Survivor: ibridazione di genere e casualità narrative

Pagina creata da Erika Mancini
 
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Survivor: ibridazione di genere e
casualità narrative

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                                 Un formato di successo

Survivor è un reality show prodotto su larga scala e in moltissime nazioni del mondo. Il for-
mato originale del programma (di matrice statunitense) prevede l’isolamento di un gruppo
scelto di persone comuni in un ambiente ostile (tipicamente, un’isola deserta).1 I concorrenti,
opportunamente divisi in fazioni contrapposte, interagiscono in base alle regole del gioco, che
prevedono lo svolgimento cadenzato di alcune prove psicofisiche e l’assegnazione periodica di
ricompense sotto forma di beni materiali e immateriali. Primo obiettivo della competizione è
sopravvivere al resto del gruppo, prolungando il più possibile - in un gioco ad eliminazione
diretta - la propria permanenza in gara. A questo si aggiungono una serie di obiettivi seconda-
ri a breve e medio termine, essenzialmente legati al superamento delle condizioni di vita pre-
carie imposte dalla location, che finisce per circoscrivere il raggio d’azione dei «sopravvissuti».
Con questo breve paper tenterò di motivare il funzionamento della «meccanica» delle parti del
programma e contestualmente di evidenziarne i modi della fruizione, esplicitando i fattori di
fascinazione e curiosità alla base della miscela narrativa della messa in onda.
L’assunto di partenza è che gli esiti della gara - sceneggiata a beneficio del pubblico attraverso
il programma - siano regolati da fattori primariamente matematici. In particolare, farò riferi-
mento a quella parte del programma non irregimentata in uno specifico modello narrativo e

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che risponde alle leggi del caso. È la presenza di un grado variabile di congiunture fortuite a
far crescere nello spettatore il desiderio di «provare a divinare» gli esiti della competizione e
che distingue un prodotto ibrido come Survivor rispetto agli altri reality show. Ne Il piacere del
testo, Barthes esplora i modi attraverso i quali la narrativa viene incontro all’innato desiderio
di conoscenza degli eventi che anima il lettore.2 In Survivor, il piacere procurato allo spetta-
tore nel conoscere e nel prevedere lo svolgimento delle molteplici storie narrate, non ruota
attorno all’abilità degli sceneggiatori, né sulla pur conclamata bravura dei singoli personaggi.
Anche se lo spettro delle variabili in gioco si restringe col procedere della messa in onda,
l’evento fortuito può sempre intervenire, con l’effetto di scompaginare qualsiasi pronostico.
Survivor è un gioco la cui messa in onda alterna in una sapiente miscela le componenti del
drama a quelle tipiche del filone adventure. Nelle parole del suo produttore esecutivo, Mark
Burnett:

            «You have no idea the number of people far more experienced than I who told me

            that I needed to choose whether I was making a drama or an adventure or a game

            show. That I couldn’t have that combination, that it really wouldn’t work [...]».3

D’altra parte è stata la stessa rivista Variety a definire il programma come un vero e proprio
episodic drama, allineandolo nei fatti alla tradizione narrativa della lunga serialità americana. I
motivi di questo incasellamento apparentemente inedito sono da ricercare nella necessità di
proporre una messa in onda in stile cinematografico, qualitativamente paragonabile a quella
dei prodotti seriali abitualmente «palinsestati» in prima serata. Tuttavia, se nel caso di un pro-
gramma interamente scritto a tirare le fila della storia sono gli sceneggiatori, la conduzione di
un qualsiasi reality game finisce tutta nelle mani dell’istanza organizzativa, che ne supervisiona
l’andamento narrativo. La macchina produttiva di Survivor non fa eccezione ed è per certi
versi paragonabile a quella impiegata per la realizzazione di super-complesso gioco di strategia
di genere ibrido (drama + adventure + game).

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Stuttura narrativa

In Survivor, i protagonisti «giocano» ciascuno la propria partita su più livelli. Le prove che
periodicamente assegnano immunità e ricompense limitano la libertà d’azione individuale at-
traverso una serie ben definita di regole e dispositivi. Tuttavia, a dispetto della notevole im-
portanza di volta in volta attribuita alle singole gare, quando i «naufraghi» parlano del loro
ruolo nel gioco, il più delle volte si riferiscono all’arco narrativo complessivo del programma,
il cui obiettivo è di scalzare gli altri giocatori e resistere nei panni mitici del «sole survivor».4
Anche quest’ultima competizione è regolata da un serie di «paletti» non negoziabili: i prota-
gonisti sono confinati in un luogo remoto e ostile; a scadenze prefissate e tuttavia variabili,
ciascuno dei due gruppi in cui i «naufraghi» sono divisi - le tribù - deve decidere chi esclude-
re; ciascun partecipante può guadagnare una sorta di immunità che lo esclude temporanea-
mente dalla gara di sopravvivenza, e così via. La struttura narrativa di Survivor si divide es-
senzialmente in tre atti e ricalca i momenti della competizione mitologica (quella che conduce
alla definizione del «sole surivivor»): confronto tra tribù, rimescolamento dei «naufraghi» ed
elezione del sopravvissuto. Studiata al fine di capitalizzare e sottolineare gli stati emotivi e le
tensioni interpersonali, questo percorso definisce una prima fase di completo straniamento e
di adattamento psicofisico alla nuova realtà, una seconda in cui il rimescolamento dei concor-
renti determina la rottura dello status quo faticosamente raggiunto e una terza in cui una giuria
composta da alcuni dei concorrenti già eliminati formula il nome del vincitore.
Tuttavia l’insieme delle regole così descritte include e prevede l’intervento del caso: ciascuno
dei giocatori di Survivor sperimenta, all’interno dei confini stabiliti dalle norme citate, una
notevole libertà di azione. I risultati del gioco sono autentici e imprevedibili, nel senso che
nessuno dei partecipanti al programma è nella posizione di sapere cosa succederà. D’altronde,
gli innumerevoli scandali degli anni ’50 che in America hanno coinvolto un cospicuo numero
di quiz show variamente «truccati» hanno per tempo dimostrato quanto sia difficile assicurare
e assecondare fino in fondo quella «promessa di realismo» con la quale si tenta di dare un
senso al problematico e precario rapporto fiduciario tra network e fruitore.5
In questo senso, il programma incarna davvero il desiderio di autenticità che motiva la visione
di un qualsivoglia reality show e non è un caso che, a distanza di quasi dieci anni, la credibilità

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dell’istanza produttiva sia rimasta pressoché intatta, nonostante le numerosissime accuse di
«machiavellica cospirazione» sollevate nei confronti del deus ex machina Burnett.

                                  Incertezza vs. ignoranza

L’imprevedibilità è un fattore cruciale nell’analisi della struttura narrativa di Survivor. Come si
è visto, alcune parti del suo racconto episodico sono prevedibili: il sole sorgerà allo scadere
del giorno successivo, ci saranno fatiche da superare, prove nelle quali gareggiare e preferenze
da esprimere. Sebbene la macchina produttiva «costringa» i partecipanti in un luogo spazial-
mente limitato e giochi un ruolo determinante nel rendere o meno disponibili alcuni oggetti
necessari alla sopravvivenza dei singoli protagonisti, lo show non assegna ai suoi concorrenti
una sceneggiatura predeterminata: il loro comportamento non è quindi facilmente prevedibi-
le. Diversamente dal caso dei programmi già scritti, nessun membro della produzione né gli
stessi «naufraghi» sono in grado di prevedere l’evoluzione del gioco rispetto al modificarsi
delle relazioni interpersonali. E anche se col procedere del programma le strategie dei singoli
potranno mostrare al pubblico un maggior grado di intelligibilità, determinando la formula-
zione di una serie di ipotesi predittive necessariamente più accurate, questa tendenza non po-
trà mai trasformarsi in un procedimento di metodo verificabile ai fini della «divinazione» de-
gli esiti finali della competizione.
L’attività speculativa sorta attorno allo show coinvolge una notevole fetta di spettatori assidui
che si riuniscono in comunità virtuali alla ricerca di informazioni aggiuntive, commenti e pre-
visioni riguardanti la storia messa in scena. A questa classe di fruitori si affianca un’agguerri-
tissimo plotone di fan che attualizza la propria ossessione nei confronti del programma attra-
verso un’intesa attività di ricerca finalizzata al cosiddetto spoiling. La distinzione tra specula-
zione, predizione e spoiling ha a che fare con il grado di investimento emotivo nei confronti
della realtà diegetica del programma. Tipicamente, nel fare spoiling lo spettatore utilizza infor-
mazioni sensibili più o meno riservate e non generate dalle pratiche testuali del network di ri-
ferimento, condividendole con una specifica comunità di utenti. Nel caso di Survivor, questo
tipo di attività è intensissima e ha portato nel corso degli anni ad un clima di forte competi-

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zione tra istanza produttrice e fan (per inciso, le informazioni provenienti dal mondo extradie-
getico del programma possono rovinare il piacere derivante dal gioco predittivo).
Per tutti quegli spettatori che sono più addentro ai meccanismi di produzione, all’incertezza
dovuta al caso si sostituisce - in termini di stimolo alla visione dello show - un notevole ele-
mento di frustrazione narrativa: l’incertezza dovuta all’ignoranza. Inoltre, questa peculiare at-
tività investigativa è giunta ad esplicitarsi nelle forme di una vera e propria intelligenza collet-
tiva, coinvolgendo una massiccia e organizzata comunità di utenti virtuali:

                  «Loro vogliono sapere tutto ciò che è possibile sapere. Questo è, in parte, ciò che

                  rende così coinvolgente l’esperienza di ‘spoiling’ di Survivor. La possibilità di capire

                  di più mettendo in comune con altri la propria conoscenza personale intensifica il

                  piacere che ogni spettatore prova nella sfida all’imprevedibile [...]».6

D’altra parte, è nelle parole del claim del programma - Expect the unexpected - che sono conte-
nuti i presupposti per una sfida diretta a molteplici e spesso conflittuali platee di visione.

1 D’ora in avanti, col titolo di Survivor indicherò il format originale del programma in onda dal 2001 negli Stati Uniti e sulle
reti CBS.
2   Barthes, Roland. Il piacere del testo. Torino: Einaudi (1975).
3   Phipps, Jennie. The Man behind Survivor: Burnett Is Hot in Hollywood, «Electronic Media» (19 Febbraio 2001).
4   Il payoff del logo del programma sintetizza efficacemente l’obiettivo narrativo complesso: «outwit, outplay, outlast».
5 A tal proposito Butler sottolinea come: «[...] some television nonfiction programs invite us to suspend our distrust of televi-
sion’s ‘devious’ ways. For their impact, these programs depend on our belief in the television producer’s nonintervention [...]»
in Butler, Jeremy. Television: critical methods and applications. Mahwah: Lawrence Erlbaum Associates (2007).
6   Jenkins, Henry. Cultura convergente. Milano: Apogeo (2007).

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