PROGETTO PFAS UDA "BEVI CHE TI PFASSI !" - ELABORATO GRUPPI DI LAVORO - ALBERTO TRENTIN

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PROGETTO PFAS UDA "BEVI CHE TI PFASSI !" - ELABORATO GRUPPI DI LAVORO - ALBERTO TRENTIN
ELABORATO GRUPPI DI LAVORO
      Progetto PFAS
       UdA “Bevi che ti PFASsi !”

           ITA Trentin Lonigo
             A.S. 2018-2019
             Classi IVB e VB
Indirizzo Chimica, Materiali e Biotecnologie
   Articolazione Biotecnologie sanitarie
PROGETTO PFAS UDA "BEVI CHE TI PFASSI !" - ELABORATO GRUPPI DI LAVORO - ALBERTO TRENTIN
Indice Generale

 -   Capitolo 1: CHE COSA SONO?
 -   Capitolo 2: USI DEI PFAS
 -   Capitolo 3: EFFETTI DEI PFAS SULL’AMBIENTE
 -   Capitolo 4: METODO DI ANALISI DEI PFAS
 -   Capitolo 5: METODI RIMOZIONE DALLE ACQUE
 -   Capitolo 6: EFFETTI SULL’UOMO
 -   Capitolo 7: LA STORIA DEI PFAS – TIME-LINE
 -   Capitolo 8: INDAGINE STATISTICA SUI PFAS

 - APPENDICE: VOLANTINO INFORMATIVO
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Capitolo 1: CHE COSA SONO?
I PFAS (Per Fluoro Alkyl Substances) sono una classe di composti chimici di sintesi che appartengono
alla categoria degli emerging contaminants (Ecs), risultano costituiti da una catena alchilica di
lunghezza variabile completamente o parzialmente fluorurata (da 4 a 16 atomi di carbonio) e
presentano un gruppo funzionale carbossilico oppure un gruppo solfonico.

I composti più studiati tra i PFAS sono PFOA (acido perfluoro-ottanoico) e PFOS (perfluoro-ottano
solfonato), poiché ritenuti più pericolosi per l’uomo e ne sono state riscontrate elevate
concentrazioni nell'acqua di falda.

METODI DI SINTESI

In natura non esistono composti chimici fluorurati e ciò deriva dal fatto che l’energia richiesta per la
formazione del legame C-F è elevatissima.
Queste molecole dalle caratteristiche uniche, molto versatili in ambito industriale oltre che
importanti dal punto di vista commerciale, vengono prodotte attraverso tre principali metodi di
sintesi:
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➢           Florurazione elettrochimica introdotta alla fine degli anni’40, è stata ampiamente ed
       a lungo utilizzata soprattutto per i bassi costi di produzione che implicava. Questo processo
       consiste nell’elettrolisi di un composto organico, l'octanesulfonyl fluoride (C8H17SO2F), in
       una soluzione liquida di acido fluoridrico (HF) che permette la sostituzione di tutti gli atomi
       di idrogeno delle molecole con atomi di fluoro e produce una miscela di composti formata
       da 4 a 9 atomi di carbonio, ottenendo sia isomeri lineari, circa il 70 %, che ramificati (rifiuto).

   ➢           Telomerizzazione è una tecnica più efficiente e vantaggiosa rispetto la precedente in
       quanto vengono utilizzate materie prime di elevata purezza, questo fa sì che i prodotti siano
       altrettanto puri (si ottiene più del 99% di molecola lineare). Consiste nel far reagire un
       composto detto telogeno, il pentafluoruro di iodio (CF3CF2I), con un monomero detto
       tassogeno, ossia il tetrafluoro etilene (CF2=CF2) per la produzione di fluorotelomeri aventi
       una catena alchilica lineare ed un numero pari di atomi di carbonio.

   ➢          Oligomerizzazione si tratta di un metodo poco utilizzato che si basa sulla
       polimerizzazione di composti organici per ottenere polimeri con poche unità polimeriche.

PROPRIETÀ CHIMICO-FISICHE

L'atomo di Fluoro

La presenza dell'elemento fluoro legato alla catena carboniosa influenza in modo considerevole le
proprietà chimico-fisiche.
Il fluoro infatti è l’elemento con cui il carbonio forma il legame singolo covalente più forte, perché la
sovrapponibilità tra i suoi orbitali 2s e 2p e quelli del carbonio risulta ottima.
La scelta del fluoro come atomo sostituente, al posto degli idrogeni normalmente presenti nella
molecola di un acido, rende queste sostanze estremamente stabili e conseguentemente inerti per
alcuni motivi:

   ➢           elevatissima elettronegatività (4,0)

   ➢           bassa polarizzabilità nei confronti dei cationi metallici

   ➢           disponibilità di tre doppietti elettronici non condivisi

   ➢           pessimo gruppo uscente nelle reazioni di sostituzione nucleofila

L’accorciamento del legame C–F e l’aumento dell’energia (che corrisponde a un incremento della
forza di legame) vengono spiegate tramite il concetto di risonanza doppio legame – non legame,
introdotto dal chimico statunitense Linus Pauling. Prendendo in considerazione la teoria degli
orbitali molecolari, si verifica un'interazione tra gli elettroni di non legame del fluoro con un orbitale
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σ del legame C–F.

Inoltre si deve considerare che l'atomo di fluoro è più voluminoso di quello di idrogeno (non sono
isosterici) ed è dotato di maggior massa atomica (MAH = 1,008 g/mol MAF = 18,998 g/mol), ciò
influenza alcune caratteristiche fisiche come l'aumento del peso molecolare, ma non la geometria
molecolare.

TEMPERATURA DI EBOLLIZIONE

La temperatura di ebollizione se confrontata con quella degli idrocarburi nonostante l’aumento del
peso molecolare è inferiore, perché tra le molecole si instaurano deboli interazioni.
Le molecole con il carbossile formano legami a idrogeno e interazioni intermolecolari dipolo-dipolo
mentre le sostanze con il gruppo solfonico formano esclusivamente legami dipolo-dipolo.
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L'ACIDITÀ

Come dimostrano i valori molto bassi della pKa (= - log Ka), questi composti risultano più acidi dei
comuni acidi carbossilici per l’effetto induttivo. Gli atomi di fluoro infatti, essendo elettron-attrattori,
stabilizzano la carica negativa dello ione carbossilato che si ottiene dall'equazione di equilibrio di
dissociazione acida. L'acidità subisce una diminuzione se gli atomi di fluoro sono legati a carboni
lontani dal carbossile.
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NATURA MOLECOLARE

Queste molecole si definiscono anfipatiche o anfiprotiche, perché presentano una testa polare e una
coda apolare e questo determina la loro impermeabilità e capacità emulsionante.

                                                                    Testa polare

                                                                    Coda apolare

BIBILOGRAFIA E SITOGRAFIA:
a) Bogialli Sara, PPT “PFAS in veneto da sostanze emergenti a emergenza ambientale”, dipartimento
   scienze chimiche dell'Università di Padova
b) Corrá Dr. Jacopo, PPT “PFAS sostanze emergenti e contaminazione in Veneto”, Ecamricert, Monte
   di Malo (VI)
c) http://www.chimiciveneto.it/nuovosito/attachments/article/16/PFAS_Causin_26ott17.pdf
d) http://amsdottorato.unibo.it/6424/1/Devicienti_Chiara_tesi.pdf

Capitolo 2: USI DEI PFAS
I composti perfluoroalchilici grazie alle loro eccezionali proprietà, in particolare l’elevata stabilità
termica, l’inerzia chimica, l’idrorepellenza e l’oleorepellenza, dalla seconda metà del 1900 hanno
conquistato i più svariati campi di applicazione.
Tra gli impieghi più importanti troviamo: ritardanti di fiamma per la produzione delle schiume
antincendio, trattamenti impermeabilizzanti, rivestimenti antimacchia per tessuti, abbigliamento
tecnico sportivo (Gore-Tex), trattamenti della carta, pellicole per imballaggi alimentari (food
pakaging), polimeri antiaderenti (PTFE o Teflon) utilizzati per utensili da cucina, lubrificanti,
inchiostri, tensioattivi in vari prodotti per la pulizia, cosmetici waterproof, filo interdentale, prodotti
fotografici, sensori, apparecchiature biomediche, prodotti di partenza per la produzione di
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fluoropolimeri a diverso contenuto di fluoro, impiegati sia nell’industria elettronica, sia nei materiali
da laboratorio.

Le loro stesse meravigliose proprietà però, rendono i composti perfluoroalchilici estremamente
pericolosi per l’ambiente e per l’uomo perché, come altre molecole durature e indistruttibili che
abbiamo sintetizzato e largamente utilizzato in passato, sono resistenti ai comuni processi di
biodegradazione, cioè sono biorefrattarie.
Un caso per molti versi analogo a quello dei PFAS riguarda i tensioattivi, composti strutturalmente
molto simili. Quando negli anni 70 emerse il problema della formazione di schiume e del grave
inquinamento da loro causato nei corpi idrici superficiali, i maggiori produttori sostituirono le
molecole a catena ramificata, poco biodegradabili, con molecole lineari più appetibili per i
microrganismi.
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Anche la storia dei clorofluorocarburi (CFC) è molto istruttiva: si tratta di molecole molto stabili,
utilizzate come fluidi refrigeranti, agenti rigonfianti delle materie plastiche per ottenere resine
espanse, gas propellenti per le bombolette spray, composti di grande successo la cui produzione
annuale superava nel 1987 il milione di tonnellate. Negli anni 70 alcuni studiosi (Mario Molina e
Sherwood Rowland) ipotizzarono che avessero un ruolo chiave nella riduzione dello strato di ozono,
scoperta che gli valse il Nobel nel 1995. Nel 1987 i CFC furono messi al bando dal Protocollo di
Montreal, perché ritenuti responsabili del buco dell’ozono: per la loro eccezionale stabilità erano in
grado di raggiungere gli strati più alti dell’atmosfera senza subire degradazione alcuna, e a queste
altezze, per effetto delle radiazioni UV si decomponevano formando radicali liberi in grado di
scomporre le molecole di O3. L’industria chimica ha individuato dei validi sostituti negli
idrofluorocarburi (HFC), meno dannosi per l’ozono e prodotti su vasta scala già dal 1990, senonché
questi si poi sono rivelati essere tra i più pericolosi ‘’gas serra’’, per cui di recente hanno subito
restrizioni per limitare il global warming (con l’inizio del 2019 è entrato in vigore l’emendamento di
Kigali al Protocollo di Montreal che ne propone l’eliminazione entro il 2050).
Per quanto riguarda i PFAS, che sono classificati come cancerogeni di classe 2B e hanno attività di
interferenti endocrini, Stati Uniti, Giappone ed Europa hanno messo fuori commercio le molecole a
lunga catena, sostituendole con altre a catena corta, ritenute meno stabili e più degradabili, ma non
prive di rischi. (Nel 2003 gli PFOS furono inclusi nella lista degli inquinanti organici persistenti, POPs,
della Convenzione di Stoccolma, quindi assoggettati alle restrizioni imposte dal Programma delle
Nazioni Unite per l’ambiente). Molto resta ancora da fare, perché anche queste nuove molecole
sono persistenti, gli studi tossicologici sono insufficienti, inoltre, essendo meno performanti ne
servono quantità maggiori per ottenere buone prestazioni.
Il lavoro da fare non manca certo, perché sulla via del progresso scientifico si rischia sempre nella
continua sfida di inventare nuove soluzioni che siano appetibili per l’economia, sicure per la salute
e rispettose dell’ambiente, con l’obiettivo di migliorare la realtà in cui viviamo, imparando dal
passato per non ripetere gli stessi errori.
Per dirla con le parole di Giorgio Nebbia nel blog della Società Chimica Italiana: ‘’nella corsa per
evitare le violenze all’ambiente non c’è riposo, specialmente per i chimici e per una buona chimica’’.

SITOGRAFIA:
    a) https://www.soc.chim.it/sites/default/files/chimind/pdf/2012_8_128_ca.pdf
    b) https://ilblogdellasci.wordpress.com/tag/pfas/
    c) https://ilblogdellasci.wordpress.com/2017/02/10/il-dilemma-del-tensioattivo-e-del-
       chimico/
    d) https://ilblogdellasci.wordpress.com/tag/cfc/
    e) https://www.minambiente.it/pagina/kigali-approvato-lemendamento-al-protocollo-di-
       montreal-0
    f) http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=633&area=Sicurezza%
       20chimica&menu=internazionali
    g) https://www.bafu.admin.ch/bafu/it/home/temi/prodotti-chimici/info-specialisti/affari-
       internazionali--prodotti-chimici/convenzione-di-stoccolma-pop-sugli-inquinanti-organici-
       persisten.html
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Capitolo 3: EFFETTI DEI PFAS SULL’AMBIENTE
L’inquinamento inizia nel 1964 quando la Miteni, l’azienda individuata dall’ARPAV come l’origine
della diffusione dei PFAS nelle acque tutt’intorno, si chiamava Rimar, acronimo di «Ricerche
Marzotto». É in quegli anni che sono iniziati lo studio e la produzione degli «intermedi fluorurati».
L’azienda cambia proprietà tre volte: nel 1988 passa alla joint venture tra Mitsubishi e Eni (di qui la
nuova insegna, Miteni), nel 1996 alla sola Mitsubishi e nel 2009 alla multinazionale tedesca
Weylchem del gruppo International Chemical Investors (Icig), ultima proprietaria dell’unica fabbrica
di PFAS in Italia, che il 26 ottobre 2018 ha presentato istanza di fallimento. Nel corso degli anni vi è
stato lo smaltimento inappropriato di queste sostanze, riversate nel suolo e contaminando acque
superficiali e falde acquifere.
Il plume di contaminazione si è propagato verso due fronti: uno ad Ovest verso Vicenza ed uno ad
Est verso la Bassa Pianura Vicentina,Veronese e Padovana.
I PFAS presentano un’elevata stabilità rispetto all’azione del calore, inerzia chimica nei confronti di
acidi, basi, ossidanti e riducenti e nell’ambiente non sono soggetti a processi di degradazione, per
questo sono classificati inquinanti organici persistenti (POP, persistent organic pollutants). L'acqua,
poi, permette loro di inserirsi nella catena alimentare attraverso il suolo, la vegetazione, le
coltivazioni, gli animali e, di conseguenza, gli alimenti che arrivano sulle nostre tavole. Inoltre sono
bioaccumulabili, cioè continuano ad accumularsi nell’organismo di molti esseri viventi, tra cui
l’uomo.
Una distribuzione ubiquitaria di questo tipo è stata ricondotta al fatto che:
    a) PFOA e PFOS sono molto persistenti nell’ambiente
    b) sono volatili e trasportabili anche via aria
    c) l’elevata stabilità chimica dei PFC consente il loro impiego in condizioni nelle quali altre
        molecole non sarebbero utilizzabili, e contemporaneamente li rende estremamente
        persistenti e facilmente bioaccumulabili (PFOA e PFOS hanno un tempo di eliminazione dal
        corpo umano di 3,8 e 5,4 anni, rispettivamente).
L’inquinamento copre un vastissimo territorio a valle del sito sorgente dovuto a:
    a) un sistema idrogeologico ricco di falde, con un’elevata idrodinamica sotterranea (velocità
        anche superiore a 10 m/giorno)
    b) stretti rapporti di interdipendenza tra acque superficiali e sotterranee.
    c) plume di contaminazione situato nell’alta pianura (soggetto alla pendenza del territorio).
Le falde idriche sotterranee si sono rivelate la matrice ambientale più compromessa, con
un’estensione dell’inquinamento della media-bassa valle dell’Agno, fino alla media e bassa pianura
tra le province di Padova e Verona.
Immagine: Assetto idrogeologico del territorio colpito

OBIETTIVO PREFISSATO DALL’ONU (AGENDA 2030 PER LO SVILUPPO
SOSTENIBILE)

‘’Entro il 2030, migliorare la qualità dell’acqua riducendo al minimo l’inquinamento ed eliminando
le pratiche di scarico non controllato oltre che il rilascio di sostanze chimiche e materiali pericolosi,
dimezzare la percentuale di acque reflue non trattate ed aumentare sostanzialmente il riciclaggio e
il riutilizzo sicuro a livello globale’’.

SITOGRAFIA:
           a) https://www.soc.chim.it/sites/default/files/chimind/pdf/2012_8_128_ca.pdf
           b) https://www.unric.org/it/agenda-2030
Capitolo 4: METODO DI ANALISI DEI PFAS
I PFAS sono interferenti endocrini assunti principalmente tramite l’acqua dell’acquedotto. Siccome
all’interno del nostro organismo, a concentrazioni troppo elevate determinano un fattore di rischio
per la salute, è opportuno che siano presenti nelle acque entro un certo limite. Questo viene
stabilito dalla regione e in Veneto è di 500 nanogrammi per litro.
Considerate che un nanogrammo corrisponde a 0,000000001 g quindi determinarli è piuttosto
complesso. Le loro concentrazioni medie (50 ng/L) corrispondono a quella di una bustina di zucchero
disciolta in 40 piscine olimpioniche. Per questo motivo prima del 2013 non venivano considerati
nelle analisi delle acque e si è iniziato a individuarli solo recentemente.
Il metodo attualmente usato dall'ARPAV (Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione
Ambientale del Veneto) per la determinazione della concentrazione di PFAS nelle acque potabili è
l'ISO 25101 2009 che abbina la cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC) con la spettrometria
di massa (MS).
Per poter rilevare quantità di PFAS molto piccole, l'analisi è preceduta da una fase di estrazione e
concentrazione. L'acqua viene filtrata attraverso delle cartucce contenenti una fase solida che li
trattiene (SPE), poi vengono solubilizzati in metanolo in ambiente basico, in modo da formare i
corrispondenti sali e infine vengono concentrati per evaporazione del solvente.
La cromatografia è una tecnica di analisi che permette di separare i componenti di una miscela in
base alla loro diversa affinità nei confronti di una fase stazionaria solida e di una fase mobile liquida.
Durante la corsa cromatografica ogni analita viene trasportato da solventi inerti, in questo caso
acqua e metanolo, fino al detector, lo spettrometro di massa, dove vengono ionizzati e separati
mediante un analizzatore a triplo quadrupolo. Ogni ione fornisce un proprio spettro di massa che
viene riconosciuto dal software, permettendo di identificare e quantificare le varie sostanze presenti
nel campione di acqua.
Il macchinario che combina la cromatografia liquida e la spettrometria di massa ha due limiti: il
primo è il limite di quantificazione (è il valore minimo di concentrazione fino al quale è possibile
ottenere una misura quantitativa con un’incertezza dall’1 al 5%) ed è di 10 ng/L, il secondo è il limite
di rilevabilità del metodo (che indica la minima concentrazione alla quale è possibile determinare la
quantità, al di sotto di essa non è possibile quantificare l’analita) ed è di 1 ng/L.
Cromatografia su colonna

BIBLIOGRAFIA:
   -   Francesca Zanon, PPT “Analisi dei PFAS e riferimenti normativi”, ARPAV.
   -   Nicola Marchetti, Lorenzo Caciolli, Alberto Cavazzini, Luisa Pasti, Alessandro Massi,
       Francesco Dondi, “Composti perfluorurati nell'ambiente. Problematiche ed analisi”, La
       Chimica & l'Industria, ottobre 2012, pag. 128-133.
   -   Sara Bogialli, PPT “PFAS in Veneto: da sostanze emergenti ad emergenza ambientale”,
       Dipartimento di Scienze Chimiche dell'Università di Padova.
   -   Corrà Dr. Jacopo, PPT “PFAS Sostanze emergenti e contaminazione in Veneto”, EcamRicert
       Monte di Malo (VI).

Capitolo 5: METODI RIMOZIONE DALLE ACQUE
Allo stato attuale delle conoscenze, il trattamento più efficace per rimuovere le sostanze
Perfluoroalchiliche (PFAS) dalle acque è la filtrazione su carboni attivi. Si tratta di un processo
chimico-fisico di trasferimento di massa nel quale le molecole di contaminanti sono trattenute sulla
superficie di solidi porosi per effetto di legami di natura sia fisica che chimica. Il solido poroso
convenzionalmente utilizzato è il carbone attivo (GAC in forma granulare).
In alcune zone del vicentino, il sistema di filtrazione adottato prevede l’adsorbimento su carbone
attivo granulare (GAC) di natura minerale. I carboni attivi in uso sono quelli risultati i più efficaci, a
seguito di verifiche comparative eseguite sul campo dal gestore del servizio idrico integrato
Acquevenete.
Per verificare il rispetto dei livelli di performance vengono eseguite analisi in ingresso e uscita dai
filtri con cadenza settimanale. La sostituzione viene programmata quando i filtri iniziano a perdere
efficacia per i PFAS. Il carbone contenuto nei filtri viene completamente sostituito da carbone
vergine, mentre il carbone esausto viene smaltito presso centri autorizzati.
Questo sistema di filtrazione è utilizzato presso il pozzo Sant'Antonio di Sarego e presso la centrale
di Almisano di Lonigo dove la frequenza di sostituzione dei filtri viene adeguata alle concentrazioni
nell’acqua.
Altri metodi utilizzati per rimuovere i PFAS dalle acque sono:
    • chiariflocculazione è un trattamento chimico-fisico applicato alle acque reflue che consiste
        nella precipitazione di sostanze non sedimentabili (come solidi colloidali) che formano un
        precipitato con dei coagulanti, i più usati sono inorganici che liberano ioni Al 3+, Ca2+, Fe3+.
        Si tratta di un metodo efficace al 30/90 % per la rimozione di PFOA e PFOS.
    • processi a membrana dove la membrana appunto funge da filtro molto selettivo                     che
        consente il passaggio dell’acqua, ma trattiene i solidi e altre particelle in soluzione. Questa
        tecnica si può dividere in micro e ultra filtrazione da una parte (usate per la rimozione di
        particelle maggiori) e nano filtrazione o osmosi inversa dall’altra.
        Quest’ultima tecnica riesce a trattenere dal 90 al 99,9% delle sostanze disciolte nell’acqua da
        germi e agenti patogeni fino a sostanze organiche dell’ordine del decimillesimo di micron
        grazie a un sistema di membrane semipermeabili. L’acqua da trattare viene spinta nella
        membrana da una pompa, che esercita una pressione superiore a quella osmotica, così da
        ottenere due flussi in uscita: la parte di acqua in ingresso che attraversa la membrana
        costituisce il permeato (povero di sali e inquinanti) che va all’utilizzo, mentre la rimanente
        parte fuoriesce con un’elevata concentrazione salina, dovuta all’accumulo di tutti i sali che
        non hanno attraversato la membrana, si tratta del concentrato (ricco di sali e sostanze
        estranee compresi i PFAS) che va scartato.

   •   Processi di ossidazione di inquinanti organici ad opera di forti        agenti ossidanti come
       acqua ossigenata, ozono e radicali idrossilici.
SITOGRAFIA:
   a)   https://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/reach/Malpei_PFAS.pdf
   b)   http://www.acquevenete.it/it/sistemi-di-filtrazione-pfas
   c)   https://www.iis-newton.gov.it/sites/default/files/page/2017/tesina_boaron_martina_2.pdf
   d)   http://www.novuscd.it/prodotti-tecnologie/chiariflocculazione.html
   e)   https://www.lenntech.it/tecnologia-membrana.htm
   f)   https://www.technoacquesrl.it/blog/trattamento-ad-osmosi-inversa-come-funziona-e-
        quali-sono-i-suoi-
        vantaggi/?gclid=EAIaIQobChMIkcysvMj94AIVyp3tCh13RgxbEAAYAyAAEgKy8PD_BwE

Capitolo 6: PFAS: EFFETTI SULL’UOMO
I PFAS sono sostanze perfluoroalchiliche, possono essere presenti nel sangue umano, se assunte
tramite ingestione di acqua e alimenti contaminati o attraverso l’inalazione di aria inquinata. Sono
sostanze bioaccumulabili, l’organismo non è in grado di eliminarle facilmente a causa della loro
complessa composizione chimica.

INTERFERENTI ENDOCRINI

I PFOA e i PFOS risultano essere interferenti endocrini cioè sostanze che impediscono il legame tra
ormone (es. testosterone) e recettore (probabilmente per antagonismo competitivo), portando così
ad un accumulo di ormoni liberi e un malfunzionamento dell’apparato endocrino con conseguenze
sullo sviluppo dell’organismo.
RICERCA SUI PFAS

Il gruppo di ricerca del prof. Carlo Foresta, in collaborazione con il dottor Andrea Di Nisio del
Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova, ha studiato i meccanismi che possono
determinare l’interferenza tra PFAS e controllo ormonale del sistema endocrino-riproduttivo
nell’uomo. Ha dimostrato in sistemi cellulari in vitro, per la prima volta, che queste sostanze sono
in grado di interferire significativamente con il legame tra il testosterone ed il suo recettore: questo
avviene in quanto PFAS e testosterone presentano analogie strutturali e quindi occupano la
medesima tasca presente sul recettore androgenico, riducendo di oltre il 40% l’attività del
testosterone.
Questo ormone sessuale maschile (ormone steroideo liposolubile) normalmente, in assenza di PFAS,
viene trasportato attraverso il torrente circolatorio grazie a proteine di trasporto, riesce a penetrare
la membrana citoplasmatica cellulare, all’interno della cellula incontra il recettore citoplasmatico
nella sua forma inattiva, si lega formando un complesso ormone-recettore in grado di attraversare
la membrana nucleare e legarsi al DNA con conseguente trascrizione dell’mRNA e traduzione in
proteine attive.
Il testosterone ha diverse funzioni rispetto alla comparsa dei caratteri sessuali secondari (crescita
dei peli della faccia, maggiore sviluppo delle ossa e dei muscoli, modificazione della voce che diviene
più profonda); durante la pubertà determina l’accrescimento e la maturazione degli organi genitali
e la preparazione alla riproduzione; nell’adulto è necessario per la continua produzione degli
spermatozoi. In caso di iposecrezione l’uomo può diventare sterile.
I ricercatori hanno dimostrato che PFAS e testosterone possono interagire tra loro e, in seguito, circa
il 10 % del Testosterone viene sequestrato.
Hanno inoltre valutato lo sviluppo e la fuzione testicolare in 212 giovani di età compresa tra i 18 e
20 anni esposti all’inquinamento da PFAS, confrontando i risultati con quelli ottenuti in un gruppo
di controllo formato da 171 giovani non esposti. Si è potuto osservare che un elevato livello di PFAS
nel plasma e nel liquido seminale è correlato alla riduzione di:

   a) ➢        Quantità degli spermatozoi fecondanti
   b) ➢        Volume testicolare
   c) ➢        Lunghezza del pene
   d) ➢        AGD (distanza ano-genitale)
MANIFESTAZIONI CLINICHE LEGATE ALL’ESPOSIZIONE AI PFAS

Queste sostanze possono provocare alterazioni seminali, tiroidee e disturbi endocrini: gli studi
suggeriscono che l’esposizione ai PFAS può contribuire allo sviluppo di malattie metaboliche, tra cui
il diabete di tipo 2 e l’obesità. Possono aumentare il rischio di insorgenza di gravi malattie come
tumori ai testicoli, alla prostata e ai reni, di osteoporosi e immunodepressione.
La presenza di PFAS nel cordone ombelicale e nella placenta di donne esposte, si ipotizza possa
causare problemi rispetto allo sviluppo del feto, caratterizzato da una diminuzione del peso alla
nascita e una riduzione di sviluppo in altezza o, nei casi più gravi ad aborti o nascite pre-termine.

SCREENING

È un’indagine sanitaria volta a prevenire e a combattere una malattia sottoponendo a controllo
vasti gruppi di persone considerate a rischio. In questo caso mira a cercare possibili correlazioni tra
i valori elevati di PFAS e l’alterazione dei valori bioumorali del sangue. I PFAS rappresentano il quinto
fattore di rischio per l’insorgenza di malattie cronico-degenerative insieme a fumo, abuso di alcol,
sedentarietà e alimentazione scorretta. Questa indagine viene svolta ogni due anni in modo da
rilevare un numero elevato di campioni e dati per poi stabilire le conseguenze effettive di tali
molecole sull’organismo. Queste ricerche permettono in fase pre-clinica della malattia di ridurre la
mortalità, la prevalenza (se individuata in tempo può essere guarita) o aumentarla, per prolungare
la durata media della vita, senza però ridurre l’insorgenza della malattia.
Il protocollo sanitario è completamente gratuito e si suddivide in due fasi:

Screening di Primo livello che prevede:

       a) esami del sangue e delle urine per valutare lo stato di salute di fegato, reni, tiroide e
           l’eventuale presenza di alterazioni del metabolismo dei grassi e degli zuccheri
       b) il dosaggio delle 12 sostanze PFAS nel siero
       c) la misurazione della pressione arteriosa
       d) un’intervista per individuare abitudini di vita non salutari e informazioni e consigli su
           come proteggere la propria salute.
Se dai risultati dello screening di Primo livello emerge che tutti gli esami sono nella norma, il
soggetto sarà richiamato per un successivo screening dopo circa 2 anni.
Screening di Secondo livello (effettuato solo se i valori di PFAS e PFOA sono alterati), prevede:
       a) una visita specifica dal cardiologo per un’elevata concentrazione dei trigliceridi e del
           colesterolo, oppure una visita da parte di un endocrinologo per l’alterazione dei livelli
           endocrini

COME AGIRE PER ELIMINARLI?

Sono sostanze sintetizzate dall’uomo contenenti legami forti, l’organismo non è in grado di
degradarle ed eliminarle velocemente in quanto vengono assorbite rapidamente ed
efficientemente in seguito a ingestione ed inalazione. Attraversano perciò l’organismo seguendo il
circolo enteroepatico: si legano alle proteine del plasma e l’organismo non riesce a metabolizzarle,
perciò si accumulano nel siero del sangue, nel fegato, e in minor misura nei reni dove vengono
eliminati in maniera molto lenta in quanto, una volta filtrati nelle urine subiscono un processo di
riassorbimento, grazie all’attività dei trasportatori sotto il controllo ormonale (lavorano per
recuperare molecole “utili” all’organismo), che li riportano in circolo.
Per espellerle dall’organismo bisognerebbe non essere più esposti. Il tempo di dimezzamento (o
emivita), vale a dire il tempo necessario perché i livelli nel sangue si riducano a metà nell’uomo è in
media di 5,4 anni per i PFOS e di 3,8 anni per i PFOA

Questi dati variano per il genere femminile rispetto a quello maschile: l’emività nella donna risulta
essere più breve sia per ciclo mestruale, che per la presenza nei nefroni, a livello renale, di un minor
numero di canali di riassorbimento.
SOLUZIONI

Si è tentato di agire attraverso la plasmaferesi, una procedura che consiste nella rimozione di piccole
quantità di plasma (dove l’inquinante si annida nell’albumina ndr) senza necessità di sostituzione
per il basso volume sottratto e che viene utilizzata nei casi “meno gravi” con concentrazioni fino a
200 ng/ml. Al di sopra di tale concentrazione, si utilizza lo scambio plasmatico che consiste invece
nella rimozione di elevati volumi di plasma con sostituzione di un volume equivalente a quello
prelevato infondendo una soluzione fisiologica albuminata al 4%.
Questa tecnica non ha portato ai risultati sperati in quanto, queste sostanze sono costantemente
presenti nell’ambiente a causa dell’uomo; le uniche soluzioni per eliminare queste sostanze del
tutto dall’organismo sarebbero quelle di 1) agire a livello ambientale, in modo da permettere al
corpo di dimezzare la concentrazione di PFAS fino a raggiungere livelli nulli e 2) intervenire a livello
farmacologico.

OBIETTIVO PREFISSATO DALL’ONU

“Entro il 2030, ridurre sostanzialmente il numero di decessi e malattie da sostanze chimiche
pericolose e da contaminazione e inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo.”
BIBLIOGAFIA E SITOGRAFIA

    a) Foresta C., Tescari S., Di Niso A. Impact of perfluorochemicals on human health and
         reproduction: a male’s perspective. Journal of Endocrynol. Investigat. (2018); 41 (6) :639-
         645.
    b)   Di Nisio A., Sabovic I., Valente U., Tescari S., Rocca M.S., Guidolin D., Dall’Acqua S.,
         Aquasaliente L., Pozzi N., Plebani M, Garolla A., Foresta C., Endocrine disruption of
         androgenic activity by perfluoroalkyl substances: clinical and experimental evidence. The
         Journal of Clinical Endocrynology &Metabolism (2018)
    c)   Appunti e materiale fornito dal dott. Di Nisio durante l’incontro, il 22 gennaio 2019,
         presso l’Istituto Trentin, dal tema “Evidenze scientifiche del meccanismo di azione dei
         PFAS e dei loro effetti sull’organismo umano”
    d)   https://www.aulss8.veneto.it/nodo.php/3440
    e)   Google immagini
Capitolo 7: LA STORIA DEI PFAS – TIMELINE
Capitolo 8: INDAGINE STATISTICA SUI PFAS

Il questionario è stato redatto da un gruppo di lavoro che ha anche creato il Modulo on line con il
quale è stato possibile raggiungere studenti e genitori in maniera semplice e immediata. Come si
evince dal grafico sottostante, il questionario è stato compilato nelle stesse proporzioni da studenti
di tutte le classi dell’istituto e dai loro genitori.

                                                                         Oltre 320 risposte e un
                                                                         numero di studenti
                                                                         equidistribuito tra tutte
                                                                         le classi.

             Dove si parla di PFAS?
  25             22 21                                                   Emerge       l’importanza
  20                                                                     della     scuola,   luogo
  15                                                                     privilegiato dove poter
  10
                                                                         affrontare      il   tema
                                                                         dell’inquinamento      da
   5
                                                                         PFAS. La maggior parte
   0                                                                     degli intervistati ne ha
                                                                         sentito parlare a scuola e
                                                                         in televisione.

                                                                         Buona consapevolezza
                                                                         anche se circa ¼ del
                                                                         campione non ha le idee
                                                                         chiare.
Oltre il 50 % degli
intervistati vive nella
Zona Rossa. La nostra
scuola     accoglie    un
bacino      di     utenza
particolarmente colpito.

Gli intervistati mostrano
di conoscere abbastanza
bene l’impatto e la
diffusione dei PFAS. Ma
emerge anche in questo
caso     mancanza       di
chiarezza.

Circa    il   40%    del
campione si è sottoposto
allo screening promosso
dalla ULSS e dalla
Regione Veneto.

A fronte di una buona
consapevolezza e una
grande preoccupazione,
si evidenzia una certa
incapacità a mettere in
atto azioni efficaci per
minimizzare i danni.
I mezzi di informazione
                                                                              hanno contribuito ad una
                                                                              buona consapevolezza su
                                                                              quali siano i vettori di
                                                                              diffusione delle sostanze
                                                                              PFAS.

Il livello di preoccupazione risulta particolarmente elevato, indice di grande interesse da parte della
popolazione sul problema dei PFAS. Questo si traduce anche in una necessità da parte degli organi
di stampa ed istituzioni di fornire informazioni corrette ed aggiornate sull’impatto dei PFAS
sull’ambiente e sull’uomo.

Domande degli studenti
Di seguito alcune domande che gli studenti hanno posto al termine del sondaggio e che in parte hanno
trovato risposta nei lavori esposti precedentemente.
   •   Come influisce su vari argomenti es: ormoni tiroide, come nel mio caso
   •   Quali sono le sostanze che compongono il PFAS che sono più tossiche, cancerogene o addirittura
       mutagene?
   •   Perché si fa ancora così poco? (non è un problema di soldi dato che ne vengono spesi moltissimi
       inutilmente)
   •   Perché non se ne elimina la produzione?
   •   Ok il problema c'è, ed è giusto lamentarsi, ma cosa possiamo veramente fare per far ritornare la
       nostra acqua pulita?
   •   Perché nei power Point scrivono no tav?
   •   vorrei sapere se si riesce a riequilibrare questa sostanza, ovvero eliminarla:
   •   Quanto ci vorrà perché ci sia una soluzione definitiva?
   •   Com'è intervenuta la regione del Veneto su questo problema di inquinamento?
•   Sono morte delle persone per colpa dei pfas?
•   L'acqua delle case dell'acqua del comune è davvero migliore di quella del rubinetto?
•   Quanto tempo si pensa di impiegare per la bonifica della falda acquifera contaminata dai pfas?
•   Chi controlla la causa contro Miteni
•   Come mai se il problema si conosceva già dagli anni ‘40 nessuno è intervenuto prima per limitare i
    danni?
•   Ma la percentuale di pfas presente in casa nostra è alta? Se si come si può ridurre?
•   Come si potrebbe uscire da questa situazione per davvero/seriamente?
•   Che cosa sta facendo la Regione per ovviare il problema
APPENDICE: VOLANTINO
Pieghevole realizzato dagli studenti e che riassume tutti gli elaborati dei singoli gruppi.
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