Scoperta da John Bevis, astronomo amatore inglese, nel 1731 e riscoperta da Messier alcuni anni dopo è il primo oggetto del catalogo di Messier M ...
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Scoperta da John Bevis, astronomo amatore inglese, nel 1731 e riscoperta da Messier alcuni anni dopo (è il primo oggetto del catalogo di Messier M 1) La nebulosa del Granchio che si trova nella costellazione del Toro a 6523 a.l. da noi è il resto di una Supernova (di tipo II) esplosa nel 1054 d.C.
Nessuno in Europa si accorse della Supernova che secondo gli astronomi cinesi che registrarono l'evento il 4 luglio 1054 risultò molto più luminosa di Venere e rimase visibile alla luce solare per 23 giorni e ad occhio nudo di notte per 653 . Esistono indicazioni che sia stata notata dai Navajo (nativi americani dell' Arizona) e che sia rappresentata nel Chaco Canjon in Messico (il luogo dove la luce del sole disegna forme di pugnali sulla spirale) assieme alla cometa di Halley nella sua apparizione del 1066
Nessuno in Europa si accorse della Supernova che secondo gli astronomi cinesi che registrarono l'evento il 4 luglio 1054 risultò molto più luminosa di Venere e rimase visibile alla luce solare per 23 giorni e ad occhio nudo di notte per 653 . Esistono indicazioni che sia stata notata dai Navajo (nativi americani dell' Arizona) e che sia rappresentata nel Chaco Canjon in Messico (il luogo dove la luce del sole disegna forme di pugnali sulla spirale) assieme alla cometa di Halley nella sua apparizione del 1066
La cometa di Halley nell'arazzo di Bayeux. L'arazzo lungo 68 metri descrive la battaglia di Hastings del 1066 in cui Guglielmo il conquistatore, duca di Normandia, ebbe la meglio sul re anglosassone Aroldo. Oltre alla battaglia e alla rappresentazione della cometa, nell'arazzo si trovano immagini relative ad Supernovae in galassie lontane episodi antecedenti.
E per rimanere in tema con la cometa di Halley, nel 1979 la studiosa americana di arte Roberta Olson ha avanzato l'ipotesi che la cometa dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, sia proprio quella di Halley, passata nei nostri cieli nel 1301, poco prima che Giotto si accingesse a realizzare quello straordinario dipinto.
Tornando alle Supernovae come potete verificare sono ben visibili anche in galassie lontane (Sloan Digital Sky Survey, SDSS)
Plutarco (Cheronea 46/48, Delfi 125/127) biografo, scrittore, cittadino romano con incarichi amministrativi. Nell’ultima parte della sua vita fu sacerdote del tempio di Delfi. Studiò ad Atene dove risentì dell’influenza della filosofia di Platone. La sua opera più nota è Vite Parallele. Scrisse i Moralia (Ἐθικά) un’opera eterogenea erudita di carattere scientifico e morale.
Nei Moralia si trova Il Volto della Luna un dialogo che riporta le diverse teorie che cercavano di spiegare la ragione delle macchie nere in un corpo che sarebbe dovuto essere senza macchie. Il dialogo si concentra su cosa siano le macchie e come sia possibile che un corpo celeste presenti tali imperfezioni. La discussione fra I personaggi è garbata nessuno vuole prevaricare l'opinione dell'altro. Non ci sono personaggi superbi nè ipotesi considerate superiori. L'autore presenta attraverso i suoi personaggi diverse possibili spiegazioni. C' è chi afferma che la Luna è simile alla Terra e le sue montagne e depressioni danno origine alle ombre. Qualcuno arriva persino ad ipotizzare che la Luna possa essere abitata. Alla fine il lettore può scegliere l'ipotesi che preferisce. Da il Volto della Luna è peraltro ridicolo porsi il problema della stabilità degli abitanti della Luna se poi essi non hanno neppure di che nascere e sussistere. Gli Egizi e i Trogloditi, sul cui capo il sole al solstizio prima di ripartire posa allo zenit per un solo istante di un unico giorno, quasi vengono bruciati dalla secchezza dell'atmosfera: come può accadere che gli uomini della luna, col sole che ogni mese al plenilunio se ne sta fermo sulla loro verticale, sopportino ogni anno dodici estati?
I Trogloditi erano gli abitanti della Trogloditica una zona dell' Africa Orientale vicina al Mar Rosso. Anche Erodoto li cita. Il termine probabilmente deriva dal greco trogle (caverna) e dyein (entrare) e quindi significherebbe abitanti delle caverne. Lo stesso Plutarco nelle sua biografia di Marco Antonio dice che la regina Cleopatra VII parlava il troglodita. Dipinto di Stefano Buonsignori cartografo fiorentino (1579) Palazzo Vecchio Firenze
Un pò più giovane di Plutarco è Claudio Tolomeo (Pelusio 100 ca, Alessandria 175 ca), di cultura greca visse ad Alessandria al tempo degli imperatori Adriano e Antonino. L'Egitto all'epoca era una prefettura dell' impero romano Tolomeo dipinto da un autore anonimo
Tolomeo era astronomo, astrologo e geografo. La sua opera più nota e importante è l'Almagesto. In realtà questo nome (che significa il grandissimo) venne dato dagli arabi (al-Magisṭī) , il titolo originale in greco era il più semplice Trattato di Matematica (“Mathematikè sýntaxis”) e fu tradotto in Almagestum (da cui Almagesto) quando Gherardo da Cremona (cfr. slide sul Medioevo) tradusse l’opera (ed il titolo!) dall’arabo al latino. Nell' Almagesto Tolomeo raccolse tutte le conoscenze astronomiche pre esistenti nel mondo greco, molte delle quali attribuibili ed attribuite dallo stesso Tolomeo ad Ipparco. L'Almagesto contiene infatti anche un catalogo di un migliaio di stelle (per realizzare il quale Tolomeo si basò sul catalogo di Ipparco disposte in 48 costellazioni (che per motivi evidenti non coprono l'intera volta celeste) comprensivo di coordinate (longitudine e latitudine rispetto all'eclittica) e magnitudini (apparenti) di ciascuna.. Le classi di luminosità sono rappresentate in accordo con Ipparco con valori da 1 a 6. Sei stelle vengono definite da Tolomeo giallastre (hypokirros) si tratta di Aldebaran, Betelgeuse, Arturo, Antares, Polluce e Sirio (!!). Il fatto che Sirio sia inclusa nel gruppo ha fatto pensare che la stella potesse aver cambiato colore nel tempo (evento impossibile dal punto di vista astrofisico....)
Un articolo pubblicato su Nuova Orione nel febbraio 2017 dall’ archeoastronomo Mario Codebò e intitolato Il Colore di Sirio fornisce una chiave di lettura differente: Sirio un tempo era rossa, o bianca com'è oggi? Questa domanda è stata provocata da uno strano aggettivo – υποκιρρος (υποκίρρος o υποκιρρός, a seconda del dialetto greco) – usato da Tolomeo sia nell'Almagesto che nel Tetrabiblos. Gli autori latini poi parlavano di rubra canicula, con ciò riferendosi però più probabilmente a Procione, come dimostrò efficacemente Schiaparelli nel suo celebre articolo omonimo del 1896. Resta l'equivoca testimonianza di Tolomeo che ha indotto gli astronomi moderni a pensare che circa duemila anni fa Sirio B (*) fosse una supergigante rossa. Ma se si analizza bene sia l'aggettivo che il contesto in cui esso viene usato dall'astronomo alessandrino, si notano subito delle incongruenze. (*) Sirio ha una compagna (Sirio B) molto più debole e visibile solo al telescopio.
Υποκιρρος è formato da υπό = ipo, sub, e da κιρρος (κίρρος o κιρρός) = giallo (da cui, in italiano, "cirrosi"). Significa quindi "subgiallo", cioè: meno che giallo, biancastro (in pieno accordo col colore attuale di Sirio). Ancora più strano è che, nell'Almagesto, Tolomeo lo attribuisca a sei stelle, molto brillanti ma ben diverse tra loro, e che di tutte le altre 1016 da lui citate non dia nessuna indicazione sul colore: Aldebaran (arancione di classe K5), Antares (rossa di classe M1), Betelgeuse (rossa di classe M2), Arturo (arancione di classe K1), Polluce (gialla di classe K0), Sirio (bianca di classe A1). Nel Tetrabiblos invece definisce υποκιρρος solo Aldebaran, Antares ed Arturo. Insomma: questo strano aggettivo appare proprio fuori luogo e avvalora l'ipotesi di Schiaparelli che un anonimo copista abbia operato delle sostituzioni ai manoscritti originali. L'astronomo di Savigliano cita inoltre altre fonti (Giulio Igino; l'anonimo scoliaste che ha commentato la versione latina di Germanico Cesare dei "Phaenomena" di Arato; Manilio; Efestione Tebano; Rufo Festo Avieno) secondo le quali Sirio era bianco-cerulea come oggi. A tutte queste testimonianze se ne può oggi aggiungere una – trovata dallo scrivente e presentata al Convegno SIA 2016 – citata nell'Avesta e risalente a I millennio a. C.: "bianca stella" dai "raggi immacolati" (Yašt Tīr 8, v. 2). Sirio, dunque, probabilmente fu sempre bianca.
Υποκιρρος è formato da υπό = ipo, sub, e da κιρρος (κίρρος o κιρρός) = giallo (da cui, in italiano, "cirrosi"). Significa quindi "subgiallo", cioè: meno che giallo, biancastro (in pieno accordo col colore attuale di Sirio). Ancora più strano è che, nell'Almagesto, Tolomeo lo attribuisca a sei stelle, molto brillanti ma ben diverse tra loro, e che di tutte le altre 1016 da lui citate non dia nessuna indicazione sul colore: Aldebaran (arancione di classe K5), Antares (rossa di classe M1), Betelgeuse (rossa di classe M2), Arturo (arancione di classe K1), Polluce (gialla di classe K0), Sirio (bianca di classe A1). Nel Tetrabiblos invece definisce υποκιρρος solo Aldebaran, Antares ed Arturo. Insomma: questo strano aggettivo appare proprio fuori luogo e avvalora l'ipotesi di Schiaparelli che un anonimo copista abbia operato delle sostituzioni ai manoscritti originali. L'astronomo di Savigliano cita inoltre altre fonti (Giulio Igino; l'anonimo scoliaste che ha commentato la versione latina di Germanico Cesare dei "Phaenomena" di Arato; Manilio; Efestione Tebano; Rufo Festo Avieno) secondo le quali Sirio era bianco-cerulea come oggi. A tutte queste testimonianze se ne può oggi aggiungere una – trovata dallo scrivente e presentata al Convegno SIA 2016 – citata nell'Avesta e risalente a I millennio a. C.: "bianca stella" dai "raggi immacolati" (Yašt Tīr 8, v. 2). Sirio, dunque, probabilmente fu sempre bianca.
Codebò cita l’Avesta (il fondamentale o il comandamento) è il titolo dei libri sacri dell' antico Iran appartenenti alla religione mazdeista che si ispira agli insegnamenti del profeta Zaratustra (o Zoroastro) l'opera è prevalentemente di carattere religioso ma contiene elementi di astronomia astrologia e cosmogonia Zoroastro in un particolare de La scuola di Atene di Raffaello
Codebò cita anche Sirio B. Sirio è in realtà Sirio A in quanto ha una compagna (Sirio B) che orbita attorno ad essa con una distanza fra le 8 e le 32 U.A, e un periodo di circa 50 anni. L'esistenza di Sirio B fu ipotizzata da Bessel nel 1844 in relazione alle disuniformità del moto di Sirio A . Nel 1862 Clark riuscì ad osservarla con un rifrattore da 18 pollici (Sirio B ha una magnitudine apparente pari a 8). Sirio A e B mostrano ulteriori irregolarità nel moto che fanno pensare all'esistenza di una terza stella che però ad ora non è stata osservata. .
Codebò cita anche Manilio (Marcus Manilius) che era un poeta e astrologo vissuto nel I secolo d.C. Manilio ci ha lasciato un poema didascalico in 5 libri gli Astronomica (scritto in latino) di cui solo il primo è dedicato all'astronomia (comprendente anche una descrizione del cosmo e ipotesi sulla sua origine) gli altri 4 sono invece a carattere astrologico. In riferimento a Sirio Manilio scrive che poiché è molto lontana getta raggi freddi dal suo volto blu e azzurro. Di fianco la vicinanza di Sirio e Procione su cui fonda l'ipotesi di Schiapparelli (menzionata da Codebò).
Esiste anche la possibilità (indicata dal vostro collega Alessandro dal Maso) che Tolomeo abbia semplicemente voluto indicare le 6 stelle più luminose del cielo, poiché i greci, specialmente nell’antichità, non erano soliti caratterizzare le stelle sulla base del loro colore. La parola xanthos utilizzata da Omero indicava sia il giallo delle chiome degli eroi sia la vampa rossastra del fuoco. Va detto, però, che Sirio è proprio bianca/azzurra mentre le altre 5 stelle sono tutte rossastre. Se consideriamo le stelle che abbiano luminosità (apparente) compresa tra quella di Sirio (la stella più luminosa del cielo e del gruppo di 6 stelle di Tolomeo) e di Polluce (che è la stella meno luminosa del gruppo di Tolomeo) e le ordiniamo per luminosità (apparente) decrescente troviamo: Sirio, Arturo, Vega, Rigel, Procione, Betelgeuse, Capella, Aldebaran, Spica, Antares, Polluce. Le stelle non incluse da Tolomeo sono bianco/azzurre (Vega Rigel e Spica) e giallastre (Procione e Capella). Perché quindi Tolomeo le avrebbe escluse?
Tolomeo scrisse anche altre opere di astronomia fra cui Ipotesi Planetarie in cui viene descritto un modello meccanico del sistema planetario, costituito da sfere materiali incastonate l'una nell'altra, che è totalmente assente nell’Almagesto. Un'opera molto importante è la geografia che contiene le coordinate (longitudine e latitudine) di 8000 località oltre a una discussione dei metodi utilizzati per realizzare la carta del “mondo abitato” dell'epoca. Per realizzare questo lavoro Tolomeo si servì dei resoconti di viaggi (frequenti e accurati entro I confini dell'impero romano) e del lavoro di un geografo precedente (Marino di Tiro) la cui esistenza avremmo ignorato se non fosse stato per Tolomeo. Quest'ultimo prende da Marino la convenzione di scegliere come meridiano di longitudine zero (meridiano fondamentale) quello passante per le Isole Canarie (forse perchè erano le terre note più a Ovest).
Il “mondo” di Tolomeo
Un’ altra opera scientifica di cui ci è giunta una versione (traduzione dall'arabo in latino) incompleta è l’ Ottica, Il trattato comprende, oltre a una sezione sulla riflessione, una trattazione dei fenomeni di rifrazione e in relazione a quest' ultima include, una tabella che fornisce gli angoli di rifrazione corrispondenti a vari angoli di incidenza per le coppie acqua-aria, aria-vetro e acqua-vetro. Tolomeo aveva osservato che l'angolo di rifrazione era minore dell'angolo di incidenza quando la luce passava da un mezzo rarefatto ad uno denso e che il contrario accadeva nel passaggio da un mezzo denso ad una rarefatto
Per quanto riguarda l'astrologia Tolomeo scrisse il Tetrábiblos (*) in cui forniva tavole “precise” della posizione dei pianeti, descriveva il carattere dei loro influssi e l'effetto della combinazione fra i pianeti e la loro posizione zodiacale, nonchè delle loro posizioni relative (congiunzione, opposizione, quadratura, trigono) e delle posizioni relative fra pianeti e levate eliache di alcuni astri. I movimenti che avvenivano nel cosmo riflettevano un disegno superiore nelle cui “mani” erano non solo gli uomini e le loro caratteristiche interiori o materiali (ricchezza, fortuna ecc) ma anche i paesi e i fenomeni atmosferici. La conoscenza dei moti degli astri aveva così un risvolto pratico che soddisfaceva il sogno dell'uomo di poter conoscere in anticipo gli eventi . (*) Τετράβιβλος in greco bizantino, ovvero quattro libri, titolo mantenuto nel latino medievale Opus quadripartitum. Il titolo originale però era estremamente più esplicito Τῶν ἀποτελεσματικῶν (Tôn apotelesmatikôn) ovvero Le previsioni astrologiche )
Il modello di universo di Tolomeo poneva la Terra ferma al centro con i pianeti che si muovevano attorno ad essa. Tolomeo utilizzò la tecnica di deferenti e epicicli (ereditata da Apollonio e da Ipparco) ma per calcolare le posizioni in modo preciso (abbastanza preciso) dovette utilizzare il punctum equans (l'equante) anch'esso introdotto da Apollonio e ripreso da Ipparco. La Terra non è esattamente al centro dell'orbita circolare ma si trova ad una certa distanza da esso. L'equante è il punto speculare della Terra rispetto al centro del cerchio (ad uguale distanza ma nella parte opposta). La velocità del pianeta non è uniforme rispetto alla Terra nè rispetto al centro della circonferenza ma rispetto all' equante.
Con questo “espediente” cinematico che contiene in sè un' approssimazione del fatto che le orbite di Terra e pianeti rispetto al sole sono delle ellissi (e non dei cerchi) e che quanto vediamo dalla Terra è una composizione del nostro moto e di quello dei pianeti, Tolomeo riusciva a riprodurre abbastanza bene le osservazioni ed era proprio questo il punto di forza del suo modello che permetteva non senza qualche difficoltà (di natura filosofica) di rinuciare al principio di uniformità del moto dei corpi celesti. C'era ovviamente qualche difficoltà : Il modello per la Luna (ereditato da Ipparco) funzionava discretamente solo quando Terra, Sole e Luna erano allineati. Per superare questa difficoltà Tolomeo introdusse un meccanismo che agiva sull'epiciclo della Luna spingendolo verso la Terra quando Luna Terra e Sole formavano un angolo retto. Il modello era cinematicamente corretto in relazione alle coordinate aspettate ma provocava una variazione della distanza fra Terra e Luna di quasi un fattore 2 (fra 33 e 64 raggi terrestri) una differenza che avrebbe dovuto provocare una variazione del diametro apparente pari a quasi 2 che non veniva assolutamente osservata.
Per riprodurre l'evidenza che Mercurio e Venere (i pianeti interni) fossero osservabili solo “in prossimita'” del Sole (alba e tramonto) Tolomeo introdusse un meccanismo ad hoc nel suo modello allineando i centri degli epicicli di Sole, Mercurio e Venere. Per quanto riguarda l'ordine dei pianeti (in funzione della distanza dalla Terra) Tolomeo stabilì sulla base della lunghezza del periodo di rivoluzione osservato che Saturno era quello più vicino alle stelle fisse (periodo di rivoluzione di circa 30 anni) poi veniva Giove (periodo orbitale di circa 12 anni) poi Marte (periodo orbitale di circa 2 anni) e il pianeta più vicino alla Terra era la Luna (periodo orbitale di circa 1 mese). Per quanto riguardava il Sole Venere e Mercurio che restavano sempre vicini fra loro era impossibile stabilire l'ordine in questo modo.
Tuttavia poichè era indubbia l'importanza (la predominanza) del Sole che appariva unico per aspetto rispetto ai pianeti. Tolomeo in accordo con le tradizioni precedenti decise di metterlo al centro facendolo circondare nel suo moto da 3 pianeti “esterni” (Saturno Giove e Marte) e 3 pianeti interni (Luna Mercurio e Venere). Una sorta di sovrano dei cieli che viaggia circondato dai suoi cortigiani che si dispongono simmetricamente ai suoi lati. La scelta di collocare Mercurio più vicino alla Luna fu fortuita (50% di probabilità di sbagliare). Collocati i pianeti in ordine di distanza Tolomeo ne diede i valori per le “altezze” - l'altezza massima della Luna era 64 raggi terrestri pertanto l'altezza minima di Mercurio doveva essere pari ad essa. Dal rapporto fra le dimensioni dell'epiciclo e del deferente di Mercurio Tolomeo stabilì l'altezza massima del pianeta che pose uguale all'altezza minima di Venere e così via fino a ricavare l'altezza massima di Saturno Con questo calcolo Tolomeo stabilì la dimensione dell' Universo 19865 raggi terrestri. Valore “ridicolo” ai nostri occhi ma enorme per l'epoca.
Si noti l'allineamento dei centri degli epicicli di Sole Mercurio e Venere
L'opera di Tolomeo rappresenta il punto di arrivo dell' astronomia dell'epoca: un lavoro imponente capace di predire in modo accettabile le posizioni dei pianeti (gli ultimi 5 libri dell'Almagesto oltre alla teoria che illustra i movimenti relativi di epicicli e deferenti contengono tabelle che permettono di calcolare la posizione dei pianeti) Le comete (in accordo con quanto stabilito da Aristotele non sono corpi celesti ma fenomeni locali, atmosferici li definiremmo oggi, interessante notare a proposito un'intuizione del filosofo Seneca che invece le definì corpi celesti (*). Aristotelica del resto è la costruzione del suo sistema con la Terra immobile al centro e I pianeti disposti su sfere attorno ad essa fino alla fine dell'universo sferico anch'esso. Tolomeo non rinuncia a polemizzare (senza neppure citarli) con chi asseriva che fosse la Terra a ruotare da Ovest a Est. (*) Questo argomento sarà trattato brevemente nella prossima lezione relativa all’ Astronomia di Roma
Tolomeo ha lasciato anche una descrizione accurata della Via Lattea che non sarà modificata per lungo tempo Una suggestiva visione della Via Lattea dalla Nuova Zelanda premio Astronomy Photographer 2013 (la luce a destra è artificiale)
La via Lattea era in greco Galaxias che significa latte o di latte. Il mito greco più famoso vuole che Zeus innamoratosi di Alcmena avesse assunto le sembianze del marito Anfitrione, che era in guerra, ed avuto con lei un rapporto da cui sarebbe nato Eracle (in realtà sarebbero nati 2 gemelli uno figlio di Zeus e l'altro figlio di Anfitrione). Zeus portò Eracle dalla moglie Era che stava dormendo affinchè il bambino bevendo il latte materno divenisse immortale, ma Era si svegliò ed accorgendosi che stava allattando un bambino non suo lo respinse. Il latte di Era schizzò in cielo formando la via Lattea. Via Lactea è il nome che I romani diedero alla galaxias. Anche i babilonesi avevano un mito (diverso da quello greco) sull'origine della via Lattea, mentre per gli egiziani essa era la controparte celeste del Nilo. Nel Somnium Scipionis di Cicerone (50 a.C ca) si afferma che nella Via Lattea trovano riposo tutti coloro che hanno operato per il bene dello stato.
Esiste un mito molto meno noto relativo all’origine della Via Lattea. Sarebbe stata Galatte, una semplice pastorella che, portata sull’Olimpo in virtù della sua enorme bontà d’animo e della sua devozione agli dei, per l’emozione avrebbe rovesciato in cielo il secchio di latte che portava sempre con sé . Intervenne allora Zeus con divina autorità: “Il tuo latte – disse solennemente alla vecchina sempre più confusa - sarà la più bella delle stelle, anzi si tramuterà in miliardi di stelle, che illumineranno il cielo come un bianco sentiero... Ordino che questa sia, da oggi in poi...LA VIA LATTEA!”. In realtà è molto probabile che questo mito sia successivo ( e risalga all’epoca romana, dinastia giulio-claudia) e che sia frutto di un rimaneggiamento dell’antico mito di Amaltea, la capra nutrice di Zeus che avrebbe sparso il proprio latte nel cielo. @Gianmarco Guaita
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