Quel "blocco latino" che fa paura a Washington e a Berlino - Opinio Juris

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Quel “blocco latino” che fa paura a
Washington e a Berlino
Nelle analisi internazionali viene sottaciuto il ruolo storico-strategico
degli stati europei che affacciano sul Mediterraneo. Qualche voce critica
inizia a paventare ciò che una lettura storica non superficiale ci mostra
sia per la sua immediatezza che per la sua valenza geopolitica. Si
scopre allora come una eventuale alleanza dei “PIGS” faccia paura a
tutti.

                                         Di

                                  Diego B. Panetta

25 gennaio 1904. Halford John Mackinder, professore di Geografia
presso l’Università di Oxford nonché direttore della London School
of Economics and Political Science, presenta un suo scritto dinanzi
alla platea della Royal Geographical Society, dal titolo destinato a
diventare un testo “classico” per la geopolitica, ossia: The Geographical
Pivot of History (Il perno geografico della storia).
“Per la prima volta – scrive il geografo britannico – possiamo percepire
qualcosa della reale proporzione delle caratteristiche e degli avvenimenti sulla scena
mondiale, cercando una formula che esprima almeno alcuni aspetti della causalità
geografica nella storia universale. Se saremo fortunati, tale formula avrà un valore
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pratico, poiché permetterà di vedere in prospettiva alcune delle forze antagoniste
nell’attuale politica internazionale”1 Da allora la cartina geografica, con le
sue vallate, catene montuose, distese lacustri ed estensioni marine
iniziò a parlare e ad esprimere concetti nuovi, inesplorati, ma
inconsciamente avvertiti da sempre. Lo spazio che abbraccia l’uomo
sino a plasmarne il destino. Questa probabilmente è la definizione più
semplice e spontanea di geopolitica.

Heartland e Rimland

Due concetti spaziali emersero chiaramente dall’esposizione di
Mackinder. Il ruolo di “perno” geografico o anche di “Heartland” che
la Russia gioca sullo scacchiere planetario, per via della sua
inavvicinabilità e inattaccabilità spaziale; e quello di “mezzaluna
interna” o “Rimland” (terra marginale) come la definì lo studioso
statunitense Nicholas John Spykman, comprendente lato sensu i paesi
che si estendono dagli Urali sino ai territori costieri. Carl Schmitt
tematizzerà secondo schemi assiologici ben definiti l’opposizione tra
“Terra e Mare” che vede fronteggiare il blocco continentale
(tellurocratico) euroasiatico, di indole conservatrice e dal radicamento
in un orizzonte culturale-religioso solido, contro le talassocrazie
occidentali di marca anglosassone (Gran Bretagna, Stati Uniti),
evocatrici di fluidità esistenziale e massiccio sviluppo tecnico (non a

1   H.J. Mackinder, Il perno geografico della storia, trad. it.,              in   URL:
http://eprints.unife.it/538/1/Il%20perno%20geografico%20della%20storia1.pdf

                                                                                    2
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caso le Rivoluzioni industriali, nota Schmitt, hanno mosso i primi passi
su di un’isola).

L’Europa oggi

Le coordinate che fissano la strategia geopolitica statunitense
sull’Europa, dalla fine della seconda guerra mondiale, procedono
proprio dalle analisi del già citato Spykman e dal ruolo di snodo
geopolitico fondamentale che egli assegna all’Europa, ossia a quel
“Rimland” in grado di separare materialmente l’Europa occidentale dal
continente asiatico. Il Portogallo, l’Italia, la Grecia e la Spagna (PIGS)
sono ad oggi gli stati nazionali da tenere sotto controllo, perché un
loro improvviso risveglio potrebbe cementificare quel blocco latino,
culturalmente/religiosamente affine e strategicamente decisivo, in
grado di polarizzare verso un asse ben preciso lo scontro “Terra-Mare”
e tenere in mano potenzialmente tutti i principali dossier che passano
dall’Atlantico al canale di Suez. L’avanzata di movimenti patriottici
come Vox in Spagna (non esiste precedente dalla fine dell’era
franchista) o della Lega e del partito di Giorgia Meloni in Italia, unita
ad una sorta di resipiscenza da sindrome di consensi che attanaglia il
presidente francese, Emmanuel Macron, la dicono lunga sulla
preoccupazione che agita le cancellerie internazionali. Quest’ultimo,
già nel novembre del 2018, mise all’erta i partner europei affermando:
“dobbiamo proteggerci nei confronti della Cina, della Russia e persino dagli Stati
Uniti”, rivendicando la necessità di avere una difesa indipendente:
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Domenico Pone
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“Dobbiamo avere un’Europa che possa difendersi da sola senza fare affidamento
solo sugli Stati Uniti”2.
Intanto, sempre nel giugno dello stesso anno, il presidente francese
promuoveva la European Intervention Initiative (EI2), una iniziativa
che mira a creare una sinergia in materia di difesa tra i quattordici stati
europei che hanno dato la propria adesione. Infine, lo scorso 7
novembre ha dichiarato all’Economist che “la Nato è in stato di morte
cerebrale”, viste anche le mosse statunitensi in Siria e il rapporto
conciliante dell’amministrazione americana con la Turchia. La
cancelliera tedesca Angela Merkel ha subito preso le distanze,
fornendo più di un indizio sulla partita “in solitaria” o “di sponda” (a
seconda delle circostanze) che Berlino è interessata a giocare. Nel
frattempo, da Istanbul la risposta del presidente turco, Recep Erdogan
non si è fatta attendere: “...prima di tutto fai controllare la tua morte cerebrale”
in riferimento alle esternazioni del presidente francese3.
A rendere ulteriormente accesa la situazione ci ha pensato proprio il
primo cittadino turco. Le azioni che la Turchia ha condotto in questi
ultimi mesi hanno messo in stato d’allerta l’intero quadrante orientale
del Mediterraneo. Grazie all’accordo siglato a fine novembre 2019, con
il presidente libico Al Sarraj, Erdogan ha offerto l’appoggio militare al
Governo nazionale libico chiedendo come contropartita di creare una
demarcazione della Zona economica esclusiva (ZEE) tra i due paesi,

2  E. Macron, in URL:
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tagliando fuori Cipro e l’isola greca di Creta, che si interpongono
proprio nel mezzo della massa d’acqua tra la Libia e la Turchia, come
ha fatto notare veementemente il ministro degli esteri greco Nikos
Dendias. Il presidente turco, in occasione della firma dell’intesa, ha
dichiarato: “Siamo pronti ad effettuare esplorazioni congiunte con la Libia alla
ricerca di idrocarburi offshore nelle aree delimitate dal memorandum d’intesa.”4
Quale ruolo, dunque, spetterebbe giocare alla nostra Nazione, e con
chi? In un interessante editoriale pubblicato sul Corriere della Sera,
Ernesto Galli della Loggia constata come da una parte
l’impreparazione politica, dall’altra la debolezza cronica dei nostri
governi, unita ad un’opinione pubblica digiuna di politica
internazionale e “oscillante di continuo tra faziosità ideologiche e fanciulleschi
utopismi a sfondo buonista” abbiano contribuito a ritagliare per l’Italia un
ruolo debole e di secondo piano5.
Il duopolio europeo franco-tedesco ha polarizzato attenzione,
plasmando sensibilità sia in termini di politica estera che monetaria,
estromettendo i PIGS “latini” dalle scelte che contano, essendo questi
colpevoli di avere contratto alti tassi debitori nel corso degli ultimi
decenni. “E però, invece di cercare di contrastare questa deriva – scrive lo
storico romano – magari cercando di costituire un fronte mediterraneo con
Spagna e Grecia eventualmente appoggiato da una Gran Bretagna memore dei suoi

4R. Erdogan, in URL:
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trascorsi in quel mare – abbiamo fatto di tutto per restare agganciati comunque al
duo Parigi-Berlino.”
Questa critica andrebbe estesa anche ad altri attori mediterranei, come
Spagna e Grecia e probabilmente Francia, che nel corso dei decenni
ha alternato una politica bifronte: da una parte a traino della Germania,
dall’altra tesa a ritagliarsi una credibilità internazionale autonoma. Le
recenti prese di posizione del presidente francese lo stanno a
dimostrare. L’inazione di quello che si è definito blocco latino o fronte
mediterraneo ha consolidato una struttura di potere deficitaria e, di
riflesso, controproducente anche per la stessa Europa. L’accordo tra
Turchia e Governo nazionale libico a cui abbiamo accennato, ne è la
prova più evidente. Nei momenti di crisi, bisogna rispolverare vecchi
libri, riscoprire miti e impadronirsi nuovamente della consapevolezza
del proprio ruolo storico e geopolitico. Scriveva il filosofo del diritto
ispanico Francisco Elías de Tejada: “La penisola italiana da un lato, la
iberica dall’altro, possono risuscitare nelle loro parallele tradizioni, sotto differente
potere politico, nella certezza della missione comune dei nostri popoli [...]. [...]
L’essenziale è che i popoli spagnoli ed italiani acquistino, ciascuno per proprio
conto, la convinzione della realtà storica di ciascuno unita alla radicata passione
della comune impresa.”6
Quel blocco beffardamente definito “Pigs”, nonostante tutto, può
giocare ancora un suo ruolo. La storia glielo insegna, la geopolitica
glielo impone.

6F. Elías de Tejada, La tradizione italiana, in La monarchia tradizionale, Edizioni dell’Albero, Torino
1966, p. 26

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