STORIA D'ITALIA IN 10 FILM + 1 - Massimo Franceschetti
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STORIA D’ITALIA IN 10 FILM + 1 Di Massimo Franceschetti, 2013 A Roland Mi hai chiesto, e mi sembrava tu fossi sinceramente interessato, di raccontarti la nostra storia. In tanti momenti, in questi anni, mi hai posto domande a proposito del nostro tribolato paese. Volevi capire le strane pieghe della sua storia, che a te sembra molto complicata. Non mi stupisce: né che tu sia interessato, né che ti appaia complicata: le due cose sono collegate. Ho deciso ora di farlo, ma a modo mio. Non date, non libri, non eventi, non armistizi, costituzioni, nuovi diritti e tutte quelle cose che fanno la storia. Ma undici film. Dieci film più uno, perché la storia d'Italia è così: irriducibile alle simmetrie. Sono stato indeciso da dove cominciare. E già questo dovrebbe dirti qualcosa. Da dove inizia la storia d'Italia? Non è così semplice rispondere. Su questa penisola si alternano vicende, ora forti, ora tristi, risolutive e di contorno, da millenni. È difficile decretare un inizio (e di film ne avevo a disposizione per tutte le epoche). Per convenzione e per semplificare ho deciso che la nostra storia inizierà con Il Gattopardo di Luchino Visconti1. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Tommasi Lampedusa. Un romanzo che prima di essere riconosciuto come uno dei capolavori della letteratura italiana subì ben cinquantatré rifiuti, per essere poi pubblicato da una giovanissima casa editrice, la Feltrinelli, nei primi anni '50. E questo peregrinare ci dice, anch'esso, nel sua sofferenza, qualcosa dell'Italia. Il Gattopardo è il racconto dell’arrivo dei garibaldini in Sicilia. Il conte Fabrizio di Salina guarda a questo fatto come ad un’invasione di una muta di dissennati, alle spalle dei quali si cela, non tanto nascosto, uno stato aggressivo ed emergente: il Piemonte. Il conte rivorrebbe il suo passato, quando le cose avevano un senso. Suo nipote, al contrario, si unisce ai garibaldini. Egli vede in loro non degli invasori al soldo del Piemonte, ma un esercito di liberazione dal giogo conservatore dei Borboni. I garibaldini rappresentano quella rivoluzione sociale e politica che non c'era ancora stata in Italia. 1 Il Gattopardo (Italia, Francia, Stati Uniti, 1963). Regia: Luchino Visconti. Sceneggiatura: Suso Cecchi d'Amico, Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli, Massimo Franciosa, Luchino Visconti. Attori principali: Burt Lancaster, Alain Delon, Claudia Cardinale, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Romolo Valli.
Storia d’Italia Nelle posizioni del conte e di suo nipote si confrontano due visioni, che sono anche due modi attraverso i quali si è letto per lungo tempo questo stranissimo fenomeno che è stata l'Unità d'Italia: in poco meno di due anni, un esercito male in arnese fece quello che non era riuscito a nessuno per millenni. Si capisce benissimo che Visconti, sia per provenienza che per temperamento, è dalla parte del conte, a cui fa dire una frase che è diventata un modo di dire fondamentale per capire e interpretare la storia d’Italia: i garibaldini sono lì perché tutto cambi affinché nulla cambi. L’Unità d'Italia si farà, ma i privilegi e i poteri saranno solo sostituiti e il “popolo” non ne trarrà vantaggi, se non alla lunga e soffrendo molto. L’Unità d’Italia non è stata fatta dal popolo, ma da un’élite che ha usato il popolo e, a volte, l’ha sottomesso all’Unità. Il passaggio di Garibaldi in Sicilia lascerà eredità pesanti e tristi come le stragi di Bronte, dove verrà represso nel sangue il moto dei contadini che volevano acquisire la terra dei padroni (linciando, già che c’erano, i padroni stessi). Garibaldi non porterà nuove libertà o nuova giustizia sociale, ma solo nuovi padroni e nuove ingiustizie. La mafia nasce proprio in questo periodo, come reazione a questa nuova feroce ingiustizia dei “giusti”. Il secondo film che sottopongo alla tua attenzione è Miseria e Nobiltà di Mario Mattioli2. Si tratta di una commedia molto divertente ambientata a Napoli nei primi del Novecento. La storia ruota attorno ad una famiglia di poverissimi chiamata, da un giovane aristocratico, a sostituire la propria famiglia. Da questo pretesto narrativo nascono una serie di situazioni ridicole, perché i poveri cercano in tutti i modi di apparire aristocratici creando situazioni grottesche. L’ignoranza e la fame creano le premesse per divertenti, quanto amare, gag. Il titolo del film racchiude due aspetti fondamentali della storia e del carattere italiano: la miseria e la nobiltà. Separate, contrapposte, complementari e onnipresenti. Il film testimonia come l’Italia sia stata sempre, fino alla Seconda guerra mondiale, in una perenne, profonda, miseria. Accanto alla nostra nobile cultura, alla nostra nobile tradizione, qui, la maggior parte della gente, ha sempre fatto la fame. La penuria di cibo e di mezzi sono parte essenziale della nostra mentalità. Insieme alle nostre invenzioni, scoperte ed espressioni artistiche hanno sempre convissuto povertà, mancanza e precarietà. Questo non dovrebbe essere dimenticato leggendo la storia d'Italia. Gli italiani fanno di tutto per dimenticarlo, ma tu tienilo a mente, perché così potrai comprendere meglio molte cose che accadono ancora oggi Andiamo avanti. Siamo alla Prima guerra mondiale. Il film è La grande guerra di Mario Monicelli3. Come si capisce dal nome stesso, la Prima guerra mondiale fu una guerra diversa da tutte le altre. Fu grande, appunto. Perché fu la prima veramente mondiale, perché fu la prima guerra in cui furono coinvolti anche i civili, perché fu una ferita senza rimedio nella coscienza europea. Fu una guerra selvaggia, assurda, 2Miseria e nobiltà (Italia, 1954). Regia Mario Mattoli. Sceneggiatura: Ruggero Maccari, Mario Mattoli. Attori principali: Totò, Enzo Turco, Sophia Loren, Carlo Croccolo, Valeria Moriconi. 3La Grande Guerra (Italia, 1959). Regia: Mario Monicelli. Sceneggiatura: Mario Monicelli, Age & Scarpelli, Luciano Vincenzoni. Attori principali: Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Silvana Mangano, Bernard Blier, Romolo Valli. !2
Storia d’Italia durissima, dove morirono milioni di persone e che, ancora oggi, segna profondamente l’animo europeo. Per l’Italia fu uno sprofondare ancora di più nella miseria e nel dolore. La grande guerra racconta la guerra vista da due sfaticati (significativamente: uno di Roma, l'altro di Milano), che l’affrontano cercando sempre il modo di evitarla: non la prendono mai seriamente, mai in profondità. Non la capiscono, non hanno nessun fervore interventista, nessuna urgenza ideologica. Vorrebbero solo stare in pace e non faticare molto. Poi, alla fine, quando sperano di aver finalmente evitato il fronte, sono presi dagli austriaci che li ricattano. Loro, spaventati, cedono subito. A questo punto gli austriaci scherzano tra loro, prendendoli in giro: li canzonano perché sono dei vigliacchi. Sono i soliti italiani. Punti sul vivo, i due protagonisti ci ripensano e non dicono più nulla e per questo si fanno fucilare. Poco dopo, e anche grazie ad un tale atto eroico, l’esercito italiano vince la battaglia che chiude la guerra con l’Austria. Ecco anche qui le due parti di una contraddizione: la nobiltà di un eroismo puro, anche se quasi involontario, una dignità profonda, anche se recuperata solo all’ultimo e questa difficoltà a coinvolgersi in qualcosa, a crederci veramente, per poi dare la vita per questo. Questa contraddizione è parte sostanziale del carattere italiano. Fascismo e Seconda guerra mondiale sono raccontati da tanti film. Ne cito uno per tutti: Novecento di Bernardo Bertolucci4. Novecento è un film storico, attraverso il quale il regista ha dipinto un affresco che va dalla morte di Verdi alla fine della Seconda guerra mondiale, tutto situato all'interno di una ristretta zona dell’Emilia Romagna. Qui, in modo chiaro e diretto, l’Italia viene rappresentata nel suo passaggio cruciale verso la modernità con tutti i limiti legati ad una classe contadina che scompare, una classe borghese debole e ancora incerta, un’aristocrazia miope, ed un ceto piccolo borghese ignorante e violento da cui prenderà avvio il fascismo. Il film mostra come il fascismo sia stato l'espressione di un'impotenza. Il drammatico sussulto di persone ignoranti e violente, che hanno gestito un malessere sociale a cui altri non hanno saputo rispondere adeguatamente. Il fascismo ha fatto comodo ad alcuni ed è stato un danno enorme per tutti. Il film rappresentativo del periodo che va dalla fine della Seconda Guerra Mondiale agli anni 60’ è Una vita difficile, di Dino Risi5 . Il film racconta di un idealista uscito dalla resistenza e del suo duro contatto con la nuova realtà dell'Italia. Una nazione che comincia a conoscere la ricchezza e tutti i problemi che questa porta con sé. Cinico e crudele, nella migliore tradizione della commedia all'italiana, il film mostra un aspirante artista e intellettuale che non riesce ad integrarsi nel mondo culturale né in quello economico. Tenta, a trentatré anni, prima la pubblicazione di un romanzo e poi la 4Novecento (USA, 1976). Regia: Bernardo Bertolucci. Sceneggiatura: Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Franco Arcalli. Attori principali: Robert De Niro, Gérard Depardieu, Dominique Sanda, Burt Lancaster, Stefania Sandrelli, Francesca Bertini. 5Una vita difficile (Italia, 1961). Regia: Dino Risi. Sceneggiatura: Rodolfo Sonego. Attori principali: Alberto Sordi, Lea Massari, Franco Fabrizi, Vittorio Gassman, Lina Volonghi. !3
Storia d’Italia carriera universitaria, entrambe senza successo. Disoccupato, con famiglia a carico da cui sarà abbandonato, si riduce a diventare un impiegato servile di un volgare e potente uomo d'affari. Il protagonista trova solo nello schiaffo finale l'occasione per un riscatto esistenziale e morale, che comunque lascia l'amaro in bocca. Ancora una volta miseria e nobiltà; ancora una volta un sussulto finale; ancora una volta l'incapacità di essere qualcosa fino in fondo. E, dietro al protagonista, un'Italia già disillusa, corrotta e scolorita dal denaro, dalla ricchezza facile che colpisce soprattutto chi è vissuto lungamente nella miseria, fino a diventarne espressione morale. Un film sulla delusione di chi aveva creduto, sconfiggendo il fascismo, di erigere una società migliore oltreché diversa e, invece, si ritrova con una società diversa, ma non per questo migliore. Per gli anni 60’, l’epoca del boom italiano e del nuovo capitalismo il film che ho scelto per te è La dolce vita di Federico Fellini 6. Personaggio centrale è il giornalista Marcello Rubini, testimone e complice di un mondo caotico e volgare, cinico, privo di valori e, soprattutto, minato da un’insopportabile “noia di vivere”. Il capitalismo italiano arricchisce tanta gente che con i soldi non sa come convivere, abituata com’è alla povertà. Il capitalismo si afferma, in quegli anni, senza un reale sostrato culturale che possa dare un senso alla ricchezza e scongiurarne le derive. Il film si apre con l’immagine di un Cristo di gesso trasportato in elicottero nel cielo di Roma e si chiude a Fregene, davanti al mare, dove i pescatori hanno portato a riva un pesce mostruoso e dove una ragazza, giovane e dagli occhi innocenti (simbolo di quella grazia che gli uomini persi nei loro piccoli e grandi fallimenti non sanno più vedere), tenta invano di parlare con il protagonista, che non la riconosce e non riesce a sentire le sue parole. In mezzo, tanti episodi a volte tragici e a volte grotteschi: i paparazzi di Via Veneto e le cittadine di provincia dove accadono “miracoli”, le orge notturne nelle ville dei nuovi ricchi e le serate intellettuali che si concludono in drammatici suicidi. L’intento è quello di mettere in scena la disperata impotenza di una civiltà che è cambiata ma non ha diretto, voluto, governato questo cambiamento: l’ha subìto. Di questo film considera soprattutto lo sguardo ironico e sarcastico, attraverso il quale si attraversa un carosello di fatti, azioni e movimenti che compongono un affresco articolato, colorito, a tratti disordinato ma sempre appassionante di ciò che l’Italia diventa in quel periodo. L'Italia è un paese di misteri, d'intrighi, di strane morti e il film a cui ho pensato per rendere conto di questo aspetto della nostra storia è Il caso Mattei di Francesco Rosi7. Si tratta di un ottimo esempio di film inchiesta, che non rinuncia ad essere cinema. Enrico Mattei era capo dell’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi), era attivo, dinamico, un vero capitalista che voleva far crescere l’Italia. Un imprenditore, che un giorno disse: 6La dolce vita (Italia, 1960). Regia: Federico Fellini. Sceneggiatura: Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, Brunello Rondi. Attori principali: Marcello Mastroianni, Anouk Aimée, Anita Ekberg. 7 Il caso Mattei (Italia, 1972). Regia: Francesco Rosi. Sceneggiatura: Tonino Guerra, Tito di Stefano, Nerio Minuzzo, Francesco Rosi. Attori principali: Gian Maria Volontè, Luigi Squarzina. !4
Storia d’Italia “Il petrolio fa cadere i governi, fa scoppiare le rivoluzioni, i colpi di stato, condiziona l’equilibrio nel mondo … se l’Italia ha perso l’autobus del petrolio è perché gli industriali italiani, questi grandi industriali, non se ne sono mai occupati … non volevano disturbare la digestione dei potenti… Il destino di milioni e milioni di uomini nel mondo, in questo momento dipende da 4 o 5 miliardari americani… La mia ambizione è battermi contro questo monopolio assurdo. E, se non ci riuscirò io, ci riusciranno quei popoli che il petrolio ce l’hanno sotto i piedi.” Detto negli anni Cinquanta, suona molto profetico e dà la misura sia della statura del personaggio sia del perché ad un certo punto uno strano incidente lo uccide. Mattei dava fastidio a molti, anche in Italia. Voleva far sviluppare l’Italia, in particolare il Sud, senza guardare in faccia a nessuno e seguendo le leggi del mercato. Quello vero, non quello italiano che assomigliava sempre di più ad una brutta copia del mercato sovietico. Infatti, si sa, l’Italia è stato un paese a regime capitalistico controllato. Ufficialmente, l’aereo di Mattei ebbe un incidente, ma è oramai accertato che la sua caduta fu un assassinio eseguito dalla mafia su commissione estera (USA e Francia), con tacito avallo del governo italiano. Apro una breve parentesi, ma è necessario. C’è un aspetto importante dello sviluppo economico italiano: la vendita di armi. L’Italia è un paese che vende armi e le esporta, legalmente e illegalmente. E su questo ha costruito una parte della propria ricchezza (senza parlare della criminalità organizzata, chiaramente, altra parte importante della ricchezza italiana). La FIAT, tanto per citare un'azienda che anche tu conosci, ha prodotto molte mine antiuomo. Ma questo non molti lo sanno in Italia. Il perché è semplice: l'Italia ha forse il peggior giornalismo d'Occidente. Il connubio tra politica e giornalismo è così profondo e compromesso in Italia da impedire al giornalismo di svolgere la sua funzione di controllo del potere e dei potenti. In Italia i potenti ed il potere controllano il giornalismo. E così l'informazione controllata e supina non si è mai soffermata sul tema delle armi, né ne ha mai fatto un vero caso, perché questo non sarebbe gradito ad alcuni. Ebbene, c’è un piccolo film che racconta, in modo divertente e intelligente, questo versante della nostra ricchezza ed è Finché c’è guerra c’è speranza di Alberto Sordi8. Il film racconta anche l’Italia degli anni ’70 ricca e opulenta, ma anche abbastanza vuota. E, nello stesso tempo, racconta come, ancora una volta in extremis, la morale riemerga nell’italiano medio a conferma di una tradizione positiva che, sotterranea, scorre nella sua cultura. Il film racconta la (doppia) vita di un trafficante di armi che percorre i paesi del Terzo Mondo. Il protagonista è il classico italiano medio coinvolto in affari che lo arricchiscono, a patto di lasciar a casa la coscienza. È simile a un rappresentante, una specie di venditore porta a porta. Alle spalle ha una famiglia felice che conduce una vita agiata e davanti a sé un Terzo Mondo fatto di conflitti postcoloniali. La famiglia del rappresentante prima crede che il pater familias sia un commerciante poi, quando scopre 8Finché c’è guerra c’è speranza (Italia, 1974). Regia: Alberto Sordi. Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero de Bernadi, Alberto Sordi. Attori principali: Alberto Sordi, Silvia Monti, Alessandro Cutolo. !5
Storia d’Italia la verità, si indigna, condanna, chiede che si ritiri. A quel punto, egli pone loro di fronte ad un'amara considerazione: Perché vedete... le guerre non le fanno solo i fabbricanti d'armi e i commessi viaggiatori che le vendono. Ma anche le persone come voi, le famiglie come la vostra che vogliono vogliono vogliono e non si accontentano mai! Le ville, le macchine, le moto, le feste, il cavallo, gli anellini, i braccialetti, le pellicce e tutti i cazzi che ve se fregano! ...Costano molto, e per procurarsele qualcuno bisogna depredare! Alla fine, lascia a loro la scelta. Se vogliono continuare a vivere nell'agio lo sveglino, altrimenti lo lascino dormire. La governante lo sveglierà cinque minuti prima del dovuto. Sordi fa un quadro dettagliato e preciso, lasciando la morale in sottofondo. L'opinione di condanna non è sbandierata ai quattro venti, né imposta allo spettatore. Nessuno esce pulito dalla vicenda, lo stesso spettatore viene spogliato del possibile buonismo e può riflettere su quelle che potrebbero essere le sue scelte e i suoi compromessi. A proposito di armi, l'Italia conosce una stagione molto violenta dalla metà degli anni 70 a quella degli anni '80. Un periodo brutale che non si è ancora definitivamente concluso. In quel periodo, la paura del terrorismo, delle aggressioni, della violenza porta la conseguente voglia di farsi giustizia da sé. Di questo periodo esistono diversi film importanti: ad esempio lo straordinario Un borghese piccolo piccolo9. Ma voglio segnalarti, invece, un film poco noto: si tratta de Il giocattolo di Giuliano Montaldo 10. Un film che affronta un tema caro al cinema americano, che qui viene rivisto in termini non solo negativi (non si risolve nulla a farsi giustizia da sé), ma anche molto più profondi. C’è una frase del film che mi ha sempre colpito: “Quando c’è una pistola in giro, da qualche parte c’è qualcuno che è morto”. È un film contro la violenza, ma anche sulla necessità di rimanere onesti. Nino Manfredi, che collabora anche alla sceneggiatura, calibra un personaggio realistico, composito, pieno di sfaccettature, non positivo, che non si redime e cade nel baratro della propria violenza, fermato solo dalla moglie in fin di vita. La violenza è una spirale “normale” nella quale possiamo cadere tutti e in cui siamo cresciuti. È l’espressione di un'impotenza, di un'impossibilità, di una sconfitta. Gli italiani sono ignoranti, disperati ma, dopo averla subìta e inferta per millenni, iniziano ad avere chiara la coscienza che la violenza non è la soluzione adeguata. E, adesso, permettimi un salto. Sì, un salto, perché l'Italia degli ultimi anni è in balia della propria evoluzione economica e tecnologica. È spaesata. L'ignoranza si paga, sai. La ricchezza crea problemi nuovi che bisogna saper gestire se non si vuole soccombere. E 9Un borghese piccolo piccolo (Italia, 1977). Regia di Mario Monicelli. Sceneggiatura: Sergio Amidei, Mario Monicelli. Attori principali: Alberto Sordi, Shelley Winters, Romolo Valli. 10Il giocattolo (Italia, 1979). Regia: Giuliano Montaldo. Sceneggiatura: Sergio Donati, Giuliano Montaldo, Nino Manfredi. Attori principali: Nino Manfredi, Vittorio Mezzogiorno. !6
Storia d’Italia molti soccombono. Così ora faccio un salto e passo ad un film, il decimo. Si tratta di Caro diario di Nanni Moretti11. È un piccolo gioiello. Un film che segnala il passaggio del cinema e della storia d’Italia ad una fase matura, profonda, dove i valori che abbiamo citato sono accompagnati verso una nuova presa di coscienza. Caro Diario, come già si può intuire dal titolo, mostra un Nanni Moretti personale, intento ad annotare pensieri, progetti e opinioni mentre gira per Roma, mentre va a trovare un amico e mentre si cura da una malattia. Il primo episodio si intitola In vespa ed ha come tema il girovagare di Nanni Moretti per Roma nella settimana più calda di agosto. Roma è deserta e Moretti può filmare ciò che vuole; la macchina da presa segue il regista che si muove in vespa, cogliendo scorci, palazzi, case. Il girovagare è senza meta, senza plot narrativo, senza storia, senza personaggi. Moretti sta filmando, apparentemente senza metodo e senza un ordine, la scrittura in fieri del suo “nuovo” cinema. La musica maghrebina accompagna le sue escursioni e rende tutto allegro, vitale, anche se non c’è anima viva. Sembra riflettere una coscienza gioiosa, felice di esserci. Durante questo girovagare, il regista cerca di entrare in contatto con la realtà che lo circonda, di costruire un rapporto di interazione; cerca di avere un dialogo con alcuni sconosciuti, si inserisce in un’orchestrina da ballo, va al cinema da solo, incontra il suo mito Jennifer Beals, visita luoghi, come Spinaceto, dove non è mai stato. Fa un film con le cose che ha intorno, con le cose con cui vive tutti i giorni, con i desideri, i sogni e i pensieri più quotidiani. Possiamo dire che cerca un nuovo tipo d'impegno, ben diverso da quello che impregnava Palombella rossa, un altro suo film. In Palombella rossa Moretti ricercava la memoria storica, il senso di appartenenza ad una tradizione, ad una comunità: quella del Partito Comunista. Qui, la cifra dominante è la ricerca di una chiave personale, privata, semplice, vicina. Senza dimenticare l'impegno civile di Pasolini, la persona che più di tutti ha unito il personale e il politico. Sulle note del Köhln Concert di Keith Jarrett, infatti, la macchina da presa segue per quasi sette minuti la vespa di Moretti in un piano sequenza che diventa puro movimento dello sguardo: una pura “immagine-movimento” che vaga alla ricerca di un punto fermo, di una radice, di un’ancora, che sarà appunto il monumento a Pasolini all'idroscalo di Ostia. Si capisce allora che il girovagare aveva una meta. Da Spinaceto all’idroscalo di Ostia, il percorso della vespa racconta una generazione, un pezzo di storia del paese. E di impegno personale diretto parla anche il secondo episodio Isole, dove si comprende come la solitudine, il rifiuto di vivere la futilità, la superficialità dei media dominanti nella società, siano una scelta impossibile e sbagliata. Lo dimostra il personaggio di Gerardo, da anni impegnato a (non) studiare Joyce, ritirato nelle isole Eolie. Questo tipo di autarchia, che nasce da un sentimento elitario, è un’utopia lontana e nemmeno più tanto agognata. L’episodio sembra dirci: c’è bisogno degli altri, c’è bisogno di conoscere le cose più futili, il mondo in cui si vive, il confronto con tutti. 11Caro diario (Italia, 1993). Regia: Nanni Moretti. Sceneggiatura: Nanni Moretti. Attori principali: Nanni Moretti, Luisa Rossi, Glauco Mauri. !7
Storia d’Italia Il terzo episodio, Medici, racconta la vera malattia che ha colpito Nanni Moretti. I medici non riescono a capire, a comprendere, a diagnosticare i sintomi che Nanni Moretti descrive loro minuziosamente. La malattia è un momento di estrema verità, che permette a Moretti di raccontare un se stesso in modo fisico e astratto, personale ed universale. C’è solitudine in questo film, ma è una solitudine aperta, di chi rifiuta certi schemi più semplici e cerca faticosamente di recuperare una vita semplice, personale e collettiva. Da notare la grazia dei medici cinesi che, di fatto, fanno l’unica cosa saggia: consigliano a Moretti di smettere di curarsi con la medicina cinese e molto semplicemente di fare delle lastre al torace. Caro Diario è, come ti ho detto, un piccolo gioiello. C'è, in esso, una semplicità nuova che coniuga l’aspetto civile con quello personale. È il segno di un passaggio, di una maturazione di una persona, che da anni esprime una parte importante del nostro paese. Ma non mi fermo qui e vado avanti, aggiungo un ultimo piccolo tassello a questa storia. Il film è Se fossi in te di Giulio Manfredonia12. Siamo ai nostri giorni e il film rappresenta l’esempio di come certi temi siano oramai al centro della riflessione sociale italiana. Il film racconta di tre persone scontente di loro stesse, che vogliono ognuno fare la vita dell’altro. Vengono accontentati. Ognuno è ciò che voleva essere. Lentamente, però, ognuno ridiventa ciò che era, ritrovando nella nuova vita ciò che aveva lasciato nella precedente. Morale: dipende da noi. Siamo noi i responsabili della nostra vita e le circostanze sono determinate da noi e non è vero il contrario. Dopo la crescita economica, dopo le disillusioni ideologiche, dopo il superamento del capitalismo, dopo la diffusione della cultura televisiva, molti stanno prendendo coscienza che c’è altro, che ci sono altre cose che occorre capire e che una certa mentalità va superata. Il concetto che mi pare di cogliere in questo film di Manfredonia è profondo, rivoluzionario per certi versi. Poco conformista e molto difficile da accettare: la nostra responsabilità. Con un invito: tornare a se stessi con una visione nuova, etica e politica. "Se stessi" non è privato, ma una delle forme dell’impegno sociale. Ancora una volta, questi temi vengono trattati senza violenza, senza drammi, senza pesantezza, ma con una leggerezza ed una (auto)ironia che trovo solo nel cinema italiano e nella cultura italiana. Ecco, carissimo, la mia piccola e parzialissima storia d'Italia vista attraverso il cinema italiano. Ho volutamente omesso tante cose, altre le ho dimenticate. Non poteva essere altrimenti. Ti invito a non fermarti qui, ma a continuare a fare domande e conoscere la nostra storia. Perché, vedi, l'Italia è uno stato d'animo, una fase della vita in cui le cose si confondono e perdono la loro nitidezza. Flaiano diceva "...in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni". Quella italiana non è una nazionalità e forse è una difficile professione ma, sicuramente, è una metafora della vita con la quale, prima o poi, tutti dobbiamo fare i conti. 12Se fossi in te (Italia, 2001). Regia: Giulio Manfredonia. Sceneggiatura: Valentina Capecci. Attori principali: Emilio Solfrizzi, Fabio De Luigi, Gioele Dix, Paola Cortellesi. !8
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