Si voterà il 29 marzo per il referendum sul taglio dei parlamentari
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Si voterà il 29 marzo per il referendum sul taglio dei parlamentari ROMA – “Il Consiglio dei ministri, su proposta del presidente Giuseppe Conte, ha convenuto sulla data del 29 marzo per l’indizione del referendum popolare sul testo di legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari”. Lo ha comunicato Palazzo Chigi. A questo punto manca solo l’ufficialità, che arriverà a seguito del decreto firmato dal Presidente della Repubblica. La consultazione popolare per la conferma o meno della riforma che taglia il numero dei parlamentari dagli attuali 945 complessivi a 600 totali (200 senatori e 400 deputati) Il 29 marzo l’Italia tornerà al voto per il referendum confermativo della riforma sul taglio dei parlamentari che non avrà quorum, poichè non si tratta di un voto abrogativo. Secondo quanto previsto dalla Costituzione, “la legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei
voti validi”. Per la validità del referendum costituzionale non è previsto alcun quorum minimo di votanti. E’ sufficiente che i consensi superino i voti sfavorevoli. Se il risultato della consultazione è positivo, il Capo dello Stato promulga la legge. In caso contrario, è come se la legge stessa non avesse mai visto la luce e l’esito della consultazione viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. . Quello del 29 marzo sarà il quarto referendum costituzionale confermativo della storia della Repubblica. Nei tre precedenti, due volte la legge approvata dal Parlamento senza la maggioranza dei due terzi è stata respinta dagli elettori, una sola è stata approvata ed è diventata legge costituzionale. In base a quanto prevede l’articolo 138 della Costituzione, per il risultato non conta il quorum dei votanti che invece determina la validità dei referendum abrogativi. COSA PREVEDE LA LEGGE SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI La riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari riduce i deputati da 630 a 400 ed i senatori da 315 a 200. L’istituto dei senatori a vita è conservato fissandone a 5 il numero massimo (finora 5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare). Ridotti anche gli eletti all’estero: i deputati scendono da 12 a 8, i senatori da 6 a 4. NESSUN QUORUM A differenza dei referendum abrogativi, per la validità del referendum costituzionale non è necessario che vada a votare la metà più uno degli elettori aventi diritto: la riforma costituzionale sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi, indipendentemente da quante persone andranno a votare ai seggi elettorali. L’ARTICOLO 138 DELLA COSTITUZIONE Il referendum confermativo per le leggi costituzionali è regolamentato dall’articolo 138 della Costituzione e serve a sottoporre ai cittadini la riforma votata dal Parlamento, ma può essere richiesto solo se i sì della Camera e del Senato non superano i due terzi dei componenti dell’assemblea. Tre sono i modi previsti dalla Costituzione per far partire la macchina referendaria: a chiedere il referendum possono essere 5mila elettori, 5 Consigli regionali o un quinto dei membri di una delle Camere (126 deputati o 64 senatori). Nel caso della legge sul taglio dei parlamentari, le firme sono arrivate da 71 senatori con il contributo decisivo di alcuni della Lega .
I PRECEDENTI Il primo caso di referendum confermativo fu quello del 7 ottobre 2001 allorquando si svolse il referendum per confermare o meno la riforma del Titolo V della Carta, approvata dalla maggioranza dell’Unione negli anni dei governi Prodi, D’Alema e Amato: passa con il 64,2% di voti favorevoli anche se l’affluenza si ferma poco oltre il 34%. Il secondo caso di referendum confermativo, 25-26 giugno 2006, riguardava la riforma costituzionale varata dal governo Berlusconi : la cosiddetta ‘devolution’ venne bocciata con il 61% mentre i votanti raggiungono il 52%. Il terzo caso di referendum confermativo nella storia repubblicana è avvenuto il 4 dicembre 2016 : la maggioranza dei votanti respinse il disegno di legge costituzionale della riforma Renzi-Boschi, approvata in via definitiva dalla Camera ad aprile 2016 e che puntava tra l’altro a superare il bicameralismo perfetto ai danni del Senato. A dire no fu il 59,11%, contro il 40,89% di sì. I votanti costituirono quasi record, furono quasi il 69%. La conseguenza politica furono le dimissioni di Matteo Renzi da Presidente del Consiglio dei Ministri. M5s: i deputati Michele Nitti e Nadia Aprile lasciano il Movimento ROMA – Continua il fuggi-fuggi dal Movimento 5 Stelle. Altri due deputati, Nadia Aprile e Michele Nitti e hanno lasciato il Movimento e formalmente fatto richiesta di aderire al Gruppo Misto. “Non posso nascondere che i fatti che mi hanno visto protagonista nell’ultimo periodo mi hanno seriamente scossa – ha dichiarato in una nota Nadia Aprile, Parlamentare uscente del Gruppo M5S alla Camera -. La situazione in cui mi sono trovata è dipesa esclusivamente da un’inesorabile deriva autoritativa del MoVimento e dalla mancata considerazione in cui sono stata tenuta come Parlamentare e come persona“.
“Dopo aver riflettuto a fondo” e ritenendo “illegittimo ed infondato il procedimento a mio carico ho deciso di non continuare più a militare nel MoVimento“, continua la nota. Fonti del M5S hanno così commentato sull’addio dei deputati Nitti e Aprile al Movimento .“Basta andare sul sito tirendiconto.it per vedere che la deputata Nadia Aprile ha effettuato la sua ultima restituzione a dicembre 2018, mentre per Michele Nitti le restituzioni sono ferme ad Aprile 2019. Per tale motivo i due, che oggi hanno annunciato di lasciare il gruppo M5S alla Camera, andavano incontro ad un provvedimento disciplinare“.
‘La maggioranza alla Camera è solida, non abbiamo nessun timore”. ha dichiarato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, interpellato dai cronisti fuori da Palazzo Chigi “La nostra stretta sul termine delle rendicontazioni ha prodotto qualche movimento di persone verso il Misto. La maggioranza è solida sia alla Camera che al Senato, non vedo preoccupazioni“. Il Governo sostituisce il prefetto di Cosenza, Paola Galeone attualmente ai domiciliari ROMA – Il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, ha deliberato di sostituire il prefetto di Cosenza, Paola Galeone, attualmente ristretta agli arresti domiciliari nella sua abitazione di Taranto con l’accusa di induzione indebita a dare o promettere utilità. All’ex prefetto viene contestato, in particolare l’articolo 319 quater del Codice penale, come reso noto dalla Procura della Repubblica di Cosenza. La Galeone è stata sorpresa mentre intascava 700 euro, presumibilmente per favorire un’imprenditrice della zona che, in realtà, l’aveva già denunciata. L’ex-prefetto di Cosenza dopo l’arresto subito si era messa in aspettativa trasferendosi a Taranto, sua città natale, in attesa che il governo nominasse il suo sostituto. Con una nota Palazzo Chigi informa che il prefetto Paola Galeone è stata collocata disposizione ai sensi dell’articolo 237 del Dpr n. 3
del 1957. Nuovo Prefetto di Cosenza é stata nominata Cinzia Guercio, che è stato Prefetto di Isernia. Il nuovo Prefetto, laureata con lode in Giurisprudenza alla “Sapienza” di Roma, ha al suo attivo scuole di specializzazione e pubblicazioni ed una carriera nelle istituzioni iniziata nella Polizia di Stato. Ha partecipato a corsi di formazione presso la Scuola Superiore di Pubblica amministrazione, la Corte Suprema della Cassazione, la Scuola Superiore dell’Amministrazione civile dell’interno e il dipartimento della Funzione pubblica. Nominata per la prima volta Prefetto ad agosto 2011 ha presieduto la Commissione straordinaria per l’amministrazione del Comune di San Giuseppe Vesuviano, sciolto per infiltrazioni di criminalità organizzata. In seguito, ha gestito il commissariamento ordinario del Comune di Avellino dal 31 ottobre 2012 fino al 2013 Dal 2013 al 2015 è stata anche responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza del Ministero dell’Interno. Nel marzo 2015 ha assunto l’incarico di componente della Commissione straordinaria per lo scioglimento per infiltrazioni di criminalità organizzata dell’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta, primo caso in assoluto di gestione straordinaria di una struttura ospedaliera in Italia. Dal febbraio 2017 fino ad agosto 2018, è stata nominata direttore centrale dei Servizi tecnico-logistici e della gestione patrimoniale del dipartimento della Pubblica sicurezza. Dal 28 novembre 2018 è stata nominata prefetto della Provincia di Isernia, assumendone l’incarico il successivo 17 dicembre, per approdare adesso alla guida della Prefettura di Cosenza. Al suo attivo vanta numerose pubblicazioni in materia di
organizzazione e gestione delle amministrazioni pubbliche nonché docenze in diritto pubblico e diritto del lavoro presso i centri di formazione professionale Enfap. Vincitrice del concorso a vice- commissario della Polizia di Stato presso il ministero dell’Interno e idonea al concorso per consigliere in prova nel ruolo amministrativo della carriera direttiva del ministero della Sanità, è stata vice- commissario della Polizia di Stato dal 2 maggio al 31 agosto 1985. Governo, il ministro Fioramonti si dimette con una lettera al premer: pochi fondi per l'istruzione: ROMA – Le fibrillazioni nel governo non si placano neanche nel giorno di Natale . Sono arrivate come anticipate le dimissioni irrevocabili del ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, vociferate per tutta la sera del 25 e confermate da Palazzo Chigi poco dopo le 23. Fioramonti ha consegnato la sua lettera di dimissioni al premier Conte. Una decisione quella presa del responsabile dell’Istruzione che circolava da giorni ed era legata all’approvazione della manovra, a seguito del mancato stanziamento dei fondi attesi per l’Istruzione. Secondo le indiscrezioni nella sua lettera Fioramonti avrebbe spiegato che secondo lui bisognava rivedere l’IVA, anche lasciando l’aumento, per incassare i 2-3 miliardi che chiedeva per il suo ministero e che di fronte al blocco dell’aumento ha capito che non c’era volontà di fare maggiore gettito e dunque non ci sono più le condizioni per andare avanti. Lo stesso Fioramonti era stato esplicito sulla propria volontà di un passo indietro in caso di fondi insufficienti per scuola, università e ricerca. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, intervistato dal quotidiano La Repubblica, aveva ammesso: “Abbiamo inserito circa due miliardi aggiuntivi per scuola, università e ricerca. Avrei voluto
destinare ancora più risorse a questi settori fondamentali. L’impegno è per la prossima manovra“. Fioramonti andrebbe a costituire un gruppo alla Camera a sostegno del premier come embrione di un nuovo soggetto politico. Nei giorni scorsi sono circolati i nomi di altri deputati che potrebbero seguirlo, tra cui Nunzio Angiola e Gianluca Rospi, ma anche l’ex M5s Andrea Cecconi. In poche parole, di fatto, si moltiplicano le voci su possibili gruppi “contiani” nei due rami del Parlamento. Per la successione al ministero dell’Istruzione il nome in pole position è quello di Nicola Morra, attuale presidente della Commissione parlamentare antimafia. Mario Turco, l' uomo del Conte ha detto "ni" di Vittorio Malagutti e Gloria Riva* La modestia almeno a parole non gli fa difetto. A metà settembre, nella sua prima intervista da sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Mario Turco raccontò di aver pensato a “uno scherzo” quando Giuseppe Conte gli telefonò per annunciargli la nomina. Da qualche settimana però l’esibito understatement dell’esordiente al Governo ha lasciato il posto ad un attivismo mediatico da politico di prima fila, fra dichiarazioni ai giornali, note ufficiali ed interventi sui social. Ha imparato in fretta Turco. Solo due anni fa era un anonimo commercialista pugliese. Un ricercatore universitario a digiuno di politica e di partiti. Adesso gioca da “pivot” nella squadra di Conte a Palazzo Chigi e come
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio segue in prima persone le partite più complicate a cominciare dall’ ILVA. Del resto l’anno scorso i Cinque Stelle hanno fatto man bassa di voti predicando la chiusura degli impianti. Ed appena eletto anche Turco chiedeva “un nuovo contratto di programma che puntasse alla riconversione economica dell’area di Taranto“. Adesso che il senatore pugliese è approdato al governo, le promesse del recente passato hanno fin qui partorito niente più che un elenco di obiettivi proiettati in un futuro indefinito. Il sottosegretario gioca in casa e sa bene come muoversi. Nel suo passato non ci sono “meet up” grillini, nessuna partecipazione militante alle storiche battaglie dei Cinque Stelle.
Sul piano professionale l’ascesa di Turco è passata anche attraverso l’esperienza di docente dell’ Università del Salento, ramo finanza aziendale, con la qualifica di professore aggregato, cioè un ricercatore al quale vengono affidati anche compiti di insegnamento. Quello del senatore tarantino è quindi un incarico a tempo, che non presuppone la partecipazione ad un concorso nazionale, come per i professori associati e per quelli ordinari. Nella banca dati del Ministero dell’ Istruzione, al nome del sottosegretario corrisponde la qualifica di ricercatore. Una questione di titoli ma anche di sostanza. Dal marzo dell’ anno scorso infatti, da quando è diventato un politico a tempo pieno Turco non può più essere “professore aggregato” al contrario di quanto si legge nel suo curriculum pubblicato in rete sul sito del Governo. *giornalisti del settimanale L’ESPRESSO Eccovi l’articolo integrale in esclusiva per i lettori del CORRIERE DEL GIORNO ARTICOLO ESPRESSO TURCO Ilva, la produzione è ripartita. Ma
l'indotto batte cassa ROMA – Dopo una lunga notte di Palazzo Chigi, a Roma sembra tornato il giorno dell’ottimismo sull’ILVA ed a parole, arriva quella continuità produttiva chiesta dal premier Giuseppe Conte a fronte del possibile congelamento delle azioni giuridiche. Ieri, Arcelor-Mittal ha definito l’incontro con il governo “costruttivo”, assicurando in una nota che “le discussioni continueranno con l’obiettivo di raggiungere al più presto un accordo per una produzione sostenibile di acciaio a Taranto” e la multinazionale franco-indiana per rafforzare il proprio pensiero, ha fatto trapelare che “gli ordinativi dei clienti nella scorsa settimana sono soddisfacenti, la produzione è in marcia e le materie prime sono state ordinate secondo i consueti programmi di approvvigionamento” . Ora toccherà ai protagonisti della trattativa raggiungere degli accordi per tutte le questioni in esame, contenute nella riassuntiva nota ufficiale di Palazzo Chigi, venerdì notte: “L’obiettivo è pervenire alla elaborazione di un nuovo piano industriale che contempli nuove soluzioni produttive con tecnologie ecologiche e che assicuri il massimo impegno nelle attività di risanamento ambientale”. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, commenta la situazione come “rimessa su binari positivi e che può concludersi con il rilancio dell’Ilva, con un piano di investimenti per una prospettiva di sviluppo industriale e, al contempo, di risanamento ambientale“. Ed a sostegno dell’eurodeputato del Pd, ora ministro economico del Governo Conte , arrivano i suoi compagni di partito David Sassoli presidente del Parlamento Europeo ed il commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, che sostengono come necessari gli sforzi per salvaguardare la siderurgia italiana e promettono nuove regole sulla concorrenza.
Il premier Conte in conferenza stampa al termine dell’incontro ha detto di “non aver discusso dello scudo penale con i Mittal”, anche per evitare ulteriori tensioni politiche all’interno della maggioranza di Governo, ma è molto ben chiaro e noto a tutti che un accordo finale tra le parti dovrà prevedere la reintroduzione di una qualche forma di tutela giudiziaria per i gestori dello stabilimento siderurgico.Anche secondo le organizzazioni sindacali lo scudo penale va ripristinato. Nel caso della tutela giudiziaria e in quello del “Cantiere Taranto“, non è escluso l’utilizzo dello strumento dei decreti. Permane l’impegno delle aziende pubbliche nei piani di rilancio dell’economia di Taranto, ma anche in un possibile affiancamento societario diretto (o con una newco) ad ArcelorMittal. La società energetica Snam sarebbe in prima fila ed ha già annunciato la previsione di 40 milioni di investimenti sul territorio ( con l’ambizione di avere un ruolo nella decarbonizzazione dell’ILVA), mentre potrebbero aggiungersi altri gruppi pubblici compresa la Cassa Depositi e Prestiti che andrebbe a rafforzare nell’azionariato la presenza di Intesa Sanpaolo, che ha rilevato la quota del Gruppo Marcegaglia in Am Invesco.
Ma a Taranto in realtà al momento non si sente tranquillo nessuno. L’impressione è che, per il momento, si tratti solo del sollievo di tutti per aver scongiurato in extremis il colpo finale al cuore d’acciaio del Paese, mentre gli operai dell’acciaieria, quelli dell’indotto continuano a guardare con ansia e preoccupazione il futuro dell’ ILVA con i suoi impianti ed i suoi altoforni. Un nuovo piano industriale significa rivedere al ribasso gli obiettivi produttivi , da ridimensionare a causa della crisi del mercato che giustifica l’attuale limitata produzione nell’ ILVA di 4 milioni di tonnellate annue rispetto alle 6 previste un anno fa nel contratto ed accordo sindacale successivamente sottoscritto, e quindi conseguentemente livelli occupazionali diversi da quelli dell’accordo del 2018. I Mittal hanno chiesto a Conte nel primo incontro 5.000 esuberi strutturali nell’azienda di Taranto,
numeri che il Governo non condivide offrendo solo 2.500 e temporanei, manifestando la propria disponibilità ad attivare ammortizzatori sociali. “Sia chiaro il punto da cui si parte è l’accordo firmato un anno fa” dice il leader della Cgil, Landini, che non prevedeva nessun esubero e la conferma dell’impiego di 10.700 lavoratori, come sostengono anche la Cisl e la Uil. Altrettanto complicato sembra il lato “ambientale” del nuovo piano, perché al di là della conferma degli impegni già sottoscritti, l’ILVA in un prossimo futuro dovrà essere accompagnata in un percorso di decarbonizzazione degli stabilimenti che può prevedere sia un alternanza tra altiforni e forni elettrici, sia una soluzione più drastica indirizzata all’utilizzo del gas in alternativa al carbon coke. Soluzioni condizionate dal costo economico poco competitivo dell’energia. “Intanto — aggiunge Marco Bentivogli, segretario della Fim-Cisl — si riprenda in considerazione il progetto Meros deliberato a giugno, avviando subito il rifacimento con nuove tecnologie dell’altoforno 5″ che è il più grosso d’ Europa ed attualmente spento da tempo. A Taranto il clima in realtà è ancor più in ebollizione di ventiquattr’ore fa per le società fornitrici dell’indotto, che sono sono sul piede di guerra permanendo in presidio per il sesto giorno consecutivo davanti alle portinerie della fabbrica. Le assicurazioni sui pagamenti promesse fatte in prima persona dall’ad Lucia Morselli non sono state mantenute: gli attesi bonifici di pagamento per saldare le decine di milioni di crediti vantati dalle imprese appaltatrici restano parole al vento nonostante le varie spiegazioni tecnico- organizzative fornite dai dirigenti della multinazionale, che ieri sera ha fatto sapere di essere pronta a versare il 60% del dovuto. La situazione è così esplosiva che Confindustria Taranto ha convocato,
alle 11.30 di oggi, un incontro con la stampa per illustrare lo stato delle cose. “Nessun pagamento è avvenuto fatta salva una mezza dozzina di aziende preposte alla manutenzione degli impianti e la platea degli autotrasportatori, ristorati nella misura del 70 per cento del fatturato. Sono sconcertato dall’atteggiamento della multinazionale che solo tre giorni fa aveva assicurato, dati alla mano, che avrebbe disposto i bonifici per una buona metà della platea dell’indotto, dopo aver assicurato i pagamenti dell’autotrasporto. La promessa si è rivelata in tutta la sua infondatezza” ha spiegato Antonio Marinaro, presidente degli industriali tarantini, Italia Viva presente un emendamento per rimettere lo scudo penale sull'ex Ilva ROMA – La vicenda dell’ ex- ILVA si prende la scena sul palcoscenico nell’ambito del percorso parlamentare del decreto fiscale, con la presentazione degli emendamenti dei “renziani” di Italia Viva che nella Commissione Finanze della Camera dei Deputati, hanno introdotto e presentato un doppio emendamento nell’ambito della conversione del decreto: la proposta ha di fatto l’effetto di ripristinare lo scudo penale per ArcelorMittal, quello che metteva al riparo i commissario dell’ amministrazione straordinaria statale ed i manager dai processi per quel che concerne l’attività di esecuzione del piano ambientale dell’acciaieria tarantina. Una protezione al momento abrogata dal M5S (con voti anche del Pd e di LeU) dopo una serie di cambi d’idee, motivo per cui la multinazionale
franco-indiana aveva annunciato e confermato la decisione di abbandonare Taranto e l’ Italia, dove erano presti 4 miliardi e mezzo di investimenti, chiedendo al tribunale di Milano di annullare il contratto successivo alla gara internazionale, grazie alla quale si era aggiudicata l’acciaieria. Gli emendamenti sul caso-Ilva di Italia Viva sono due: uno valido per il caso di “specie” dello stabilimento di Taranto, ed uno in via generale per le imprese eventualmente impegnate nel contesto di un processo produttivo per realizzare un’opera di bonifica ambientale. Nel pacchetto di modifiche presentate dai “renziani” vi sono delle misure correttive relative all’articolo 4 (quella limita una ulteriore burocrazia alle imprese, assolutamente non necessaria ), una per l’articolo 39 (quello sui reati tributari), l’accelerazione dei fabbisogni standard per i comuni, il sostegno al settore agricolo, le semplificazioni fiscali, il blocco delle aliquote locali. Le proposte di Italia Viva sono 58 in tutto: la grande maggioranza di esse si concentra proprio sul fronte dei reati tributari. I Cinque stelle sono sul piede di guerra e la presidente della Commissione Finanze, la “grillina” Carla Ruocco, sembrava intenzionata a dichiararlo inammissibile. Il guanto di sfida resta però sul tavolo e dagli uomini del Pd – visto il clima – sono partiti degli sms in direzione Movimento5 Stelle per far sapere e rassicurarli che l’emendamento da loro non verrà preso in considerazione. Gli emendamenti targati Partito democratico sono ancora più numerosi : ne hanno presentati 200 con l’impegno a scremare a circa 140 le proprie proposte di modifica su cui concentrare l’esame . Da quanto si apprende dall’interno della Commissione, però non è stato presentato dal Pd alcun emendamento per reintrodurre lo scudo penale per ArcelorMittal nella realizzazione del piano per l’ex Ilva. Il Pd inizialmente nel recente passato si era manifestato pubblicamente pronto ad attivarsi per la via parlamentare sul tema, possibilmente con una norma valida per tutti i casi e non “ad hoc” su Taranto.
Oggi pomeriggio il premier Conte dovrebbe nuovamente incontrare a Palazzo Chigi i vertici di Arcelor Mittal per tentare di riaprire la trattativa sull’Ilva di Taranto. Sempre che dopo l’incontro con i Mittal ci sia ancora qualcosa di cui discutere, Conte, avrebbe pianificato anche di incontrare tutti i deputati e senatori grillini del territorio, e quelli capitanati dalla senatrice Barbara Lezzi, che di scudo penale non vogliono sentir parlare e potrebbero far mancare la maggioranza al Governo. Ed a questo punto, qualora venisse posta la fiducia, anche il governo giallorosso, come quello gialloverde entrerebbe a far parte drl libro dei brutti ricordi. Ex-ILVA: le proposte del premier Conte per riaprire la trattativa con il gruppo Arcelor Mittal ROMA – Partendo dalla consapevolezza molto chiara che la controparte e cioè il gruppo Arcelor Mittal, è lontana dal tavolo, per aprire una trattativa basata sul dialogo è necessario farla ritornare seduta, e le proposte vanno rivelate sul tavolo perché in una trattativa è fondamentale sondare gli umori e le decisioni della controparte in tempo reale.
Conte commentando la sua presenza a Taranto ha detto: “Dobbiamo lavorare con tutto il sistema Italia, io non sono un venditore di fumo, non sono un superuomo, se avevo una soluzione in tasca l’avrei già portata. Qui c’è una tragedia ambientale e sociale e questa comunità, e da qui dobbiamo ripartire, dobbiamo offrire un’occasione di riscatto e dobbiamo risolvere la situazione con una cabina di regia 24 ore su 24 per garantire tutti i diritti che sono in gioco, con tutto il sistema Italia, non solo con il governo. “. Solo queste le dinamiche e valutazioni che spingono il lavoro del governo in queste ore sul futuro dell’ex Ilva di Taranto. Fra i propositi di Palazzo Chigi , che sollecitato dal Quirinale, ha preso in mano la situazione esautorando di fatto il Ministero dello Sviluppo Economico dove aleggiano ancora le scorie e lo staff di Di Maio, quello di stendere una bozza di proposta di accordo da sottoporre ad ArcelorMittal nell’arduo tentativo di riaprire la trattativa che per i franco-indiani sembra essersi già conclusa. Queste sarebbero le proposte del Governo da presentare ai Mittal: la riduzione degli esuberi, un maxi-sconto sul prezzo dell’affitto dell’azienda e sull’acquisto finale dello stabilimento, ed una nuova forma di scudo penale, sulla quale in Parlamento potrebbe essere posta addirittura la fiducia. La proposta di Palazzo Chigi si baserebbe su due punti: il primo, che la trattativa con chi è già andato via è la strada obbligata, ed il secondo che riguarda uno dei temi più caldi, e cioè gli esuberi richiesti, non può essere ininfluente. Viene valutata anche la possibilità di un intervento finanziario dello Stato “a tempo” attraverso la Cassa Depositi e Prestiti dello Stato o in altre modalità , con una quota di minoranza.
Ma questa è solo una bozza della proposta allo studio, in quanto le visioni discordanti interne al Governo non permettono di arrivare ancora a una proposta compiuta. Basti pensare che il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, il commercialista Mario Turco, eletto senatore del M5S a Taranto, ha sempre sostenuto la chiusura dell’ ILVA. a chiari fini elettorali. E tutto ciò peraltro in pieno conflitto d’interesse, ricoprendo contestualmente al suo incarico politico delle cariche sociali in aziende tarantine che lavorano in appalto per Arcelor Mittal, oltre che a prestare consulenze per la Procura della repubblica di Taranto ! Ma ancor prima di provare ad avviare la trattativa con Arcelor Mittal, il Governo deve innanzitutto riuscire a trovare una quadra nella trattativa interna, con l’ex steward dello Stadio San Paolo di Napoli, ora leader del M5S Luigi Di Maio, giorno dopo giorno cerca in tutti i modi di contrastare e delegittimare l’importanza del ripristino dell’immunità per i manager dell’azienda, usando sempre toni durissimi, probabilmente nel tentativo di far dimenticare all’opinione pubblica di essere stato proprio lui ad accendere la miccia della “bomba” sociale che aleggia dietro la “questione” Ilva- Arcelor Mittal.
“ArcelorMittal ci ha detto che licenzia cinquemila dipendenti anche con lo scudo penale” dice Di Maio ” quindi questo tema è un distrattore di masse. Ora non esiste che un’impresa che sbaglia i conti fa pagare le cambiali, che ha firmato, allo Stato. Se le paga lei e deve rispettare i patti” dimenticando di essere stato proprio lui il primo a violare il contratto controfirmato con Arcelor Mittal. Il Pd, a sua volta, invece vuole un accelerazione in senso contrario a quella del M5S. Il problema dello scudo penale è fondamentale nel ventaglio di proposte da offrire alla multinazionale franco-indiana, leader mondiale nella produzione dell’acciaio. La soluzione si baserebbe su una misura valida per tutte le aziende, basandosi sul fondamento per il quale chi è impegnato in un piano di risanamento ambientale non è perseguibile penalmente. Una sorta di scudo penale “leggero”, che però ha già registrato e continua a registrare la contrarietà delle fronde grilline composte dagli scontenti ed esuli della compagine governativa del Governo Conte 1 come ad esempio la senatrice salentina Barbara Lezzi (quella che faceva i bonifici sui rimborsi e poi li annullava…) . E questo è uno dei principali problemi che al momento rende impraticabile la presentazione di una proposta di accordo consolidata e sicura.
La conferma che la proposta di Palazzo Chigi è ancora in una fase di preparazione molto complicata la fornisce la mancata agenda. La famiglia Mittal infatti al momento in cui scriviamo (sabato sera) non ha ricevuto alcuna convocazione per un nuovo incontro. Fonti vicine alla vicenda raccontano che un nuovo vertice a Palazzo Chigi è “molto probabile” nei primi giorni della prossima settimana. Un lasso di tempo necessario al premier Conte, per potersi presentare al tavolo della trattativa con una proposta certa e sopratutto politicamente solida.
Lo scudo penale però non è il solo problema che necessita di una condivisione comune dentro il governo. C’è anche lo scottante tema degli esuberi. Mittal ne avrebbe chiesti 5.000, mentre il Governo intende chiederne la metà. I numeri sono al momento “ballerini” in quanto secondo il M5S meno indolore sarà la decisione finale ed altrettanto inferiore sarà il contraccolpo in termini di consenso elettorale (in Puglia si vota per le regionali a giugno 2020) . Al momento internamente al Governo si sarebbe arrivati un accordo di massima, da proporre ai Mittal, e cioè arrivare al massimo a 2.500 esuberi che si vorrebbero peraltro addolcire attraverso la cassa integrazione che garantirebbe la tutela dei posti di lavoro, auspicando che nel giro di uno, massimo due anni, una volta risanata lo stabilimento siderurgico ed aumentata la capacità produttiva, e sopratutto che il mercato dell’acciaio registri un trend di aumento della produzione a tal punto da poter riassorbire a pieno titolo i lavoratori interessati dalla cassa integrazione.
Una proposta che ha lo scopo di ottenere da Arcelor Mittal il ritiro dell’azione civile presentata dinnanzi al Tribunale di Milano e di tutte le procedure relative al disimpegno , già avviate per la restituzione degli stabilimenti di Taranto e Nervi all’ ILVA in amministrazione straordinaria. Chiaramente ogni proposta in una trattativa, contiene una parte funzionale ad accontentare la controparte – e di questo il premier Conte è ben consapevole – sopratutto dopo che mercoledì scorso il Ceo e il Cfo di Arcelor Mittal hanno lasciato l’ incontro di Palazzo Chigi, dicendo che la loro decisione sarebbe rimasta tale a meno di significativi cambiamenti, e quindi convincere una controparte che già sta iniziando ad abbandonare Taranto, a seguito di una propria decisione supportata anche dal consenso ottenuto dai mercati finanziari mondiali, comporta qualche concessione “pesante” ed importante.
Come dicevamo, sulla base di fonti attendibili bene informate, il Governo Conte starebbe valutando di proporre anche un maxi-sconto sul prezzo di affitto che Arcelor Mittal deve pagare per l’affitto dell’azienda ex-Ilva, per passare poi all’acquisizione definitiva prevista a fine 2020. Arcelor Mittal si era aggiudicata una gara pubblica internazionale a cui aveva partecipato, che vedeva un solo concorrente, e cioè “Acciai Italia“, la cordata guidata dagli indiani Jindal che avevano avanzato una proposta da 1,8 miliardi molto più bassa di quella di Mittal . Il maxi-sconto del Governo potrebbe essere di ridurre per circa la metà, per un totale di 180 milioni di euro la quota l’affitto, così come si è disponibili trattare anche sul prezzo finale di vendita, e questo sarebbe la proposta di Conte per trattenere il gruppo franco-indiano in Italia. Ma Conte sa molto bene che sul tavolo di una trattativa ciò che conta realmente sono solo le proposte che hanno una consistenza, e quindi per presentarle deve prima riuscire a chiudere la trattativa interna, quella più difficile, interna al M5S dove le competenze tecniche ed il senso dello Stato notoriamente latitano. Arcelor Mittal allo scontro con il governo ROMA – La missiva è arrivata in mattinata e in forma riservata a Palazzo Chigi . Mittente, ArcelorMittal: caro governo, entro trenta giorni ce ne andiamo da Taranto e vi restituiamo l’impianto dell’ex
Ilva. L’irritazione del colosso dell’acciaio era nota da tempo dopo lo stop allo scudo penale e per i provvedimenti della magistratura , pochi credevano ad una decisione dura e problematica per il Governo. Il premier Giuseppe Conte rimane letteralmente spiazzato, prende il telefono e convoca per metà pomeriggio un vertice di emergenza . Alle 17.30 sfilano davanti all’ingresso di Palazzo Chigi i ministri coinvolti nel dossier: Patuanelli, Provenzano, Costa, Catalfo e Speranza. La tensione nei volti è massima, ed esprime molto bene una evidente rabbia malcelata. Intorno alla scrivania del premier viene organizzata una strategia: convocare i vertici dell’azienda. Fonti di Palazzo Chigi rivelano la volontà del Governo di riaprire una trattativa. In realtà vogliono capire se Arcelor Mittal fa sul serio, se l’origine dello scontro è realmente lo scudo o si vogliono ottenere dei nuovi esuberi. Il vertice con Conte era preceduto da una riunione in mattinata, durata circa due ore, tra i ministri al dicastero dello Sviluppo economico.“Il governo non consentirà la chiusura dell’Ilva, non esistono i presupposti giuridici per il recesso del contratto”, è quello che viene fatto filtrare dal Governo. Se ArcelorMittal dice che può lasciare Taranto appellandosi al contratto di affitto in vigore, dopo lo stop allo scudo, voluto fortemente dal Movimento 5 Stelle, ma votato in aula anche da Italia Viva e dal Pd , secondo i ministri del Governo Conte sostengono che non è possibile, e quindi un’ipotesi della strategia governativa viene preparato e portato nel pomeriggio sulla scrivania del premier. Conte è d’accordo, e quando arriveranno mercoledì mattina a Palazzo Chigi , i vertici dell’azienda, sosterrà che nel contratto non c’è una norma che consente loro di fare le valigie dall’ Italia.
Piccolo particolare è che la barriera legale preparata dall’avvocato- premier Conte non è sufficiente. Sono diverse settimane che gli avvocati di Arcelor Mittal studiano la fondatezza giuridica di un ricorso ben sapendo che una battaglia legale potrebbe avere tempi lunghi, e tirano in ballo la magistratura tarantina. In Parlamento Matteo Salvini minaccia di bloccare i lavori e le opposizioni insorgono con una raffica di dichiarazioni contro l’esecutivo. In ballo ci sono circa 20mila lavoratori (compresi quelli dell’indotto- appalto) e un pezzo di industria che vale l′1,6% del Pil, tra l’altro in un Sud che proprio oggi lo Svimez ha descritto come un deserto. Se l’ex Ilva chiude si “bruciano” 24 miliardi.
Il premier Conte si consulta con i ministri a palazzo Chigi e tira fuori dal cilindro una soluzione ( o meglio un tentativo…) per stanare ArcelorMittal attraverso la proposta di uno scudo penale soft. A quel punto – è il ragionamento – si capirà se l’azienda sta bluffando o in realtà vuole lasciare Taranto perché non è in grado di sostenere una produzione di 6mila-8mila tonnellate l’anno come indicato nel piano industriale. O, se ancora, vuole alzare il prezzo della partita, rimanendo sì a Taranto ma con 4-5mila lavoratori in meno. Conte proporrà una norma di legge che reca un principio semplice: per il tempo necessario ad attuare il piano ambientale, l’azienda in questione non sarà punibile per responsabilità precedenti. Il senso è quello dello scudo cancellato in Parlamento. Quanto questo scudo sarà
“soft” o meno, il Governo lo deciderà dopo aver parlato mercoledì con Lucia Morselli, presidente ed amministratore delegato di Arcelor Mittal Italia. Il Pd è con Conte, mentre i grillini, invece, non vogliono dietro- front sull’immunità. sostenendo che il decreto salva-imprese – dove lo scudo è stato cancellato “lo hanno votato Renzi e il Pd”. La questione è ancora più complessa per il Governo Conte bis, perché a volere l’abolizione dell’immunità è stata la fronda degli oltranzisti che rispondono al nome di Barbara Lezzi e Gianluigi Paragone. ai quali i parlamentari vicini a Luigi Di Maio rinfacciano di aver trascinato l’intero Movimento sulla posizione assunta in Parlamento, con l’obiettivo di andare contro il loro “capo” politico. Oltre alle dovute verifiche politiche della tenuta politica sull’espediente che il Governo ha pensato per stanare Arcelor Mittal, il vero quesito resta quello di capire e verificare se e come ARCELOR MITTAL può restare a Taranto. Verificare se vi sono i margini per una trattativa che coinvolga anche degli esuberi causati dal ridimensionamento degli obiettivi della produzione di acciaio. La strategia al momento è questa. Poi ci sono due piani di emergenza nel caso la multinazionale franco-indiana , leader mondiale nella produzione di acciaio, decidesse di non tornare indietro alla propria decisione. Un’ipotesi alternativa sarebbe quella di chiamare a Taranto il secondo classificato della gara per l’ex Ilva cioè il concorrente indiano Jindal. Un’ultima ipotesi, la più difficile da attuare, sarebbe quello di “statalizzare” l’Ilva, attraverso la Jindal. Il padre di Luigi Di Maio ha dichiarato nel 2017 un reddito imponibile di 88 euro: ma come sopravvive...?
Antonio Di Maio ROMA – Dopo la trasmissione “Le Iene” che ha acceso i riflettori su Antonio Di Maio, padre del leader politico del Movimento 5 Stelle, rendendo noto che quando gestiva l’impresa edile di famiglia, la Ardima Srl c’erano degli operai che prestavano lavoro tra il 2009 e il 2010 senza un regolare contratto di lavoro, rigorosamente tutto in evasione fiscale, l’attenzione si è trasferita anche sui redditi dei parenti stretti del vicepremier pentastellato: oltre al padre, sua madre Paolina Esposito docente scolastica, il fratello Giuseppe e la sorella Rosalba. Il padre di Di Maio dichiara redditi per 88 euro. Le ultime informazioni aggiornate, che chiunque può verificare e consultare direttamente nella sezione “amministrazione trasparente” del sito di Palazzo Chigi. Il modello “Persone fisiche 2018″ (relativo quindi ai redditi 2017) di Antonio Di Maio segnala un imponibile di appena 88 euro. Un valore a dir poco imbarazzante, sopratutto se si considera che il padre di Luigi Di Maio risulta essere comproprietario di quattro fabbricati e nove terreni. Sua moglie invece dichiara intorno ai 52.403 euro; la sorella di Di Maio Rosalba sta sui sette mila. Mentre suo fratello Giuseppe nel 2017 non ha percepito redditi (chissà… avrà chiesto il reddito di cittadinanza ?) Quanto alla dichiarazione dell’ attuale ministro degli Esteri, la Certificazione Unica 2018 di Luigi Di Maio segnala un reddito di oltre 98mila e 400 euro. I documenti consultabili online consentono anche di capire qual è il rapporto tra il leader pentastellato e l’azienda di famiglia. Dall’”Attestazione situazione patrimoniale 2018”, modello C, alla voce “Azioni e quote di partecipazioni in società”, risulta che Luigi Di Maio detiene, ad oggi, il 50% della Ardima srl . L’altro 50% delle quote societarie della società è nelle mani di sua sorella Rosalba . Amministratore unico della società di famiglia: l’altro fratello del vicepremier, Giuseppe. Il padre di Di Maio ad oggi non ha alcun legame con la srl, la cui attività viene quindi seguita dai figli, soprattutto Rosalba e Giuseppe.
La Ardima Srl società dalla famiglia Di Maio , come già detto è di proprietà al 50% di Luigi, capo politico del M5s, che ha più volte dichiarato di non ricoprire alcun ruolo nell’azienda, da fatto gestita dalla sorella Rosalba che invece come architetto “è la persona che ogni giorno si occupa dell’azienda” (parole dello stesso leader M5s in un suo post su Facebook del 2 febbraio 2015). La sorella Rosalba Di Maio denuncia redditi per 11.530 euro: una cifra decisamente ridotta per chi è “amministratrice di fatto” di un’impresa edile. “Amministratrice di fatto”, perche amministratore unico dealla società, e quindi responsabile di fronte alla legge, è il terzo fratello Di Maio, il giovane Giuseppe, il quale però dichiara addirittura “zero” euro di reddito. Imbarazzante per un amministratore di azienda. Ma in linea con le dichiarazioni dei redditi di suo fratello Luigi Di Maio prima del suo ingresso in Parlamento. Una domanda ci viene spontanea: ma la famiglia Di Maio come viveva e si mantiene ai nostri giorni ? L'ira del premier Conte contro Luigi Di Maio ROMA – Una cosa è certa per Palazzo Chigi: la manovra non si cambia, anche se sono possibili delle verifiche ed eventuali aggiustamenti tecnici , ma quelli che Giuseppe Conte definisce i “pilastri” della manovra non possono tornare in discussione ancora una volta, in quanto significherebbe dover ammettere che quanto il Governo ha inviato martedì notte a Bruxelles non avrebbe alcun valore concreto . Ipotesi che comporterebbe una conseguente caduta di credibilità e non soltanto a Bruxelles. Ed è per questo motivo che l’ ennesima “sparata” del M5S di ieri ha ricordato, la scena della notte del balcone dello scorso anno che è già costata molto al Paese in termini di credibilità. Cerchiamo di ricostruire con ordine la situazione. La dura nota pubblicata dal Blog delle
Stelle ieri pomeriggio, contro la manovra di bilancio di Palazzo Chigi e del Ministero dell’ Economia e Finanze ha fatto sobbalzare Conte dalla sua poltrona, al suo rientro a Roma dopo aver partecipato al Consiglio dell’ Unione Europa. Nel programma di lavoro del premier era previsto tutt’altro tutt’altro e il presidente Conte in conferenza stampa aveva appena chiarito di non aver avuto occasione di parlare anche della legge di bilancio inviata alla Commissione Europea quattro giorni prima. Quindi la partenza di ritorno a Roma, durante la quale è uscita la pesante nota del M5S successiva al vertice avuto da Luigi Di Maio con i suoi adepti. Quando Conte atterra all’aeroporto di Ciampino è fuori di se per l’ira, e mentre la sua auto correva dall’aeroporto a Palazzo Chigi ha avuto una dura telefonata con il ministro degli esteri Di Maio . Immediata la “puntuale”retromarcia del leader pro-tempore del M5S che esce poco sulle agenzie spacciata sotto forma di “fonti’ . Nello stesso momento il Pd entra in fibrillazione ed il segretario Nicola Zingaretti che si dice “basito per tanta irresponsabilità visto che la manovra è a Bruxelles dove la stanno esaminando”. L’ira del Premier è tutta qui: infatti è sempre possibile correggere o modificare in Parlamento qualche passaggio della legge di Bilancio, ma arrivare addirittura a chiedere un nuovo vertice di maggioranza, un nuovo Consiglio dei Ministri, contestando persino i provvedimenti adottati ed immaginando con la fantasia grillina delle nuove coperture alla manovra finanziaria , significa che “il primo partito del Paese” nonché la forza più rilevante della maggioranza giallorossa come auto- rivendicato nella nota del M5S , dimentica o non si è accorto di non esserlo più dopo l’ultimo voto per le recenti Elezioni Europee, ed equivarrebbe a confessare impunemente di aver inviato alla Commissione Europea ed agli investitori che finanziano il debito pubblico del paese, soltanto dei fogli di carta privi di alcuna credibilità.
E tutto ciò senza valutare che i numeri sono già “border line”. Il governo giallorosso, infatti, era riuscito a strappare 14 miliardi di flessibilità a Bruxelles, ma il deficit al 2,2% non ha ottenuto il compiacimento dei paesi del Nord Europa. Peraltro lo slittamento dell’entrata in esercizio della Commissione guidata dalla Von der Leyen, al momento lascia ogni valutazione e decisioni ancora nell mani della “trimurti” (per il nostro Paese) Juncker–Dombrovskis–Moscovici. Proprio ieri, da Washington, Moscovici ha chiarito che la Commissione sta analizzando la manovra italiana “cercando di capire se i conti tornano e se il leggero deterioramento dei saldi può essere spiegato ragionevolmente”. Von der Leyen a sua volta è andato giù duramente anticipando che Bruxelles chiederà chiarimenti scritti al Governo Italiano. Conte zittisce ancora una volta M5S difendendo la manovra, difendendo il lavoro sinora fatto ma soprattutto la credibilità dell’ intero governo e sopratutto del Paese a Bruxelles e sui mercati finanziari. Ed è stato proprio per questo motivo che nella conferenza stampa conclusiva del vertice europeo, il Premier si era intrattenuto a lungo sull’impianto delle misure adottate dichiarando che “Quota100 è un pilastro della manovra“, e che la lotta all’evasione è la struttura portante che di fatto regge e caratterizza il Governo Conte2 e che non caso, nella stessa legge di Bilancio viene indicata con un posta considerevole . Mettere in discussione l’architrave della manovra , o ancora peggio dare ancora per non chiusa la manovra significa provocare la Commissione che entro il corrente mese potrebbe bocciare i numeri ricevuti chiedendone di nuovi più affidabili e solidi politicamente.
Per il Presidente Conte rivedere il tetto ai contanti ed i meccanismi incentivanti l’uso della moneta elettronica, significherebbe non soltanto aprire un buco di bilancio e contestualmente mettere in allarme Bruxelles, ma bloccare l’unica fonte produttiva di risorse sulla quale il Governo giallorosso punta per cercare di abbassare l’Irpef nel 2020. Il ragionamento di Conte ai leader dei due principali partiti dell’alleanza ricordando che “l’evasione fiscale è stimata in più di cento miliardi” , si basa sul tentativo-speranza di riuscire a recuperar almeno una percentuale di evasione agendo con incentivi e non soltanto con le sanzioni. Nel tentativo di ridimensionare la “sparata” suicida del M5S ieri sera è intervenuto il ministro dell’ economia Gualtieri dichiarando che la tensione nel governo e nella maggioranza è normale quando si discute la legge di Bilancio. “Tanto più – ha aggiunto anche Conte – se si discute di misure per contrastare l’evasione fiscale”. Tanto più se il leader del partito più “pesante” all’interno della nuova maggioranza giallorossa, fa fatica e non riesce a mantenere il Movimento su un’unica linea politica, obbligando il “garante” cioè il comico Beppe Grillo, ad esternare una delle sue solite folli proposte, nel tentativo non solo di parlar d’altro ma sopratutto di distrarre molti dei suoi portavoce “grillini” preoccupati in questo momento alla spartizione delle poltrone e connessi introiti economici personali. E meno male che il M5S diceva di non essere interessato alla lottizzazione, alle poltrone…ma si sa che sopratutto l’appetito vien mangiando.
Il Consiglio dei Ministri scioglie il Comune di Cerignola Palazzo Chigi ROMA– “Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno Luciana Lamorgese, a seguito di accertati condizionamenti da parte delle locali organizzazioni criminali, a norma dell’articolo 143 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, ha deliberato lo scioglimento per diciotto mesi del Consiglio comunale di Cerignola (Foggia) e il contestuale affidamento dell’amministrazione dell’ente a una commissione di gestione straordinaria“. Lo si apprende da un comunicato di Palazzo Chigi. A luglio, il sindaco Franco Metta, mentre erano già noti gli accertamenti ed i controlli effettuati dal Ministero dell’Interno sulla sua amministrazione, durante un incontro con i lavoratori della Mondoservice, cooperativa che gestiva il verde pubblico per conto dell’amministrazione che era stata colpita da un’ interdittiva antimafia del Prefetto di Foggia dr. Raffaele Grassi poliziotto di primissimo livello, ex direttore dello S.C.O. il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, aveva urlato in diretta Facebook: “La devono finire di rompere i coglioni, noi non siamo mafiosi”. Adesso l’ex sindaco Metta dovrà spiegare cosa sa dell’improvviso ritiro dell’altra ditta, che aveva regolarmente e legittimamente vinto la gara.
Da quanto è stato possibile apprendere la situazione al Comune di Cerignola era già da tempo assai compromessa che ha comportato lo scioglimento. Non soltanto per come veniva gestiti affidamenti e appalti pubblici in maniera illegale, ma anche per le ripetute continue frequentazioni dirette degli amministratori comunali con noti pluripregiudicati condannati anche per reati associativi. Nella relazione del Ministero consegnata al Consiglio dei Ministri si parla apertamente di “assidui rapporti tra il sindaco Franco Metta ( a lato nella foto ) ed esponenti di rilievo della criminalità locale”. Il primo cittadino di Cerignola sarebbe persino intervenuto in episodi di abusivismo per invitare gli agenti della Polizia Locale a chiudere gli occhi in favore di pregiudicati. Ed avrebbe “celebrato il matrimonio di un pluripregiudicato per poi partecipare al ricevimento nuziale, alla presenza di numerosi esponenti della criminalità, con reati anche di tipo associativo, condividendo immagini sui social network”. “Frequentazioni e cointeressenze tra amministratori comunali ed esponenti della criminalità organizzata – si legge nella decisione interdittiva– rappresentate dalla circostanza che il primo cittadino (cioè Franco Metta) e un assessore hanno presenziato all’inaugurazione di uno dei locali gestiti da componenti della famiglia criminale egemone. Ad alcuni di questi gestori sono state rilasciate autorizzazioni permanenti all’occupazione di suolo pubblico, in palese contrasto con il regolamento comunale che prevede per tale tipo di concessioni una durata massima di cinque anni”. Secondo la relazione della DIA, la Direzione Investigativa Antimafia al Parlamento, Cerignola è tra i paesi ritenuti “centrali” nella geografia mafiosa foggiana, essendo la ‘base’ del clan Piarulli- Ferraro, con testa da anni nel Milanese. La malavita cerignolana è da sempre il terrore delle società di portavalori, in quanto in quasi tutti i colpi milionari messi a segno contro mezzi blindati o caveau in tutta Italia, partecipano sempre bande di cerignolani che operano con modalità paramilitari, armati fino ai denti e senza paura di
sparare, anche 170 colpi come avvenne nel 2016 lungo la A12 in provincia di Livorno, molto spesso concludono in pochi minuti le loro rapine senza spargere sangue e portandosi a casa milioni di euro. Nel settembre 2015 agirono poco più a nord, sempre lungo la A14. All’altezza di Loreto misero nel mirino due furgoni della Fitist che viaggiavano con 4,7 milioni di euro. In due minuti esatti bloccarono un’arteria autostradale, misero in azione i “jammer” per isolare le comunicazioni e dopo, aver speronato i portavalori, azionarono i mitragliatori kalashnikov per spaventare le guardie giurate. Quindi smantellarono i blindati e se ne andarono con le casseforti, coperti dal fuoco di alcune vetture incendiate e dai loro passamontagna. Nulla in confronto all’inferno di fiamme e proiettili scatenato da un’altra banda di cerignolani esattamente un anno più tardi lungo la A12. Cerignola diventa il terzo consiglio comunale in provincia di Foggia ad essere sciolto per infiltrazioni mafiose. il comune foggiano, che conta circa 60mila abitanti diventa così il terzo Comune della provincia foggiana, il secondo nell’ultimo anno dopo Mattinata, ad essere sciolto per le infiltrazioni ed i condizionamenti della criminalità organizzata. Resta in piedi e da definire la stessa procedura per il comune di Manfredonia, che a breve verrà portata dal Ministero dell’ Interno all’esame del Consiglio dei Ministri.
Governo, Conte Bis. Il premier ed i ministri hanno giurato al Quirinale ROMA – Il Governo Conte bis ha giurato questa mattina alle 10 al Quirinale nelle mani del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.”Forti di un programma che guarda al futuro dedicheremo con questa squadra le nostri migliori energie, competenze, passione a rendere l’Italia migliore nell’interesse di tutti i cittadini da Nord a Sud“, aveva detto ieri al Colle il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dopo aver letto la lista dei ministri del nuovo esecutivo giallo-rosso. Per il Capo dello Stato questo governo può definirsi a tutti gli effetti “politico”, frutto di un confronto tra Pd e M5S, che si sono presi la responsabilità di scelta su ogni singolo nome indicato. I 50 minuti di colloquio nello studio alla Vetrata con premier incaricato confermano che da parte di Mattarella non ci sono stati rilievi o questioni sulla lista dei ministri presentata. Il tutto è racchiuso in quella che non voleva essere una dichiarazione, ma solo un saluto: “In base alle indicazioni di una maggioranza parlamentare, si è formato un governo. La parola ora compete al Parlamento e al Governo” che dovrà chiedere la fiducia. La diretta del giuramento dei ministri Le immagini del giuramento partono dal minuto 23:00 Oggi stesso dopo la cerimonia al Quirinale, il Governo si insedia a Palazzo Chigi: Conte riceverà gli onori, parteciperà alla cerimonia della campanella e poi presiederà il primo Consiglio dei ministri con la comunicazione a Bruxelles del presidente “dem”: Paolo Gentiloni sarà il commissario italiano in Europa. Il nuovo esecutivo lunedì mattina dovrà presentarsi alla Camera per la fiducia e il giorno dopo, martedì, al Senato.
Puoi anche leggere