Ragazzi di Vita. 12 giugno Giornata Mondiale contro il lavoro minorile

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Ragazzi di Vita. 12 giugno Giornata Mondiale contro il lavoro minorile
Ragazzi di Vita. 12 giugno
Giornata Mondiale contro il
lavoro minorile
2020-06-09 – Era il 1955 quando Pier Paolo Pasolini esordiva
nella narrativa con “Ragazzi di Vita” dove il Riccetto, il
Caciotta, il Lenzetta, il Begalone, l’Alduccio ed altri
giovanissimi sottoproletari romani sciamavano dalle borgate
verso il centro città. Allora la cornice di riferimento era la
Roma monumentale e quella della speculazione edilizia;
contesto perfetto per mettere in evidenza la contraddizione di
cui è intriso il romanzo: contraddittorio è lo spazio in cui
si svolge l’azione e contraddittorio è il carattere dei
giovani protagonisti   che   alternano   violenza   gratuita   a
generosità patetica.
Ebbene il 12 giugno sarà la Giornata Mondiale contro il lavoro
minorile e la mia mente, sull’onda emotiva, è andata a
ripescare le figure indelebili del Riccetto, del Caciotta e
degli altri, magistralmente dipinte dalla penna del Maestro
dalle 3 Pi.
Premesso che non amo né condivido il “sacrificio” delle
giornate mondiali a questo o quel tema, in questo contesto,
intendo usare opportunisticamente l’anzidetta data per tornare
a parlare di lavoro minorile, una piaga mai guarita, senza
tempo né spazio.
1) Il lavoro minorile in Italia e la latitanza dell’Istat
Il lavoro minorile in Italia è vietato dal 1967, tuttavia, si
può lavorare dai 16 anni (dai 18 per i lavori più usuranti) a
patto che si abbia frequentato la scuola per almeno 10 anni:
vale a dire 5 anni di scuola elementare, 3 di scuola media e 2
anni di scuola superiore. La legge, infatti, prevede che per
lavorare dai 16 anni si sia in possesso della licenza media e
si abbia completato un corso di formazione riconosciuto dallo
Stato. Tale normativa si applica a tutti i minorenni che
intendano lavorare che si trovino in Italia, siano essi
cittadini o stranieri.
Nonostante questa regolamentazione, il problema del lavoro
minorile resta enorme e spesso dimenticato dalle Istituzioni e
dalla Politica. Basti pensare che l’unica indagine dell’ISTAT
sul lavoro minorile risale al 2000: 20 anni fa (!) (Cfr.
ISTAT, Bambini, lavori e lavoretti. Vero un sistema
informativo sul lavoro minorile. Primi risultati, Roma 2002).
Per capirne la portata nella sua enormità, è sufficiente dare
uno sguardo al numero di ispezioni e segnalazioni rilevate
annualmente dalla Direzione Centrale di Vigilanza
dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro: dal 2013 fino al 31
dicembre del 2019 si sono verificati poco più di 1700 casi di
violazioni penali accertate della normativa sul lavoro
minorile. Vale a dire ragazzini che cominciano a lavorare
prima dei 16 anni e senza i requisiti richiesti in tema di
formazione scolastica. E si tratta solo di una minuscola parte
in quanto, nella stragrande maggioranza dei casi, lo
sfruttamento dei minori rimane sotterraneo, del tutto
impermeabile a denunce e a controlli.

2) Il Lavoro minorile: si muove trasversale da Nord a Sud del
Belpaese.
Un interessante articolo comparso su “L’Espresso” il 9 Gennaio
dello    scorso    anno   (https://espresso.repubblica.i-
t/attualita/2019/01/07/news/lavoro-minorile-l-italia-e-il-pa-
ese-dei-piccoli-schiavi-1.330218) metteva in evidenza come
“(…) il lavoro minorile si srotola lungo l’Italia in una
desolante geografia che dalle campagne della Pianura Padana
porta ai mercati rionali del Sud…”.
Evidenziando così come il lavoro minorile sia un problema del
tutto trasversale al Paese, che riguarda sia le zone
maggiormente industrializzate del nord che le aree più
agricole del centro sud.
I settori dove il lavoro minorile è più diffuso – continua a
chiarirci l’articolo su “L’Espresso” – sono il commercio, la
ristorazione, l’agricoltura e i servizi. Settori facilmente
riscontrabili ovunque sul territorio nazionale.
In particolare, l’autore dell’articolo su L’Espresso ci
informa che “(…) fra le attività più controllate dai
Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro nel Nord, per
esempio, ci sono gli autolavaggi delle grosse metropoli come
Torino, dove spesso ragazzini dai 13 ai 18 anni vengono
sottoposti a ritmi massacranti per 3 euro all’ora (…)” –
mentre non ha dubbi nell’affermare che, a Napoli, è quasi una
certezza – “(…) che i piccoli lavoratori finiscano per
ingrossare le file delle maestranze criminali (…)”.

3) Il Lavoro minorile:      miete vittime tra stranieri e
italiani.
Sulla base dell’interessante studio realizzato nel 2013 da
Save the Children e Associazione Bruno Trentin pubblicato col
titolo “Game Over. Indagine sul lavoro minorile in Italia”, a
cura di K.Scannavi e A. Teselli, Ediesse, Roma 2014, emergeva
che il lavoro minorile era trasversale anche alla nazionalità.
Nel 73% dei casi i giovani lavoratori risultavano italiani,
mentre nel 27% stranieri (in genere della Romania, Albania e
Africa del nord).
Al 2013, inoltre, erano 260.000 i minori tra i 7 e i 15 anni
con una qualche esperienza di lavoro illegale. In particolare,
si evidenziava che più del 60% degli intervistati svolgeva
attività lavorativa tra i 14 e i 15 anni, oltre il 40% al di
sotto dei 13 anni e circa l’11% persino prima degli 11 anni.
Ben il 20% dei minori svolgeva lavori di tipo continuativo ed
erano considerati “a rischio sfruttamento”.
Si constatava, tra l’altro, di come il lavoro creasse
un’interruzione nella frequenza scolastica, non lasciando
nemmeno il tempo per il divertimento con gli amici, sacrosanto
per un sano sviluppo psico-fisico nonché diritto che dovrebbe
essere garantito ad ogni minore. Infine, si appurava di come
il lavoro venisse da questi percepito come moderatamente
pericoloso.

4) Il nostro codice penale: dallo sfruttamento del lavoro ex
art. 603 bis alla riduzione in schiavitù ex art. 600.
Lo sfruttamento del lavoro nel nostro ordinamento è previsto
come reato dall’art. 603 c.p. che recita:
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con
la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000
euro per ciascun lavoratore reclutato chiunque:
1 – Recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro
presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando
dello stato di bisogno dei lavoratori (c.d. “intermediazione
illecita”);
2 – Utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante
l’attività di intermediazione di cui al numero 1),
sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed
approfittando del loro stato di bisogno.
Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si
applica la pena della reclusione da 5 a 8 anni e la multa da
1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato (…)”.
La norma, quindi, prosegue dicendoci cosa si deve intendere
per “sfruttamento”.
A titolo esemplificativo ci dice che è un indice di
sfruttamento “la sottoposizione del lavoratore a condizioni di
lavoro a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative
degradanti” ovvero ancora “la reiterata violazione della
normativa relativa all’orario di lavoro , ai periodi di
risposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria,
alle ferie…”.
L’ultima parte della norma prevede una serie di aggravanti
specifiche che comportano l’aumento della pena da un terzo
alla metà e, tra esse, è menzionato il fatto che uno o più dei
soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa.
Se ne deduce, quindi, che non esiste una fattispecie autonoma
del reato di sfruttamento del lavoro minorile che, invece,
esiste esclusivamente in quanto aggravante specifica del reato
di sfruttamento del lavoro e, come tale, rende il reato punito
ben più severamente.
Ciò chiarito, occorre ricordare che per le forme più gravi di
sfruttamento del lavoro minorile è ipotizzabile anche il reato
di “riduzione in schiavitù” di cui all’art. 600 c.p.. (1)

5) Le ricadute economiche della pandemia di Coronavirus sul
lavoro minorile nel mondo ed in Italia.
Emerge, quindi, lo stretto rapporto tra lavoro minorile e
povertà. Correlazione che vale evidentemente in tutto il mondo
e non solo in Italia. Di conseguenza è ragionevole pensare
che le    ricadute economiche della pandemia da Covid-19
aumenteranno la povertà familiare nel mondo.
Secondo un recente studio Unicef-Save the Children
(https://www.minori.gov.it/it/print/7275) la povertà arriverà
a coinvolgere fino a 86 milioni di bambini in più entro la
fine del 2020.
Nell’indagine si evidenzia, inoltre, che in assenza di azioni
immediate per proteggere la famiglia dalle difficoltà
finanziarie causate dalla pandemia, il numero totale di
bambini che vivono sotto la soglia di povertà nei Paesi a
basso e medio reddito, potrebbe raggiungere i 672 milioni
entro la fine dell’anno.
In termini relativi, gli incrementi più significativi
potrebbero riguardare Europa ed Asia Centrale (+44%), mentre
in America Latina e Caraibi l’aumento sarebbe del 22%.
Le due organizzazione che hanno effettuato questo studio hanno
anche ribadito che già prima del Covid-19 due terzi dei
bambini nel mondo non aveva accesso ad alcuna protezione
sociale. Inoltre, centinaia di milioni di loro sono vittime
della povertà multidimensionale, che consiste nello scarso
accesso all’assistenza sanitaria, istruzione, nutrizione o
alloggio adeguati. Purtroppo questa condizione è l’effetto di
una spesa pubblica non equa da parte dei Governi. Laddove,
invece, i bambini vivano in Paesi già colpiti da guerre e
violenze, l’impatto di questa crisi da Coronavirus, purtroppo,
non farà che aumentare il rischio di instabilità e il numero
di famiglie che finiscono in povertà.
In conclusione
ritengo utile riportare le richieste formulate ai governi del
mondo da Unicef e Save the Children per provare a mitigare
l’impatto del Coronavirus sui bambini nelle famiglie povere.
Le due organizzazioni chiedono, in particolare, un’espansione
rapida e su larga scala dei sistemi e dei programmi di
protezione sociale (sussidi monetari, refezione scolastica e
sussidi per l’infanzia). Tra queste l’accesso universale
all’assistenza sanitaria di qualità e ad altri servizi sociali
di base.
Limitatamente al Paese Italia ritengo che sarebbe già una
conquista ottenere che il Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali, oggi guidato dalla sig.ra Nunzia Catalfo,
incaricasse l’ISTAT di intraprendere un monitoraggio del
lavoro   minorile,   anche  e  soprattutto   attraverso
l’implementazione   di   un   sistema   statistico   del   lavoro
minorile.

6) Note conclusive sul fatto di cronaca nerissima avvenuto in
Pakistan ai danni di una bambina di appena 8 anni che già non
c’è più: #JusticeForZohra Shah.
Lo scorso lunedì 8 giugno, con buona parte delle persone
“buone e degne” che popolano questo nostro Pianeta praticando
l’umanità (quella vera e profonda: non la carità cristiana di
mia nonna), credo di aver condiviso il medesimo sentimento di
feroce impotenza e di infinita ingiustizia, sgorgato fuori a
piccoli rantoli, lenti e dolorosi, che ancora emetto,
dall’aver appreso la storia senza senso della vita appena
nata, scippata a Zohra Shah.
Zohra aveva 8 anni e probabilmente non è stata mai una bambina
e forse nemmeno una donna fatta. Chissà, se aveva già avuto il
suo primo ciclo mestruale… Sicuramente aveva un cuore e un
cervello e poteva percepire dolore e sofferenza. E senz’altro
se n’è andata tra atroci dolori e sofferenze. Lei, però, non è
un cane, Lei è una persona. Era una bambina di 8 anni con un
nome e un cognome: Zohra Shah. Eppure il privilegio di
appartenere alla specie “giusta” non l’è valso la salvezza,
né la dignità di essere persona, né il diritto di essere
bambina.
E’ stata uccisa, massacrata di botte e forse stuprata, dalla
ricca coppia di Rawalpindi presso la quale lavorava come
cameriera, probabilmente perché ha restituito la libertà a dei
pappagalli ristretti in una gabbia senz’altro più d’orata di
quanto non fosse la sua…
Non c’è nulla da dire. Basterebbe avere orecchie per ascoltare
il rumore assordante del suo giovane cuore al galoppo verso la
morte per comprendere quanto ogni parola sia vana.
Il problema è dentro anche se ci ostiniamo a vederlo fuori.

Note
La riduzione in schiavitù
In particolare, l’art. 600 c.p. prevede al suo primo comma
che:
“Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a
quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o
mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa,
costringendola a prestazioni continuative o sessuali ovvero
all’accattonaggio o comunque al compimento di attività
illecite che ne comportino lo sfruttamento ovvero a sottoporsi
a prelievo di organi, è punito con la reclusione da 8 a 20
anni…”
E’ interessante rilevare come la norma all’esame si
caratterizzi per la puntuale tipizzazione delle condotte
rilevanti che possiamo ricondurre a tre configurazioni:
1) L’esercizio su una persona di poteri corrispondenti a
quelli del diritto di proprietà.
In estrema sintesi, vale a dire ridurre la vittima ad una
“res” oggetto di diritti patrimoniali che, poi, è la nozione
di “schiavitù” dettata dall’art. 1 della Convenzione relativa
alla schiavitù stipulata a Ginevra nel 1926 e ratificata
dall’Italia nel 1928, oggi ancora pacificamente accolta;
2) La riduzione di una persona in uno stato di soggezione
continuativa, attraverso l’imposizione di prestazioni
lavorative o sessuali ovvero dell’accattonaggio o comunque di
prestazioni che ne comportino lo sfruttamento.
Le anzidette condotte di soggezione assumono rilievo penale
quando sono attuate “mediante violenza, minaccia, inganno,
abuso di autorità o approfittamento di una posizione di
vulnerabilità, di inferiorità fisica o psichica o di una
situazione di necessità o mediante la promessa e la dazione di
somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla
persona” (art. 600, comma II, c.p.).
E’ importante precisare che la giurisprudenza ( cfr. Cass.
Pen. n° 3368/2005) ha chiarito come lo stato di necessità
richiamato dal 2° comma della norma all’esame vada inteso come
“qualsiasi situazione di debolezza e di mancanza materiale o
morale idonea a condizionare la volontà della persona” e non
è, pertanto, riconducibile alla nozione di stato di necessità
di cui all’art. 54 c.p.. Anzi, una più recente giurisprudenza
(cfr. Cass. Pen. n°2841/2007), ha ritenuto che lo stato di
necessità di cui al 2° comma dell’art. 600 c.p. coincida con
la definizione di “posizione di vulnerabilità” così come
definita nella decisione quadro dell’Unione Europea del 19
luglio 2002 sulla lotta alla tratta degli esseri umani.
3) Il mantenimento di una persona nello stato di soggezione
delineato in precedenza.
La norma all’esame attribuisce finalmente rilievo esplicito
altresì al “mantenimento” in stato di soggezione, permettendo
così di sanzionare chi mantenga in soggezione persona già
privata della libertà da altri e non solamente persone in
libertà.
Anche in questo caso, la giurisprudenza è intervenuta per
chiarire alcuni aspetti rilevanti come, ad esempio, il
rapporto intercorrente tra il reato all’esame e quello di
maltrattamenti in famiglia. La Suprema Corte, in particolare,
partiva dal presupposto che il reato di cui all’art. 600 c.p.,
prevedendo lo stato di sfruttamento del soggetto passivo, ne
implicasse necessariamente il maltrattamento a prescindere
dalla percezioni che la vittima avesse della sua situazione.
Ne consegue che il reato all’esame non potrà concorrere, per
il principio di consunzione, con il reato di maltrattamenti in
famiglia (cfr. Cass. Pen. n° 235816/2007). La medesima Corte
ha affermato, altresì, che laddove le condotte siano poste in
essere da genitori nei confronti dei figli o di altri bambini
in rapporto di parentela, ridotti in stato di soggezione e
costretti all’accattonaggio, non sia invocabile da parte dei
genitori o dei parenti la        causa   di   giustificazione
dell’esercizio del diritto
richiamandosi alle consuetudini delle popolazioni zingare di
usare i bambini nell’accattonaggio, in quanto la consuetudine
può avere efficacia scriminante solo se richiamata da una
legge, secondo il principio di gerarchia delle fonti (cfr.
Cass. Pen. n°2841/2007).

Angela Furlan, Presidente di Super Minus onlus, consulente
Aduc

COMUNICATO STAMPA DELL’ADUC
Associazione per i diritti degli utenti e consumatori
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