Cronaca di una svolta annunciata: doppia pregiudizialità e dialogo tra Corti, a un anno dalla sentenza n. 269/2017 - Sipotra

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ISSN 1826-3534

           19 DICEMBRE 2018

Cronaca di una svolta annunciata:
doppia pregiudizialità e dialogo tra
      Corti, a un anno dalla
      sentenza n. 269/2017

        di Giovanni Comazzetto
     Dottorando di ricerca in Diritto costituzionale
           Università degli Studi di Padova
Cronaca di una svolta annunciata: doppia
     pregiudizialità e dialogo tra Corti, a un anno dalla
                    sentenza n. 269/2017*
                                       di Giovanni Comazzetto
                               Dottorando di ricerca in Diritto costituzionale
                                     Università degli Studi di Padova

Sommario: 1. Premessa. 2. Una sentenza «epocale»? 3. Gli antefatti: cinque buone ragioni per superare
la sentenza Granital. 4. Il contesto: la crisi dell’Unione, la crisi della giustizia costituzionale accentrata e il
«brusco risveglio» della Corte costituzionale italiana. 5.1. Per una ricostruzione del significato del dictum
della Corte: punti fermi e punti interrogativi. 5.2. Per un tentativo di «interpretazione adeguatrice» della
sentenza 269/2017: le questioni aperte. 6.1. La sentenza 269 nella giurisprudenza italiana: i dubbi della
Corte di cassazione. 6.2. La sentenza 269 nella giurisprudenza europea: due «stoccate» dalla Corte di
Giustizia? 7. Sul ruolo della Corte costituzionale nel circuito di tutela multilivello: considerazioni
(necessariamente) non conclusive.

1. Premessa
Alcune decisioni della Corte costituzionale emergono dal profluvio di sentenze e ordinanze pronunciate
ogni anno, innescando dibattiti tra gli studiosi, nuovi orientamenti della giurisprudenza comune, scosse
di assestamento e talvolta vibranti reazioni nel circuito dialogico delle Corti d’Europa. Sequenze
numeriche si imprimono nella memoria dei costituzionalisti, apponendo dei segnavia nei sentieri della
giurisprudenza costituzionale, denotandone le movenze e le evoluzioni; sentenze come la n. 183 del 1973
(nota anche come «sentenza Frontini») o la n. 170 del 1984 («sentenza Granital») sono ritenute, ad esempio,
tappe fondamentali del «cammino comunitario»1 della Corte, in quanto hanno affrontato, con riflessioni
e argomenti di ampio respiro, una questione assolutamente centrale, oggi come allora – il rapporto tra le
fonti di diritto eurounitario e quelle del diritto nazionale –, e tracciato percorsi destinati a consolidarsi nei
decenni successivi.
L’anno 2017 ha offerto quantomeno due significative decisioni della Corte costituzionale su questioni di
diritto dell’Unione europea, particolarmente rilevanti ai fini dello svolgimento della “relazione
triangolare” tra giudici comuni, Corte costituzionale e Corte di Giustizia dell’Unione: l’ordinanza n.
24/2017 (ovvero il rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo nell’ambito della c.d. «saga Taricco») e
la sentenza n. 269/2017. Per quanto riguarda quest’ultima, a suscitare un vivo dibattito è stato in

*   Articolo sottoposto a referaggio.
1   La fortunata espressione si deve a P. BARILE, Il cammino comunitario della Corte, in Giur. cost., 1973, p. 2406 ss.

2                                                federalismi.it - ISSN 1826-3534                             |n. 24/2018
particolare il passaggio relativo alle modalità di applicazione nel nostro ordinamento della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea. Di obiter dictum si trattava, ma riguardante un tema centrale, autentica
chiave di volta delle relazioni interordinamentali e del dialogo tra Corti – ci si riferisce, ça va sans dire, al
rinvio pregiudiziale, nello specifico all’ordine delle questioni pregiudiziali.
È certo ancora presto per accostare quest’ultima pronuncia alle celebri decisioni testé citate, in quanto
l’obiter della sentenza 269 ha piuttosto sollevato dubbi e incertezze che dato direttive chiare circa la strada
da seguire; la Corte di cassazione non ha tardato, infatti, a chiedere chiarimenti2 in merito alla portata
dell’innovazione annunciata dalla Corte costituzionale, e alla sua compatibilità con consolidati
orientamenti della Corte di Giustizia; quest’ultima, peraltro, è sembrata voler presto rispondere, sia pure
indirettamente e lateralmente, alla sent. 269/2017, con due pronunce3 che rinfocolano i dubbi sulla corretta
interpretazione di quanto disposto dal giudice costituzionale italiano.

2. Una sentenza «epocale»?
Come tutte le decisioni di una certa portata, la sent. 269/2017 ha suscitato una vivace discussione in
dottrina: molto è stato scritto, e molto ancora si scriverà. Si è parlato di essa come della «più rilevante
pronuncia in tema di rapporti tra diritto interno e ordinamento sovranazionale dopo la sent. n. 170 del
1984»4; di una «pronuncia epocale»5; di una «svolta della Consulta sulle questioni di diritto eurounitario»6.
Le posizioni degli studiosi, come prevedibile, variano dalla sostanziale adesione alla vibrante critica, pur
entro un ampio ventaglio di sfumature. Ciò che tuttavia accomuna pressoché tutti gli interventi finora
emersi, è la difficoltà a definire l’effettiva portata di questo obiter dictum; più sintetico della parte
“dottrinale” della sentenza Granital, esso affianca, a considerazioni e direttive piuttosto cristalline, frasi o
anche singole locuzioni di non immediata intelligibilità (e, secondo taluno, di dubbia conformità al diritto
dell’Unione), di cui ci si è sforzati a dare interpretazioni compatibili con i pregressi orientamenti della
Corte di Giustizia – per quanto la stessa Corte costituzionale dichiari la propria posizione sulla doppia

2 Cass., II sez. civ., 16 febbraio 2018, n. 3831, Bolognesi c. Consob.
3 Ci si riferisce, in particolare, alla sentenza nota come Global Starnet (Corte giust., sent. 20 dicembre 2017, causa C-
322/16, Global Starnet Ltd contro Ministero dell’Economia e delle Finanze e Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato) e
alla recentissima Corte giust., sent. 24 ottobre 2018, C-234/17, XC, YB e ZA c. Austria.
4 C. CARUSO, La Corte costituzionale riprende il cammino comunitario: invito alla discussione sulla sentenza n. 269 del 2017,

in Forum di Quad. Cost., 18 dicembre 2017; parla della «più rilevante novità giurisprudenziale nei rapporti fra diritto
interno e diritto eurounitario dopo la sentenza Granital» anche G. SCACCIA, Giudici comuni e diritto dell’Unione
europea nella sentenza della Corte costituzionale n. 269 del 2017, in Giur. cost., n. 6/2017, p. 2948.
5 S. VERNUCCIO, La sentenza 269/2017: la Corte costituzionale di fronte alla questione dell’efficacia diretta della Carta di

Nizza e la prima risposta del giudice comune (Cass. ord. 3831/2018), in Osservatorio Costituzionale, n. 2/2018, p. 2.
6 A. RUGGERI, Svolta della Consulta sulle questioni di diritto eurounitario assiologicamente pregnanti, attratte nell’orbita del

sindacato accentrato di costituzionalità, pur se riguardanti norme dell’Unione self-executing (a margine di Corte cost. n. 269 del
2017), in Diritti Comparati, n. 3/2017, pp. 1-13.

3                                                 federalismi.it - ISSN 1826-3534                                  |n. 24/2018
pregiudizialità «analoga» a quella adottata da altre Corti costituzionali nazionali di antica tradizione e «in
linea» con gli orientamenti sul punto della Corte di Lussemburgo7.
La difficoltà ad intendere quanto abbia effettivamente voluto dire la Corte fa sì che per ora si debba
parlare, più che di una «svolta», della premessa di una svolta8. Di certo un chiarimento dovrà giungere in
risposta ai quesiti posti dalla Corte di cassazione9. L’auspicio, pertanto, è che la Corte possa presto
illuminare quanto la suddetta «precisazione» ha lasciato nell’ombra; trattasi di un compito non eludibile,
alla luce delle straordinarie ricadute che essa può avere sui rapporti tra ordinamento nazionale e
ordinamento dell’Unione, e sui compiti del giudice comune. Occorre sempre ricordare, infatti, che
l’incertezza sull’ordine delle questioni pregiudiziali non è una querelle d’Allemand, d’interesse solo per gli
studiosi della tutela multilivello dei diritti, potendo essa riverberarsi drammaticamente sullo svolgimento
e sull’esito dei processi comuni, ove non si può accettare che il giudice non disponga delle coordinate per
stabilire a chi deve rivolgersi – rectius: a chi deve rivolgersi per primo10.
Nel tentativo di mettere un po’ d’ordine nella selva di commenti seguiti alla sentenza, alternando l’analisi
alla cronaca, si procederà come segue: si descriverà innanzitutto il contesto nel quale ha preso forma questa
decisione, e se ne illumineranno i presupposti; si avanzerà un’ipotesi interpretativa dell’obiter dictum,
muovendo dalle parole effettivamente usate dalla Corte e cercando di ricondurre le implicazioni più
problematiche nell’alveo di una sorta di «interpretazione adeguatrice» (rispetto all’indirizzo della Corte di
Giustizia) del nuovo orientamento della Corte costituzionale, sì da sdrammatizzarne in un certo senso
l’esito; si allargherà poi, nuovamente, la prospettiva, collocando la decisione della Corte costituzionale nel
circuito dialogico ove essa è stata variamente recepita – dai dubbi della Cassazione ai presunti «colpi di
fioretto»11 della Corte di Giustizia. L’affresco così realizzato darà l’abbrivio ad una riflessione finale sul
nuovo ruolo che si profila all’orizzonte per la Corte costituzionale, all’interno del processo di integrazione
costituzionale europea.

7 Corte cost., sent. 14 dicembre 2017, n. 269, punto 5.2 del Considerato in diritto.
8 La definisce «solo una battuta in un dialogo destinato a continuare», essendo anzi «naturale che la sentenza n.
269/17 segni solo l’avvio di un ripensamento interpretativo, non certo una dottrina organica e completa, e che le
tappe successive diano l’occasione non solo per confermare, ma anche per rimeditare, approfondire, eventualmente
ricalibrare la nuova posizione», D. TEGA, Il seguito in Cassazione della pronuncia della Corte costituzionale n. 269 del 2017:
prove pratiche di applicazione, in Questione Giustizia, 12 marzo 2018, p. 3.
9 Cass., II sez. civ., 16 febbraio 2018, n. 3831, Bolognesi c. Consob.
10 «Il giudice ordinario non dovrebbe, in linea di principio, trovarsi nell’imbarazzo di dover decidere quale dei due

organi adire in via pregiudiziale al fine di risolvere questioni rilevanti per la decisione delle cause principali di cui è
investito»: così M. CARTABIA, Considerazioni sulla posizione del giudice comune di fronte ai casi di “doppia pregiudizialità”,
comunitaria e costituzionale, in Foro it., n. 5/1997, p. 222.
11 Così li definisce A. RUGGERI, Colpi di fioretto della Corte dell’Unione al corpo della Consulta, dopo la 269 del 2017 (a

prima lettura della sentenza della Grande Sez., 24 ottobre 2018, C-234/17, XC, YB e ZA c. Austria), in Diritti Comparati, n.
3/2018, pp. 1-11.

4                                                federalismi.it - ISSN 1826-3534                                |n. 24/2018
3. Gli antefatti: cinque buone ragioni per superare la sentenza Granital
Sebbene la ricezione della sentenza Granital non sia stata del tutto priva di incertezze, quella celebre
decisione rispondeva ad un’esigenza non più rinviabile di sistemazione dei rapporti tra giurisdizione
comune, costituzionale ed eurounitaria, offrendo in particolare al giudice ordinario un criterio
sufficientemente preciso (imperniato, com’è noto, intorno al carattere self-executing, ovvero non self-
executing, delle norme sovranazionali rilevanti per il suo giudizio) ai fini della perimetrazione dei suoi poteri
di «non applicazione» della legislazione interna, nonché le coordinate necessarie per determinare l’ordine
delle questioni pregiudiziali.
Quali profili della soluzione elaborata dalla Corte costituzionale nella sentenza Granital meritavano ad
ogni modo un ripensamento – o, per usare l’espressione impiegata nella sentenza 269/2017, una
«precisazione»? Col passare degli anni, diversi fattori avevano contribuito ad indebolire la tenuta
dell’assetto dei rapporti tra diritto nazionale e diritto dell’Unione, così come definito nella sentenza 170
del 1984 e in alcune pronunce successive. Se ne enumerano di seguito soltanto alcuni:
a) Come già osservava Livio Paladin12, la tesi della separazione attenuata degli ordinamenti – «autonomi e
distinti, ancorché coordinati»13 – era fondata su di una «visione parziale e unilaterale dei fenomeni in
esame»14. L’idea stessa che nei settori devoluti alla competenza dell’Unione vi fosse una sorta di
«ritrazione» dell’ordinamento interno per lasciare spazio al dispiegamento della normativa sovranazionale
– giustificando così la non applicazione di norme interne di cui restava impregiudicato lo statuto di validità
– postulava quella concezione dualistica destinata ben presto a mostrare innumerevoli punti deboli15. Tra
questi, senza pretesa di esaustività: il «rapporto organico» oramai creatosi tra giudici nazionali e
ordinamento dell’Unione16; la crescente difficoltà a ragionare di campi «riservati» alla competenza
comunitaria, proliferando piuttosto le materie a competenza lato sensu concorrente (nelle quali, peraltro, i
principi generali della disciplina sono spesso dedotti dal diritto sovranazionale17); l’innegabile parametricità

12 Si vedano in particolare le magistrali riflessioni contenute in L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna,
1996, p. 426 ss.
13 Corte cost., sent. 5 giugno 1984, n. 170, punto 4 del Considerato in diritto.
14 L. PALADIN, op. cit., p. 426.
15 Un non trascurabile mutamento di prospettiva si leggeva già, peraltro, nella di poco successiva sent. n. 389/1989,

ove – con significativa variazione lessicale – si definivano i due ordinamenti come «coordinati e comunicanti»; si
parlava di «immissione diretta nell’ordinamento interno delle norme comunitarie immediatamente applicabili»;
riguardo alle norme interne incompatibili, si concludeva per un «effetto di disapplicazione» (punto 4 del Considerato
in diritto). Ritiene che questa decisione, insieme ad altre successive, abbia portato ad un «sostanziale abbandono» di
ogni premessa dualistica, F. SORRENTINO, Le fonti del diritto italiano, Padova, 20152, p. 100.
16 D’altro canto, «come reggerebbe l’imperativo contenuto nel capoverso dell’art. 101 Cost., onde “i giudici sono

soggetti soltanto alla legge”, se i regolamenti e le direttive delle Comunità non rientrassero anche tra le fonti di
produzione dell’ordinamento nazionale?»: così L. PALADIN, op. cit., p. 427.
17 A. CERRI, La doppia pregiudiziale in una innovativa decisione della Corte, in Giur. cost., n. 4/2013, p. 2900.

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degli atti normativi provenienti dall’Unione, anche in sede di giudizio di costituzionalità; l’irresistibile
spinta integrazionista dell’obbligo di interpretazione conforme. Tutti questi fattori sembravano indurre
al superamento della visione dualistica in favore della posizione monistica da sempre sostenuta dalla Corte
di Giustizia, con il rischio tuttavia di dover affrontare le obiezioni riguardanti la sovraordinazione
gerarchica del diritto dell’Unione rispetto a quello nazionale, discendente dalla logica perseguita dai giudici
di Lussemburgo18 – aspetto che costituisce l’autentico nodo gordiano delle teorie del costituzionalismo
sovranazionale, e che le ricostruzioni teoriche variamente afferenti al constitutional pluralism mirano a
risolvere, con esiti non sempre convincenti, nel senso di una interazione tra ordinamenti non gerarchica
ma cooperativa e orizzontale19.
b) La sentenza Granital conferiva al giudice comune il potere di «non applicazione» solo ove la competenza
attribuita alla Comunità (ora: Unione) europea si fosse estrinsecata «con una normazione compiuta e
immediatamente applicabile»20. Il discrimen era dunque costituito dall’idoneità o meno della normativa
comunitaria a produrre «effetti diretti»21. Nel primo caso, il giudice comune era tenuto a non applicare la
normativa interna contrastante; nel secondo, a sollevare questione di costituzionalità. Sebbene gli
estensori della sentenza Granital avessero in mente innanzitutto i regolamenti comunitari, in quanto atti-
fonte dotati dell’attributo della diretta applicabilità, il novero degli atti potenzialmente capaci di produrre
effetti diretti si è progressivamente allargato22, emergendo tuttavia, al contempo, la «progressiva incapacità

18 Afferma, condivisibilmente, che «se si riconoscesse l’esistenza fra gli ordinamenti di un vincolo di subordinazione
gerarchica, ciò che verrebbe meno è proprio la fenomenologia dell’integrazione. Assumere la sovraordinazione di
un ordinamento rispetto all’altro significa cancellare con un tratto di penna la distinzione e, dunque, l’integrazione
come forma specifica della loro coordinazione. Due ordinamenti legati da un nesso di gerarchia rappresentano, in
realtà, un unico ordinamento, e la duplicità di livelli non corrisponde ad una molteplicità ordinamentale ma
riproduce al fondo il rapporto fra costituzione e legge ordinaria», E. SCODITTI, Articolare le costituzioni. L’Europa
come ordinamento giuridico integrato, in Materiali per una storia della cultura giuridica, n. 1/2004, pp. 193-194.
19 Si vedano, ex multis, opere come N. MACCORMICK, Questioning Sovereignty. Law, State, and Nation in the European

Commonwealth, Oxford, 1999, tr. it. La sovranità in discussione. Diritto, stato e nazione nel «commonwealth» europeo, Bologna,
2003; M.P. MADURO, Contrapunctual Law: Europe’s Constitutional Pluralism in Action, in N. WALKER (a cura di),
Sovereignty in Transition. Essays in European Law, Oxford, 2006, pp. 501-537; N. WALKER, The Idea of Constitutional
Pluralism, in The Modern Law Review, n. 3/2002, pp. 317-359; ID., Constitutional Pluralism Revisited, in European Law
Journal, n. 3/2016, pp. 333-355.
20 Sent. 170/1984, punto 5 del Considerato in diritto.
21 Si veda R. BIN – P. CARETTI – G. PITRUZZELLA, Profili costituzionali dell’Unione europea, Bologna, 2005, p.

109 ss. per la distinzione tra diretta applicabilità – predicato della fonte, dunque l’«astratta potenzialità che viene
attribuita a un tipo di atto» – ed effetti diretti – carattere della norma che sia suscettibile di diretta applicazione in
giudizio –, due nozioni spesso confuse in dottrina e in giurisprudenza.
22 In relazione alle decisioni, la Corte si trovò presto a dire che «se è vero che i regolamenti, in forza dell’articolo 189,

sono direttamente applicabili e quindi atti, per natura, a produrre effetti diretti, da ciò non si può inferire che le
altre categorie di atti contemplate dal suddetto articolo non possano mai produrre effetti analoghi» (Corte giust., 6
ottobre 1970, C-9/70, Franz Grad contro Finanzamt Traunstein, punto 5 della parte In diritto); il medesimo principio
fu ribadito pochi anni dopo nella celebre sentenza Van Duyn (4 dicembre 1974, causa 41-74, Yvonne van Duyn contro
Home Office), in relazione alle direttive – per quanto sia rimasta controversa la possibilità, per le stesse, di avere effetto
nei c.d. «rapporti orizzontali». Nella sentenza della Corte costituzionale 18 aprile 1991, n. 168, punto 4 del

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del requisito dell’effetto diretto di reggere da solo le sorti del riparto di attribuzione (se così si può dire)
tra i due sistemi e i due organi di tutela»23. Il «mutamento di fisionomia»24 dell’effetto diretto è stato
dunque tale da determinare una crescente insoddisfazione per l’equilibrio definito dalla sentenza Granital,
anche alla luce della difficoltà a leggere secondo i canoni consolidati atti normativi eurounitari eccentrici,
per svariate ragioni, rispetto agli altri – ci si riferisce soprattutto alla controversa efficacia giuridica della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
c) Particolarmente criticata era altresì l’autoesclusione della Corte dal novero dei giudici legittimati a
sollevare rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo, un atteggiamento fondato sull’asserita
impossibilità di qualificare il giudice delle leggi come «giurisdizione nazionale» ai sensi dei Trattati25. Tale
posizione riusciva difficilmente giustificabile soprattutto nei casi, tutt’altro che remoti, in cui i due ordini
di competenze – della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia – giungessero ad intrecciarsi, a
dispetto dei confini (apparentemente) precisi disegnati dalla sentenza Granital. Si pensi, di nuovo, alla
qualificazione di una norma comunitaria come dotata di effetti diretti: talvolta la valutazione sul punto è
tutt’altro che agevole, e per decidere sull’ammissibilità della questione di costituzionalità la Corte
costituzionale deve appunto verificare che la norma non sia self-executing – spettando in tal caso al giudice
a quo risolvere l’antinomia. Ma nella valutazione di tali caratteri non si può prescindere dal coinvolgimento
della Corte di Giustizia, «la quale ha costantemente affermato che nell’ambito delle sue competenze ad
interpretare il diritto comunitario rientra anche quella di stabilire se una norma ha effetto diretto»26. Come

Considerato in diritto, è ben descritto questo ampliamento: dopo aver ricordato che la Granital introduceva la tecnica
della «non applicazione» con riferimento precipuo ai regolamenti, si affermava che «La successiva giurisprudenza
di questa Corte ha confermato ed ulteriormente sviluppato questo orientamento arricchendo con nuove tessere il
complessivo mosaico della “diretta applicabilità” della normativa comunitaria. Ed infatti con sentenza n. 113 del
1985 è stata ritenuta l’immediata applicabilità anche delle statuizioni delle sentenze interpretative della Corte di
giustizia delle Comunità europee pronunciate in via pregiudiziale ai sensi dell’art. 177 del Trattato. Successivamente
analoga efficacia è stata riconosciuta, con sentenza n. 389 del 1989, anche alle norme comunitarie come interpretate
in pronunce rese dalla medesima Corte in sede contenziosa ai sensi dell’art. 169 del Trattato […]. Questo sviluppo
coerente ha da ultimo toccato anche le direttive comunitarie la cui possibilità di immediata applicabilità è già stata
riconosciuta – nei limiti indicati dalla Corte di Giustizia […] – da questa Corte nella sentenza n. 64 del 1990».
23 G. REPETTO, Concorso di questioni pregiudiziali (costituzionale ed europea), tutela dei diritti fondamentali e sindacato di

costituzionalità, in Giur. cost., n. 6/2017, p. 2956.
24 G. REPETTO, op. ult. cit., p. 2956.
25 L’origine di un orientamento siffatto si colloca in pronunce risalenti, quali la sent. 16 marzo 1960, n. 13, ove si

afferma che «È pertanto da respingere l’opinione che la Corte possa essere inclusa fra gli organi giudiziari, ordinari
o speciali che siano, tante sono, e tanto profonde, le differenze tra il compito affidato alla prima, senza precedenti
nell’ordinamento italiano, e quelli ben noti e storicamente consolidati propri degli organi giurisdizionali» (punto 1
del Considerato in diritto); posizione ribadita, con riferimento all’inidoneità della Corte a sollevare rinvio pregiudiziale,
e con toni che sembravano attestare la definitività dell’orientamento, in ord. 29 dicembre 1995, n. 536, ivi
affermandosi che «non è ravvisabile quella “giurisdizione nazionale” alla quale fa riferimento l’art. 177 del trattato
istitutivo della Comunità Economica Europea».
26 M. CARTABIA, Considerazioni sulla posizione del giudice comune, cit., p. 223.

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vedremo nel punto seguente, la Corte costituzionale ha perlopiù scongiurato quest’ipotesi richiedendo
indefettibilmente al giudice comune di chiarire la portata della norma comunitaria-parametro,
eventualmente tramite rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, prima di sollevare la questione di legittimità
costituzionale27 – con il prevedibile esito di provocare una sorta di “fuga” dal giudizio incidentale, in quanto
il coinvolgimento della Corte di Lussemburgo consente spesso di trarre comunque effetti diretti dalla
normativa indubbiata28, rendendo così inutile il successivo interpello del giudice delle leggi. Il rifiuto della
Corte a cimentarsi nel dialogo diretto con i giudici dell’Unione risultava peraltro ancor meno giustificabile
nel caso del giudizio in via principale – ove emerge (con maggiore evidenza che nel giudizio incidentale)
il suo ruolo di giudice di (unica e perciò) ultima istanza – e nell’eventualità, «sommamente improbabile
ma pur sempre possibile»29, di violazione dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale da parte
delle norme sovranazionali – ci si riferisce, non c’è quasi bisogno di dirlo, ai controlimiti. Ulteriore
argomento a sostegno di un revirement proveniva peraltro dall’esempio delle altre Corti costituzionali
d’Europa – quasi tutte oramai orientate ad avvalersi del preliminary ruling.
Questa sorta di autoemarginazione della Corte ha avuto termine con una svolta inveratasi solo nell’ultimo
decennio: tutto ha avuto inizio con un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia a partire da un giudizio
in via principale (con la sent. 15 aprile 2008, n. 102 e la correlata ord. 15 aprile 2008, n. 103, in cui la
Corte, almeno in relazione a questa tipologia di giudizi, si riconosceva come «giudice di unica istanza»),
estendendosi poi questa possibilità al giudizio in via incidentale (per due volte, prima con l’ord. 18 luglio
2013, n. 207, poi con la recente ord. 26 gennaio 2017, n. 24, relativa alla vicenda Taricco).

27 Paradigmatica di quest’orientamento, vòlto a rimettere ai giudici comuni, nel loro rapporto esclusivo con la Corte
di Giustizia, il compito di risolvere ogni questione relativa all’interpretazione del diritto eurounitario prima di adire
il giudice costituzionale, la testé citata ord. 536/1995, ove la Corte, premettendo che «l’esame della prospettata
questione di costituzionalità […] esige che il contenuto delle norme espresse dalle disposizioni comunitarie sia
compiutamente e definitivamente individuato secondo le regole all’uopo dettate da quell’ordinamento, in guisa che
tale contenuto si presenti connotato dai caratteri della certezza ed affidabilità necessitati dall’irreversibilità degli
effetti che nell’ordinamento nazionale conseguirebbero ad una eventuale pronuncia di incostituzionalità», statuiva
che «è invece il giudice rimettente, il quale alleghi, come nella specie, la norma comunitaria a presupposto della
censura di costituzionalità, a doversi far carico – in mancanza di precedenti puntuali pronunce della Corte di
giustizia – di adire quest’ultima per provocare quell’interpretazione certa ed affidabile che assicuri l’effettiva (e non
già ipotetica e comunque precaria) rilevanza e non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale
circa una disposizione interna che nel raffronto con un parametro di costituzionalità risenta, direttamente o
indirettamente, della portata della disposizione comunitaria».
28 Ciò perché «da un lato, alla luce dell’interpretazione resa in via pregiudiziale, si riespande la prospettiva

dell’interpretazione conforme, e, dall’altro, essendo la decisione della Corte di Giustizia direttamente applicabile,
può sostanzialmente determinarsi la possibilità di procedere alla non applicazione della norma interna contrastante
anche quando il diritto dell’Unione è sprovvisto di effetti diretti»: così A. CARDONE, La tutela multilivello dei diritti
fondamentali, Milano, 2012, pp. 66-67.
29 Corte cost., sent. 21 aprile 1989, n. 232, punto 3.1 del Considerato in diritto.

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d) Intrecciata a quest’ultimo aspetto della “riluttanza” ad instaurare un dialogo diretto con la Corte di
Giustizia, è la posizione tradizionalmente assunta dalla Corte costituzionale rispetto ai casi di c.d. «doppia
pregiudizialità». Con tale espressione si è soliti designare «tutta la serie di ipotesi – in vero, eterogenee –
di interferenza tra giudizio della Corte costituzionale e giudizio della CGUE rispetto ad una medesima
fattispecie»30. La doppia pregiudizialità può inoltre qualificarsi come diretta31 quando il giudice a quo abbia
provveduto contestualmente al duplice rinvio; in tal caso, la posizione della Corte costituzionale è nel
senso della irrilevanza della questione di costituzionalità, sussistendo dubbi sull’applicabilità della norma
impugnata nel giudizio principale; la medesima risposta è data allorché non vi sia doppio rinvio
contestuale, ma sia la stessa Corte a ritenere che ricorrano i presupposti per il preliminary ruling dei giudici
di Lussemburgo – e, come anticipato nel punto precedente, la Corte ha generalmente preteso che i giudici
a quibus chiarissero ogni dubbio di «comunitarietà» prima di rivolgersi ad essa. Ricorrono invece ipotesi di
pregiudizialità indiretta32 ove vi sia la semplice interferenza di giudizi davanti alla CGUE rispetto al giudizio
dinanzi alla Corte, ad esempio quando sia pendente di fronte alla prima il giudizio sulla norma dell’Unione
applicabile nel processo costituzionale; ovvero quando il giudice europeo pronunci sentenza nelle more
del giudizio di costituzionalità, dovendo allora essere riconsiderato dal giudice comune il profilo della
rilevanza, per ius superveniens.
Sembra allora che, almeno fino alla sent. 269/2017, fatti salvi i rari (e tutti piuttosto recenti) casi in cui
essa stessa ha fatto ricorso al preliminary ruling, sia stata costante preoccupazione della Corte quella di
lasciare, per così dire, sulle spalle del giudice comune il “fardello” del dialogo con la Corte di Giustizia,
declinando l’esame delle questioni non chiarite a livello europeo. Posizione in verità discutibile per almeno
tre ragioni. In primis, un tale atteggiamento di self-restraint può rivelarsi alla lunga più «anti-comunitario»33
di quanto non appaia a prima vista, dilatando i tempi del processo (a quo e costituzionale), e costringendo
la stessa Corte costituzionale ad intervenire, eventualmente, solo una volta che dal dialogo tra giudice
comune e Corte di Giustizia siano state fissate le coordinate della questione – spesso anche in materie
pienamente costituzionali quali i diritti fondamentali. In secondo luogo, come è stato condivisibilmente
osservato, «la precedenza della pregiudiziale interpretativa sulla quaestio, finora affermata dalla Corte, non
era […] teoricamente necessaria e pertanto “obbligata”»34, in quanto «se pure è vero che l’applicabilità
viene, in un certo senso, prima della validità e che non ha senso porsi un problema di validità di una

30 A. CELOTTO, Ancora un’occasione perduta per mettere chiarezza sulle interferenze fra giudizio di costituzionalità e giudizio di
«comunitarietà», in Giur. cost., n. 3/2004, pp. 1732-1733.
31 A. CELOTTO, op. ult. cit., p. 1733.
32 A. CELOTTO, op. ult. cit., p. 1733.
33 Lo affermava sempre A. CELOTTO, op. ult. cit., commentando una decisione di rinvio a nuovo ruolo motivata

proprio dalla volontà della Corte costituzionale di dare in ogni caso la precedenza temporale alla Corte dell’Unione.
34 G. SCACCIA, Giudici comuni e diritto dell’Unione europea, cit., p. 2951.

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disposizione non applicabile, sembra anche vero che la sentenza di accoglimento (nella cui prospettiva si
giustifica la questione incidentale) a sua volta rende inapplicabile la disposizione (per ragioni di validità,
ma con i medesimi effetti) e che la pregiudiziale interpretativa dinanzi alla ECJ rende certa
un’inapplicabilità di cui prima si poteva dubitare»35. In terzo e ultimo luogo – e qui ci si connette al punto
che segue, conclusivo – l’isolamento della Corte costituzionale che così ne è derivato destava perplessità
crescenti alla luce dell’acquisita efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamentali, rispetto alla quale
poteva (e può tutt’ora) ritenersi indispensabile un apporto, molto più incisivo rispetto al passato, delle
diverse Corti costituzionali d’Europa, anche al fine di «contenere quei rischi di difformità e
parcellizzazione del patrimonio costituzionale europeo cui inevitabilmente l’ordinamento dell’Unione va
incontro per effetto del pervasivo ruolo del giudice comune»36 – rischi a cui non può certo attendere
«solipsisticamente» la Corte di Giustizia.
e) Al tormentato, controverso tema dell’efficacia giuridica della Carta dei diritti fondamentali e dei suoi
limiti – su cui, peraltro, si tornerà successivamente – saranno dedicati ora pochi cenni. In un commento
che seguiva di poco la proclamazione della Carta di Nizza37, si osservava che, quantomeno «dal punto di
vista formale», la Carta non avrebbe dovuto incidere sulle competenze delle Corti costituzionali nella
tutela dei diritti fondamentali in questioni di portata europea. Ciò, essenzialmente, in quanto
trasformazioni in questo campo erano «già occorse e da molto tempo»38, e in quanto le c.d. «clausole
orizzontali» della Carta, scritte sotto il vincolo di non innovare rispetto al diritto giurisprudenziale
esistente, (ribadivano e) ribadiscono più volte l’inidoneità della stessa ad estendere in alcun modo le
competenze dell’Unione, come definite nei Trattati39. Queste considerazioni, in particolare quelle attinenti
ai limiti posti dalle clausole finali della Carta al suo ambito di applicazione, valgono però solo se ci si
arresta a riflessioni basate su un punto di vista giuridico-formale40, dunque incentrate sulla lettura dei testi.
A diverse conclusioni si approda se si osserva la realtà delle relazioni interordinamentali, dando così il
giusto rilievo alle interazioni tra i giudici comuni e la Corte di Giustizia, e a quella che si è rivelata poi

35 A. CERRI, La doppia pregiudiziale in una innovativa decisione della Corte, cit., p. 2901, il quale così prosegue: «Nel
primo caso si elimina una applicabilità altrimenti sussistente; nel secondo caso si chiarisce che questa applicabilità
non sussisteva (anche se, a tutta prima, ciò non era chiaro)».
36 A. CARDONE, La tutela multilivello dei diritti fondamentali, cit., p. 73.
37 M. CARTABIA – A. CELOTTO, La giustizia costituzionale in Italia dopo la Carta di Nizza, in Giur. cost., n. 6/2002,

p. 4481 ss.
38 M. CARTABIA – A. CELOTTO, op. ult. cit., p. 4481.
39 Si vedano, ex plurimis, l’art. 6, par. 1, 2° cpv., del TUE, a norma del quale Le disposizioni della Carta non estendono in

alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati, e l’art. 51 della Carta, par. 1 e 2, i quali prevedono rispettivamente
che Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà
come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione, e che La presente Carta non introduce competenze
nuove o compiti nuovi per la Comunità e per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati.
40 M. CARTABIA – A. CELOTTO, op. cit., p. 4483.

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essere la straordinaria «portata interpretativa» della Carta. Due fattori, in particolare, hanno determinato
l’accentuazione di un effetto (invero, per certi aspetti, tutt’altro che imprevedibile) di «traboccamento» –
o spill-over – della Carta: da una parte, la fascinazione esercitata da quest’ultima sui giudici comuni41,
talvolta inclini all’inosservanza del confine fissato dall’art. 51, in forza del quale la Carta si applica agli
Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione; dall’altra, il contributo all’attenuazione del
confine medesimo da parte di certa giurisprudenza della Corte di Giustizia – per quanto, a onor del vero,
sul punto vi siano state non trascurabili oscillazioni. Quel che è certo, è che il citato effetto di spill-over
della Carta ha ricevuto un notevole impulso da sentenze come la celebre Åkerberg Fransson42: sul punto si
è correttamente osservato che, stando all’approccio seguito dalla CGUE in questa decisione, «non
sembrano esistere aree del diritto nazionale per le quali si potrebbe affermare con assoluta certezza che
mai saranno toccate dall’applicazione della Carta»43. Ecco allora che, indebolendosi gli argini al

41  Ne dà conto, riportando numerosi esempi concreti, A. BARBERA, La Carta dei diritti: per un dialogo fra la Corte
italiana e la Corte di giustizia, in Rivista AIC, n. 4/2017, p. 5 ss., in una relazione definita «per certi versi anticipatrice»
della sentenza 269 (così C. CARUSO, La Corte costituzionale riprende il «cammino comunitario», cit.), quando non come
«il retroterra culturale della decisione» (R. CONTI, La Cassazione dopo Corte cost. n. 269/2017. Qualche riflessione, a
seconda lettura, in Forum di Quad. Cost., 28 dicembre 2017, p. 2).
42 Corte giust., sent. 26 febbraio 2013, C-617/10, Åklagaren contro Hans Åkerberg Fransson. Questa discussa decisione

concerneva l’asserita contrarietà alla Carta di un cumulo di sanzioni penali e amministrative previsto dal diritto
svedese per delle frodi aggravate in materia di IVA. Discostandosi dall’Opinion dell’Avvocato generale, il quale,
chiedendosi se l’ipotesi di un’attività normativa statale direttamente motivata dal diritto dell’Unione (in cui pertanto
il secondo fosse causa e non mera occasio della prima) fosse equiparabile all’ipotesi sussistente nella fattispecie, in cui
il diritto nazionale era solo oggettivamente posto al servizio degli obiettivi fissati dal diritto dell’Unione, concludeva nel
senso di escludere la competenza della Corte di Giustizia, i giudici di Lussemburgo rinvenivano il collegamento
sufficiente con il diritto dell’Unione nel fatto che le sovrattasse e i procedimenti penali di cui il sig. Åkerberg
Fransson era (o era stato) oggetto erano in parte collegati a violazioni dei suoi obblighi dichiarativi in materia di
IVA, e dunque risultavano funzionali all’adempimento degli obblighi gravanti sugli Stati membri per una corretta
riscossione dell’IVA. Era irrilevante, in questo senso, il fatto che la normativa nazionale in questione non fosse
stata adottata per trasporre la direttiva europea 2006/112 sul sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in
quanto la sua applicazione mirava «a sanzionare una violazione delle disposizioni della direttiva summenzionata e
pertanto ad attuare l’obbligo, imposto dal Trattato agli Stati membri, di sanzionare in modo effettivo i
comportamenti lesivi degli interessi finanziari dell’Unione». Osserva sul punto V. PICCONE, A prima lettura della
sentenza della Corte di cassazione n. 4223 del 21 febbraio 2018. L’interpretazione conforme come strumento di “sutura” post Corte
costituzionale n. 269/2017, in Diritti Comparati, n. 1/2018, p. 328, che a seguito della sentenza Fransson «è andata
affermandosi una più elastica impostazione, che ha recepito un concetto più generico ed ampio di “attuazione” e
ha ritenuto sufficiente che la fattispecie esaminata cada per qualche suo aspetto nel “cono d’ombra”, come si suol
dire, del diritto dell’Unione, e, cioè, presenti un collegamento tangibile con quel sistema, anche se indiretto. Anche
in tale ipotesi, quindi, il diritto interno può essere considerato “applicativo” di quello sovranazionale e può essere
esaminato alla luce dei diritti della Carta, sebbene non appaia immediatamente attuativo di esso». Riporta numerosi
esempi delle «oscillazioni» della CGUE rispetto all’interpretazione dell’art. 51 della Carta M. CARTABIA,
Convergenze e divergenze nell’interpretazione delle clausole finali della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Rivista
AIC, n. 2/2018, p. 9 ss.
43 N. LAZZERINI, Il contributo della sentenza Åkerberg Fransson alla determinazione dell’ambito di applicazione e degli effetti

della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Riv. dir. int., n. 3/2013, p. 894. Osserva altresì A. CARDONE,
La tutela multilivello dei diritti fondamentali, cit., p. 48, che «l’impossibilità di individuare una categoria logico-formale

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traboccamento, pure ribaditi con una certa insistenza sia al momento della redazione della Carta, sia al
momento della sua equiparazione ai Trattati (Lisbona), l’«ambito di applicazione» dei diritti fondamentali
di matrice eurounitaria diviene di incerta portata, e i rischi di sovrapposizione con gli omologhi diritti
costituzionali interni si incrementano. Dei diritti fondamentali garantiti dall’Unione si poteva sottolineare,
prima di Lisbona, il carattere «non free-standing», nel senso che essi «non creano autonomamente il proprio
ambito di applicazione, e di conseguenza non possono fungere da parametro di compatibilità di una
misura nazionale con il diritto dell’Unione solo in forza della loro pretesa violazione da parte di quella
misura; occorre invece dimostrare che la misura nazionale presenti un collegamento sufficientemente
stretto con una regola di diritto UE che non sia il principio generale che si assume violato»44; dopo
Lisbona, si può lecitamente dubitare della correttezza di questa impostazione, o quantomeno della sua
aderenza a ciò che di fatto sta avvenendo nel circuito giudiziario multilivello.
Qual è, inoltre, lo statuto giuridico delle previsioni della Carta dei diritti fondamentali? Al netto della
discussa (e discutibile) distinzione operata nella stessa Carta tra «diritti» e «principi», è innegabile che in
essa si trovano alcune norme dotate di un sufficiente grado di precisione e determinatezza, da poter essere
ritenute self-executing ai fini dell’applicazione dei «criteri Granital» – sempre che, con un curioso
rovesciamento di prospettiva, non si ritenga di dover applicare alla Carta la nota teoria delle «norme
programmatiche» che in passato si proponeva al fine di indebolire la piena normatività della Costituzione
italiana. Si consideri, da ultimo, che la presenza di una Carta dei diritti fondamentali a livello
sovranazionale, dal contenuto in gran parte sovrapponibile a quello delle costituzioni nazionali, ha di
certo contribuito a consolidare il rapporto privilegiato tra giudice comune e Corte di Giustizia, potendo
agire in futuro sulle stesse «strategie interpretative» a disposizione del primo per determinare case by case,
in maniera difficilmente sindacabile dal giudice costituzionale, quale delle diverse «costituzioni» applicare
al caso concreto45.

in grado di racchiudere gli atti esecutivi del diritto europeo rischia di spalancare le porte ad un judicial review
comunitario generalizzato».
44 N. LAZZERINI, op. cit., p. 888.
45 A. CARDONE, op. cit., p. 52. Sottolinea che qualunque giudice, che sia di primo o di ultimo grado, «oggi può

permettersi, quasi senza regole, di scegliere a quale interprete di una legalità superiore rivolgersi: corte costituzionale
o corte di giustizia; al di là del superamento di una erronea e autarchica giurisprudenza della corte costituzionale,
ciò significa che non sarà facile richiudere le porte che permettono alle supreme magistrature ordinaria,
amministrativa e contabile di rivolgersi direttamente alla Corte di giustizia», B. CARAVITA, Roma locuta, causa finita?
Spunti per un’analisi di una recente actio finium regundorum, in senso centripeto, da parte della Corte costituzionale, in Federalismi.it,
n. 15/2018, p. 6.

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4. Il contesto: la crisi dell’Unione, la crisi della giustizia costituzionale accentrata e il «brusco
risveglio»46 della Corte costituzionale italiana
L’esito provvisorio del tormentato processo di razionalizzazione delle relazioni tra ordinamenti e tra
giudici non è stato, pertanto, esente da critiche e difficoltà applicative. Quanto alle critiche, alcune di esse
si appuntavano su alcune “crepe” quali si potevano individuare ab origine nella ricostruzione dei rapporti
interordinamentali offerta nella sentenza Granital; altre, come abbiamo appena visto, sono state avanzate
in ragione della successiva evoluzione dell’ordinamento dell’Unione. Ciò che, tuttavia, è sembrato
innescare la svolta della Corte costituzionale in punto di ordine delle pregiudizialità è soprattutto, nelle
parole della Corte stessa, la presa d’atto delle «trasformazioni che hanno riguardato il diritto dell’Unione
europea e il sistema dei rapporti con gli ordinamenti nazionali dopo l’entrata in vigore del Trattato di
Lisbona»47; in particolare, l’attribuzione alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione della medesima
forza giuridica dei Trattati; una Carta «dotata di caratteri peculiari in ragione del suo contenuto di
impronta tipicamente costituzionale». Trattasi, come correttamente osservato, di una «affermazione di
straordinario rilievo, che impone un autentico ripensamento di metodo, ancora prima che di teoria, per
ciò che attiene all’assetto complessivo delle relazioni interordinamentali»48, e che acquisterà contorni più
nitidi alla luce delle osservazioni che seguono.
Commentando la sentenza Granital a 23 anni dalla sua adozione, Alessandro Pace osservava che «ogni
decisione politica o giudiziaria, soprattutto se importante come la sent. n. 170 del 1984, deve essere
valutata […] nel contesto storico e politico nel quale è stata adottata. E ciò anche quando non la si
condivida»49. Qual è il contesto entro il quale è stata adottata la sent. n. 269/2017? Di certo si tratta di un
contesto costituzionalmente non pacificato.
Sebbene l’intera traiettoria storico-giuridico-concettuale dell’Unione europea si sia svolta secondo una
logica di progressione non lineare, composta di piccoli passi irregolari, talvolta brusche frenate, fallimenti
e inopinate riprese, riesce difficile non ravvisare nell’attuale situazione politica ed economica dell’UE una
crisi senza precedenti50, che colpisce su più fronti il progetto di integrazione, al punto che diventa inevitabile

46 L’espressione, riferita in particolare all’atteggiamento mantenuto dalla Corte costituzionale nella saga Taricco e al
rinnovato successo della teoria dei controlimiti, è usata da M. LUCIANI, Il brusco risveglio. I controlimiti e la fine mancata
della storia costituzionale, in Rivista AIC, n. 2/2016, pp. 1-20.
47 Sent. 269/2017, punto 5.2 del Considerato in diritto.
48 A. RUGGERI, Svolta della Consulta sulle questioni di diritto eurounitario, cit., p. 5.
49 A. PACE, La sentenza Granital, ventitrè anni dopo, in AA.VV., Diritto comunitario e diritto interno, Milano, 2008, p. 405

ss.
50 Evidenzia la «gravissima contraddizione fra l’altissima legittimazione giuridica del diritto europeo e la bassissima

legittimazione politica del progetto europeo» B. CARAVITA, Roma locuta, causa finita?, cit., p. 6, aggiungendo che
«se questa contraddizione non si risolve, siamo destinati a perdere l’unico oggi possibile centro di unità dei nostri
sistemi giuridici; e ricostruire unità all’interno dei confini nazionali sarà difficilissimo, se non impossibile».

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«ragionare su una fase storica in cui la prospettiva dell’integrazione inarrestabile è in discussione»51. I termini
attuali del «problema costituzionale» dell’Unione, è stato detto, non concernono più «le modalità e i
percorsi del passaggio dall’unione alla federazione europea, ma la prevenzione dello sfaldamento e la
tenuta del fondamento valoriale comune»52. Fino a che punto, allora, l’attuale fragilità delle istituzioni
sovranazionali incide sulla prospettiva con cui gli studiosi, in particolare i costituzionalisti, guardano alla
capacità della «giustizia europea» di garantire un livello adeguato di tutela dei diritti fondamentali? Fino a
che punto, in particolare, le loro rappresentazioni del sempre più intricato sistema multilivello di tutela
dei diritti risentono delle vicende istituzionali su cui si sta drammaticamente avvitando il dibattito
pubblico sul futuro dell’Unione? Di certo nessuna ricostruzione teorica che riguardi l’intreccio di fonti e
Corti che insistono sullo spazio costituzionale europeo è (né può essere) avulsa dal contesto; tuttavia sarebbe
ugualmente inaccettabile, sul piano scientifico, “inquinare” il dibattito sulle prospettive del circuito
europeo di tutela dei diritti fondamentali leggendo le decisioni dei giudici attraverso le lenti deformanti
della contrapposizione politica in atto – sul piano nazionale e sovranazionale. Non necessariamente le
pronunce dei tribunali costituzionali dirette a «riacquistare spazi» nel circuito dialogico europeo sono
espressione di «patriottismo costituzionale», o finanche di «tentazioni sovraniste»53; né, allargando la
prospettiva, ricostruzioni teoriche inclini a dare rilievo al conflitto – a fronte di una diffusa rappresentazione
fin troppo irenica delle dinamiche di tutela multilivello54 – quale paradigma utile ad una lettura
autenticamente pluralista delle relazioni interordinamentali55 legittimano tendenze destabilizzanti
dell’ordine giuridico europeo. Occorre allora leggere decisioni come quella fin qui esaminata avendo
presenti i suoi presupposti e il contesto, anche (ma non soltanto) istituzionale, in cui essa va indefettibilmente
a collocarsi56, senza tuttavia che ciò finisca per distogliere lo sguardo da movimenti più ampi, più lenti e

51 I fronti di crisi dell’Unione europea, in Quad. Cost., n. 2/2018, p. 291.
52 G. AMATO, L’integrazione europea come problema costituzionale, in Quad. Cost., n. 3/2018, p. 563.
53 Lo sottolinea A. BARBERA, La Carta dei diritti, cit., p. 17.
54 Parla dello «spiccato favor verso la rappresentazione irenica della tutela multilivello che mostrano parte della

dottrina e della giurisprudenza» M. NISTICÒ, Limiti e prospettive del circuito di tutela su più livelli dei diritti fondamentali,
in Costituzionalismo.it, n. 1/2018, p. 257; v. anche M. LUCIANI, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in
Giur. cost., n. 2/2006, pp. 1643-1658, e R. BIN, L’interpretazione conforme. Due o tre cose che so di lei, in Rivista AIC, n.
1/2015, pp. 11-12, in particolare ove afferma che «Siccome l’ordinamento giuridico e i suoi interpreti non amano
la schizofrenia, si cerca di nascondere questa complessità potenzialmente conflittuale tessendo un mantello irenico
con i fili del “dialogo”, dell’integrazione e del perseguimento del livello più elevato di tutela dei diritti».
55 Per quanto concerne la dottrina italiana, si segnala in particolare il recente contributo di G. MARTINICO,

Pluralismo costituzionale e pluralismo agonistico: un ripensamento del ruolo dei conflitti costituzionali?, in Dir. pubbl. comp. eur., n.
3/2018, p. 781 ss., ove il ruolo dei conflitti nell’attuale fase del diritto europeo è esplorato alla luce del concetto di
«conflictual consensus», elaborato da C. Mouffe.
56 Ritiene questa pronuncia un’ulteriore conferma della tendenza della recente giurisprudenza costituzionale a un

recupero della centralità del controllo di costituzionalità, il quale a sua volta è il riflesso di «un’indiscutibile
debolezza istituzionale degli organi dell’Unione e degli stessi fondamenti pattizi dell’ordinamento europeo», F.S.
MARINI, I diritti europei e il rapporto tra le Corti: le novità della sentenza n. 269 del 2017, in Federalismi.it, n. 4/2018, p. 5.

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perciò meno evidenti: trasformazioni che procedono con andamento carsico, e il cui esito si fatica ad aver
chiaro finché non ci si trova dinanzi a paesaggi giuridici nuovi, il cui processo di formazione, pur
preparato nel corso di decenni, era per molto tempo rimasto sotterraneo e quasi impercettibile.
In questo senso, la dottrina più avveduta non aveva mancato di sottolineare, fin dall’inizio, il possibile
impatto sistemico di una sentenza come la Granital, ritenuta idonea finanche a «travolgere l’intera
impalcatura del sistema di giustizia costituzionale che la Carta fondamentale ha inteso edificare per il
nostro Paese»57, e a determinare un significativo indebolimento del ruolo – fino a quel momento, di
assoluta centralità – dalla Corte costituzionale nel sistema complessivo di controllo sulla costituzionalità
delle leggi. Se a tutta prima potevano ritenersi, per certi aspetti, giustificate anche letture meno
drammatizzanti, tese anzi a legittimare questa contrazione dell’area di ciò che era potenzialmente
sindacabile di fronte al giudice delle leggi alla luce di un margine quasi fisiologico di flessibilità del modello
incidentale, orientato ora all’incremento ora alla diminuzione del tasso di diffusione del controllo di
legittimità costituzionale58, a diverse conclusioni si perviene ora, abbracciando una visione complessiva e
a posteriori. Si possono osservare, allora, diversi fattori combinarsi tra loro, concorrendo nel produrre un
risultato la cui portata si è definita solo progressivamente e alla lunga distanza. L’ampiezza dell’area della
normazione interna sottratta al controllo accentrato di costituzionalità in forza dei criteri Granital era
certamente rilevante ab origine, e vieppiù lo è diventata in ragione dell’ampliamento del novero di atti
normativi dell’Unione idonei a produrre effetti diretti, e più in generale dei settori di competenza
eurounitaria. La citata opinione della Corte in punto di doppia pregiudizialità rafforzava, poi, insieme
all’“esplosione” dell’interpretazione conforme59, la tendenza dei giudici comuni a bypassare, ove possibile,
il giudizio di costituzionalità60; ad aumentare l’attrattiva del preliminary ruling contribuiva infine la “politica”
della Corte di Giustizia riguardo ai requisiti di accesso al suo giudizio, decisamente meno rigorosi di quelli
della Corte costituzionale. La progressiva marginalizzazione del giudizio accentrato di costituzionalità

57 A. RUGGERI, Materiali per uno studio dei limiti al sindacato di costituzionalità sulle leggi (introduzione ad una teoria giuridica
della funzione «giurisprudenziale» conseguenziale), in Giur. cost., 1985, pp. 356-357.
58 Per una lettura meno «drammatica» di questa apertura all’ulteriore diffusione del sindacato incidentale, v. N.

TROCKER, La pregiudizialità costituzionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 854 ss.
59 Ne evidenziano le insidie, ex plurimis, M. LUCIANI, Le funzioni sistemiche della Corte costituzionale, oggi, e

l’interpretazione “conforme a”, in Federalismi.it, n. 16/2007, p. 7 ss. e G. LANEVE, L’interpretazione conforme a Costituzione:
problemi e prospettive di un sistema diffuso di applicazione costituzionale all’interno di un sindacato (che resta) accentrato, in B.
CARAVITA (a cura di), La giustizia costituzionale in trasformazione: la Corte costituzionale tra giudice dei diritti e giudice dei
conflitti, Napoli, 2012, pp. 3-35.
60 Riconduce ad una «generale tendenza dei giudici comuni a dilatare al massimo le tutele soggettive attraverso

l’interpretazione e applicazione diretta di norme che ampliano la sfera di protezione dei diritti» il declino
dell’incidentalità G. SCACCIA, L’inversione della “doppia pregiudiziale” nella sentenza della Corte costituzionale n. 269 del
2017: presupposti teorici e problemi applicativi, in Forum di Quad. Cost., 25 gennaio 2018, pp. 4-5, riportando anche numeri
che testimoniano la sensibile diminuzione negli ultimi anni degli atti di promovimento e, perciò, delle decisioni
pronunciate al termine di giudizi incidentali.

15                                                 federalismi.it - ISSN 1826-3534                                    |n. 24/2018
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