STORIA D'ITALIA IN 10 FILM + 1 - Massimo Franceschetti

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STORIA D’ITALIA IN 10 FILM + 1

         Di Massimo Franceschetti, 2013

                                                                                                     A Roland

         Mi hai chiesto, e mi sembrava tu fossi sinceramente interessato, di raccontarti la
      nostra storia. In tanti momenti, in questi anni, mi hai posto domande a proposito del
      nostro tribolato paese. Volevi capire le strane pieghe della sua storia, che a te sembra
      molto complicata. Non mi stupisce: né che tu sia interessato, né che ti appaia complicata:
      le due cose sono collegate.
         Ho deciso ora di farlo, ma a modo mio. Non date, non libri, non eventi, non armistizi,
      costituzioni, nuovi diritti e tutte quelle cose che fanno la storia. Ma undici film. Dieci
      film più uno, perché la storia d'Italia è così: irriducibile alle simmetrie.

         Sono stato indeciso da dove cominciare. E già questo dovrebbe dirti qualcosa. Da
      dove inizia la storia d'Italia? Non è così semplice rispondere. Su questa penisola si
      alternano vicende, ora forti, ora tristi, risolutive e di contorno, da millenni. È difficile
      decretare un inizio (e di film ne avevo a disposizione per tutte le epoche).

         Per convenzione e per semplificare ho deciso che la nostra storia inizierà con Il
      Gattopardo di Luchino Visconti1. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Tommasi
      Lampedusa. Un romanzo che prima di essere riconosciuto come uno dei capolavori della
      letteratura italiana subì ben cinquantatré rifiuti, per essere poi pubblicato da una
      giovanissima casa editrice, la Feltrinelli, nei primi anni '50. E questo peregrinare ci dice,
      anch'esso, nel sua sofferenza, qualcosa dell'Italia.
         Il Gattopardo è il racconto dell’arrivo dei garibaldini in Sicilia. Il conte Fabrizio di
      Salina guarda a questo fatto come ad un’invasione di una muta di dissennati, alle spalle
      dei quali si cela, non tanto nascosto, uno stato aggressivo ed emergente: il Piemonte. Il
      conte rivorrebbe il suo passato, quando le cose avevano un senso. Suo nipote, al
      contrario, si unisce ai garibaldini. Egli vede in loro non degli invasori al soldo del
      Piemonte, ma un esercito di liberazione dal giogo conservatore dei Borboni. I garibaldini
      rappresentano quella rivoluzione sociale e politica che non c'era ancora stata in Italia.

1 Il Gattopardo (Italia, Francia, Stati Uniti, 1963). Regia: Luchino Visconti. Sceneggiatura: Suso Cecchi d'Amico,
Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli, Massimo Franciosa, Luchino Visconti. Attori principali: Burt Lancaster,
Alain Delon, Claudia Cardinale, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Romolo Valli.
Storia d’Italia

       Nelle posizioni del conte e di suo nipote si confrontano due visioni, che sono anche due
       modi attraverso i quali si è letto per lungo tempo questo stranissimo fenomeno che è
       stata l'Unità d'Italia: in poco meno di due anni, un esercito male in arnese fece quello
       che non era riuscito a nessuno per millenni.
           Si capisce benissimo che Visconti, sia per provenienza che per temperamento, è dalla
       parte del conte, a cui fa dire una frase che è diventata un modo di dire fondamentale per
       capire e interpretare la storia d’Italia: i garibaldini sono lì perché tutto cambi affinché nulla
       cambi. L’Unità d'Italia si farà, ma i privilegi e i poteri saranno solo sostituiti e il “popolo”
       non ne trarrà vantaggi, se non alla lunga e soffrendo molto. L’Unità d’Italia non è stata
       fatta dal popolo, ma da un’élite che ha usato il popolo e, a volte, l’ha sottomesso all’Unità.
       Il passaggio di Garibaldi in Sicilia lascerà eredità pesanti e tristi come le stragi di Bronte,
       dove verrà represso nel sangue il moto dei contadini che volevano acquisire la terra dei
       padroni (linciando, già che c’erano, i padroni stessi). Garibaldi non porterà nuove libertà
       o nuova giustizia sociale, ma solo nuovi padroni e nuove ingiustizie. La mafia nasce
       proprio in questo periodo, come reazione a questa nuova feroce ingiustizia dei “giusti”.

           Il secondo film che sottopongo alla tua attenzione è Miseria e Nobiltà di Mario
       Mattioli2. Si tratta di una commedia molto divertente ambientata a Napoli nei primi del
       Novecento. La storia ruota attorno ad una famiglia di poverissimi chiamata, da un
       giovane aristocratico, a sostituire la propria famiglia. Da questo pretesto narrativo
       nascono una serie di situazioni ridicole, perché i poveri cercano in tutti i modi di
       apparire aristocratici creando situazioni grottesche. L’ignoranza e la fame creano le
       premesse per divertenti, quanto amare, gag. Il titolo del film racchiude due aspetti
       fondamentali della storia e del carattere italiano: la miseria e la nobiltà. Separate,
       contrapposte, complementari e onnipresenti.
           Il film testimonia come l’Italia sia stata sempre, fino alla Seconda guerra mondiale, in
       una perenne, profonda, miseria. Accanto alla nostra nobile cultura, alla nostra nobile
       tradizione, qui, la maggior parte della gente, ha sempre fatto la fame. La penuria di cibo e
       di mezzi sono parte essenziale della nostra mentalità. Insieme alle nostre invenzioni,
       scoperte ed espressioni artistiche hanno sempre convissuto povertà, mancanza e
       precarietà. Questo non dovrebbe essere dimenticato leggendo la storia d'Italia. Gli
       italiani fanno di tutto per dimenticarlo, ma tu tienilo a mente, perché così potrai
       comprendere meglio molte cose che accadono ancora oggi
           Andiamo avanti. Siamo alla Prima guerra mondiale. Il film è La grande guerra di
       Mario Monicelli3. Come si capisce dal nome stesso, la Prima guerra mondiale fu una
       guerra diversa da tutte le altre. Fu grande, appunto. Perché fu la prima veramente
       mondiale, perché fu la prima guerra in cui furono coinvolti anche i civili, perché fu una
       ferita senza rimedio nella coscienza europea. Fu una guerra selvaggia, assurda,

2Miseria e nobiltà (Italia, 1954). Regia Mario Mattoli. Sceneggiatura: Ruggero Maccari, Mario Mattoli. Attori principali:
Totò, Enzo Turco, Sophia Loren, Carlo Croccolo, Valeria Moriconi.

3La Grande Guerra (Italia, 1959). Regia: Mario Monicelli. Sceneggiatura: Mario Monicelli, Age & Scarpelli, Luciano
Vincenzoni. Attori principali: Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Silvana Mangano, Bernard Blier, Romolo Valli.

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       durissima, dove morirono milioni di persone e che, ancora oggi, segna profondamente
       l’animo europeo. Per l’Italia fu uno sprofondare ancora di più nella miseria e nel dolore.
       La grande guerra racconta la guerra vista da due sfaticati (significativamente: uno di
       Roma, l'altro di Milano), che l’affrontano cercando sempre il modo di evitarla: non la
       prendono mai seriamente, mai in profondità. Non la capiscono, non hanno nessun
       fervore interventista, nessuna urgenza ideologica. Vorrebbero solo stare in pace e non
       faticare molto. Poi, alla fine, quando sperano di aver finalmente evitato il fronte, sono
       presi dagli austriaci che li ricattano. Loro, spaventati, cedono subito. A questo punto gli
       austriaci scherzano tra loro, prendendoli in giro: li canzonano perché sono dei vigliacchi.
       Sono i soliti italiani. Punti sul vivo, i due protagonisti ci ripensano e non dicono più
       nulla e per questo si fanno fucilare. Poco dopo, e anche grazie ad un tale atto eroico,
       l’esercito italiano vince la battaglia che chiude la guerra con l’Austria.
          Ecco anche qui le due parti di una contraddizione: la nobiltà di un eroismo puro,
       anche se quasi involontario, una dignità profonda, anche se recuperata solo all’ultimo e
       questa difficoltà a coinvolgersi in qualcosa, a crederci veramente, per poi dare la vita per
       questo. Questa contraddizione è parte sostanziale del carattere italiano.

          Fascismo e Seconda guerra mondiale sono raccontati da tanti film. Ne cito uno per
       tutti: Novecento di Bernardo Bertolucci4. Novecento è un film storico, attraverso il quale il
       regista ha dipinto un affresco che va dalla morte di Verdi alla fine della Seconda guerra
       mondiale, tutto situato all'interno di una ristretta zona dell’Emilia Romagna. Qui, in
       modo chiaro e diretto, l’Italia viene rappresentata nel suo passaggio cruciale verso la
       modernità con tutti i limiti legati ad una classe contadina che scompare, una classe
       borghese debole e ancora incerta, un’aristocrazia miope, ed un ceto piccolo borghese
       ignorante e violento da cui prenderà avvio il fascismo. Il film mostra come il fascismo sia
       stato l'espressione di un'impotenza. Il drammatico sussulto di persone ignoranti e
       violente, che hanno gestito un malessere sociale a cui altri non hanno saputo rispondere
       adeguatamente. Il fascismo ha fatto comodo ad alcuni ed è stato un danno enorme per
       tutti.

          Il film rappresentativo del periodo che va dalla fine della Seconda Guerra Mondiale
       agli anni 60’ è Una vita difficile, di Dino Risi5 . Il film racconta di un idealista uscito dalla
       resistenza e del suo duro contatto con la nuova realtà dell'Italia. Una nazione che
       comincia a conoscere la ricchezza e tutti i problemi che questa porta con sé. Cinico e
       crudele, nella migliore tradizione della commedia all'italiana, il film mostra un aspirante
       artista e intellettuale che non riesce ad integrarsi nel mondo culturale né in quello
       economico. Tenta, a trentatré anni, prima la pubblicazione di un romanzo e poi la

4Novecento (USA, 1976). Regia: Bernardo Bertolucci. Sceneggiatura: Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Franco Arcalli.
Attori principali: Robert De Niro, Gérard Depardieu, Dominique Sanda, Burt Lancaster, Stefania Sandrelli, Francesca
Bertini.

5Una vita difficile (Italia, 1961). Regia: Dino Risi. Sceneggiatura: Rodolfo Sonego. Attori principali: Alberto Sordi, Lea
Massari, Franco Fabrizi, Vittorio Gassman, Lina Volonghi.

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      carriera universitaria, entrambe senza successo. Disoccupato, con famiglia a carico da cui
      sarà abbandonato, si riduce a diventare un impiegato servile di un volgare e potente
      uomo d'affari. Il protagonista trova solo nello schiaffo finale l'occasione per un riscatto
      esistenziale e morale, che comunque lascia l'amaro in bocca.
         Ancora una volta miseria e nobiltà; ancora una volta un sussulto finale; ancora una
      volta l'incapacità di essere qualcosa fino in fondo. E, dietro al protagonista, un'Italia già
      disillusa, corrotta e scolorita dal denaro, dalla ricchezza facile che colpisce soprattutto
      chi è vissuto lungamente nella miseria, fino a diventarne espressione morale. Un film
      sulla delusione di chi aveva creduto, sconfiggendo il fascismo, di erigere una società
      migliore oltreché diversa e, invece, si ritrova con una società diversa, ma non per questo
      migliore.

         Per gli anni 60’, l’epoca del boom italiano e del nuovo capitalismo il film che ho scelto
      per te è La dolce vita di Federico Fellini 6. Personaggio centrale è il giornalista Marcello
      Rubini, testimone e complice di un mondo caotico e volgare, cinico, privo di valori e,
      soprattutto, minato da un’insopportabile “noia di vivere”. Il capitalismo italiano
      arricchisce tanta gente che con i soldi non sa come convivere, abituata com’è alla
      povertà. Il capitalismo si afferma, in quegli anni, senza un reale sostrato culturale che
      possa dare un senso alla ricchezza e scongiurarne le derive. Il film si apre con
      l’immagine di un Cristo di gesso trasportato in elicottero nel cielo di Roma e si chiude a
      Fregene, davanti al mare, dove i pescatori hanno portato a riva un pesce mostruoso e
      dove una ragazza, giovane e dagli occhi innocenti (simbolo di quella grazia che gli
      uomini persi nei loro piccoli e grandi fallimenti non sanno più vedere), tenta invano di
      parlare con il protagonista, che non la riconosce e non riesce a sentire le sue parole. In
      mezzo, tanti episodi a volte tragici e a volte grotteschi: i paparazzi di Via Veneto e le
      cittadine di provincia dove accadono “miracoli”, le orge notturne nelle ville dei nuovi
      ricchi e le serate intellettuali che si concludono in drammatici suicidi. L’intento è quello
      di mettere in scena la disperata impotenza di una civiltà che è cambiata ma non ha
      diretto, voluto, governato questo cambiamento: l’ha subìto. Di questo film considera
      soprattutto lo sguardo ironico e sarcastico, attraverso il quale si attraversa un carosello di
      fatti, azioni e movimenti che compongono un affresco articolato, colorito, a tratti
      disordinato ma sempre appassionante di ciò che l’Italia diventa in quel periodo.

         L'Italia è un paese di misteri, d'intrighi, di strane morti e il film a cui ho pensato per
      rendere conto di questo aspetto della nostra storia è Il caso Mattei di Francesco Rosi7. Si
      tratta di un ottimo esempio di film inchiesta, che non rinuncia ad essere cinema. Enrico
      Mattei era capo dell’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi), era attivo, dinamico, un vero
      capitalista che voleva far crescere l’Italia. Un imprenditore, che un giorno disse:

6La dolce vita (Italia, 1960). Regia: Federico Fellini. Sceneggiatura: Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli,
Brunello Rondi. Attori principali: Marcello Mastroianni, Anouk Aimée, Anita Ekberg.

7 Il caso Mattei (Italia, 1972). Regia: Francesco Rosi. Sceneggiatura: Tonino Guerra, Tito di Stefano, Nerio Minuzzo,
Francesco Rosi. Attori principali: Gian Maria Volontè, Luigi Squarzina.

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         “Il petrolio fa cadere i governi, fa scoppiare le rivoluzioni, i colpi di stato, condiziona l’equilibrio nel
      mondo … se l’Italia ha perso l’autobus del petrolio è perché gli industriali italiani, questi grandi
      industriali, non se ne sono mai occupati … non volevano disturbare la digestione dei potenti… Il destino di
      milioni e milioni di uomini nel mondo, in questo momento dipende da 4 o 5 miliardari americani… La mia
      ambizione è battermi contro questo monopolio assurdo. E, se non ci riuscirò io, ci riusciranno quei popoli
      che il petrolio ce l’hanno sotto i piedi.”

          Detto negli anni Cinquanta, suona molto profetico e dà la misura sia della statura del
      personaggio sia del perché ad un certo punto uno strano incidente lo uccide. Mattei dava
      fastidio a molti, anche in Italia. Voleva far sviluppare l’Italia, in particolare il Sud, senza
      guardare in faccia a nessuno e seguendo le leggi del mercato. Quello vero, non quello
      italiano che assomigliava sempre di più ad una brutta copia del mercato sovietico. Infatti,
      si sa, l’Italia è stato un paese a regime capitalistico controllato. Ufficialmente, l’aereo di
      Mattei ebbe un incidente, ma è oramai accertato che la sua caduta fu un assassinio
      eseguito dalla mafia su commissione estera (USA e Francia), con tacito avallo del governo
      italiano.

         Apro una breve parentesi, ma è necessario. C’è un aspetto importante dello sviluppo
      economico italiano: la vendita di armi. L’Italia è un paese che vende armi e le esporta,
      legalmente e illegalmente. E su questo ha costruito una parte della propria ricchezza
      (senza parlare della criminalità organizzata, chiaramente, altra parte importante della
      ricchezza italiana). La FIAT, tanto per citare un'azienda che anche tu conosci, ha
      prodotto molte mine antiuomo. Ma questo non molti lo sanno in Italia. Il perché è
      semplice: l'Italia ha forse il peggior giornalismo d'Occidente. Il connubio tra politica e
      giornalismo è così profondo e compromesso in Italia da impedire al giornalismo di
      svolgere la sua funzione di controllo del potere e dei potenti. In Italia i potenti ed il
      potere controllano il giornalismo. E così l'informazione controllata e supina non si è mai
      soffermata sul tema delle armi, né ne ha mai fatto un vero caso, perché questo non
      sarebbe gradito ad alcuni.
         Ebbene, c’è un piccolo film che racconta, in modo divertente e intelligente, questo
      versante della nostra ricchezza ed è Finché c’è guerra c’è speranza di Alberto Sordi8. Il film
      racconta anche l’Italia degli anni ’70 ricca e opulenta, ma anche abbastanza vuota. E,
      nello stesso tempo, racconta come, ancora una volta in extremis, la morale riemerga
      nell’italiano medio a conferma di una tradizione positiva che, sotterranea, scorre nella
      sua cultura. Il film racconta la (doppia) vita di un trafficante di armi che percorre i paesi
      del Terzo Mondo. Il protagonista è il classico italiano medio coinvolto in affari che lo
      arricchiscono, a patto di lasciar a casa la coscienza. È simile a un rappresentante, una
      specie di venditore porta a porta. Alle spalle ha una famiglia felice che conduce una vita
      agiata e davanti a sé un Terzo Mondo fatto di conflitti postcoloniali. La famiglia del
      rappresentante prima crede che il pater familias sia un commerciante poi, quando scopre

8Finché c’è guerra c’è speranza (Italia, 1974). Regia: Alberto Sordi. Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero de Bernadi,
Alberto Sordi. Attori principali: Alberto Sordi, Silvia Monti, Alessandro Cutolo.

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Storia d’Italia

       la verità, si indigna, condanna, chiede che si ritiri. A quel punto, egli pone loro di fronte
       ad un'amara considerazione:

          Perché vedete... le guerre non le fanno solo i fabbricanti d'armi e i commessi viaggiatori che le
       vendono. Ma anche le persone come voi, le famiglie come la vostra che vogliono vogliono vogliono
       e non si accontentano mai! Le ville, le macchine, le moto, le feste, il cavallo, gli anellini, i
       braccialetti, le pellicce e tutti i cazzi che ve se fregano! ...Costano molto, e per procurarsele
       qualcuno bisogna depredare!

          Alla fine, lascia a loro la scelta. Se vogliono continuare a vivere nell'agio lo sveglino,
       altrimenti lo lascino dormire. La governante lo sveglierà cinque minuti prima del dovuto.
          Sordi fa un quadro dettagliato e preciso, lasciando la morale in sottofondo.
       L'opinione di condanna non è sbandierata ai quattro venti, né imposta allo spettatore.
       Nessuno esce pulito dalla vicenda, lo stesso spettatore viene spogliato del possibile
       buonismo e può riflettere su quelle che potrebbero essere le sue scelte e i suoi
       compromessi.

           A proposito di armi, l'Italia conosce una stagione molto violenta dalla metà degli anni
       70 a quella degli anni '80. Un periodo brutale che non si è ancora definitivamente
       concluso. In quel periodo, la paura del terrorismo, delle aggressioni, della violenza porta
       la conseguente voglia di farsi giustizia da sé. Di questo periodo esistono diversi film
       importanti: ad esempio lo straordinario Un borghese piccolo piccolo9. Ma voglio segnalarti,
       invece, un film poco noto: si tratta de Il giocattolo di Giuliano Montaldo 10. Un film che
       affronta un tema caro al cinema americano, che qui viene rivisto in termini non solo
       negativi (non si risolve nulla a farsi giustizia da sé), ma anche molto più profondi. C’è
       una frase del film che mi ha sempre colpito: “Quando c’è una pistola in giro, da qualche
       parte c’è qualcuno che è morto”. È un film contro la violenza, ma anche sulla necessità
       di rimanere onesti. Nino Manfredi, che collabora anche alla sceneggiatura, calibra un
       personaggio realistico, composito, pieno di sfaccettature, non positivo, che non si redime
       e cade nel baratro della propria violenza, fermato solo dalla moglie in fin di vita. La
       violenza è una spirale “normale” nella quale possiamo cadere tutti e in cui siamo
       cresciuti. È l’espressione di un'impotenza, di un'impossibilità, di una sconfitta. Gli
       italiani sono ignoranti, disperati ma, dopo averla subìta e inferta per millenni, iniziano ad
       avere chiara la coscienza che la violenza non è la soluzione adeguata.

          E, adesso, permettimi un salto. Sì, un salto, perché l'Italia degli ultimi anni è in balia
       della propria evoluzione economica e tecnologica. È spaesata. L'ignoranza si paga, sai. La
       ricchezza crea problemi nuovi che bisogna saper gestire se non si vuole soccombere. E

9Un borghese piccolo piccolo (Italia, 1977). Regia di Mario Monicelli. Sceneggiatura: Sergio Amidei, Mario Monicelli.
Attori principali: Alberto Sordi, Shelley Winters, Romolo Valli.

10Il giocattolo (Italia, 1979). Regia: Giuliano Montaldo. Sceneggiatura: Sergio Donati, Giuliano Montaldo, Nino Manfredi.
Attori principali: Nino Manfredi, Vittorio Mezzogiorno.

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Storia d’Italia

       molti soccombono. Così ora faccio un salto e passo ad un film, il decimo. Si tratta di Caro
       diario di Nanni Moretti11. È un piccolo gioiello. Un film che segnala il passaggio del
       cinema e della storia d’Italia ad una fase matura, profonda, dove i valori che abbiamo
       citato sono accompagnati verso una nuova presa di coscienza.
          Caro Diario, come già si può intuire dal titolo, mostra un Nanni Moretti personale,
       intento ad annotare pensieri, progetti e opinioni mentre gira per Roma, mentre va a
       trovare un amico e mentre si cura da una malattia. Il primo episodio si intitola In vespa
       ed ha come tema il girovagare di Nanni Moretti per Roma nella settimana più calda di
       agosto. Roma è deserta e Moretti può filmare ciò che vuole; la macchina da presa segue il
       regista che si muove in vespa, cogliendo scorci, palazzi, case. Il girovagare è senza meta,
       senza plot narrativo, senza storia, senza personaggi. Moretti sta filmando,
       apparentemente senza metodo e senza un ordine, la scrittura in fieri del suo “nuovo”
       cinema. La musica maghrebina accompagna le sue escursioni e rende tutto allegro,
       vitale, anche se non c’è anima viva. Sembra riflettere una coscienza gioiosa, felice di
       esserci.
          Durante questo girovagare, il regista cerca di entrare in contatto con la realtà che lo
       circonda, di costruire un rapporto di interazione; cerca di avere un dialogo con alcuni
       sconosciuti, si inserisce in un’orchestrina da ballo, va al cinema da solo, incontra il suo
       mito Jennifer Beals, visita luoghi, come Spinaceto, dove non è mai stato. Fa un film con
       le cose che ha intorno, con le cose con cui vive tutti i giorni, con i desideri, i sogni e i
       pensieri più quotidiani. Possiamo dire che cerca un nuovo tipo d'impegno, ben diverso
       da quello che impregnava Palombella rossa, un altro suo film. In Palombella rossa Moretti
       ricercava la memoria storica, il senso di appartenenza ad una tradizione, ad una
       comunità: quella del Partito Comunista. Qui, la cifra dominante è la ricerca di una chiave
       personale, privata, semplice, vicina. Senza dimenticare l'impegno civile di Pasolini, la
       persona che più di tutti ha unito il personale e il politico. Sulle note del Köhln Concert di
       Keith Jarrett, infatti, la macchina da presa segue per quasi sette minuti la vespa di
       Moretti in un piano sequenza che diventa puro movimento dello sguardo: una pura
       “immagine-movimento” che vaga alla ricerca di un punto fermo, di una radice, di
       un’ancora, che sarà appunto il monumento a Pasolini all'idroscalo di Ostia. Si capisce
       allora che il girovagare aveva una meta. Da Spinaceto all’idroscalo di Ostia, il percorso
       della vespa racconta una generazione, un pezzo di storia del paese.
          E di impegno personale diretto parla anche il secondo episodio Isole, dove si
       comprende come la solitudine, il rifiuto di vivere la futilità, la superficialità dei media
       dominanti nella società, siano una scelta impossibile e sbagliata. Lo dimostra il
       personaggio di Gerardo, da anni impegnato a (non) studiare Joyce, ritirato nelle isole
       Eolie. Questo tipo di autarchia, che nasce da un sentimento elitario, è un’utopia lontana
       e nemmeno più tanto agognata. L’episodio sembra dirci: c’è bisogno degli altri, c’è
       bisogno di conoscere le cose più futili, il mondo in cui si vive, il confronto con tutti.

11Caro diario (Italia, 1993). Regia: Nanni Moretti. Sceneggiatura: Nanni Moretti. Attori principali: Nanni Moretti, Luisa
Rossi, Glauco Mauri.

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Storia d’Italia

          Il terzo episodio, Medici, racconta la vera malattia che ha colpito Nanni Moretti. I
      medici non riescono a capire, a comprendere, a diagnosticare i sintomi che Nanni
      Moretti descrive loro minuziosamente. La malattia è un momento di estrema verità, che
      permette a Moretti di raccontare un se stesso in modo fisico e astratto, personale ed
      universale. C’è solitudine in questo film, ma è una solitudine aperta, di chi rifiuta certi
      schemi più semplici e cerca faticosamente di recuperare una vita semplice, personale e
      collettiva. Da notare la grazia dei medici cinesi che, di fatto, fanno l’unica cosa saggia:
      consigliano a Moretti di smettere di curarsi con la medicina cinese e molto
      semplicemente di fare delle lastre al torace.
          Caro Diario è, come ti ho detto, un piccolo gioiello. C'è, in esso, una semplicità nuova
      che coniuga l’aspetto civile con quello personale. È il segno di un passaggio, di una
      maturazione di una persona, che da anni esprime una parte importante del nostro paese.
          Ma non mi fermo qui e vado avanti, aggiungo un ultimo piccolo tassello a questa
      storia. Il film è Se fossi in te di Giulio Manfredonia12. Siamo ai nostri giorni e il film
      rappresenta l’esempio di come certi temi siano oramai al centro della riflessione sociale
      italiana. Il film racconta di tre persone scontente di loro stesse, che vogliono ognuno fare
      la vita dell’altro. Vengono accontentati. Ognuno è ciò che voleva essere. Lentamente,
      però, ognuno ridiventa ciò che era, ritrovando nella nuova vita ciò che aveva lasciato
      nella precedente. Morale: dipende da noi. Siamo noi i responsabili della nostra vita e le
      circostanze sono determinate da noi e non è vero il contrario. Dopo la crescita
      economica, dopo le disillusioni ideologiche, dopo il superamento del capitalismo, dopo
      la diffusione della cultura televisiva, molti stanno prendendo coscienza che c’è altro, che
      ci sono altre cose che occorre capire e che una certa mentalità va superata. Il concetto
      che mi pare di cogliere in questo film di Manfredonia è profondo, rivoluzionario per
      certi versi. Poco conformista e molto difficile da accettare: la nostra responsabilità. Con
      un invito: tornare a se stessi con una visione nuova, etica e politica. "Se stessi" non è
      privato, ma una delle forme dell’impegno sociale. Ancora una volta, questi temi vengono
      trattati senza violenza, senza drammi, senza pesantezza, ma con una leggerezza ed una
      (auto)ironia che trovo solo nel cinema italiano e nella cultura italiana.

          Ecco, carissimo, la mia piccola e parzialissima storia d'Italia vista attraverso il cinema
      italiano. Ho volutamente omesso tante cose, altre le ho dimenticate. Non poteva essere
      altrimenti. Ti invito a non fermarti qui, ma a continuare a fare domande e conoscere la
      nostra storia. Perché, vedi, l'Italia è uno stato d'animo, una fase della vita in cui le cose si
      confondono e perdono la loro nitidezza. Flaiano diceva "...in questo paese che amo non
      esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una
      loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni". Quella italiana non è una nazionalità e
      forse è una difficile professione ma, sicuramente, è una metafora della vita con la quale,
      prima o poi, tutti dobbiamo fare i conti.

12Se fossi in te (Italia, 2001). Regia: Giulio Manfredonia. Sceneggiatura: Valentina Capecci. Attori principali: Emilio
Solfrizzi, Fabio De Luigi, Gioele Dix, Paola Cortellesi.

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