre in movimento. Come ricorda
              esempio, Lo straniero di Albert Camus si apre così:       Nancy Huston, la condizione migrante è ricca poi-
              “Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so”             ché rivela incessantemente a chi la vive il nostro
              (Camus, 2000, p. 7). Chi migra, in effetti, porta         essere molteplicità: “Gli esiliati, loro, sono ricchi.
              con sé una perdita di senso e un vuoto di appar-          Ricchi delle loro identità accumulate e contrad-
              tenenza. Non è un caso che, nel linguaggio comu-          dittorie. A dire il vero siamo tutti molteplici, non
              ne, siano usate le espressioni lingua madre e terra       fosse che per la ragione seguente: che noi siamo
              madre: “C’è stata la galleria, il nero dell’assenza       stati bambini, poi adolescenti; non lo siamo più;
              dello sguardo e del vuoto delle parole” (Pasquali,        lo siamo ancora. […] L’espatriato scopre in manie-
              1984, p. 35).                                             ra cosciente (e spesso dolorosa) certe realtà che
                 Alla rottura segue la ricomposizione. L’emigra-        modellano, spesso a nostra insaputa, la condizio-
              zione è sempre un percorso aperto, in cui vinco-          ne umana” (Huston, 1999, p. 18).
              li e possibilità si mescolano, in cui la speranza è
              messa a dura prova dalle esperienze, da ricatti, da
              chiusure, ma si nutre anche di aperture e trasfor-        Fonti primarie
              mazioni inaspettate. L’influenza del cambiamen-
              to la ritroviamo fortemente presente nel tema del         Belotti C., L’émigrée, Genève, Éditions Gronauer, 1981.
              ritorno. Chi migra, novello Ulisse, vuole tornare         Roche S., De Donno M.R., L’Italienne, histoire d’une vie, Lau-
              nella sua Itaca, nella sua terra natia, luogo miti-          sanne, Bernard Campiche Éditeur, 2000.
                                                                        Pasquali A., Éloge du migrant. È pericoloso sporgersi, Lausanne,
              co dai sapori e dagli odori antichi: ma, spesso si           Éditions de L’Aire, 1984.
              tratta di un ritorno impossibile. Il cambiamento
              ha, infatti, attraversato sia le persone, sia la terra
              d’origine. Ci si ritrova in una sorta di una terra
                                                                        Bibliografia
              sospesa, una terra di mezzo (Marengo, 2001); io
              non appartengo completamente al paese dove                Alaimo A., Le associazioni di immigrati italiani a Losanna: alla ri-
              vivo, ma non appartengo più al paese da cui sono             cerca di un’identità debole, in «Pluriverso», 3, 2000a, pp. 86-96.
              partito: “[…] non ero più né di qui né di laggiù”         Alaimo A., Le projet migratoire entre nomadisme et sédentarité, in P.
              (Roche, De Donno, 2000, p. 111) esprime magi-                Centlivres, I. Girod (a cura di), Les défis migratoires, Berne,
                                                                           Seismo, 2000b, pp. 211-216.
              stralmente, in forma letteraria, questo nuovo uni-        Alaimo A., Les associations d’immigrés italiens de Lausanne, Lau-
              verso di cittadinanza che non appartiene più com-            sanne, Institut de Géographie de Lausanne - Travaux et re-
              pletamente, ma che si sviluppa attraverso (conte-            cherches de l’Institut, n. 20, 2001.

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Alaimo A., Marengo M., La Sicilia vicina e lontana. I paesaggi                  Faculté des Lettres, Travaux et Recherches, Institut de Géo-
                 della memoria, in G. Cusimano (a cura di), Scritture di paesag-              graphie, Univ. de Lausanne, n. 21, 2001, pp. 364.
                 gio, Bologna, Pàtron, 2003, pp. 225-242.                                  Marengo M., Trajectoires, filières, mythes. Les parcours migratoires
              Arlettaz G., La Suisse et les étrangers: immigration et formation natio-        des Italiens du canton de Vaud (Suisse), in «Geographica Hel-
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              Audenino P., Corti P., L’emigrazione italiana, Milano, Fenice,               Marengo M., Traiettorie di un esilio. Il “paradiso svizzero” fra il
                 2000.                                                                        1943 e il 1945, in «Storia e problemi contemporanei», 38,
              Camus A., Lo straniero, Milano, Bompiani, 2000.                                 2005b, pp. 183-197.
              Corti P., Gli stagionali di Sala e Torrazzo nella Serra, in Collectif,       Marengo M., Lisi R.A., Arrivi e ritorni: questioni (storie) di inte-
                 L’emigrazione biellese fra Ottocento e Novecento, Milano, Electa,            grazione e di relazioni interculturali. Immigrazione e ritorni
                 1986, pp. 161-233.                                                           dall’estero ad Arezzo, in Iorio M., Sistu G. (a cura di), Dove
              Corti P., Paesi d’emigranti. Mestieri, itinerari, identità collettive, Mi-      finisce il mare. Scritti per Maria Luisa Gentileschi, Cagliari, San-
                 lano, Franco Angeli, 1990.                                                   dhi, 2010, pp. 213-224.
              Halter E. (a cura di), Gli italiani in Svizzera: un secolo di emi-           Meyer Sabino G., In Svizzera, in Bevilacqua P., De Clementi A.,
                 grazione, Bellinzona, Casagrande, 2004.                                      Franzina E. (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana, Roma,
              Huston N., Nord perdu, Arles, Actes Sud, 1999.                                  Donzelli, 2002, pp. 147-158.
              Fibbi R., Italiani in Svizzera: da Tschingg a persone frequentabili, in      Perrenoud, M., Attitudes suisses vis-à-vis de l’immigration italienne
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