PROGETTO PFAS UDA "BEVI CHE TI PFASSI !" - ELABORATO GRUPPI DI LAVORO - ALBERTO TRENTIN
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ELABORATO GRUPPI DI LAVORO Progetto PFAS UdA “Bevi che ti PFASsi !” ITA Trentin Lonigo A.S. 2018-2019 Classi IVB e VB Indirizzo Chimica, Materiali e Biotecnologie Articolazione Biotecnologie sanitarie
Indice Generale - Capitolo 1: CHE COSA SONO? - Capitolo 2: USI DEI PFAS - Capitolo 3: EFFETTI DEI PFAS SULL’AMBIENTE - Capitolo 4: METODO DI ANALISI DEI PFAS - Capitolo 5: METODI RIMOZIONE DALLE ACQUE - Capitolo 6: EFFETTI SULL’UOMO - Capitolo 7: LA STORIA DEI PFAS – TIME-LINE - Capitolo 8: INDAGINE STATISTICA SUI PFAS - APPENDICE: VOLANTINO INFORMATIVO
Capitolo 1: CHE COSA SONO? I PFAS (Per Fluoro Alkyl Substances) sono una classe di composti chimici di sintesi che appartengono alla categoria degli emerging contaminants (Ecs), risultano costituiti da una catena alchilica di lunghezza variabile completamente o parzialmente fluorurata (da 4 a 16 atomi di carbonio) e presentano un gruppo funzionale carbossilico oppure un gruppo solfonico. I composti più studiati tra i PFAS sono PFOA (acido perfluoro-ottanoico) e PFOS (perfluoro-ottano solfonato), poiché ritenuti più pericolosi per l’uomo e ne sono state riscontrate elevate concentrazioni nell'acqua di falda. METODI DI SINTESI In natura non esistono composti chimici fluorurati e ciò deriva dal fatto che l’energia richiesta per la formazione del legame C-F è elevatissima. Queste molecole dalle caratteristiche uniche, molto versatili in ambito industriale oltre che importanti dal punto di vista commerciale, vengono prodotte attraverso tre principali metodi di sintesi:
➢ Florurazione elettrochimica introdotta alla fine degli anni’40, è stata ampiamente ed a lungo utilizzata soprattutto per i bassi costi di produzione che implicava. Questo processo consiste nell’elettrolisi di un composto organico, l'octanesulfonyl fluoride (C8H17SO2F), in una soluzione liquida di acido fluoridrico (HF) che permette la sostituzione di tutti gli atomi di idrogeno delle molecole con atomi di fluoro e produce una miscela di composti formata da 4 a 9 atomi di carbonio, ottenendo sia isomeri lineari, circa il 70 %, che ramificati (rifiuto). ➢ Telomerizzazione è una tecnica più efficiente e vantaggiosa rispetto la precedente in quanto vengono utilizzate materie prime di elevata purezza, questo fa sì che i prodotti siano altrettanto puri (si ottiene più del 99% di molecola lineare). Consiste nel far reagire un composto detto telogeno, il pentafluoruro di iodio (CF3CF2I), con un monomero detto tassogeno, ossia il tetrafluoro etilene (CF2=CF2) per la produzione di fluorotelomeri aventi una catena alchilica lineare ed un numero pari di atomi di carbonio. ➢ Oligomerizzazione si tratta di un metodo poco utilizzato che si basa sulla polimerizzazione di composti organici per ottenere polimeri con poche unità polimeriche. PROPRIETÀ CHIMICO-FISICHE L'atomo di Fluoro La presenza dell'elemento fluoro legato alla catena carboniosa influenza in modo considerevole le proprietà chimico-fisiche. Il fluoro infatti è l’elemento con cui il carbonio forma il legame singolo covalente più forte, perché la sovrapponibilità tra i suoi orbitali 2s e 2p e quelli del carbonio risulta ottima. La scelta del fluoro come atomo sostituente, al posto degli idrogeni normalmente presenti nella molecola di un acido, rende queste sostanze estremamente stabili e conseguentemente inerti per alcuni motivi: ➢ elevatissima elettronegatività (4,0) ➢ bassa polarizzabilità nei confronti dei cationi metallici ➢ disponibilità di tre doppietti elettronici non condivisi ➢ pessimo gruppo uscente nelle reazioni di sostituzione nucleofila L’accorciamento del legame C–F e l’aumento dell’energia (che corrisponde a un incremento della forza di legame) vengono spiegate tramite il concetto di risonanza doppio legame – non legame, introdotto dal chimico statunitense Linus Pauling. Prendendo in considerazione la teoria degli orbitali molecolari, si verifica un'interazione tra gli elettroni di non legame del fluoro con un orbitale
σ del legame C–F. Inoltre si deve considerare che l'atomo di fluoro è più voluminoso di quello di idrogeno (non sono isosterici) ed è dotato di maggior massa atomica (MAH = 1,008 g/mol MAF = 18,998 g/mol), ciò influenza alcune caratteristiche fisiche come l'aumento del peso molecolare, ma non la geometria molecolare. TEMPERATURA DI EBOLLIZIONE La temperatura di ebollizione se confrontata con quella degli idrocarburi nonostante l’aumento del peso molecolare è inferiore, perché tra le molecole si instaurano deboli interazioni. Le molecole con il carbossile formano legami a idrogeno e interazioni intermolecolari dipolo-dipolo mentre le sostanze con il gruppo solfonico formano esclusivamente legami dipolo-dipolo.
L'ACIDITÀ Come dimostrano i valori molto bassi della pKa (= - log Ka), questi composti risultano più acidi dei comuni acidi carbossilici per l’effetto induttivo. Gli atomi di fluoro infatti, essendo elettron-attrattori, stabilizzano la carica negativa dello ione carbossilato che si ottiene dall'equazione di equilibrio di dissociazione acida. L'acidità subisce una diminuzione se gli atomi di fluoro sono legati a carboni lontani dal carbossile.
NATURA MOLECOLARE Queste molecole si definiscono anfipatiche o anfiprotiche, perché presentano una testa polare e una coda apolare e questo determina la loro impermeabilità e capacità emulsionante. Testa polare Coda apolare BIBILOGRAFIA E SITOGRAFIA: a) Bogialli Sara, PPT “PFAS in veneto da sostanze emergenti a emergenza ambientale”, dipartimento scienze chimiche dell'Università di Padova b) Corrá Dr. Jacopo, PPT “PFAS sostanze emergenti e contaminazione in Veneto”, Ecamricert, Monte di Malo (VI) c) http://www.chimiciveneto.it/nuovosito/attachments/article/16/PFAS_Causin_26ott17.pdf d) http://amsdottorato.unibo.it/6424/1/Devicienti_Chiara_tesi.pdf Capitolo 2: USI DEI PFAS I composti perfluoroalchilici grazie alle loro eccezionali proprietà, in particolare l’elevata stabilità termica, l’inerzia chimica, l’idrorepellenza e l’oleorepellenza, dalla seconda metà del 1900 hanno conquistato i più svariati campi di applicazione. Tra gli impieghi più importanti troviamo: ritardanti di fiamma per la produzione delle schiume antincendio, trattamenti impermeabilizzanti, rivestimenti antimacchia per tessuti, abbigliamento tecnico sportivo (Gore-Tex), trattamenti della carta, pellicole per imballaggi alimentari (food pakaging), polimeri antiaderenti (PTFE o Teflon) utilizzati per utensili da cucina, lubrificanti, inchiostri, tensioattivi in vari prodotti per la pulizia, cosmetici waterproof, filo interdentale, prodotti fotografici, sensori, apparecchiature biomediche, prodotti di partenza per la produzione di
fluoropolimeri a diverso contenuto di fluoro, impiegati sia nell’industria elettronica, sia nei materiali da laboratorio. Le loro stesse meravigliose proprietà però, rendono i composti perfluoroalchilici estremamente pericolosi per l’ambiente e per l’uomo perché, come altre molecole durature e indistruttibili che abbiamo sintetizzato e largamente utilizzato in passato, sono resistenti ai comuni processi di biodegradazione, cioè sono biorefrattarie. Un caso per molti versi analogo a quello dei PFAS riguarda i tensioattivi, composti strutturalmente molto simili. Quando negli anni 70 emerse il problema della formazione di schiume e del grave inquinamento da loro causato nei corpi idrici superficiali, i maggiori produttori sostituirono le molecole a catena ramificata, poco biodegradabili, con molecole lineari più appetibili per i microrganismi.
Anche la storia dei clorofluorocarburi (CFC) è molto istruttiva: si tratta di molecole molto stabili, utilizzate come fluidi refrigeranti, agenti rigonfianti delle materie plastiche per ottenere resine espanse, gas propellenti per le bombolette spray, composti di grande successo la cui produzione annuale superava nel 1987 il milione di tonnellate. Negli anni 70 alcuni studiosi (Mario Molina e Sherwood Rowland) ipotizzarono che avessero un ruolo chiave nella riduzione dello strato di ozono, scoperta che gli valse il Nobel nel 1995. Nel 1987 i CFC furono messi al bando dal Protocollo di Montreal, perché ritenuti responsabili del buco dell’ozono: per la loro eccezionale stabilità erano in grado di raggiungere gli strati più alti dell’atmosfera senza subire degradazione alcuna, e a queste altezze, per effetto delle radiazioni UV si decomponevano formando radicali liberi in grado di scomporre le molecole di O3. L’industria chimica ha individuato dei validi sostituti negli idrofluorocarburi (HFC), meno dannosi per l’ozono e prodotti su vasta scala già dal 1990, senonché questi si poi sono rivelati essere tra i più pericolosi ‘’gas serra’’, per cui di recente hanno subito restrizioni per limitare il global warming (con l’inizio del 2019 è entrato in vigore l’emendamento di Kigali al Protocollo di Montreal che ne propone l’eliminazione entro il 2050). Per quanto riguarda i PFAS, che sono classificati come cancerogeni di classe 2B e hanno attività di interferenti endocrini, Stati Uniti, Giappone ed Europa hanno messo fuori commercio le molecole a lunga catena, sostituendole con altre a catena corta, ritenute meno stabili e più degradabili, ma non prive di rischi. (Nel 2003 gli PFOS furono inclusi nella lista degli inquinanti organici persistenti, POPs, della Convenzione di Stoccolma, quindi assoggettati alle restrizioni imposte dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente). Molto resta ancora da fare, perché anche queste nuove molecole sono persistenti, gli studi tossicologici sono insufficienti, inoltre, essendo meno performanti ne servono quantità maggiori per ottenere buone prestazioni. Il lavoro da fare non manca certo, perché sulla via del progresso scientifico si rischia sempre nella continua sfida di inventare nuove soluzioni che siano appetibili per l’economia, sicure per la salute e rispettose dell’ambiente, con l’obiettivo di migliorare la realtà in cui viviamo, imparando dal passato per non ripetere gli stessi errori. Per dirla con le parole di Giorgio Nebbia nel blog della Società Chimica Italiana: ‘’nella corsa per evitare le violenze all’ambiente non c’è riposo, specialmente per i chimici e per una buona chimica’’. SITOGRAFIA: a) https://www.soc.chim.it/sites/default/files/chimind/pdf/2012_8_128_ca.pdf b) https://ilblogdellasci.wordpress.com/tag/pfas/ c) https://ilblogdellasci.wordpress.com/2017/02/10/il-dilemma-del-tensioattivo-e-del- chimico/ d) https://ilblogdellasci.wordpress.com/tag/cfc/ e) https://www.minambiente.it/pagina/kigali-approvato-lemendamento-al-protocollo-di- montreal-0 f) http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=633&area=Sicurezza% 20chimica&menu=internazionali g) https://www.bafu.admin.ch/bafu/it/home/temi/prodotti-chimici/info-specialisti/affari- internazionali--prodotti-chimici/convenzione-di-stoccolma-pop-sugli-inquinanti-organici- persisten.html
Capitolo 3: EFFETTI DEI PFAS SULL’AMBIENTE L’inquinamento inizia nel 1964 quando la Miteni, l’azienda individuata dall’ARPAV come l’origine della diffusione dei PFAS nelle acque tutt’intorno, si chiamava Rimar, acronimo di «Ricerche Marzotto». É in quegli anni che sono iniziati lo studio e la produzione degli «intermedi fluorurati». L’azienda cambia proprietà tre volte: nel 1988 passa alla joint venture tra Mitsubishi e Eni (di qui la nuova insegna, Miteni), nel 1996 alla sola Mitsubishi e nel 2009 alla multinazionale tedesca Weylchem del gruppo International Chemical Investors (Icig), ultima proprietaria dell’unica fabbrica di PFAS in Italia, che il 26 ottobre 2018 ha presentato istanza di fallimento. Nel corso degli anni vi è stato lo smaltimento inappropriato di queste sostanze, riversate nel suolo e contaminando acque superficiali e falde acquifere. Il plume di contaminazione si è propagato verso due fronti: uno ad Ovest verso Vicenza ed uno ad Est verso la Bassa Pianura Vicentina,Veronese e Padovana. I PFAS presentano un’elevata stabilità rispetto all’azione del calore, inerzia chimica nei confronti di acidi, basi, ossidanti e riducenti e nell’ambiente non sono soggetti a processi di degradazione, per questo sono classificati inquinanti organici persistenti (POP, persistent organic pollutants). L'acqua, poi, permette loro di inserirsi nella catena alimentare attraverso il suolo, la vegetazione, le coltivazioni, gli animali e, di conseguenza, gli alimenti che arrivano sulle nostre tavole. Inoltre sono bioaccumulabili, cioè continuano ad accumularsi nell’organismo di molti esseri viventi, tra cui l’uomo.
Una distribuzione ubiquitaria di questo tipo è stata ricondotta al fatto che: a) PFOA e PFOS sono molto persistenti nell’ambiente b) sono volatili e trasportabili anche via aria c) l’elevata stabilità chimica dei PFC consente il loro impiego in condizioni nelle quali altre molecole non sarebbero utilizzabili, e contemporaneamente li rende estremamente persistenti e facilmente bioaccumulabili (PFOA e PFOS hanno un tempo di eliminazione dal corpo umano di 3,8 e 5,4 anni, rispettivamente). L’inquinamento copre un vastissimo territorio a valle del sito sorgente dovuto a: a) un sistema idrogeologico ricco di falde, con un’elevata idrodinamica sotterranea (velocità anche superiore a 10 m/giorno) b) stretti rapporti di interdipendenza tra acque superficiali e sotterranee. c) plume di contaminazione situato nell’alta pianura (soggetto alla pendenza del territorio). Le falde idriche sotterranee si sono rivelate la matrice ambientale più compromessa, con un’estensione dell’inquinamento della media-bassa valle dell’Agno, fino alla media e bassa pianura tra le province di Padova e Verona.
Immagine: Assetto idrogeologico del territorio colpito OBIETTIVO PREFISSATO DALL’ONU (AGENDA 2030 PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE) ‘’Entro il 2030, migliorare la qualità dell’acqua riducendo al minimo l’inquinamento ed eliminando le pratiche di scarico non controllato oltre che il rilascio di sostanze chimiche e materiali pericolosi, dimezzare la percentuale di acque reflue non trattate ed aumentare sostanzialmente il riciclaggio e il riutilizzo sicuro a livello globale’’. SITOGRAFIA: a) https://www.soc.chim.it/sites/default/files/chimind/pdf/2012_8_128_ca.pdf b) https://www.unric.org/it/agenda-2030
Capitolo 4: METODO DI ANALISI DEI PFAS I PFAS sono interferenti endocrini assunti principalmente tramite l’acqua dell’acquedotto. Siccome all’interno del nostro organismo, a concentrazioni troppo elevate determinano un fattore di rischio per la salute, è opportuno che siano presenti nelle acque entro un certo limite. Questo viene stabilito dalla regione e in Veneto è di 500 nanogrammi per litro. Considerate che un nanogrammo corrisponde a 0,000000001 g quindi determinarli è piuttosto complesso. Le loro concentrazioni medie (50 ng/L) corrispondono a quella di una bustina di zucchero disciolta in 40 piscine olimpioniche. Per questo motivo prima del 2013 non venivano considerati nelle analisi delle acque e si è iniziato a individuarli solo recentemente. Il metodo attualmente usato dall'ARPAV (Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto) per la determinazione della concentrazione di PFAS nelle acque potabili è l'ISO 25101 2009 che abbina la cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC) con la spettrometria di massa (MS). Per poter rilevare quantità di PFAS molto piccole, l'analisi è preceduta da una fase di estrazione e concentrazione. L'acqua viene filtrata attraverso delle cartucce contenenti una fase solida che li trattiene (SPE), poi vengono solubilizzati in metanolo in ambiente basico, in modo da formare i corrispondenti sali e infine vengono concentrati per evaporazione del solvente. La cromatografia è una tecnica di analisi che permette di separare i componenti di una miscela in base alla loro diversa affinità nei confronti di una fase stazionaria solida e di una fase mobile liquida. Durante la corsa cromatografica ogni analita viene trasportato da solventi inerti, in questo caso acqua e metanolo, fino al detector, lo spettrometro di massa, dove vengono ionizzati e separati mediante un analizzatore a triplo quadrupolo. Ogni ione fornisce un proprio spettro di massa che viene riconosciuto dal software, permettendo di identificare e quantificare le varie sostanze presenti nel campione di acqua. Il macchinario che combina la cromatografia liquida e la spettrometria di massa ha due limiti: il primo è il limite di quantificazione (è il valore minimo di concentrazione fino al quale è possibile ottenere una misura quantitativa con un’incertezza dall’1 al 5%) ed è di 10 ng/L, il secondo è il limite di rilevabilità del metodo (che indica la minima concentrazione alla quale è possibile determinare la quantità, al di sotto di essa non è possibile quantificare l’analita) ed è di 1 ng/L.
Cromatografia su colonna BIBLIOGRAFIA: - Francesca Zanon, PPT “Analisi dei PFAS e riferimenti normativi”, ARPAV. - Nicola Marchetti, Lorenzo Caciolli, Alberto Cavazzini, Luisa Pasti, Alessandro Massi, Francesco Dondi, “Composti perfluorurati nell'ambiente. Problematiche ed analisi”, La Chimica & l'Industria, ottobre 2012, pag. 128-133. - Sara Bogialli, PPT “PFAS in Veneto: da sostanze emergenti ad emergenza ambientale”, Dipartimento di Scienze Chimiche dell'Università di Padova. - Corrà Dr. Jacopo, PPT “PFAS Sostanze emergenti e contaminazione in Veneto”, EcamRicert Monte di Malo (VI). Capitolo 5: METODI RIMOZIONE DALLE ACQUE Allo stato attuale delle conoscenze, il trattamento più efficace per rimuovere le sostanze Perfluoroalchiliche (PFAS) dalle acque è la filtrazione su carboni attivi. Si tratta di un processo chimico-fisico di trasferimento di massa nel quale le molecole di contaminanti sono trattenute sulla superficie di solidi porosi per effetto di legami di natura sia fisica che chimica. Il solido poroso convenzionalmente utilizzato è il carbone attivo (GAC in forma granulare). In alcune zone del vicentino, il sistema di filtrazione adottato prevede l’adsorbimento su carbone attivo granulare (GAC) di natura minerale. I carboni attivi in uso sono quelli risultati i più efficaci, a seguito di verifiche comparative eseguite sul campo dal gestore del servizio idrico integrato Acquevenete. Per verificare il rispetto dei livelli di performance vengono eseguite analisi in ingresso e uscita dai filtri con cadenza settimanale. La sostituzione viene programmata quando i filtri iniziano a perdere
efficacia per i PFAS. Il carbone contenuto nei filtri viene completamente sostituito da carbone vergine, mentre il carbone esausto viene smaltito presso centri autorizzati. Questo sistema di filtrazione è utilizzato presso il pozzo Sant'Antonio di Sarego e presso la centrale di Almisano di Lonigo dove la frequenza di sostituzione dei filtri viene adeguata alle concentrazioni nell’acqua. Altri metodi utilizzati per rimuovere i PFAS dalle acque sono: • chiariflocculazione è un trattamento chimico-fisico applicato alle acque reflue che consiste nella precipitazione di sostanze non sedimentabili (come solidi colloidali) che formano un precipitato con dei coagulanti, i più usati sono inorganici che liberano ioni Al 3+, Ca2+, Fe3+. Si tratta di un metodo efficace al 30/90 % per la rimozione di PFOA e PFOS. • processi a membrana dove la membrana appunto funge da filtro molto selettivo che consente il passaggio dell’acqua, ma trattiene i solidi e altre particelle in soluzione. Questa tecnica si può dividere in micro e ultra filtrazione da una parte (usate per la rimozione di particelle maggiori) e nano filtrazione o osmosi inversa dall’altra. Quest’ultima tecnica riesce a trattenere dal 90 al 99,9% delle sostanze disciolte nell’acqua da germi e agenti patogeni fino a sostanze organiche dell’ordine del decimillesimo di micron grazie a un sistema di membrane semipermeabili. L’acqua da trattare viene spinta nella membrana da una pompa, che esercita una pressione superiore a quella osmotica, così da ottenere due flussi in uscita: la parte di acqua in ingresso che attraversa la membrana costituisce il permeato (povero di sali e inquinanti) che va all’utilizzo, mentre la rimanente parte fuoriesce con un’elevata concentrazione salina, dovuta all’accumulo di tutti i sali che non hanno attraversato la membrana, si tratta del concentrato (ricco di sali e sostanze estranee compresi i PFAS) che va scartato. • Processi di ossidazione di inquinanti organici ad opera di forti agenti ossidanti come acqua ossigenata, ozono e radicali idrossilici.
SITOGRAFIA: a) https://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/reach/Malpei_PFAS.pdf b) http://www.acquevenete.it/it/sistemi-di-filtrazione-pfas c) https://www.iis-newton.gov.it/sites/default/files/page/2017/tesina_boaron_martina_2.pdf d) http://www.novuscd.it/prodotti-tecnologie/chiariflocculazione.html e) https://www.lenntech.it/tecnologia-membrana.htm f) https://www.technoacquesrl.it/blog/trattamento-ad-osmosi-inversa-come-funziona-e- quali-sono-i-suoi- vantaggi/?gclid=EAIaIQobChMIkcysvMj94AIVyp3tCh13RgxbEAAYAyAAEgKy8PD_BwE Capitolo 6: PFAS: EFFETTI SULL’UOMO I PFAS sono sostanze perfluoroalchiliche, possono essere presenti nel sangue umano, se assunte tramite ingestione di acqua e alimenti contaminati o attraverso l’inalazione di aria inquinata. Sono sostanze bioaccumulabili, l’organismo non è in grado di eliminarle facilmente a causa della loro complessa composizione chimica. INTERFERENTI ENDOCRINI I PFOA e i PFOS risultano essere interferenti endocrini cioè sostanze che impediscono il legame tra ormone (es. testosterone) e recettore (probabilmente per antagonismo competitivo), portando così ad un accumulo di ormoni liberi e un malfunzionamento dell’apparato endocrino con conseguenze sullo sviluppo dell’organismo.
RICERCA SUI PFAS Il gruppo di ricerca del prof. Carlo Foresta, in collaborazione con il dottor Andrea Di Nisio del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova, ha studiato i meccanismi che possono determinare l’interferenza tra PFAS e controllo ormonale del sistema endocrino-riproduttivo nell’uomo. Ha dimostrato in sistemi cellulari in vitro, per la prima volta, che queste sostanze sono in grado di interferire significativamente con il legame tra il testosterone ed il suo recettore: questo avviene in quanto PFAS e testosterone presentano analogie strutturali e quindi occupano la medesima tasca presente sul recettore androgenico, riducendo di oltre il 40% l’attività del testosterone. Questo ormone sessuale maschile (ormone steroideo liposolubile) normalmente, in assenza di PFAS, viene trasportato attraverso il torrente circolatorio grazie a proteine di trasporto, riesce a penetrare la membrana citoplasmatica cellulare, all’interno della cellula incontra il recettore citoplasmatico nella sua forma inattiva, si lega formando un complesso ormone-recettore in grado di attraversare la membrana nucleare e legarsi al DNA con conseguente trascrizione dell’mRNA e traduzione in proteine attive.
Il testosterone ha diverse funzioni rispetto alla comparsa dei caratteri sessuali secondari (crescita dei peli della faccia, maggiore sviluppo delle ossa e dei muscoli, modificazione della voce che diviene più profonda); durante la pubertà determina l’accrescimento e la maturazione degli organi genitali e la preparazione alla riproduzione; nell’adulto è necessario per la continua produzione degli spermatozoi. In caso di iposecrezione l’uomo può diventare sterile. I ricercatori hanno dimostrato che PFAS e testosterone possono interagire tra loro e, in seguito, circa il 10 % del Testosterone viene sequestrato. Hanno inoltre valutato lo sviluppo e la fuzione testicolare in 212 giovani di età compresa tra i 18 e 20 anni esposti all’inquinamento da PFAS, confrontando i risultati con quelli ottenuti in un gruppo di controllo formato da 171 giovani non esposti. Si è potuto osservare che un elevato livello di PFAS nel plasma e nel liquido seminale è correlato alla riduzione di: a) ➢ Quantità degli spermatozoi fecondanti b) ➢ Volume testicolare c) ➢ Lunghezza del pene d) ➢ AGD (distanza ano-genitale)
MANIFESTAZIONI CLINICHE LEGATE ALL’ESPOSIZIONE AI PFAS Queste sostanze possono provocare alterazioni seminali, tiroidee e disturbi endocrini: gli studi suggeriscono che l’esposizione ai PFAS può contribuire allo sviluppo di malattie metaboliche, tra cui il diabete di tipo 2 e l’obesità. Possono aumentare il rischio di insorgenza di gravi malattie come tumori ai testicoli, alla prostata e ai reni, di osteoporosi e immunodepressione. La presenza di PFAS nel cordone ombelicale e nella placenta di donne esposte, si ipotizza possa causare problemi rispetto allo sviluppo del feto, caratterizzato da una diminuzione del peso alla nascita e una riduzione di sviluppo in altezza o, nei casi più gravi ad aborti o nascite pre-termine. SCREENING È un’indagine sanitaria volta a prevenire e a combattere una malattia sottoponendo a controllo vasti gruppi di persone considerate a rischio. In questo caso mira a cercare possibili correlazioni tra i valori elevati di PFAS e l’alterazione dei valori bioumorali del sangue. I PFAS rappresentano il quinto fattore di rischio per l’insorgenza di malattie cronico-degenerative insieme a fumo, abuso di alcol, sedentarietà e alimentazione scorretta. Questa indagine viene svolta ogni due anni in modo da rilevare un numero elevato di campioni e dati per poi stabilire le conseguenze effettive di tali molecole sull’organismo. Queste ricerche permettono in fase pre-clinica della malattia di ridurre la mortalità, la prevalenza (se individuata in tempo può essere guarita) o aumentarla, per prolungare la durata media della vita, senza però ridurre l’insorgenza della malattia.
Il protocollo sanitario è completamente gratuito e si suddivide in due fasi: Screening di Primo livello che prevede: a) esami del sangue e delle urine per valutare lo stato di salute di fegato, reni, tiroide e l’eventuale presenza di alterazioni del metabolismo dei grassi e degli zuccheri b) il dosaggio delle 12 sostanze PFAS nel siero c) la misurazione della pressione arteriosa d) un’intervista per individuare abitudini di vita non salutari e informazioni e consigli su come proteggere la propria salute. Se dai risultati dello screening di Primo livello emerge che tutti gli esami sono nella norma, il soggetto sarà richiamato per un successivo screening dopo circa 2 anni. Screening di Secondo livello (effettuato solo se i valori di PFAS e PFOA sono alterati), prevede: a) una visita specifica dal cardiologo per un’elevata concentrazione dei trigliceridi e del colesterolo, oppure una visita da parte di un endocrinologo per l’alterazione dei livelli endocrini COME AGIRE PER ELIMINARLI? Sono sostanze sintetizzate dall’uomo contenenti legami forti, l’organismo non è in grado di degradarle ed eliminarle velocemente in quanto vengono assorbite rapidamente ed efficientemente in seguito a ingestione ed inalazione. Attraversano perciò l’organismo seguendo il circolo enteroepatico: si legano alle proteine del plasma e l’organismo non riesce a metabolizzarle, perciò si accumulano nel siero del sangue, nel fegato, e in minor misura nei reni dove vengono eliminati in maniera molto lenta in quanto, una volta filtrati nelle urine subiscono un processo di riassorbimento, grazie all’attività dei trasportatori sotto il controllo ormonale (lavorano per recuperare molecole “utili” all’organismo), che li riportano in circolo.
Per espellerle dall’organismo bisognerebbe non essere più esposti. Il tempo di dimezzamento (o emivita), vale a dire il tempo necessario perché i livelli nel sangue si riducano a metà nell’uomo è in media di 5,4 anni per i PFOS e di 3,8 anni per i PFOA Questi dati variano per il genere femminile rispetto a quello maschile: l’emività nella donna risulta essere più breve sia per ciclo mestruale, che per la presenza nei nefroni, a livello renale, di un minor numero di canali di riassorbimento.
SOLUZIONI Si è tentato di agire attraverso la plasmaferesi, una procedura che consiste nella rimozione di piccole quantità di plasma (dove l’inquinante si annida nell’albumina ndr) senza necessità di sostituzione per il basso volume sottratto e che viene utilizzata nei casi “meno gravi” con concentrazioni fino a 200 ng/ml. Al di sopra di tale concentrazione, si utilizza lo scambio plasmatico che consiste invece nella rimozione di elevati volumi di plasma con sostituzione di un volume equivalente a quello prelevato infondendo una soluzione fisiologica albuminata al 4%. Questa tecnica non ha portato ai risultati sperati in quanto, queste sostanze sono costantemente presenti nell’ambiente a causa dell’uomo; le uniche soluzioni per eliminare queste sostanze del tutto dall’organismo sarebbero quelle di 1) agire a livello ambientale, in modo da permettere al corpo di dimezzare la concentrazione di PFAS fino a raggiungere livelli nulli e 2) intervenire a livello farmacologico. OBIETTIVO PREFISSATO DALL’ONU “Entro il 2030, ridurre sostanzialmente il numero di decessi e malattie da sostanze chimiche pericolose e da contaminazione e inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo.”
BIBLIOGAFIA E SITOGRAFIA a) Foresta C., Tescari S., Di Niso A. Impact of perfluorochemicals on human health and reproduction: a male’s perspective. Journal of Endocrynol. Investigat. (2018); 41 (6) :639- 645. b) Di Nisio A., Sabovic I., Valente U., Tescari S., Rocca M.S., Guidolin D., Dall’Acqua S., Aquasaliente L., Pozzi N., Plebani M, Garolla A., Foresta C., Endocrine disruption of androgenic activity by perfluoroalkyl substances: clinical and experimental evidence. The Journal of Clinical Endocrynology &Metabolism (2018) c) Appunti e materiale fornito dal dott. Di Nisio durante l’incontro, il 22 gennaio 2019, presso l’Istituto Trentin, dal tema “Evidenze scientifiche del meccanismo di azione dei PFAS e dei loro effetti sull’organismo umano” d) https://www.aulss8.veneto.it/nodo.php/3440 e) Google immagini
Capitolo 7: LA STORIA DEI PFAS – TIMELINE
Capitolo 8: INDAGINE STATISTICA SUI PFAS Il questionario è stato redatto da un gruppo di lavoro che ha anche creato il Modulo on line con il quale è stato possibile raggiungere studenti e genitori in maniera semplice e immediata. Come si evince dal grafico sottostante, il questionario è stato compilato nelle stesse proporzioni da studenti di tutte le classi dell’istituto e dai loro genitori. Oltre 320 risposte e un numero di studenti equidistribuito tra tutte le classi. Dove si parla di PFAS? 25 22 21 Emerge l’importanza 20 della scuola, luogo 15 privilegiato dove poter 10 affrontare il tema dell’inquinamento da 5 PFAS. La maggior parte 0 degli intervistati ne ha sentito parlare a scuola e in televisione. Buona consapevolezza anche se circa ¼ del campione non ha le idee chiare.
Oltre il 50 % degli intervistati vive nella Zona Rossa. La nostra scuola accoglie un bacino di utenza particolarmente colpito. Gli intervistati mostrano di conoscere abbastanza bene l’impatto e la diffusione dei PFAS. Ma emerge anche in questo caso mancanza di chiarezza. Circa il 40% del campione si è sottoposto allo screening promosso dalla ULSS e dalla Regione Veneto. A fronte di una buona consapevolezza e una grande preoccupazione, si evidenzia una certa incapacità a mettere in atto azioni efficaci per minimizzare i danni.
I mezzi di informazione hanno contribuito ad una buona consapevolezza su quali siano i vettori di diffusione delle sostanze PFAS. Il livello di preoccupazione risulta particolarmente elevato, indice di grande interesse da parte della popolazione sul problema dei PFAS. Questo si traduce anche in una necessità da parte degli organi di stampa ed istituzioni di fornire informazioni corrette ed aggiornate sull’impatto dei PFAS sull’ambiente e sull’uomo. Domande degli studenti Di seguito alcune domande che gli studenti hanno posto al termine del sondaggio e che in parte hanno trovato risposta nei lavori esposti precedentemente. • Come influisce su vari argomenti es: ormoni tiroide, come nel mio caso • Quali sono le sostanze che compongono il PFAS che sono più tossiche, cancerogene o addirittura mutagene? • Perché si fa ancora così poco? (non è un problema di soldi dato che ne vengono spesi moltissimi inutilmente) • Perché non se ne elimina la produzione? • Ok il problema c'è, ed è giusto lamentarsi, ma cosa possiamo veramente fare per far ritornare la nostra acqua pulita? • Perché nei power Point scrivono no tav? • vorrei sapere se si riesce a riequilibrare questa sostanza, ovvero eliminarla: • Quanto ci vorrà perché ci sia una soluzione definitiva? • Com'è intervenuta la regione del Veneto su questo problema di inquinamento?
• Sono morte delle persone per colpa dei pfas? • L'acqua delle case dell'acqua del comune è davvero migliore di quella del rubinetto? • Quanto tempo si pensa di impiegare per la bonifica della falda acquifera contaminata dai pfas? • Chi controlla la causa contro Miteni • Come mai se il problema si conosceva già dagli anni ‘40 nessuno è intervenuto prima per limitare i danni? • Ma la percentuale di pfas presente in casa nostra è alta? Se si come si può ridurre? • Come si potrebbe uscire da questa situazione per davvero/seriamente? • Che cosa sta facendo la Regione per ovviare il problema
APPENDICE: VOLANTINO Pieghevole realizzato dagli studenti e che riassume tutti gli elaborati dei singoli gruppi.
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