Scoperta da John Bevis, astronomo amatore inglese, nel 1731 e riscoperta da Messier alcuni anni dopo è il primo oggetto del catalogo di Messier M ...

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Scoperta da John Bevis, astronomo amatore inglese, nel 1731 e riscoperta da Messier alcuni anni dopo è il primo oggetto del catalogo di Messier M ...
Scoperta da John Bevis,
                                       astronomo amatore inglese,
                                       nel 1731 e riscoperta da
                                       Messier alcuni anni dopo (è
                                       il primo oggetto del catalogo
                                       di Messier M 1)

La nebulosa del Granchio che si
trova nella costellazione del Toro a
6523 a.l. da noi è il resto di una
Supernova (di tipo II) esplosa nel
1054 d.C.
Scoperta da John Bevis, astronomo amatore inglese, nel 1731 e riscoperta da Messier alcuni anni dopo è il primo oggetto del catalogo di Messier M ...
Nessuno in Europa si accorse della Supernova che secondo gli astronomi
   cinesi che registrarono l'evento il 4 luglio 1054 risultò molto più luminosa di
   Venere e rimase visibile alla luce solare per 23 giorni e ad occhio nudo di
   notte per 653 . Esistono indicazioni che sia stata notata dai Navajo (nativi
   americani dell' Arizona) e che sia rappresentata nel Chaco Canjon in Messico
   (il luogo dove la luce del sole disegna forme di pugnali sulla spirale)

assieme alla cometa di Halley
nella sua apparizione del 1066
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Nessuno in Europa si accorse della Supernova che secondo gli astronomi
   cinesi che registrarono l'evento il 4 luglio 1054 risultò molto più luminosa di
   Venere e rimase visibile alla luce solare per 23 giorni e ad occhio nudo di
   notte per 653 . Esistono indicazioni che sia stata notata dai Navajo (nativi
   americani dell' Arizona) e che sia rappresentata nel Chaco Canjon in Messico
   (il luogo dove la luce del sole disegna forme di pugnali sulla spirale)

assieme alla cometa di Halley
nella sua apparizione del 1066
Scoperta da John Bevis, astronomo amatore inglese, nel 1731 e riscoperta da Messier alcuni anni dopo è il primo oggetto del catalogo di Messier M ...
La cometa di Halley
                                 nell'arazzo di Bayeux.
                                 L'arazzo lungo 68 metri
                                 descrive la battaglia di
                                 Hastings del 1066 in
                                 cui Guglielmo il
                                 conquistatore, duca di
                                 Normandia, ebbe la
                                 meglio sul re
                                 anglosassone Aroldo.
                                 Oltre alla battaglia e
                                 alla rappresentazione
                                 della cometa,
                                 nell'arazzo si trovano
                                 immagini relative ad
Supernovae in galassie lontane   episodi antecedenti.
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E per rimanere in tema con la cometa di Halley, nel 1979 la studiosa americana
di arte Roberta Olson ha avanzato l'ipotesi che la cometa dipinta da Giotto nella
Cappella degli Scrovegni a Padova, sia proprio quella di Halley, passata nei
nostri cieli nel 1301, poco prima che Giotto si accingesse a realizzare quello
straordinario dipinto.
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Tornando alle Supernovae come potete verificare
sono ben visibili anche in galassie lontane (Sloan
Digital Sky Survey, SDSS)
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Plutarco (Cheronea 46/48, Delfi 125/127) biografo, scrittore,
cittadino romano con incarichi amministrativi. Nell’ultima parte
della sua vita fu sacerdote del tempio di Delfi.

                                             Studiò ad Atene dove
                                             risentì dell’influenza
                                             della filosofia di Platone.
                                             La sua opera più nota è
                                             Vite Parallele.
                                             Scrisse i Moralia (Ἐθικά)
                                             un’opera eterogenea
                                             erudita di carattere
                                             scientifico e morale.
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Nei Moralia si trova Il Volto della Luna un dialogo che riporta le diverse teorie che
cercavano di spiegare la ragione delle macchie nere in un corpo che sarebbe dovuto
essere senza macchie.
Il dialogo si concentra su cosa siano le macchie e come sia possibile che un corpo
celeste presenti tali imperfezioni.
La discussione fra I personaggi è garbata nessuno vuole prevaricare l'opinione
dell'altro. Non ci sono personaggi superbi nè ipotesi considerate superiori.
L'autore presenta attraverso i suoi personaggi diverse possibili spiegazioni. C' è chi
afferma che la Luna è simile alla Terra e le sue montagne e depressioni danno
origine alle ombre. Qualcuno arriva persino ad ipotizzare che la Luna possa essere
abitata. Alla fine il lettore può scegliere l'ipotesi che preferisce.

 Da il Volto della Luna
 è peraltro ridicolo porsi il problema della stabilità degli abitanti della Luna se poi essi non
 hanno neppure di che nascere e sussistere. Gli Egizi e i Trogloditi, sul cui capo il sole al
 solstizio prima di ripartire posa allo zenit per un solo istante di un unico giorno, quasi
 vengono bruciati dalla secchezza dell'atmosfera: come può accadere che gli uomini della
 luna, col sole che ogni mese al plenilunio se ne sta fermo sulla loro verticale, sopportino
 ogni anno dodici estati?
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I Trogloditi erano gli
                                                              abitanti della Trogloditica
                                                              una zona dell' Africa
                                                              Orientale vicina al Mar
                                                              Rosso. Anche Erodoto li
                                                              cita. Il termine
                                                              probabilmente deriva dal
                                                              greco trogle (caverna) e
                                                              dyein (entrare) e quindi
                                                              significherebbe abitanti delle
                                                              caverne. Lo stesso Plutarco
                                                              nelle sua biografia di Marco
                                                              Antonio dice che la regina
                                                              Cleopatra VII parlava il
                                                              troglodita.

Dipinto di Stefano Buonsignori cartografo fiorentino (1579)
Palazzo Vecchio Firenze
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Un pò più giovane di Plutarco è Claudio Tolomeo (Pelusio 100 ca,
Alessandria 175 ca), di cultura greca visse ad Alessandria al tempo degli
imperatori Adriano e Antonino.

    L'Egitto all'epoca era una prefettura
    dell' impero romano

                                              Tolomeo dipinto da un autore anonimo
Tolomeo era astronomo, astrologo e geografo.
La sua opera più nota e importante è l'Almagesto. In realtà questo nome (che
significa il grandissimo) venne dato dagli arabi (al-Magisṭī) , il titolo originale in
greco era il più semplice Trattato di Matematica (“Mathematikè sýntaxis”) e fu
tradotto in Almagestum (da cui Almagesto) quando Gherardo da Cremona
(cfr. slide sul Medioevo) tradusse l’opera (ed il titolo!) dall’arabo al latino.
Nell' Almagesto Tolomeo raccolse tutte le conoscenze astronomiche pre
esistenti nel mondo greco, molte delle quali attribuibili ed attribuite dallo stesso
Tolomeo ad Ipparco.
L'Almagesto contiene infatti anche un catalogo di un migliaio di stelle (per
realizzare il quale Tolomeo si basò sul catalogo di Ipparco disposte in 48
costellazioni (che per motivi evidenti non coprono l'intera volta celeste)
comprensivo di coordinate (longitudine e latitudine rispetto all'eclittica) e
magnitudini (apparenti) di ciascuna.. Le classi di luminosità sono rappresentate
in accordo con Ipparco con valori da 1 a 6.
Sei stelle vengono definite da Tolomeo giallastre (hypokirros) si tratta di
Aldebaran, Betelgeuse, Arturo, Antares, Polluce e Sirio (!!).
Il fatto che Sirio sia inclusa nel gruppo ha fatto pensare che la stella potesse
aver cambiato colore nel tempo (evento impossibile dal punto di vista
astrofisico....)
Un articolo pubblicato su Nuova Orione nel febbraio 2017 dall’ archeoastronomo
   Mario Codebò e intitolato Il Colore di Sirio fornisce una chiave di lettura
   differente:

Sirio un tempo era rossa, o bianca com'è oggi? Questa domanda è stata
    provocata da uno strano aggettivo – υποκιρρος (υποκίρρος o υποκιρρός, a
    seconda del dialetto greco) – usato da Tolomeo sia nell'Almagesto che nel
    Tetrabiblos. Gli autori latini poi parlavano di rubra canicula, con ciò
    riferendosi però più probabilmente a Procione, come dimostrò
    efficacemente Schiaparelli nel suo celebre articolo omonimo del 1896.

Resta l'equivoca testimonianza di Tolomeo che ha indotto gli astronomi moderni a
  pensare che circa duemila anni fa Sirio B (*) fosse una supergigante rossa.
Ma se si analizza bene sia l'aggettivo che il contesto in cui esso viene usato
  dall'astronomo alessandrino, si notano subito delle incongruenze.

    (*) Sirio ha una compagna (Sirio B) molto più debole e visibile solo al telescopio.
Υποκιρρος è formato da υπό = ipo, sub, e da κιρρος (κίρρος o κιρρός) = giallo (da
cui, in italiano, "cirrosi"). Significa quindi "subgiallo", cioè: meno che giallo,
biancastro (in pieno accordo col colore attuale di Sirio).
Ancora più strano è che, nell'Almagesto, Tolomeo lo attribuisca a sei stelle, molto
brillanti ma ben diverse tra loro, e che di tutte le altre 1016 da lui citate non dia
nessuna indicazione sul colore: Aldebaran (arancione di classe K5), Antares (rossa
di classe M1), Betelgeuse (rossa di classe M2), Arturo (arancione di classe K1),
Polluce (gialla di classe K0), Sirio (bianca di classe A1). Nel Tetrabiblos invece
definisce υποκιρρος solo Aldebaran, Antares ed Arturo.
Insomma: questo strano aggettivo appare proprio fuori luogo e avvalora l'ipotesi di
Schiaparelli che un anonimo copista abbia operato delle sostituzioni ai manoscritti
originali. L'astronomo di Savigliano cita inoltre altre fonti (Giulio Igino; l'anonimo
scoliaste che ha commentato la versione latina di Germanico Cesare dei
"Phaenomena" di Arato; Manilio; Efestione Tebano; Rufo Festo Avieno) secondo le
quali Sirio era bianco-cerulea come oggi.
A tutte queste testimonianze se ne può oggi aggiungere una – trovata dallo
scrivente e presentata al Convegno SIA 2016 – citata nell'Avesta e risalente a I
millennio a. C.: "bianca stella" dai "raggi immacolati" (Yašt Tīr 8, v. 2).
Sirio, dunque, probabilmente fu sempre bianca.
Υποκιρρος è formato da υπό = ipo, sub, e da κιρρος (κίρρος o κιρρός) = giallo (da
cui, in italiano, "cirrosi"). Significa quindi "subgiallo", cioè: meno che giallo,
biancastro (in pieno accordo col colore attuale di Sirio).
Ancora più strano è che, nell'Almagesto, Tolomeo lo attribuisca a sei stelle, molto
brillanti ma ben diverse tra loro, e che di tutte le altre 1016 da lui citate non dia
nessuna indicazione sul colore: Aldebaran (arancione di classe K5), Antares (rossa
di classe M1), Betelgeuse (rossa di classe M2), Arturo (arancione di classe K1),
Polluce (gialla di classe K0), Sirio (bianca di classe A1). Nel Tetrabiblos invece
definisce υποκιρρος solo Aldebaran, Antares ed Arturo.
Insomma: questo strano aggettivo appare proprio fuori luogo e avvalora l'ipotesi di
Schiaparelli che un anonimo copista abbia operato delle sostituzioni ai manoscritti
originali. L'astronomo di Savigliano cita inoltre altre fonti (Giulio Igino; l'anonimo
scoliaste che ha commentato la versione latina di Germanico Cesare dei
"Phaenomena" di Arato; Manilio; Efestione Tebano; Rufo Festo Avieno) secondo le
quali Sirio era bianco-cerulea come oggi.
A tutte queste testimonianze se ne può oggi aggiungere una – trovata dallo
scrivente e presentata al Convegno SIA 2016 – citata nell'Avesta e risalente a I
millennio a. C.: "bianca stella" dai "raggi immacolati" (Yašt Tīr 8, v. 2).
Sirio, dunque, probabilmente fu sempre bianca.
Codebò cita l’Avesta (il fondamentale o il comandamento) è il titolo dei
libri sacri dell' antico Iran appartenenti alla religione mazdeista che si
ispira agli insegnamenti del profeta Zaratustra (o Zoroastro) l'opera è
prevalentemente di carattere religioso ma contiene elementi di
astronomia astrologia e cosmogonia

  Zoroastro in un particolare de La scuola di Atene di Raffaello
Codebò cita anche Sirio B.
Sirio è in realtà Sirio A in quanto ha una compagna (Sirio B) che orbita
attorno ad essa con una distanza fra le 8 e le 32 U.A, e un periodo di
circa 50 anni. L'esistenza di Sirio B fu ipotizzata da Bessel nel 1844 in
relazione alle disuniformità del moto di Sirio A . Nel 1862 Clark riuscì
ad osservarla con un rifrattore da 18 pollici (Sirio B ha una magnitudine
apparente pari a 8). Sirio A e B mostrano ulteriori irregolarità nel moto
che fanno pensare all'esistenza di una terza stella che però ad ora non è
stata osservata.

              .
Codebò cita anche Manilio (Marcus Manilius) che era un poeta e
astrologo vissuto nel I secolo d.C. Manilio ci ha lasciato un poema
didascalico in 5 libri gli Astronomica (scritto in latino) di cui solo il
primo è dedicato all'astronomia (comprendente anche una descrizione
del cosmo e ipotesi sulla sua origine) gli altri 4 sono invece a carattere
astrologico. In riferimento a Sirio Manilio scrive che poiché è molto
lontana getta raggi freddi dal suo volto blu e azzurro.

                                                Di fianco la vicinanza di Sirio
                                                e Procione su cui fonda
                                                l'ipotesi di Schiapparelli
                                                (menzionata da Codebò).
Esiste anche la possibilità (indicata dal vostro collega Alessandro dal
Maso) che Tolomeo abbia semplicemente voluto indicare le 6 stelle più
luminose del cielo, poiché i greci, specialmente nell’antichità, non erano
soliti caratterizzare le stelle sulla base del loro colore. La parola xanthos
utilizzata da Omero indicava sia il giallo delle chiome degli eroi sia la
vampa rossastra del fuoco.
Va detto, però, che Sirio è proprio bianca/azzurra mentre le altre 5 stelle
sono tutte rossastre.
Se consideriamo le stelle che abbiano luminosità (apparente) compresa
tra quella di Sirio (la stella più luminosa del cielo e del gruppo di 6 stelle
di Tolomeo) e di Polluce (che è la stella meno luminosa del gruppo di
Tolomeo) e le ordiniamo per luminosità (apparente) decrescente
troviamo: Sirio, Arturo, Vega, Rigel, Procione, Betelgeuse,
Capella, Aldebaran, Spica, Antares, Polluce.

Le stelle non incluse da Tolomeo sono bianco/azzurre (Vega Rigel e
Spica) e giallastre (Procione e Capella). Perché quindi Tolomeo le
avrebbe escluse?
Tolomeo scrisse anche altre opere di astronomia fra cui Ipotesi
Planetarie in cui viene descritto un modello meccanico del
sistema planetario, costituito da sfere materiali incastonate l'una
nell'altra, che è totalmente assente nell’Almagesto.

Un'opera molto importante è la geografia che contiene le
coordinate (longitudine e latitudine) di 8000 località oltre a una
discussione dei metodi utilizzati per realizzare la carta del “mondo
abitato” dell'epoca.
Per realizzare questo lavoro Tolomeo si servì dei resoconti di
viaggi (frequenti e accurati entro I confini dell'impero romano) e del
lavoro di un geografo precedente (Marino di Tiro) la cui esistenza
avremmo ignorato se non fosse stato per Tolomeo.
Quest'ultimo prende da Marino la convenzione di scegliere come
meridiano di longitudine zero (meridiano fondamentale) quello
passante per le Isole Canarie (forse perchè erano le terre note più a
Ovest).
Il “mondo” di Tolomeo
Un’ altra opera scientifica di cui ci è giunta una versione
(traduzione dall'arabo in latino) incompleta è l’ Ottica,
Il trattato comprende, oltre a una sezione sulla riflessione, una
trattazione dei fenomeni di rifrazione e in relazione a quest'
ultima include, una tabella che fornisce gli angoli di
rifrazione corrispondenti a vari angoli di incidenza per le
coppie acqua-aria, aria-vetro e acqua-vetro.
Tolomeo aveva osservato che l'angolo di rifrazione era minore
dell'angolo di incidenza quando la luce passava da un mezzo
rarefatto ad uno denso e che il contrario accadeva nel
passaggio da un mezzo denso ad una rarefatto
Per quanto riguarda l'astrologia Tolomeo scrisse il
       Tetrábiblos (*) in cui forniva tavole “precise” della
       posizione dei pianeti, descriveva il carattere dei loro
       influssi e l'effetto della combinazione fra i pianeti e la loro
       posizione zodiacale, nonchè delle loro posizioni relative
       (congiunzione, opposizione, quadratura, trigono) e delle
       posizioni relative fra pianeti e levate eliache di alcuni astri.
       I movimenti che avvenivano nel cosmo riflettevano un
       disegno superiore nelle cui “mani” erano non solo gli uomini
       e le loro caratteristiche interiori o materiali (ricchezza,
       fortuna ecc) ma anche i paesi e i fenomeni atmosferici.
       La conoscenza dei moti degli astri aveva così un risvolto
       pratico che soddisfaceva il sogno dell'uomo di poter
       conoscere in anticipo gli eventi .

(*) Τετράβιβλος in greco bizantino, ovvero quattro libri, titolo mantenuto
nel latino medievale Opus quadripartitum. Il titolo originale però era
estremamente più esplicito Τῶν ἀποτελεσματικῶν (Tôn apotelesmatikôn)
ovvero Le previsioni astrologiche )
Il modello di universo di Tolomeo poneva la Terra ferma al
centro con i pianeti che si muovevano attorno ad essa.
Tolomeo utilizzò la tecnica di deferenti e epicicli (ereditata da
Apollonio e da Ipparco) ma per calcolare le posizioni in modo
preciso (abbastanza preciso) dovette utilizzare il punctum
equans (l'equante) anch'esso introdotto da Apollonio e ripreso
da Ipparco.

                                   La Terra non è esattamente al
                                   centro dell'orbita circolare ma si
                                   trova ad una certa distanza da
                                   esso. L'equante è il punto
                                   speculare della Terra rispetto al
                                   centro del cerchio (ad uguale
                                   distanza ma nella parte opposta).
                                   La velocità del pianeta non è
                                   uniforme rispetto alla Terra nè
                                   rispetto al centro della
                                   circonferenza ma rispetto all'
                                   equante.
Con questo “espediente” cinematico che contiene in sè un'
approssimazione del fatto che le orbite di Terra e pianeti rispetto al
sole sono delle ellissi (e non dei cerchi) e che quanto vediamo dalla
Terra è una composizione del nostro moto e di quello dei pianeti,
Tolomeo riusciva a riprodurre abbastanza bene le osservazioni ed
era proprio questo il punto di forza del suo modello che permetteva
non senza qualche difficoltà (di natura filosofica) di rinuciare al
principio di uniformità del moto dei corpi celesti.

C'era ovviamente qualche difficoltà :
Il modello per la Luna (ereditato da Ipparco) funzionava
discretamente solo quando Terra, Sole e Luna erano allineati.
Per superare questa difficoltà Tolomeo introdusse un meccanismo che
agiva sull'epiciclo della Luna spingendolo verso la Terra quando
Luna Terra e Sole formavano un angolo retto.
Il modello era cinematicamente corretto in relazione alle coordinate
aspettate ma provocava una variazione della distanza fra Terra e
Luna di quasi un fattore 2 (fra 33 e 64 raggi terrestri) una differenza
che avrebbe dovuto provocare una variazione del diametro
apparente pari a quasi 2 che non veniva assolutamente osservata.
Per riprodurre l'evidenza che Mercurio e Venere (i pianeti interni)
fossero osservabili solo “in prossimita'” del Sole (alba e tramonto)
Tolomeo introdusse un meccanismo ad hoc nel suo modello
allineando i centri degli epicicli di Sole, Mercurio e Venere.

 Per quanto riguarda l'ordine dei pianeti (in funzione della distanza
 dalla Terra) Tolomeo stabilì sulla base della lunghezza del
 periodo di rivoluzione osservato che Saturno era quello più
 vicino alle stelle fisse (periodo di rivoluzione di circa 30 anni) poi
 veniva Giove (periodo orbitale di circa 12 anni) poi Marte
 (periodo orbitale di circa 2 anni) e il pianeta più vicino alla Terra
 era la Luna (periodo orbitale di circa 1 mese).

  Per quanto riguardava il Sole Venere e Mercurio che restavano
  sempre vicini fra loro era impossibile stabilire l'ordine in questo
  modo.
Tuttavia poichè era indubbia l'importanza (la predominanza) del Sole che
 appariva unico per aspetto rispetto ai pianeti. Tolomeo in accordo con le
 tradizioni precedenti decise di metterlo al centro facendolo circondare nel suo
 moto da 3 pianeti “esterni” (Saturno Giove e Marte) e 3 pianeti interni (Luna
 Mercurio e Venere). Una sorta di sovrano dei cieli che viaggia circondato dai
 suoi cortigiani che si dispongono simmetricamente ai suoi lati.
 La scelta di collocare Mercurio più vicino alla Luna fu fortuita (50% di
 probabilità di sbagliare).

Collocati i pianeti in ordine di distanza Tolomeo ne diede i valori per le
“altezze”
- l'altezza massima della Luna era 64 raggi terrestri pertanto l'altezza
minima di Mercurio doveva essere pari ad essa. Dal rapporto fra le
dimensioni dell'epiciclo e del deferente di Mercurio Tolomeo stabilì l'altezza
massima del pianeta che pose uguale all'altezza minima di Venere e così
via fino a ricavare l'altezza massima di Saturno
Con questo calcolo Tolomeo stabilì la dimensione dell' Universo
19865 raggi terrestri.
Valore “ridicolo” ai nostri occhi ma enorme per l'epoca.
Si noti l'allineamento dei centri
degli epicicli di Sole Mercurio e
Venere
L'opera di Tolomeo rappresenta il punto di arrivo dell' astronomia
dell'epoca: un lavoro imponente capace di predire in modo accettabile le
posizioni dei pianeti (gli ultimi 5 libri dell'Almagesto oltre alla teoria che
illustra i movimenti relativi di epicicli e deferenti contengono tabelle che
permettono di calcolare la posizione dei pianeti)
Le comete (in accordo con quanto stabilito da Aristotele non sono corpi
celesti ma fenomeni locali, atmosferici li definiremmo oggi, interessante
notare a proposito un'intuizione del filosofo Seneca che invece le definì
corpi celesti (*).
Aristotelica del resto è la costruzione del suo sistema con la Terra immobile
al centro e I pianeti disposti su sfere attorno ad essa fino alla fine
dell'universo sferico anch'esso.
Tolomeo non rinuncia a polemizzare (senza neppure citarli) con chi
asseriva che fosse la Terra a ruotare da Ovest a Est.

 (*) Questo argomento sarà trattato brevemente nella prossima lezione relativa all’ Astronomia di
 Roma
Tolomeo ha lasciato anche una descrizione accurata della Via Lattea che
non sarà modificata per lungo tempo

    Una suggestiva visione della Via Lattea dalla Nuova Zelanda premio
    Astronomy Photographer 2013 (la luce a destra è artificiale)
La via Lattea era in greco Galaxias che significa latte o di latte.
Il mito greco più famoso vuole che Zeus innamoratosi di Alcmena avesse
assunto le sembianze del marito Anfitrione, che era in guerra, ed avuto
con lei un rapporto da cui sarebbe nato Eracle (in realtà sarebbero nati 2
gemelli uno figlio di Zeus e l'altro figlio di Anfitrione).
Zeus portò Eracle dalla moglie Era che stava dormendo affinchè il
bambino bevendo il latte materno divenisse immortale, ma Era si
svegliò ed accorgendosi che stava allattando un bambino non suo lo
respinse. Il latte di Era schizzò in cielo formando la via Lattea.
Via Lactea è il nome che I romani diedero alla galaxias.
Anche i babilonesi avevano un mito (diverso da quello greco) sull'origine
della via Lattea, mentre per gli egiziani essa era la controparte celeste del
Nilo.
Nel Somnium Scipionis di Cicerone (50 a.C ca) si afferma che nella Via
Lattea trovano riposo tutti coloro che hanno operato per il bene dello
stato.
Esiste un mito molto meno noto relativo all’origine della Via Lattea.

Sarebbe stata Galatte, una semplice pastorella che, portata
sull’Olimpo in virtù della sua enorme bontà d’animo e della sua
devozione agli dei, per l’emozione avrebbe rovesciato in cielo il
secchio di latte che portava sempre con sé .

Intervenne allora Zeus con divina autorità: “Il tuo latte – disse solennemente

alla vecchina sempre più confusa - sarà la più bella delle stelle, anzi si

tramuterà in miliardi di stelle, che illumineranno il cielo come un bianco

sentiero... Ordino che questa sia, da oggi in poi...LA VIA LATTEA!”.

In realtà è molto probabile che questo mito sia successivo ( e risalga
all’epoca romana, dinastia giulio-claudia) e che sia frutto di un
rimaneggiamento dell’antico mito di Amaltea, la capra nutrice di
Zeus che avrebbe sparso il proprio latte nel cielo.

@Gianmarco Guaita
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