Si voterà il 29 marzo per il referendum sul taglio dei parlamentari

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Si voterà il 29 marzo per il referendum sul taglio dei parlamentari
Si voterà il 29 marzo per il
referendum sul taglio dei
parlamentari
ROMA – “Il Consiglio dei ministri, su proposta del presidente Giuseppe
Conte, ha convenuto sulla data del 29 marzo per l’indizione del
referendum popolare sul testo di legge costituzionale che riduce il
numero dei parlamentari”. Lo ha comunicato Palazzo Chigi. A questo
punto manca solo l’ufficialità, che arriverà a seguito del decreto
firmato dal Presidente della Repubblica.

La consultazione popolare per la conferma o meno della riforma che
taglia il numero dei parlamentari dagli attuali 945 complessivi a 600
totali (200 senatori e 400 deputati) Il 29 marzo l’Italia tornerà al
voto per il referendum confermativo della riforma sul taglio dei
parlamentari che non avrà quorum, poichè non si tratta di un voto
abrogativo.

Secondo quanto previsto dalla Costituzione, “la legge sottoposta a
referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei
Si voterà il 29 marzo per il referendum sul taglio dei parlamentari
voti validi”. Per la validità del referendum costituzionale non è
previsto alcun quorum minimo di votanti. E’ sufficiente che i consensi
superino i voti sfavorevoli. Se il risultato della consultazione è
positivo, il Capo dello Stato promulga la legge. In caso contrario, è
come se la legge stessa non avesse mai visto la luce e l’esito della
consultazione viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
.
Quello del 29 marzo sarà il quarto referendum costituzionale
confermativo della storia della Repubblica. Nei tre precedenti, due
volte la legge approvata dal Parlamento senza la maggioranza dei due
terzi è stata respinta dagli elettori, una sola è stata approvata ed è
diventata legge costituzionale. In base a quanto prevede l’articolo
138 della Costituzione, per il risultato non conta il quorum dei
votanti che invece determina la validità dei referendum abrogativi.

COSA PREVEDE LA LEGGE SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI

La riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari riduce i
deputati da 630 a 400 ed i senatori da 315 a 200. L’istituto dei
senatori a vita è conservato fissandone a 5 il numero massimo (finora
5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare).
Ridotti anche gli eletti all’estero: i deputati scendono da 12 a 8, i
senatori da 6 a 4.

NESSUN QUORUM

A differenza dei referendum abrogativi, per la validità del referendum
costituzionale non è necessario che vada a votare la metà più uno
degli elettori aventi diritto: la riforma costituzionale sottoposta a
referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei
voti validi, indipendentemente da quante persone andranno a votare ai
seggi elettorali.

L’ARTICOLO 138 DELLA COSTITUZIONE

Il referendum confermativo per le leggi costituzionali è regolamentato
dall’articolo 138 della Costituzione e serve a sottoporre ai cittadini
la riforma votata dal Parlamento, ma può essere richiesto solo se i sì
della Camera e del Senato non superano i due terzi dei componenti
dell’assemblea. Tre sono i modi previsti dalla Costituzione per far
partire la macchina referendaria: a chiedere il referendum possono
essere 5mila elettori, 5 Consigli regionali o un quinto dei membri di
una delle Camere (126 deputati o 64 senatori). Nel caso della legge
sul taglio dei parlamentari, le firme sono arrivate da 71 senatori con
il contributo decisivo di alcuni della Lega .
Si voterà il 29 marzo per il referendum sul taglio dei parlamentari
I PRECEDENTI

Il primo caso di referendum confermativo fu quello del 7 ottobre 2001
allorquando si svolse il referendum per confermare o meno la riforma
del Titolo V della Carta, approvata dalla maggioranza dell’Unione
negli anni dei governi Prodi, D’Alema e Amato: passa con il 64,2% di
voti favorevoli anche se l’affluenza si ferma poco oltre il 34%.

Il secondo caso di referendum confermativo, 25-26 giugno 2006,
riguardava la riforma costituzionale varata dal governo Berlusconi :
la cosiddetta ‘devolution’ venne bocciata con il 61% mentre i votanti
raggiungono il 52%.

Il terzo caso di referendum confermativo nella storia repubblicana è
avvenuto il 4 dicembre 2016 : la maggioranza dei votanti respinse il
disegno di legge costituzionale della riforma Renzi-Boschi, approvata
in via definitiva dalla Camera ad aprile 2016 e che puntava tra
l’altro a superare il bicameralismo perfetto ai danni del Senato. A
dire no fu il 59,11%, contro il 40,89% di sì. I votanti costituirono
quasi record, furono quasi il 69%. La conseguenza politica furono le
dimissioni di Matteo Renzi da Presidente del Consiglio dei Ministri.

M5s: i deputati Michele Nitti e
Nadia Aprile lasciano il Movimento
ROMA – Continua il fuggi-fuggi dal Movimento 5 Stelle. Altri due
deputati, Nadia Aprile e Michele Nitti e hanno lasciato il Movimento
e formalmente fatto richiesta di aderire al Gruppo Misto.

“Non posso nascondere che i fatti che mi hanno visto protagonista
nell’ultimo periodo mi hanno seriamente scossa – ha dichiarato in una
nota Nadia Aprile, Parlamentare uscente del Gruppo M5S alla Camera -.
La situazione in cui mi sono trovata è dipesa esclusivamente da
un’inesorabile deriva autoritativa del MoVimento e dalla mancata
considerazione in cui sono stata tenuta come Parlamentare e come
persona“.
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“Dopo aver riflettuto a fondo” e ritenendo “illegittimo ed infondato
il procedimento a mio carico ho deciso di non continuare più a
militare nel MoVimento“, continua la nota.

Fonti del M5S hanno così commentato sull’addio dei deputati Nitti e
Aprile al Movimento .“Basta andare sul sito tirendiconto.it per vedere
che la deputata Nadia Aprile ha effettuato la sua ultima restituzione
a dicembre 2018, mentre per Michele Nitti le restituzioni sono ferme
ad Aprile 2019. Per tale motivo i due, che oggi hanno annunciato di
lasciare il gruppo M5S alla Camera, andavano incontro ad un
provvedimento disciplinare“.
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‘La maggioranza alla Camera è solida, non abbiamo nessun timore”. ha
dichiarato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico
D’Incà, interpellato dai cronisti fuori da Palazzo Chigi “La nostra
stretta sul termine delle rendicontazioni ha prodotto qualche
movimento di persone verso il Misto. La maggioranza è solida sia alla
Camera che al Senato, non vedo preoccupazioni“.

Il Governo sostituisce il prefetto
di Cosenza, Paola Galeone
attualmente ai domiciliari
ROMA – Il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro
dell’Interno Luciana Lamorgese, ha deliberato di sostituire il
prefetto di Cosenza, Paola Galeone, attualmente ristretta agli arresti
domiciliari nella sua abitazione di Taranto con l’accusa di induzione
indebita a dare o promettere utilità. All’ex prefetto viene
contestato, in particolare l’articolo 319 quater del Codice penale,
come reso noto dalla Procura della Repubblica di Cosenza.

                                           La Galeone è stata sorpresa
mentre intascava 700 euro, presumibilmente per favorire
un’imprenditrice della zona che, in realtà, l’aveva già denunciata.
L’ex-prefetto di Cosenza dopo l’arresto subito si era messa in
aspettativa trasferendosi a Taranto, sua città natale, in attesa che
il governo nominasse il suo sostituto.

Con una nota Palazzo Chigi informa che il prefetto Paola Galeone è
stata collocata disposizione ai sensi dell’articolo 237 del Dpr n. 3
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del 1957. Nuovo Prefetto di Cosenza é stata nominata Cinzia Guercio,
che è stato Prefetto di Isernia.

Il nuovo Prefetto, laureata con lode in Giurisprudenza alla “Sapienza”
di Roma, ha al suo attivo scuole di specializzazione e pubblicazioni
ed una carriera nelle istituzioni iniziata nella Polizia di Stato.

                                           Ha partecipato a corsi di
formazione presso la Scuola Superiore di Pubblica amministrazione, la
Corte    Suprema   della    Cassazione,     la   Scuola   Superiore
dell’Amministrazione civile dell’interno e il dipartimento della
Funzione pubblica.

Nominata per la prima volta Prefetto ad agosto 2011 ha presieduto la
Commissione straordinaria per l’amministrazione del Comune di San
Giuseppe Vesuviano, sciolto per infiltrazioni di criminalità
organizzata. In seguito, ha gestito il commissariamento ordinario del
Comune di Avellino dal 31 ottobre 2012 fino al 2013 Dal 2013 al 2015 è
stata anche responsabile della prevenzione della corruzione e della
trasparenza del Ministero dell’Interno.

Nel marzo 2015 ha assunto l’incarico di componente della Commissione
straordinaria per lo scioglimento per infiltrazioni di criminalità
organizzata dell’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta, primo
caso in assoluto di gestione straordinaria di una struttura
ospedaliera in Italia.

Dal febbraio 2017 fino ad agosto 2018, è stata nominata direttore
centrale dei Servizi tecnico-logistici e della gestione patrimoniale
del dipartimento della Pubblica sicurezza. Dal 28 novembre 2018 è
stata nominata prefetto della Provincia di Isernia, assumendone
l’incarico il successivo 17 dicembre, per approdare adesso alla guida
della Prefettura di Cosenza.

Al   suo   attivo   vanta   numerose   pubblicazioni   in   materia   di
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organizzazione e gestione delle amministrazioni pubbliche nonché
docenze in diritto pubblico e diritto del lavoro presso i centri di
formazione professionale Enfap. Vincitrice del concorso a vice-
commissario della Polizia di Stato presso il ministero dell’Interno e
idonea al concorso per consigliere in prova nel ruolo amministrativo
della carriera direttiva del ministero della Sanità, è stata vice-
commissario della Polizia di Stato dal 2 maggio al 31 agosto 1985.

Governo, il ministro Fioramonti si
dimette con una lettera al premer:
pochi fondi per l'istruzione:
ROMA – Le fibrillazioni nel governo non si placano neanche nel giorno
di Natale . Sono arrivate come anticipate le dimissioni irrevocabili
del ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, vociferate per tutta
la sera del 25 e confermate da Palazzo Chigi poco dopo le 23.

Fioramonti ha consegnato la sua lettera di dimissioni al premier
Conte. Una decisione quella presa del responsabile dell’Istruzione
che circolava da giorni ed era legata all’approvazione della manovra,
a seguito del mancato stanziamento dei fondi attesi per l’Istruzione.

Secondo le indiscrezioni nella sua lettera Fioramonti avrebbe spiegato
che secondo lui bisognava rivedere l’IVA, anche lasciando l’aumento,
per incassare i 2-3 miliardi che chiedeva per il suo ministero e che
di fronte al blocco dell’aumento ha capito che non c’era volontà di
fare maggiore gettito e dunque non ci sono più le condizioni per
andare avanti.

Lo stesso Fioramonti era stato esplicito sulla propria volontà di un
passo indietro in caso di fondi insufficienti per scuola, università e
ricerca. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, intervistato dal
quotidiano La Repubblica, aveva ammesso: “Abbiamo inserito circa due
miliardi aggiuntivi per scuola, università e ricerca. Avrei voluto
Si voterà il 29 marzo per il referendum sul taglio dei parlamentari
destinare ancora più risorse a questi settori fondamentali. L’impegno
è per la prossima manovra“.

Fioramonti andrebbe a costituire un gruppo alla Camera a sostegno del
premier come embrione di un nuovo soggetto politico. Nei giorni scorsi
sono circolati i nomi di altri deputati che potrebbero seguirlo, tra
cui Nunzio Angiola e Gianluca Rospi, ma anche l’ex M5s Andrea Cecconi.
In poche parole, di fatto, si moltiplicano le voci su possibili gruppi
“contiani” nei due rami del Parlamento. Per la successione al
ministero dell’Istruzione il nome in pole position è quello di Nicola
Morra, attuale presidente della Commissione parlamentare antimafia.

Mario Turco, l' uomo del Conte ha
detto "ni"
di Vittorio Malagutti e Gloria Riva*

La modestia almeno a parole non gli fa difetto. A metà settembre,
nella sua prima intervista da sottosegretario alla Presidenza del
consiglio, Mario Turco raccontò di aver pensato a “uno scherzo” quando
Giuseppe Conte gli telefonò per annunciargli la nomina.

Da qualche settimana però l’esibito understatement dell’esordiente al
Governo ha lasciato il posto ad un attivismo mediatico da politico di
prima fila, fra dichiarazioni ai giornali, note ufficiali ed
interventi sui social. Ha imparato in fretta Turco.

Solo due anni fa era un anonimo commercialista pugliese.           Un
ricercatore universitario a digiuno di politica e di partiti.

Adesso gioca da “pivot” nella squadra di Conte a Palazzo Chigi e come
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sottosegretario alla Presidenza del Consiglio segue in prima persone
le partite più complicate a cominciare dall’ ILVA. Del resto l’anno
scorso i Cinque Stelle hanno fatto man bassa di voti predicando la
chiusura degli impianti. Ed appena eletto anche Turco chiedeva “un
nuovo contratto di programma che puntasse alla riconversione economica
dell’area di Taranto“. Adesso che il senatore pugliese è approdato al
governo, le promesse del recente passato hanno fin qui partorito
niente più che un elenco di obiettivi proiettati in un futuro
indefinito.

Il sottosegretario gioca in casa e sa bene come muoversi. Nel suo
passato non ci sono “meet up” grillini, nessuna partecipazione
militante alle storiche battaglie dei Cinque Stelle.
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Sul piano professionale l’ascesa di
Turco è passata anche attraverso l’esperienza di docente dell’
Università del Salento, ramo finanza aziendale, con la qualifica di
professore aggregato, cioè un ricercatore al quale vengono affidati
anche compiti di insegnamento. Quello del senatore tarantino è quindi
un incarico a tempo, che non presuppone la partecipazione ad un
concorso nazionale, come per i professori associati e per quelli
ordinari. Nella banca dati del Ministero dell’ Istruzione, al nome del
sottosegretario corrisponde la qualifica di ricercatore. Una questione
di titoli ma anche di sostanza.

Dal marzo dell’ anno scorso infatti, da quando è diventato un politico
a tempo pieno Turco non può più essere “professore aggregato” al
contrario di quanto si legge nel suo curriculum pubblicato in rete sul
sito del Governo.

*giornalisti del settimanale L’ESPRESSO

Eccovi l’articolo integrale in esclusiva per i lettori del CORRIERE
DEL GIORNO

ARTICOLO ESPRESSO TURCO

Ilva, la produzione è ripartita. Ma
l'indotto batte cassa

                                            ROMA – Dopo una lunga notte
di Palazzo Chigi, a Roma sembra tornato il giorno dell’ottimismo
sull’ILVA ed a parole, arriva quella continuità produttiva chiesta dal
premier Giuseppe Conte a fronte del possibile congelamento delle
azioni giuridiche. Ieri, Arcelor-Mittal ha definito l’incontro con il
governo “costruttivo”, assicurando in una nota che “le discussioni
continueranno con l’obiettivo di raggiungere al più presto un accordo
per una produzione sostenibile di acciaio a Taranto” e la
multinazionale franco-indiana per rafforzare il proprio pensiero, ha
fatto trapelare che “gli ordinativi dei clienti nella scorsa settimana
sono soddisfacenti, la produzione è in marcia e le materie prime sono
state ordinate secondo i consueti programmi di approvvigionamento” .
Ora toccherà ai protagonisti della trattativa raggiungere degli
accordi per tutte le questioni in esame, contenute nella riassuntiva
nota ufficiale di Palazzo Chigi, venerdì notte: “L’obiettivo è
pervenire alla elaborazione di un nuovo piano industriale che
contempli nuove soluzioni produttive con tecnologie ecologiche e che
assicuri il massimo impegno nelle attività di risanamento ambientale”.
Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, commenta la situazione
come “rimessa su binari positivi e che può concludersi con il rilancio
dell’Ilva, con un piano di investimenti per una prospettiva di
sviluppo industriale e, al contempo, di risanamento ambientale“. Ed a
sostegno dell’eurodeputato del Pd, ora ministro economico del Governo
Conte , arrivano i suoi compagni di partito David Sassoli presidente
del Parlamento Europeo ed il commissario agli Affari economici, Paolo
Gentiloni, che sostengono come necessari gli sforzi per salvaguardare
la siderurgia italiana e promettono nuove regole sulla concorrenza.
Il premier Conte in
conferenza stampa al termine dell’incontro ha detto di “non aver
discusso dello scudo penale con i Mittal”, anche per evitare ulteriori
tensioni politiche all’interno della maggioranza di Governo, ma è
molto ben chiaro e noto a tutti che un accordo finale tra le parti
dovrà prevedere la reintroduzione di una qualche forma di tutela
giudiziaria per i gestori dello stabilimento siderurgico.Anche secondo
le organizzazioni sindacali lo scudo penale va ripristinato. Nel caso
della tutela giudiziaria e in quello del “Cantiere Taranto“, non è
escluso l’utilizzo dello strumento dei decreti.

Permane l’impegno delle aziende pubbliche nei piani di rilancio
dell’economia di Taranto, ma anche in un possibile affiancamento
societario diretto (o con una newco) ad ArcelorMittal. La società
energetica Snam sarebbe in prima fila ed ha già annunciato la
previsione di 40 milioni di investimenti sul territorio ( con
l’ambizione di avere un ruolo nella decarbonizzazione dell’ILVA),
mentre potrebbero aggiungersi altri gruppi pubblici compresa la Cassa
Depositi e Prestiti che andrebbe a rafforzare nell’azionariato la
presenza di Intesa Sanpaolo, che ha rilevato la quota del Gruppo
Marcegaglia in Am Invesco.
Ma a Taranto in realtà al
momento non si sente tranquillo nessuno. L’impressione è che, per il
momento, si tratti solo del sollievo di tutti per aver scongiurato in
extremis il colpo finale al cuore d’acciaio del Paese, mentre gli
operai dell’acciaieria, quelli dell’indotto continuano a guardare con
ansia e preoccupazione il futuro dell’ ILVA con i suoi impianti ed i
suoi altoforni. Un nuovo piano industriale     significa rivedere al
ribasso gli obiettivi produttivi , da ridimensionare a causa della
crisi del mercato che giustifica l’attuale limitata produzione nell’
ILVA   di 4 milioni di tonnellate annue rispetto alle 6 previste un
anno fa nel contratto ed accordo sindacale successivamente
sottoscritto, e quindi conseguentemente livelli occupazionali diversi
da quelli dell’accordo del 2018. I Mittal hanno chiesto a Conte nel
primo incontro 5.000 esuberi strutturali nell’azienda di Taranto,
numeri che il Governo non condivide offrendo solo 2.500 e temporanei,
manifestando la propria disponibilità ad attivare ammortizzatori
sociali.
“Sia chiaro il punto da cui si parte è l’accordo firmato un anno fa”
 dice il leader della Cgil, Landini, che non prevedeva nessun esubero
e la conferma dell’impiego di 10.700 lavoratori, come sostengono anche
la Cisl e la Uil. Altrettanto complicato sembra il lato “ambientale”
del nuovo piano, perché al di là della conferma degli impegni già
sottoscritti, l’ILVA in un prossimo futuro dovrà essere accompagnata
in un percorso di decarbonizzazione degli stabilimenti che può
prevedere sia un alternanza tra altiforni e forni elettrici, sia una
soluzione più drastica indirizzata all’utilizzo del gas in alternativa
al carbon coke. Soluzioni condizionate dal costo economico poco
competitivo dell’energia. “Intanto — aggiunge       Marco Bentivogli,
segretario della Fim-Cisl — si riprenda in considerazione il progetto
Meros deliberato a giugno, avviando subito il rifacimento con nuove
tecnologie dell’altoforno 5″ che è il più grosso d’ Europa ed
attualmente spento da tempo.

A Taranto il clima in realtà è ancor più in ebollizione di
ventiquattr’ore fa per le società fornitrici dell’indotto, che sono
sono sul piede di guerra permanendo in presidio per il sesto giorno
consecutivo davanti alle portinerie della fabbrica. Le assicurazioni
sui pagamenti promesse fatte in prima persona dall’ad Lucia Morselli
non sono state mantenute: gli attesi bonifici di pagamento per saldare
le decine di milioni di crediti vantati dalle imprese appaltatrici
restano parole al vento nonostante le varie spiegazioni tecnico-
organizzative fornite dai dirigenti della multinazionale, che ieri
sera ha fatto sapere di essere pronta a versare il 60% del dovuto.
La situazione è così esplosiva che Confindustria Taranto ha convocato,
alle 11.30 di oggi, un incontro con la stampa per illustrare lo stato
delle cose. “Nessun pagamento è avvenuto fatta salva una mezza dozzina
di aziende preposte alla manutenzione degli impianti e la platea degli
autotrasportatori, ristorati nella misura del 70 per cento del
fatturato. Sono sconcertato dall’atteggiamento della multinazionale
che solo tre giorni fa aveva assicurato, dati alla mano, che avrebbe
disposto i bonifici per una buona metà della platea dell’indotto, dopo
aver assicurato i pagamenti dell’autotrasporto. La promessa si è
rivelata in tutta la sua infondatezza” ha spiegato Antonio Marinaro,
presidente degli industriali tarantini,

Italia Viva presente un emendamento
per rimettere lo scudo penale
sull'ex Ilva

                                         ROMA – La vicenda dell’ ex-
ILVA si prende la scena sul palcoscenico nell’ambito del percorso
parlamentare del decreto fiscale, con la presentazione degli
emendamenti dei “renziani” di Italia Viva che nella Commissione
Finanze della Camera dei Deputati, hanno introdotto e presentato un
doppio emendamento nell’ambito della conversione del decreto: la
proposta ha di fatto l’effetto di ripristinare lo scudo penale per
ArcelorMittal, quello che metteva al riparo i commissario dell’
amministrazione straordinaria statale ed i manager dai processi per
quel che concerne l’attività di esecuzione del piano ambientale
dell’acciaieria tarantina.

Una protezione al momento abrogata dal M5S (con voti anche del Pd e di
LeU) dopo una serie di cambi d’idee, motivo per cui la multinazionale
franco-indiana aveva annunciato e confermato la decisione di
abbandonare Taranto e l’ Italia, dove erano presti 4 miliardi e mezzo
di investimenti, chiedendo al tribunale di Milano di annullare il
contratto successivo alla gara internazionale, grazie alla quale si
era aggiudicata l’acciaieria.

Gli emendamenti sul caso-Ilva di Italia Viva sono due: uno valido per
il caso di “specie” dello stabilimento di Taranto, ed uno in via
generale per le imprese eventualmente impegnate nel contesto di un
processo produttivo per realizzare un’opera di bonifica ambientale.

Nel pacchetto di modifiche presentate dai “renziani” vi sono delle
misure correttive relative all’articolo 4 (quella limita una ulteriore
burocrazia alle imprese, assolutamente non necessaria ), una per
l’articolo   39 (quello sui reati tributari), l’accelerazione dei
fabbisogni standard per i comuni, il sostegno al settore agricolo, le
semplificazioni fiscali, il blocco delle aliquote locali. Le proposte
di Italia Viva sono 58 in tutto: la grande maggioranza di esse si
concentra proprio sul fronte dei reati tributari.

I Cinque stelle sono sul piede di guerra e la presidente della
Commissione Finanze, la “grillina” Carla Ruocco, sembrava intenzionata
a dichiararlo inammissibile. Il guanto di sfida resta però sul tavolo
e dagli uomini del Pd – visto il clima – sono partiti degli sms in
direzione Movimento5 Stelle per far sapere e rassicurarli che
l’emendamento da loro non verrà preso in considerazione.

Gli emendamenti targati Partito democratico sono ancora più numerosi
: ne hanno presentati 200 con l’impegno a scremare a circa 140 le
proprie proposte di modifica su cui concentrare l’esame . Da quanto si
apprende dall’interno della Commissione, però non è stato presentato
dal Pd alcun emendamento per reintrodurre lo scudo penale per
ArcelorMittal nella realizzazione del piano per l’ex Ilva. Il Pd
inizialmente nel recente passato si era manifestato pubblicamente
pronto ad attivarsi per la via parlamentare sul tema, possibilmente
con una norma valida per tutti i casi e non “ad hoc” su Taranto.
Oggi pomeriggio il premier Conte dovrebbe nuovamente incontrare a
Palazzo Chigi i vertici di Arcelor Mittal per tentare di riaprire la
trattativa sull’Ilva di Taranto. Sempre che dopo l’incontro con i
Mittal ci sia ancora qualcosa di cui discutere, Conte, avrebbe
pianificato anche di incontrare tutti i deputati e senatori grillini
del territorio, e quelli capitanati dalla senatrice Barbara Lezzi, che
di scudo penale non vogliono sentir parlare e potrebbero far mancare
la maggioranza al Governo. Ed a questo punto, qualora venisse posta la
fiducia, anche il governo giallorosso, come quello gialloverde
entrerebbe a far parte drl libro dei brutti ricordi.

Ex-ILVA: le proposte del premier
Conte per riaprire la trattativa
con il gruppo Arcelor Mittal
ROMA – Partendo dalla consapevolezza molto chiara che la controparte e
cioè il gruppo Arcelor Mittal, è lontana dal tavolo, per aprire una
trattativa basata sul dialogo è necessario farla ritornare seduta, e
le proposte vanno rivelate sul tavolo perché in una trattativa è
fondamentale sondare gli umori e le decisioni della controparte in
tempo reale.
Conte commentando la sua
presenza a Taranto ha detto: “Dobbiamo lavorare con tutto il sistema
Italia, io non sono un venditore di fumo, non sono un superuomo, se
avevo una soluzione in tasca l’avrei già portata. Qui c’è una tragedia
ambientale e sociale e questa comunità, e da qui dobbiamo ripartire,
dobbiamo offrire un’occasione di riscatto e dobbiamo risolvere la
situazione con una cabina di regia 24 ore su 24 per garantire tutti i
diritti che sono in gioco, con tutto il sistema Italia, non solo con
il governo. “.

Solo queste le dinamiche e valutazioni che spingono il lavoro del
governo in queste ore     sul futuro dell’ex Ilva di Taranto. Fra i
propositi di Palazzo Chigi , che sollecitato dal Quirinale, ha preso
in mano la situazione esautorando di fatto il Ministero dello Sviluppo
Economico dove aleggiano ancora le scorie e lo staff di Di Maio,
quello di stendere una bozza di proposta di accordo da sottoporre ad
ArcelorMittal nell’arduo tentativo di riaprire la trattativa che per i
franco-indiani sembra essersi già conclusa.

Queste sarebbero le proposte del Governo da presentare ai Mittal: la
riduzione degli esuberi, un maxi-sconto sul prezzo dell’affitto
dell’azienda e sull’acquisto finale dello stabilimento, ed una nuova
forma di scudo penale, sulla quale in Parlamento potrebbe essere posta
addirittura la fiducia. La proposta di Palazzo Chigi si baserebbe su
due punti: il primo, che la trattativa con chi è già andato via è la
strada obbligata, ed il secondo che riguarda uno dei temi più caldi, e
cioè gli esuberi richiesti, non può essere ininfluente.          Viene
valutata anche la possibilità di un intervento finanziario dello Stato
“a tempo” attraverso la Cassa Depositi e Prestiti dello Stato o in
altre modalità , con una quota di minoranza.
Ma questa è solo una bozza della proposta allo studio, in quanto le
visioni discordanti interne al Governo non permettono di arrivare
ancora a una proposta compiuta. Basti pensare che il sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio, il commercialista Mario Turco, eletto
senatore del M5S a Taranto, ha sempre sostenuto la chiusura dell’
ILVA. a chiari fini elettorali. E tutto ciò peraltro in pieno
conflitto d’interesse, ricoprendo contestualmente al suo incarico
politico delle cariche sociali in aziende tarantine che lavorano in
appalto per Arcelor Mittal, oltre che a prestare consulenze per la
Procura della repubblica di Taranto !

Ma ancor prima di provare ad avviare la trattativa con Arcelor Mittal,
il Governo deve innanzitutto riuscire a trovare una quadra nella
trattativa interna, con l’ex steward dello Stadio San Paolo di
Napoli, ora leader del M5S Luigi Di Maio, giorno dopo giorno cerca
in tutti i modi di contrastare e delegittimare l’importanza del
ripristino dell’immunità per i manager dell’azienda, usando sempre
toni durissimi, probabilmente nel tentativo di far dimenticare
all’opinione pubblica di essere stato proprio lui ad accendere la
miccia della “bomba” sociale che aleggia dietro la “questione” Ilva-
Arcelor Mittal.
“ArcelorMittal ci ha detto che licenzia cinquemila dipendenti anche
con lo scudo penale” dice Di Maio ” quindi questo tema è un
distrattore di masse. Ora non esiste che un’impresa che sbaglia i
conti fa pagare le cambiali, che ha firmato, allo Stato. Se le paga
lei e deve rispettare i patti” dimenticando di essere stato proprio
lui il primo a violare il contratto controfirmato con Arcelor Mittal.
Il Pd, a sua volta, invece vuole un accelerazione in senso contrario a
quella del M5S. Il problema dello scudo penale è fondamentale nel
ventaglio di proposte da offrire alla multinazionale franco-indiana,
leader mondiale nella produzione dell’acciaio.

La soluzione si baserebbe su una misura valida per tutte le aziende,
basandosi sul fondamento per il quale chi è impegnato in un piano di
risanamento ambientale non è perseguibile penalmente. Una sorta di
scudo penale “leggero”, che però ha già registrato e continua a
registrare la contrarietà delle fronde grilline composte dagli
scontenti ed esuli della compagine governativa del Governo Conte 1
come ad esempio la senatrice salentina Barbara Lezzi (quella che
faceva i bonifici sui rimborsi e poi li annullava…) . E questo è uno
dei principali problemi che al momento rende impraticabile la
presentazione di una proposta di accordo consolidata e sicura.
La conferma che la proposta di Palazzo Chigi è ancora in una fase di
preparazione molto complicata la fornisce la mancata agenda. La
famiglia Mittal infatti al momento in cui scriviamo (sabato sera) non
ha ricevuto alcuna convocazione per un nuovo incontro. Fonti vicine
alla vicenda raccontano che un nuovo vertice a Palazzo Chigi è “molto
probabile” nei primi giorni della prossima settimana. Un lasso di
tempo necessario al premier Conte, per potersi presentare al tavolo
della trattativa con una proposta certa e sopratutto politicamente
solida.
Lo scudo penale però
non è il solo problema che necessita di una condivisione comune dentro
il governo. C’è anche lo scottante tema degli esuberi. Mittal ne
avrebbe chiesti 5.000, mentre il Governo intende chiederne la metà. I
numeri sono al momento “ballerini” in quanto secondo il M5S meno
indolore sarà la decisione finale ed altrettanto inferiore sarà il
contraccolpo in termini di consenso elettorale (in Puglia si vota per
le regionali a giugno 2020) .

Al momento internamente al Governo si sarebbe arrivati un accordo di
massima, da proporre ai Mittal, e cioè arrivare al massimo a 2.500
esuberi che si vorrebbero peraltro addolcire attraverso la cassa
integrazione che garantirebbe la tutela dei posti di lavoro,
auspicando che nel giro di uno, massimo due anni, una volta risanata
lo stabilimento siderurgico ed aumentata la capacità produttiva, e
sopratutto che il mercato dell’acciaio registri un trend di aumento
della produzione a tal punto da poter riassorbire a pieno titolo i
lavoratori interessati dalla cassa integrazione.
Una proposta che ha lo scopo di ottenere da Arcelor Mittal il ritiro
dell’azione civile presentata dinnanzi al Tribunale di Milano e di
tutte le procedure relative al disimpegno , già avviate per la
restituzione degli stabilimenti di Taranto e Nervi all’ ILVA in
amministrazione straordinaria.

                                           Chiaramente ogni proposta
in una trattativa, contiene una parte funzionale ad accontentare la
controparte – e di questo il premier Conte è ben consapevole –
sopratutto dopo che mercoledì scorso il Ceo e il Cfo di Arcelor
Mittal hanno lasciato l’ incontro di Palazzo Chigi, dicendo che la
loro decisione sarebbe rimasta tale a meno di significativi
cambiamenti, e quindi    convincere una controparte che      già sta
iniziando ad abbandonare Taranto, a seguito di una propria decisione
supportata anche dal consenso ottenuto dai mercati finanziari
mondiali, comporta qualche concessione “pesante” ed importante.
Come dicevamo, sulla base di fonti attendibili bene informate, il
Governo Conte starebbe valutando di proporre anche un maxi-sconto sul
prezzo di affitto che Arcelor Mittal deve pagare per l’affitto
dell’azienda ex-Ilva,    per passare poi all’acquisizione definitiva
prevista a fine 2020. Arcelor Mittal si era aggiudicata una gara
pubblica internazionale a cui aveva partecipato, che vedeva un solo
concorrente, e cioè “Acciai Italia“, la cordata guidata dagli indiani
Jindal che avevano avanzato una proposta da 1,8 miliardi molto più
bassa di quella di Mittal . Il maxi-sconto del Governo potrebbe essere
di ridurre per circa la metà, per un totale di 180 milioni di euro la
quota l’affitto, così come si è disponibili trattare anche sul prezzo
finale di vendita, e questo sarebbe la proposta di Conte per
trattenere il gruppo franco-indiano in Italia.

Ma Conte sa molto bene che sul tavolo di una trattativa ciò che conta
realmente sono solo le proposte che hanno una consistenza, e quindi
per presentarle deve prima riuscire a chiudere la trattativa interna,
quella più difficile, interna al M5S dove le competenze tecniche ed il
senso dello Stato notoriamente latitano.

Arcelor Mittal allo scontro con il
governo
ROMA – La missiva è arrivata in mattinata e in forma riservata a
Palazzo Chigi . Mittente, ArcelorMittal: caro governo, entro trenta
giorni ce ne andiamo da Taranto e vi restituiamo l’impianto dell’ex
Ilva. L’irritazione del colosso dell’acciaio era nota da tempo dopo lo
stop allo scudo penale e per i provvedimenti della magistratura ,
pochi credevano ad una decisione dura e problematica per il Governo.
Il premier Giuseppe Conte rimane letteralmente spiazzato, prende il
telefono e convoca per metà pomeriggio un vertice di emergenza . Alle
17.30 sfilano davanti all’ingresso di Palazzo Chigi         i ministri
coinvolti nel dossier: Patuanelli, Provenzano, Costa, Catalfo e
Speranza. La tensione nei volti è massima, ed esprime molto bene una
evidente rabbia malcelata. Intorno alla scrivania del premier viene
organizzata una strategia: convocare i vertici dell’azienda.

Fonti di Palazzo Chigi rivelano la volontà del Governo di riaprire
una trattativa. In realtà vogliono capire se Arcelor Mittal fa sul
serio, se l’origine dello scontro è realmente lo scudo o si vogliono
ottenere dei nuovi esuberi. Il vertice con Conte era preceduto da una
riunione in mattinata, durata circa due ore, tra i ministri al
dicastero dello Sviluppo economico.“Il governo non consentirà la
chiusura dell’Ilva, non esistono i presupposti giuridici per il
recesso del contratto”, è quello che viene fatto filtrare dal Governo.

Se ArcelorMittal dice che può lasciare Taranto appellandosi al
contratto di affitto in vigore, dopo lo stop allo scudo, voluto
fortemente dal Movimento 5 Stelle, ma votato in aula anche da Italia
Viva e dal Pd , secondo i ministri del Governo Conte sostengono che
non è possibile, e quindi un’ipotesi della strategia governativa viene
preparato e portato nel pomeriggio sulla scrivania del premier. Conte
è d’accordo, e quando arriveranno mercoledì mattina a Palazzo Chigi ,
i vertici dell’azienda, sosterrà che nel contratto non c’è una norma
che consente loro di fare le valigie dall’ Italia.
Piccolo particolare è che la barriera legale preparata dall’avvocato-
premier Conte non è sufficiente. Sono diverse settimane che gli
avvocati di Arcelor Mittal studiano la fondatezza giuridica di un
ricorso ben sapendo che una battaglia legale potrebbe avere tempi
lunghi, e tirano in ballo la magistratura tarantina. In Parlamento
Matteo Salvini minaccia di bloccare i lavori e le opposizioni
insorgono con una raffica di dichiarazioni contro l’esecutivo. In
ballo ci sono circa 20mila lavoratori (compresi quelli dell’indotto-
appalto) e un pezzo di industria che vale l′1,6% del Pil, tra l’altro
in un Sud che proprio oggi lo Svimez ha descritto come un deserto. Se
l’ex Ilva chiude si “bruciano” 24 miliardi.
Il premier Conte si consulta
con i ministri a palazzo Chigi e tira fuori dal cilindro una soluzione
( o meglio un tentativo…) per stanare ArcelorMittal attraverso la
proposta di uno scudo penale soft. A quel punto – è il ragionamento –
si capirà se l’azienda sta bluffando o in realtà vuole lasciare
Taranto perché non è in grado di sostenere una produzione di
6mila-8mila tonnellate l’anno come indicato nel piano industriale. O,
se ancora, vuole alzare il prezzo della partita, rimanendo sì a
Taranto ma con 4-5mila lavoratori in meno.

Conte proporrà una norma di legge che reca un principio semplice: per
il tempo necessario ad attuare il piano ambientale, l’azienda in
questione non sarà punibile per responsabilità precedenti. Il senso è
quello dello scudo cancellato in Parlamento. Quanto questo scudo sarà
“soft” o meno, il Governo lo deciderà dopo aver parlato mercoledì con
Lucia Morselli, presidente ed amministratore delegato di Arcelor
Mittal Italia.

Il Pd è con Conte, mentre i grillini, invece, non vogliono dietro-
front sull’immunità. sostenendo che il decreto salva-imprese – dove lo
scudo è stato cancellato “lo hanno votato Renzi e il Pd”. La
questione è ancora più complessa per il Governo Conte bis, perché a
volere l’abolizione dell’immunità è stata la fronda degli oltranzisti
che rispondono al nome di Barbara Lezzi e Gianluigi Paragone. ai quali
i parlamentari vicini a Luigi Di Maio rinfacciano di aver trascinato
l’intero Movimento sulla posizione assunta in Parlamento, con
l’obiettivo di andare contro il loro “capo” politico.

Oltre alle dovute verifiche politiche della tenuta politica
sull’espediente che il Governo ha pensato per stanare Arcelor Mittal,
il vero quesito resta quello di capire e verificare se e come ARCELOR
MITTAL può restare a Taranto. Verificare se vi sono i margini per una
trattativa che coinvolga anche          degli esuberi causati dal
ridimensionamento degli obiettivi della produzione di acciaio. La
strategia al momento è questa. Poi ci sono due piani di emergenza nel
caso la multinazionale franco-indiana , leader mondiale nella
produzione di acciaio, decidesse di non tornare indietro alla propria
decisione. Un’ipotesi alternativa sarebbe quella di chiamare a Taranto
il secondo classificato della gara per l’ex Ilva cioè il concorrente
indiano Jindal. Un’ultima ipotesi, la più difficile da attuare,
sarebbe quello di “statalizzare” l’Ilva,   attraverso la Jindal.

Il padre di Luigi Di Maio ha
dichiarato nel 2017 un reddito
imponibile di 88 euro: ma come
sopravvive...?
Antonio Di Maio

ROMA – Dopo la trasmissione “Le Iene” che ha acceso i riflettori su
Antonio Di Maio, padre del leader politico del Movimento 5 Stelle,
rendendo noto che quando gestiva l’impresa edile di famiglia, la
Ardima Srl c’erano degli operai che prestavano lavoro tra il 2009 e
il 2010 senza un regolare contratto di lavoro, rigorosamente tutto in
evasione fiscale, l’attenzione si è trasferita anche sui redditi dei
parenti stretti del vicepremier pentastellato: oltre al padre, sua
madre Paolina Esposito docente scolastica, il fratello Giuseppe e la
sorella Rosalba.

Il padre di Di Maio dichiara redditi per 88 euro. Le ultime
informazioni aggiornate, che chiunque può verificare e consultare
direttamente nella sezione “amministrazione trasparente” del sito di
Palazzo Chigi. Il modello “Persone fisiche 2018″ (relativo quindi ai
redditi 2017) di Antonio Di Maio segnala un imponibile di appena 88
euro. Un valore a dir poco imbarazzante, sopratutto se si considera
che il padre di Luigi Di Maio risulta essere comproprietario di
quattro fabbricati e nove terreni. Sua moglie invece dichiara intorno
ai 52.403 euro; la sorella di Di Maio Rosalba sta sui sette mila.
Mentre suo fratello Giuseppe nel 2017 non ha percepito redditi
(chissà… avrà chiesto il reddito di cittadinanza ?)

Quanto alla dichiarazione dell’ attuale ministro degli Esteri,      la
Certificazione Unica 2018 di Luigi Di Maio segnala un reddito di oltre
98mila e 400 euro. I documenti consultabili online consentono anche di
capire qual è il rapporto tra il leader pentastellato e l’azienda di
famiglia. Dall’”Attestazione situazione patrimoniale 2018”, modello C,
alla voce “Azioni e quote di partecipazioni in società”, risulta che
Luigi Di Maio detiene, ad oggi, il 50% della Ardima srl . L’altro 50%
delle quote societarie della società è nelle mani di sua sorella
Rosalba . Amministratore unico della società di famiglia: l’altro
fratello del vicepremier, Giuseppe. Il padre di Di Maio ad oggi non ha
alcun legame con la srl, la cui attività viene quindi seguita dai
figli, soprattutto Rosalba e Giuseppe.
La Ardima Srl società dalla famiglia Di Maio , come già detto è di
proprietà al 50% di Luigi, capo politico del M5s,     che ha più volte
dichiarato di non ricoprire alcun ruolo nell’azienda, da fatto gestita
dalla sorella Rosalba che invece come architetto “è la persona che
ogni giorno si occupa dell’azienda” (parole dello stesso leader M5s in
un suo post su Facebook del 2 febbraio 2015). La sorella Rosalba Di
Maio denuncia redditi per 11.530 euro: una cifra decisamente ridotta
per chi è “amministratrice di fatto” di un’impresa edile.
“Amministratrice di fatto”, perche amministratore unico dealla
società, e quindi responsabile di fronte alla legge, è il terzo
fratello Di Maio, il giovane Giuseppe, il quale però dichiara
addirittura “zero” euro di reddito.

Imbarazzante per un amministratore di azienda. Ma in linea con le
dichiarazioni dei redditi di suo fratello Luigi Di Maio prima del suo
ingresso in Parlamento. Una domanda ci viene spontanea: ma la famiglia
Di Maio come viveva e si mantiene ai nostri giorni ?

L'ira del premier Conte contro
Luigi Di Maio
ROMA – Una cosa è certa per Palazzo Chigi: la manovra non si cambia,
anche se sono possibili delle verifiche ed eventuali aggiustamenti
tecnici , ma quelli che Giuseppe Conte definisce i “pilastri” della
manovra non possono tornare in discussione ancora una volta, in quanto
significherebbe dover ammettere che quanto il Governo ha inviato
martedì notte a Bruxelles non avrebbe alcun valore concreto . Ipotesi
che comporterebbe una conseguente caduta di credibilità e non soltanto
a Bruxelles. Ed è per questo motivo che l’ ennesima “sparata” del M5S
di ieri ha ricordato, la scena della notte del balcone dello scorso
anno che è già costata molto al Paese in termini di credibilità.

                                           Cerchiamo di ricostruire
con ordine la situazione. La dura nota     pubblicata dal Blog delle
Stelle ieri pomeriggio, contro la manovra di bilancio di Palazzo Chigi
e del Ministero dell’ Economia e Finanze ha fatto sobbalzare Conte
dalla sua poltrona, al suo rientro a Roma dopo aver partecipato al
Consiglio dell’ Unione Europa. Nel programma di lavoro del premier
era previsto tutt’altro tutt’altro e il presidente Conte in conferenza
stampa aveva appena chiarito di non aver avuto occasione di parlare
anche della legge di bilancio inviata alla Commissione Europea quattro
giorni prima. Quindi la partenza di ritorno a Roma, durante la quale è
uscita la pesante nota del M5S successiva al vertice avuto da Luigi Di
Maio con i suoi adepti.

                                           Quando    Conte   atterra
all’aeroporto di Ciampino è fuori di se per l’ira, e mentre la sua
auto correva dall’aeroporto a Palazzo Chigi ha avuto una dura
telefonata con il ministro degli esteri Di Maio . Immediata la
“puntuale”retromarcia del leader pro-tempore del M5S che esce poco
sulle agenzie spacciata sotto forma di “fonti’ . Nello stesso momento
il Pd entra in fibrillazione ed il segretario Nicola Zingaretti che si
dice “basito per tanta irresponsabilità visto che la manovra è a
Bruxelles dove la stanno esaminando”.

L’ira del Premier è tutta qui: infatti è sempre possibile correggere o
modificare in Parlamento qualche passaggio della legge di Bilancio, ma
arrivare addirittura a chiedere un nuovo vertice di maggioranza, un
nuovo Consiglio dei Ministri, contestando persino i provvedimenti
adottati ed immaginando con la fantasia grillina delle nuove coperture
alla manovra finanziaria , significa che “il primo partito del Paese”
nonché la forza più rilevante della maggioranza giallorossa come auto-
rivendicato nella nota del M5S , dimentica o non si è accorto di non
esserlo più dopo l’ultimo voto per le recenti Elezioni Europee, ed
equivarrebbe a confessare impunemente di aver inviato alla Commissione
Europea ed agli investitori che finanziano il debito pubblico del
paese, soltanto dei fogli di carta privi di alcuna credibilità.
E tutto ciò senza valutare che i numeri sono già “border line”. Il
governo giallorosso, infatti, era riuscito a strappare 14 miliardi di
flessibilità a Bruxelles, ma il deficit al 2,2% non ha ottenuto il
compiacimento dei paesi del Nord Europa. Peraltro lo slittamento
dell’entrata in esercizio della Commissione guidata dalla Von der
Leyen, al momento lascia ogni valutazione e decisioni ancora nell mani
della “trimurti” (per il nostro Paese) Juncker–Dombrovskis–Moscovici.
Proprio ieri, da Washington, Moscovici ha chiarito che la Commissione
sta analizzando la manovra italiana “cercando di capire se i conti
tornano e se il leggero deterioramento dei saldi può essere spiegato
ragionevolmente”. Von der Leyen a sua volta è andato giù duramente
anticipando che Bruxelles chiederà chiarimenti scritti al Governo
Italiano.

Conte zittisce ancora una volta M5S difendendo la manovra, difendendo
il lavoro sinora fatto ma soprattutto la credibilità dell’ intero
governo e sopratutto del Paese a Bruxelles e sui mercati finanziari.
Ed è stato proprio per questo motivo che nella conferenza stampa
conclusiva del vertice europeo, il Premier     si era intrattenuto a
lungo sull’impianto delle misure adottate dichiarando che “Quota100 è
un pilastro della manovra“, e che la lotta all’evasione è la struttura
portante che di fatto regge e caratterizza il Governo Conte2 e che non
caso, nella stessa legge di Bilancio viene indicata con un posta
considerevole . Mettere in discussione l’architrave della manovra , o
ancora peggio dare ancora per non chiusa la manovra significa
provocare la Commissione che entro il corrente mese potrebbe bocciare
i numeri ricevuti chiedendone di nuovi più affidabili e solidi
politicamente.
Per il Presidente Conte rivedere il tetto ai contanti ed i meccanismi
incentivanti l’uso della moneta elettronica, significherebbe non
soltanto aprire un buco di bilancio e contestualmente mettere in
allarme Bruxelles, ma bloccare l’unica fonte produttiva di risorse
sulla quale il Governo giallorosso punta per cercare di abbassare
l’Irpef nel 2020. Il ragionamento di Conte ai leader dei due
principali partiti dell’alleanza ricordando che “l’evasione fiscale è
stimata in più di cento miliardi” , si basa sul tentativo-speranza di
riuscire a recuperar almeno una percentuale di evasione agendo con
incentivi e non soltanto con le sanzioni.

Nel tentativo di ridimensionare la “sparata” suicida del M5S ieri sera
è intervenuto il ministro dell’ economia Gualtieri     dichiarando che
la tensione nel governo e nella maggioranza è normale quando si
discute la legge di Bilancio. “Tanto più – ha aggiunto anche Conte –
se si discute di misure per contrastare l’evasione fiscale”. Tanto più
se il leader del partito più “pesante” all’interno della nuova
maggioranza giallorossa, fa fatica e non riesce a mantenere il
Movimento su un’unica linea politica, obbligando il “garante” cioè il
comico Beppe Grillo, ad esternare una delle sue solite folli proposte,
nel tentativo non solo di parlar d’altro ma sopratutto di distrarre
molti dei suoi portavoce “grillini” preoccupati in questo momento alla
spartizione delle poltrone e connessi introiti economici personali. E
meno male che il M5S diceva di non essere interessato alla
lottizzazione, alle poltrone…ma si sa che sopratutto l’appetito vien
mangiando.
Il Consiglio dei Ministri scioglie
il Comune di Cerignola

Palazzo Chigi

ROMA– “Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro
dell’interno Luciana Lamorgese, a seguito di accertati condizionamenti
da parte delle locali organizzazioni criminali, a norma dell’articolo
143 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, ha
deliberato lo scioglimento per diciotto mesi del Consiglio comunale di
Cerignola (Foggia) e il contestuale affidamento dell’amministrazione
dell’ente a una commissione di gestione straordinaria“. Lo si apprende
da un comunicato di Palazzo Chigi.

A luglio, il sindaco Franco Metta, mentre erano già noti gli
accertamenti ed i controlli effettuati dal Ministero dell’Interno
sulla sua amministrazione, durante un incontro con i lavoratori della
Mondoservice, cooperativa che gestiva il verde pubblico per conto
dell’amministrazione che era stata colpita da un’ interdittiva
antimafia del Prefetto di Foggia dr. Raffaele Grassi poliziotto di
primissimo livello, ex direttore dello S.C.O. il Servizio Centrale
Operativo della Polizia di Stato, aveva urlato in diretta Facebook:
“La devono finire di rompere i coglioni, noi non siamo mafiosi”.
 Adesso l’ex sindaco Metta dovrà spiegare cosa sa dell’improvviso
ritiro dell’altra ditta, che aveva regolarmente e legittimamente vinto
la gara.
Da quanto è stato possibile apprendere la situazione al Comune di
Cerignola era già da tempo assai compromessa che ha comportato lo
scioglimento. Non soltanto per come veniva gestiti affidamenti e
appalti pubblici in maniera illegale, ma anche per le ripetute
continue frequentazioni dirette degli amministratori comunali con noti
pluripregiudicati condannati anche per reati associativi.

                                    Nella relazione del Ministero
consegnata al Consiglio dei Ministri si parla apertamente di “assidui
rapporti tra il sindaco Franco Metta ( a lato nella foto ) ed
esponenti di rilievo della criminalità locale”. Il primo cittadino di
Cerignola sarebbe persino intervenuto in episodi di abusivismo per
invitare gli agenti della Polizia Locale a chiudere gli occhi in
favore di pregiudicati. Ed avrebbe “celebrato il matrimonio di un
pluripregiudicato per poi partecipare al ricevimento nuziale, alla
presenza di numerosi esponenti della criminalità, con reati anche di
tipo associativo, condividendo immagini sui social network”.

“Frequentazioni e cointeressenze tra amministratori comunali ed
esponenti della criminalità organizzata – si legge nella decisione
interdittiva– rappresentate dalla circostanza che il primo cittadino
(cioè Franco Metta) e un assessore hanno presenziato all’inaugurazione
di uno dei locali gestiti da componenti della famiglia criminale
egemone. Ad alcuni di questi gestori sono state rilasciate
autorizzazioni permanenti all’occupazione di suolo pubblico, in palese
contrasto con il regolamento comunale che prevede per tale tipo di
concessioni una durata massima di cinque anni”.

Secondo la relazione della DIA, la Direzione Investigativa Antimafia
al Parlamento, Cerignola è tra i paesi ritenuti “centrali” nella
geografia mafiosa foggiana, essendo la ‘base’ del clan Piarulli-
Ferraro, con testa da anni nel Milanese. La malavita cerignolana è da
sempre il terrore delle società di portavalori, in quanto in quasi
tutti i colpi milionari messi a segno contro mezzi blindati o caveau
in tutta Italia, partecipano sempre bande di cerignolani che operano
con modalità paramilitari, armati fino ai denti e senza paura di
sparare, anche 170 colpi come avvenne nel 2016 lungo la A12 in
provincia di Livorno, molto spesso concludono in pochi minuti le loro
rapine senza spargere sangue e portandosi a casa milioni di euro.

Nel settembre 2015 agirono poco più a nord, sempre lungo la A14.
All’altezza di Loreto misero nel mirino due furgoni della Fitist che
viaggiavano con 4,7 milioni di euro. In due minuti esatti bloccarono
un’arteria autostradale, misero in azione i “jammer” per isolare le
comunicazioni e dopo, aver speronato i portavalori, azionarono i
mitragliatori kalashnikov per spaventare le guardie giurate. Quindi
smantellarono i blindati e se ne andarono con le casseforti, coperti
dal fuoco di alcune vetture incendiate e dai loro passamontagna. Nulla
in confronto all’inferno di fiamme e proiettili scatenato da un’altra
banda di cerignolani esattamente un anno più tardi lungo la A12.
Cerignola diventa il terzo consiglio comunale in provincia di Foggia
ad essere sciolto per infiltrazioni mafiose. il comune foggiano, che
conta circa    60mila abitanti diventa così il terzo Comune della
provincia foggiana, il secondo nell’ultimo anno dopo Mattinata, ad
essere sciolto per le infiltrazioni ed i condizionamenti della
criminalità organizzata. Resta in piedi e da definire la stessa
procedura per il comune di Manfredonia, che a breve verrà portata dal
Ministero dell’ Interno all’esame del Consiglio dei Ministri.
Governo, Conte Bis. Il premier ed i
ministri hanno giurato al Quirinale
ROMA – Il Governo Conte bis ha giurato questa mattina alle 10 al
Quirinale nelle mani del presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella.”Forti di un programma che guarda al futuro dedicheremo con
questa squadra le nostri migliori energie, competenze, passione a
rendere l’Italia migliore nell’interesse di tutti i cittadini da Nord
a Sud“, aveva detto ieri al Colle il presidente del Consiglio,
Giuseppe Conte, dopo aver letto la lista dei ministri del nuovo
esecutivo giallo-rosso.

Per il Capo dello Stato questo governo può definirsi a tutti gli
effetti “politico”, frutto di un confronto tra Pd e M5S, che si sono
presi la responsabilità di scelta su ogni singolo nome indicato. I 50
minuti di colloquio nello studio alla Vetrata con premier incaricato
confermano che da parte di Mattarella non ci sono stati rilievi o
questioni sulla lista dei ministri presentata. Il tutto è racchiuso in
quella che non voleva essere una dichiarazione, ma solo un saluto: “In
base alle indicazioni di una maggioranza parlamentare, si è formato un
governo. La parola ora compete al Parlamento e al Governo” che dovrà
chiedere la fiducia.

      La diretta del giuramento dei ministri

              Le immagini del giuramento partono dal minuto 23:00

Oggi stesso dopo la cerimonia al Quirinale, il Governo si insedia a
Palazzo Chigi: Conte riceverà gli onori, parteciperà alla cerimonia
della campanella e poi presiederà il primo Consiglio dei ministri con
la comunicazione a Bruxelles del presidente “dem”: Paolo Gentiloni
sarà il commissario italiano in Europa. Il nuovo esecutivo lunedì
mattina dovrà presentarsi alla Camera per la fiducia e il giorno dopo,
martedì, al Senato.
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