LA RESIDENZA DELLE PERSONE FISICHE - UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI VERONA - a cura del dott. Giovanni Barbato
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI VERONA LA RESIDENZA DELLE PERSONE FISICHE a cura del dott. Giovanni Barbato
• La legislazione tributaria nazionale, alla stregua della maggior parte degli altri ordinamenti fiscali, sottopone a tassazione, ai fini dell’imposizione personale, per i soggetti residenti, tutti i redditi posseduti, in Italia ed all’estero, in virtù del noto principio della tassazione dell’utile mondiale o “world wide taxation” e, per i soggetti non residenti, i soli elementi reddituali prodotti nel territorio dello Stato, in base al c.d. “principio di territorialità”.
• Più precisamente il principio del "reddito mondiale" si basa infatti sul criterio della residenza e postula l'assoggettamento dei residenti a tassazione di tipo personale per ogni tipologia di reddito a prescindere dal luogo di produzione, ricostruendone le condizioni economiche complessive. Di contro, nei confronti dei non residenti viene, invece, applicato il principio della territorialità (ovvero della fonte), in virtù del quale vengono attratti ad imposizione in Italia i soli redditi prodotti nel territorio nazionale.
• La disciplina della residenza delle persone fisiche è contenuta nell’art.2, comma 2 del vigente testo unico delle imposte sui redditi, approvato con DPR 22 dicembre 1986, n. 917; tale norma stabilisce che sono soggetti passivi dell’imposta le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato e che si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile
• La legge 448/1998 ha proceduto ad integrare la disposizione de quo con il comma 2-bis prevedendo che si considerano residenti, salvo prova contraria, anche i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con apposito decreto ministeriale Cfr. art.10 della legge 23 dicembre 1998, n.448 che ha aggiunto il comma 2-bis all’art.2 del TUIR.
Ma andando ad analizzare più nel dettaglio l’art. 2 del TUIR occorre in prima analisi rilevare come il dettato normativo riconduca la determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche essenzialmente a tre elementi fondamentali: • il primo, di tipo formale, consistente nell’iscrizione anagrafica; • gli altri due,e cioè il domicilio e la residenza , di tipo sostanziale, da individuare secondo le disposizioni e le regole interpretative adottate in sede civilistica e da utilizzare evidentemente in carenza del primo requisito
• Come precisato al riguardo dalla Circolare del Ministero delle Finanze del 02/12/1997, n. 304 dal dettato testuale della legge citata emerge chiaramente che i predetti requisiti sono tra loro alternativi e non concorrenti, con la conseguenza che sarà pertanto sufficiente il verificarsi di uno solo di essi affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia
• Accanto a tali presupposti la norma richiama anche un elemento legato alla decorso del tempo ed uno connesso alla dislocazione dei vari contribuenti.
Il requisito di iscrizione all’anagrafe della popolazione residente. Le conseguenze dell’iscrizione all’Aire
• Si tratta di un elemento di tipo oggettivo, legato al dato formale della «mera» iscrizione. • L’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente appare porre prima facie porre una presunzione legale di residenza fiscale. In altri termini, l’essere iscritto all’anagrafe sarebbe condizione sufficiente per qualificare la residenza fiscale di un determinato contribuente non essendo necessari per l’Amministrazione finanziaria ulteriori elementi probanti.
• Si deve segnalare una posizione tendenzialmente concorde sulla natura di presunzione assoluta (iuris et de iure) della citata disposizione di legge, anche se non sono mancate in dottrina talune prese di posizione antitetiche. • Su tale aspetto, appare interessante la presa di posizione della Guardia di Finanza. Infatti nella circolare 1-2008 si osserva che “Il legislatore ha previsto che la sussistenza dell'elemento oggettivo di natura meramente formale, rappresentato dall'iscrizione nell'apposito registro anagrafico della popolazione residente determina l'insorgenza di una presunzione assoluta di residenza fiscale in Italia. In ambito tributario, è stato dunque preferito un approccio formalistico, a differenza di quanto avviene in ambito civilistico, in cui le risultanze anagrafiche danno luogo a presunzioni relative, superabili mediante prova contraria.”.
• La Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare come ai fini tributari l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente è una circostanza preclusiva “di ogni ulteriore accertamento ai fini della individuazione del soggetto passivo d’imposta, diversamente da quanto avviene ai fini civilistici ove le risultanze anagrafiche sono invece concordemente considerate idonee unicamente a dar luogo a presunzioni relative, superabili, come tali, dalla prova contraria”. Per la Suprema Corte “in materia fiscale, a differenza di quanto avviene ai fini civilistici, la forma è destinata a prevalere sulla sostanza nell’ipotesi in cui la residenza venga collegata al presupposto anagrafico” Cfr. Cass. n. 9319/2006.
• L’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente è disciplinata dalla legge 24 dicembre 1954, n. 1228 e dal relativo regolamento di attuazione, approvato con DPR 30 maggio 1989, n. 223. La disciplina posta dalle norme citate fissa il presupposto per l’iscrizione nell’avere nel Comune la propria dimora abituale ovvero per le persone senza fissa dimora il proprio domicilio. Peraltro, non cessano di appartenere alla popolazione residente i soggetti che dimorano temporaneamente in altri Comuni o all’estero per occupazioni stagionali o per altre ragioni di durata limitata. • In ogni caso dalla posizione dell’Amministrazione finanziaria assunta in materia ne deriva che la semplice iscrizione nelle liste anagrafiche in Italia fa scattare automaticamente il requisito della residenza fiscale a mente del citato comma 2 dell’art.2, con le relative ed intuibili conseguenze in materia di tassazione dei redditi ovunque prodotti.
• Tuttavia al presupposto della mera iscrizione non è consentito attribuire lo stesso valore probatorio nell’ipotesi inversa, vale a dire in caso di cancellazione dalle liste. In altre parole, se è evidente che la semplice iscrizione fa derivare automaticamente le conseguenze appena ricordate, un accertamento di tipo sostanziale è invece comunque necessario nel caso di cancellazione dalle liste medesime. • Del resto, appare evidente che il soggetto interessato - pur cancellatosi dall’anagrafe della popolazione residente - potrebbe tuttavia aver mantenuto in Italia il domicilio e/o la residenza ai sensi del codice civile, con ciò facendo in ogni caso perfezionare una o entrambe le due ipotesi ulteriori ed alternative previste dallo stesso art. 2, comma 2, TUIR.
• Ma volendo entrare più nel dettaglio, occorre precisare che per i cittadini italiani che abbiano stabilito la propria dimora all’estero non è sufficiente la cancellazione dall’anagrafe in questione, in quanto il nostro ordinamento impone anche la realizzazione di un quid pluris, consistente nell’iscrizione nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire)
La cancellazione dall’Aire si verifica: • per iscrizione all’anagrafe della popolazione residente in Italia, a seguito di un nuovo trasferimento dall’estero nel territorio della Repubblica; • in virtù dell’immigrazione dall’estero in altro Comune italiano; • per causa di morte, anche nel caso in cui l’evento sia presunto, se giudizialmente dichiarato; • per irreperibilità presunta trascorsi cento anni dalla nascita o dopo l’effettuazione di due «rilevazioni» successive; • per perdita della cittadinanza; • per trasferimento nell’Aire di un altro Comune italiano.
• La cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) non costituiscono elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato, ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici
• L’iscrizione all’AIRE costituisce condizione necessaria ma non sufficiente per poter essere considerato non residente, a differenza dell’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente che, da sola, costituisce presupposto per essere considerato residente in Italia
Il domicilio
• Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito "la sede principale dei suoi affari ed interessi". Alla luce di tale disposto, la giurisprudenza prevalente considera il domicilio un rapporto giuridico col centro dei propri affari, prescindendo dalla presenza effettiva in un luogo . Esso consiste dunque principalmente in una situazione giuridica che è principalmente caratterizzata dall'elemento soggettivo, cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo la sede principale dei propri affari ed interessi
• Secondo la giurisprudenza della Cassazione per determinare il luogo del domicilio è necessario che vi sia la volontà della persona di stabilire in un luogo il centro delle proprie relazioni familiari e sociali: in altri termini il domicilio viene considerato un rapporto giuridico col centro dei propri affari, prescindendo dalla presenza effettiva in un luogo. Esso consiste dunque principalmente in una situazione giuridica che è principalmente caratterizzata dall'elemento soggettivo, cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo la sede principale dei propri affari ed interessi. Cfr. Cass. 29 dicembre 1960, n. 3322; Cass. 22 maggio1963, n.1342; Cass. 21 marzo 1968, n. 884
• Ma proprio con riguardo alle parole «affari e interessi» si deve segnalare che la dottrina prevalente ne ha fornito un significato molto ampio, tale da ricomprendere non soltanto gli interessi di natura patrimoniale ma anche quelli di tipo morale, come ad esempio quelli che «attengono al consorzio di vita coniugale» o che «confluiscono normalmente nel luogo in cui vive la famiglia». •
• Tale impostazione è conforme ad un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, per rilevare la preminenza degli interessi familiari su quelli di natura patrimoniale, è necessario verificare la ricorrenza di alcune circostanze utili ai fini della determinazione del domicilio dei contribuenti. • La Suprema Corte ha individuato degli elementi rilevanti per ricostruire l’esistenza dei legami con il territorio, quali, ad esempio, la presenza fisica del soggetto e dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo di frequenza delle scuole da parte dei figli, quello di esercizio di eventuali attività professionali o imprenditoriali, quello dei legami amministrativi con le Autorità pubbliche e gli organismi sociali. • Cass. n. 9856 del 21 marzo 2008 e n.13803 del 7 novembre 2001.
• Anche per l’Amministrazione finanziaria la locuzione "affari ed interessi" di cui al citato art. 43 deve intendersi in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari; sicché la determinazione del domicilio va desunta alla stregua di tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti e il carattere principale che esso ha nella vita della persona. • Sul punto,cfr. Circolare del Ministero delle Finanze, Dipartimento delle Entrate, del 02/12/1997, n.304.
Residenza • La residenza civilistica, si è visto come questa sia definita, ai sensi dell’art. 43 C.C., come "il luogo in cui la persona ha la dimora abituale". Pertanto è possibile affermare che essa sia determinata dall'abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo sia l'elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale, estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento
• La residenza è determinata dall'abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo sia l'elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale, estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento. • Sul tema, cfr. Cass. 5 febbraio 1985, n. 791.
• La dottrina prevalente e la giurisprudenza di legittimità sono concordi nell'affermare che affinché sussista il requisito dell'abitualità della dimora non é necessaria la continuità o la definitività. Cosicché l'abitualità della dimora permane qualora il soggetto lavori o svolga altre attività al di fuori del comune di residenza (del territorio dello Stato), purché conservi in esso l'abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l'intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali • In tal senso, cfr. Cass. 29 aprile 1975, n. 2561; Cass. S.U. 28 ottobre 1985, n. 5292.
• In definitiva perché sussista la residenza devono ricorrere due requisiti, vale a dire l’elemento oggettivo della permanenza in un luogo con una certa stabilità e continuità e l’elemento soggettivo dell’intenzione della persona di rimanere in quello stesso luogo • Cfr. Cass. 5 febbraio 1952, n. 221 Cass., 26 luglio 1966, n. 2073.
• La residenza non può essere mantenuta solo animo, in quanto non è certamente in questo senso ininfluente l’effettività della permanenza, da riscontrare sul piano probatorio attraverso elementi di fatto, quali le consuetudini di vita dell’interessato
• La residenza, peraltro, non viene meno per assenze più o meno prolungate, dovute alle particolari esigenze della vita moderna, quali ragioni di studio, di lavoro, di cura o di svago
• In ogni caso, la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che fino a quando la mobilità del soggetto viene considerata come fenomeno interno al territorio italiano, normalmente il giudizio di prevalenza quantitativa di una permanenza abitudinaria sull’altra deve essere formulato con riferimento (spaziale) alla circoscrizione amministrativa comunale, ambito nel quale soste e permanenze dell’individuo in sedi diverse - private o di lavoro - devono essere sommate e ridotte ad unità prima di procedere alla comparazione con la sommatoria delle soste e permanenze del soggetto stesso in altra circoscrizione comunale. • Tra le altre, cfr. Cass, sez. unite, 5292 del 1985.
• Quando però la mobilità del soggetto acquisisce dimensioni internazionali, è utile un confronto tra le sue abituali permanenze e consuetudinarie dimore nel territorio italiano con quelle all’estero: ma anche in questo contesto più ampio resta immutata la necessità che le reiterate stabili permanenze del cittadino straniero in sedi dislocate in diverse circoscrizioni amministrative minori, comprese nel territorio nazionale, siano sommate e riunite in un dato unitario, prima di compararle con quelle che interessano ambiti territoriali di altri Stati.
Il requisito temporale • La disciplina del TUIR prescrive un ulteriore presupposto necessario per qualificare una persona fisica come residente e cioè quello temporale, in quanto la persona fisica deve essere iscritta dell’anagrafe residente ovvero avere il domicilio/residenza ai sensi del codice civile “per la maggior parte del periodo d’imposta”.
• In merito, va osservato che il nostro legislatore ha fatto ricorso all’espressione maggior parte del periodo d’imposta (e quindi 184 giorni) rispetto ai “183 giorni” normalmente utilizzati nelle convenzioni contro le doppie imposizioni. Invero la scelta adottata dal legislatore nazionale appare più esatta, in quanto in caso di anno bisestile la sussistenza dei requisiti richiesti dovrà coprire l’arco temporale di 184 giorni, superando solo così la metà del periodo di riferimento.
• Interessanti appaiono talune prese di posizione dell’Amministrazione finanziaria in ordine ad alcuni casi di trasferimento di residenza in corso d’anno. Per vero nell’ambito di un interpello è stato chiesto all’Agenzia delle entrate se il soggetto che trasferisca la residenza all’estero nella seconda metà dell’anno perda lo status di soggetto residente a partire dal momento in cui acquista quello di soggetto residente nello Stato di destinazione, ovvero se lo status di soggetto residente in Italia permanga fino alla fine dell’anno solare.
• L’Agenzia delle entrate ha ritenuto nel caso di specie che ai fini della normativa italiana – e, dunque, anche di quella convenzionale, che rinvia sul punto alle norme interne – non è possibile considerare un soggetto residente limitatamente ad una frazione dell’anno d’imposta. Per l’Agenzia, in mancanza di una disciplina espressa della decorrenza dell’acquisto o della perdita della residenza in corso d’anno, si deve ritenere, pertanto, che il contribuente che si trasferisca all'estero dopo aver maturato i requisiti per l'applicazione del "worldwide principle" continuerà ad essere assoggettato a tassazione in Italia anche per tutti gli eventuali redditi prodotti dal momento del trasferimento al momento di chiusura del periodo d'imposta
• Sempre in ordine al profilo temporale, inoltre, si segnala che una volta accertato il requisito della residenza fiscale in Italia, la persona interessata sarà tassata nel nostro Paese in relazione ai redditi ovunque prodotti nell’intero periodo d’imposta. Questo significa che un soggetto che si trasferisce all’estero, rispettando anche i requisiti formali della cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e dell’iscrizione all’Aire (in quanto altrimenti il problema non si porrebbe!), dopo aver fatto maturare i requisiti per la configurabilità dell’ipotesi delineata dall’art. 2 TUIR sarà tassato in Italia anche per gli eventuali redditi prodotti (ovunque) sino alla chiusura del periodo d’imposta. Gli eventuali problemi di «doppia residenza» che si dovessero creare in un’ipotesi della specie, al di là delle norme sul credito d’imposta contenute nell’art. 15 TUIR, dovrebbero così essere risolti su base bilaterale, vale a dire sulla scorta delle convenzioni contro le doppie imposizioni.
PRESUNZIONI Il comma 2-bis dell’art. 2 del TUIR ha sancito che si devono considerare “residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze” (decreto emanato poi il 4 maggio 1999).
• Il Ministero delle Finanze ha precisato al riguardo che le nuove disposizioni, sia pure con effetti limitati ai soli "Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato", consentono di ampliare la operatività della normativa preesistente, nel senso che la residenza fiscale è ritenuta, in via presuntiva, sussistente per coloro che siano anagraficamente emigrati in uno degli anzidetti Stati o territori senza dimostrare la effettività della nuova residenza. - Cfr. Circolare del Ministero delle Finanze n. 140/E del 24 giugno 1999.
• Occorre precisare che, a mente della citata norma, l'onere della controprova riguarda tutti i soggetti che sono emigrati in uno degli Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, come individuati (inizialmente) nel menzionato decreto del Ministro delle Finanze 4 maggio 1999, anche quando l'emigrazione sia avvenuta transitando anagraficamente per uno Stato terzo, non ricompreso in tale decreto.
• Proprio in relazione al concreto e specifico contenuto dell’onere probatorio ora posto a carico dei cittadini che emigrano verso un paradiso fiscale, la circolare in parola afferma che può “essere fatto ricorso, in negativo, alle medesime circostanze ed elementi probanti suggeriti agli uffici dalla ripetuta circolare n. 304/E, al fine di superare la mera formalità della cancellazione dalle anagrafi della popolazione residente con la dimostrazione dell’insussistenza nel nostro Paese della dimora abituale (residenza) ovvero nel complesso dei rapporti afferenti gli affari e gli interessi, allargati, oltre che agli aspetti economici, a quelli familiari, sociali e morali (domicilio)”.
• la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato, sia personale che dell’eventuale nucleo familiare; • l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del Paese estero; • lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso Paese estero, ovvero l’esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità; • la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali, adeguati ai bisogni abitativi nel Paese immigrazione; • fatture e ricevute di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari, pagati nel Paese estero; • la movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel Paese estero e da e per l’Italia; • l’eventuale iscrizione nelle liste elettorali del Paese d’immigrazione; • l’assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti di donazione, compravendita, costituzione di società, eccetera; • la mancanza nel nostro Paese di significativi e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo.
Puoi anche leggere