LA PRODUZIONE DI ENERGIA NELL'UOMO ED I MECCANISMI OMEOSTATICI CHE LA CONTROLLANO - CAP.II

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LA PRODUZIONE DI ENERGIA NELL'UOMO ED I MECCANISMI OMEOSTATICI CHE LA CONTROLLANO - CAP.II
CAP.II

LA PRODUZIONE DI
ENERGIA NELL’UOMO
ED I MECCANISMI
OMEOSTATICI CHE
LA CONTROLLANO

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2.0.0.0.- Premesse
      Una volta che la struttura biologica dell’essere vivente ha ricevuto un pacchetto di
energia tramite l’alimentazione, gestisce energeticamente la vita grazie a un continuo
trasferimento di energia, tramite ATP, fra reazioni che forniscono energia (respirazione
cellulare e glicolisi) e reazioni che assorbono energia (processi di sintesi, lavoro).
Questo bilancio è il ben noto bilancio di trade-off o scambio commerciale tra l’energia in
entrata e quella in uscita nella struttura biologica.
      La produzione d’energia è controllata a livello cellulare da meccanismi omeostatici
molto precisi e modulata a livello dell'organismo da meccanismi ormonali, capaci sia di
regolare la velocità delle reazioni esoergoniche, sia il flusso di substrati ossidabili verso i
tessuti.
      Ogni essere vivente, infatti, rappresenta un sistema aperto che si può considerare
dal punto di vista termodinamico come una 'macchina' capace di fornire lavoro (chimico,
meccanico, elettrico) e al tempo stesso capace di produrre l'energia richiesta per
compiere tale lavoro.
      Esso rappresenta cioè un sistema integrato ove si svolgono reazioni esoergoniche
ed endoergoniche, che rispettivamente liberano ed assorbono energia. La stretta
interdipendenza fra queste due categorie di reazioni durante tutta la vita risulta evidente se
si considera che tutte le reazioni chimiche sia eso- che endoergoniche (comprese sotto il
nome di metabolismo intermedio) sono catalizzate da enzimi, cioè da molecole proteiche a
funzione catalitica.
       Dal punto di vista energetico, la vita é caratterizzata da questo continuo
trasferimento d’energia. Tale trasferimento d’energia avviene tramite ATP.
       Nei metazoi il sistema principale che fornisce energia é rappresentato dalla
integrazione del ciclo ossidativo terminate con la catena respiratoria, che trasporta
protoni ed elettroni.
       La glicolisi rappresenta la via demolitiva dei glucidi che s’inserisce col suo termine finale
nel ciclo ossidativo terminale. Essa é essenziale per organi come il cervello che ricavano la
maggior parte dell'energia dal glucosio.
       La sola glicolisi libera poca energia, ma essa rappresenta l’unica sorgente d’energia in
cellule, come i globuli rossi, nelle quali la respirazione cellulare e inesistente.

2.1.0.0.- I meccanismi omeostatici come fattore determinante della vita animale
       Poiché i meccanismi omeostatici controllano la produzione d’energia ed equilibrano
reciprocamente i processi che coinvolgono energia adattando, di continuo, la quantità totale
di energia prodotta alle richieste energetiche e poiché tale controllo viene esercitato regolando
la velocità delle reazioni esoergoniche ed il flusso dei substrati ossidabili dal sangue ai
tessuti, appare importante conoscere, almeno in termini generali, i principali di essi.

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2.1.1.0.- La omeostasi idrica, sodio-potassica e calcica

       L'acqua rappresenta un componente fondamentale di ogni essere vivente. La sua
elevata costante dielettrica e il carattere di dipolo delle sue molecole fanno sì che essa si
comporti come un ottimo solvente per gli elettroliti e per la maggioranza delle molecole
organiche, mentre la distribuzione delle cariche nelle molecole d’acqua permettono a
queste di legarsi le une alle altre con la formazione di un reticolo anche in fase liquida.

       In ogni compartimento dell'organismo esiste un equilibrio globale fra la somma dei
cationi e quella degli anioni, ma la distribuzione dei vari elettroliti fra liquidi circolanti e cellule
é fortemente asimmetrica ed è fondamentale per il trasferimento dei segnali elettrici e, quindi,
della vita attiva. Tale asimmetria viene mantenuta dalle pompe cationiche il cui
funzionamento richiede un continuo apporto di energia.

       L'organo fondamentale per la regolazione dell'omeostasi idrica e sodio-potassica
é il rene, dove a livello del tubulo prossimale, circa l'80% del filtrato glomerulare viene
spinto nell'interstizio da una pompa sodio-potassio (riassorbimento obbligatorio), mentre
nel nefrone tubulare distale avviene il cosiddetto riassorbimento facoltativo, reso
possibile dal gradiente osmotico che si stabilisce fra interstizio e tubulo, la cui parete viene
resa permeabile all'acqua dall'ormone antidiuretico (ADH) su comando a livello del sistema
nervoso centrale. E’ questo ormone, comandato inconsciamente dal cervello che attiva la
permeabilità della parete in condizioni di rischio di sopravvivenza per l’animale (casi, ad
esempio, di forti disidratazioni) consentendo un aumento del recupero dell’acqua.
       La secrezione dei due ormoni viene regolata con un meccanismo omeostatico
dall'osmolarità plasmatica e dal volume del plasma. Sensori osmotici e di volume sono
collegati mediante vie nervose con i nuclei secretori di ADH.
       L'omeostasi fosforo-calcica viene mantenuta con tre meccanismi diversi, nei quali
la funzione di deposito e esercitata dallo scheletro. Una prima modalità di scambio rapido
fra osteociti e liquido interstiziale, modulata dalla concentrazione degli ioni H+ e
specialmente da quelli HPO4-- nei liquidi extracellulari, avviene automaticamente senza
intervento ormonico.
       Invece sia il riassorbimento rapido del calcio dalla matrice ossea senza demolizione di
questa, sia quella assai più lenta legata al processo di rimaneggiamento osseo, caratterizzata
da demolizione e ricostruzione della matrice, sono sotto l'influenza ormonica, il paratormone
(PTH) che mobilizza il calcio, e la calcitonina che favorisce l’osteosintesi e la deposizione
del calcio nell'osso. La presenza elevata di calcio nel sangue regola la secrezione del PTH
e della calcitonina.

2.1.2.0.- L’omeostasi acida

       E’ intuitivo che il pH dei sistemi biologici è un fattore fondamentale per il buon

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equilibrio fisiologico della vita. Basti pensare alle migliaia di enzimi presenti nelle cellule
che vengono attivati a pH differenti. Per mantenere in funzione tutti i processi enzimatici, di
volta in volta necessari, la cellula utilizza particolari sistemi tampone che mantengono il
valore del pH in un intervallo ottimale di lavoro.

       I sistemi tampone intracellulari sono costituiti essenzialmente da proteine
citoplasmatiche, in grado di fissare una certa quantità di H+, da piccole quantità di
bicarbonato di potasssio dissociate e in equilibrio con l’acido carbonico H2CO3, e da anioni
di fosfato bibasico (HPO4--) che fissano l’H+ diventando monobasici.
      Nel sangue il sistema tampone fondamentale é quello acido carbonico-bicarbonico
dovuto alla solubilizzazione della anidride carbonica nell’acqua con formazione dell’acido
carbonico che, a sua volta si dissocia in carbonato e protone.

       CO2 + H2O ⇔ H 2CO 3 ⇔ H + + HCO 3− ⇔ H + + CO 3− −
      La capacità tampone è espressa dalla relazione seguente ove Kw è la costante
ionica dell’acqua e Ka la costante di dissociazione dell’acido carbonico.

                ⎧ K          CK a [H + ] ⎫
       β = 2,303⎨ + + [H ]+
                    w   +
                                         ⎬
                ⎩ [H ]      (K a + [H ]) ⎭
                                     + 2

      L'eliminazione degli ioni idrogeno e il recupero dell'anione bicarbonato avviene a
livello renale dove si verifica lo scambio del Na+ con l'H+. Quest'ultimo viene eliminate con i
fosfati monobasici e con i sale di ammonio, previa idrogenazione dell'ammoniaca.
       La rottura dell'equilibrio omeostatico differenziato al mantenimento di una costante
concentrazione idrogenionica del sangue si accompagna o a un aumento del pH (alcalosi)
oppure a una sua riduzione (acidosi).
      La comparsa di un'acidosi e legata a tre tipi di evenienze: modificazione degli stimoli
che portano alla produzione di idrogenioni, alterazione del loro meccanismi di trasporto e
neutralizzazione (cioè dei poteri tampone), rallentamento della loro eliminazione.

2.1.3.0.- L’omeostasi termica

      La costanza della temperatura corporea e vantaggiosa perché elimina le
accelerazioni e le decelerazioni del metabolismo che altrimenti seguirebbero le variazioni
della temperatura ambiente. Essa ha tuttavia un prezzo elevato in termini energetici.
      II mantenimento dell'equilibrio termico e affidato a meccanismi regolatori di tipo
umorale e nervoso, capaci di modulare termogenesi e termodispersione. Essi diventano
inoperanti quando gli scarti della temperatura ambiente sono troppo forti, in difetto o in
eccesso.

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L'iperpiressia, a temperatura ambiente normale, e caratteristica della febbre, la
quale può essere considerata conseguenza di una modificata eccitabilita dei centri
termoregolatori stimolati da sostanze pirogene. L'ipertermia febbrile provoca a sua volta
alterazioni metaboliche di vario tipo.

2.1.4.0.- L’omeostasi a livello della catena respiratoria

      Sulla catena glicolitica, che è catalizzata da enzimi citoplasmatici, agiscono
meccanismi di controllo omeostatico che risiedono nella respirazione cellulare. Il controllo
esercitato dalla respirazione sulla glicolisi (noto anche come effetto Pasteur) consiste nel
fatto che l'aumento della respirazione cellulare deprime la glicolisi, mentre la diminuzione
della respirazione l'attiva. Tale controllo fa sì che il termine finale della glicolisi (il piruvato)
non venga prodotto in eccesso rispetto alla capacità della cellula di ossidarlo. Il controllo
viene esercitato a vari livelli e con meccanismi diversi. Un primo controllo è esercitato
dalla concentrazione endocellulare di glucosio-6-fosfato, che dà luogo a un'inibizione da
prodotto sull'esocinasi, col risultato di ridurre la fosforilazione del glucosio. A livello della
fosforilazione del fruttosio-6-fosfato a fruttosio-l,6-difosfato, ATP e citrato inibiscono con
un meccanismo allosterico la fosfofruttocinasi, mentre ADP, AMP e Pi (fosforo
inorganico) l'attivano. A livelli successivi l'inibizione è di tipo competitivo con la
respirazione.

2.2.0.0.- I processi di produzione di energia
      Come è generalmente noto, la riserva principale d’energia é rappresentata dai
trigliceridi contenuti nel tessuto adiposo, mentre un'altra riserva, assai più limitata, é
quella del glicogeno epatico.
      La liberazione rapida di acidi grassi dai depositi adiposi avviene per intervento delle
catecolammine che attivano 'a cascata' un sistema enzimatico capace di idrolizzare i
trigliceridi, quella lenta per azione della tiroxina e del GH che agiscono con meccanismo
diverso mentre l’entrata dei grassi e dei loro precursori é modulata dall'insulina.
      La fosforolisi del glicogeno viene attivata dall'adrenalina e dal glucagone, la sua
sintesi dall'insulina. Complessi equilibri ormonici ed enzimatici mantengono costante la
glicemia.

      La differenza fra lavoro massimo possibile e lavoro fornito in condizioni di base
(riserva funzionale) permette a cellule, organi e sistemi di organi di adattare le
proprie prestazioni alla richiesta di lavoro (trade-off di lavoro).

      Se la richiesta di lavoro aumenta, possono verificarsi più casi.

      Se l'aumentata richiesta di lavoro é temporanea, la mobilizzazione della riserva

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funzionale permette un aumento di lavoro delle singole cellule, mentre negli organi a
funzionamento 'a scacchiera' può consistere almeno inizialmente all'entrata in azione di
tutte le unità funzionali dell'organo. Se la richiesta di lavoro é prolungata o permanente,
la riserva funzionale può essere aumentata automaticamente, fintanto che ciò sia possibile,
tramite l’aumento della massa del tessuto (iperplasia o ipertrofia). Se la richiesta, infine, é
eccessiva e perdura nel tempo, il sistema biologico diviene incapace di far fronte al lavoro
richiesto e cade in scompenso.

       Lo scompenso si verifica anche, pur se a fronte di esigenze di lavoro non eccessive,
se la funzionalità del sistema é ridotta da alterazioni patologiche o da stress conseguente ad
una intossicazione od inquinamento.
       L'aumento della riserva funzionale di un organo é coordinato all'aumento di funzionalità
di altri organi o sistemi di organi, primo fra tutti quello circolatorio. Esistono parti di organi
(glomerulo renale) ed organi (polmone) la cui riserva funzionale e affidata esclusivamente
all’attività di altri organi.
       In ogni caso la riserva di energia è conseguente ad una reazione endoergonica.
Quella fondamentale è la sintesi proteica, per mezzo della quale l'organismo fabbrica gli
enzimi e le macromolecole proteiche strutturali che in molti casi s’identificano. La presenza
degli enzimi, disposti spazialmente in maniera determinata, cioè ordinati in strutture,
permette al metabolismo intermedio di svolgersi con grande rapidità, malgrado la bassa
temperatura e la bassa tensione di ossigeno esistenti nelle cellule, e di seguire particolari
sequenze o cicli. La sintesi proteica costituisce quindi la premessa di qualsiasi reazione
metabolica, rappresentando il processo che permette di mantenere in stato stazionario
l'organismo vivente le cui molecole vengono incessantemente demolite e ricostruite.
       Le reazioni esoergoniche, cioè fornitrici di energia, sono la respirazione cellulare e
la glicolisi, che conducono entrambi alla sintesi dell'acido adenosintrifosforico (ATP),
sostanza che permette il trasferimento di energia fra reazioni accoppiate esoergoniche ed
endoergoniche.
       La respirazione cellulare, processo ossidativo controllato che avviene al l'interno
delle cellule, rappresenta la sorgente d’energia principale negli animali che assumono
l'ossigeno contenuto nell'aria (tramite scambio gassoso attraverso i polmoni), oppure
disciolto nell'acqua (tramite scambio gassoso attraverso le branchie). Nella vita intrauterina
dei mammiferi placentati, il passaggio dell'ossigeno dal sangue della madre a quello del
feto (tramite scambio gassoso attraverso la placenta) è in definitiva omologabile ad
un'assunzione di tipo 'branchiale'.
       In questi animali, quando il glucosio funge da sorgente d’energia, la glicolisi
rappresenta la catena metabolica indispensabile per la formazione di un prodotto di
scissione del glucosio (il piruvato), capace di essere totalmente demolito nel ciclo
ossidativo terminale ad acqua ed anidride carbonica con liberazione di energia. La quantità

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di ATP che si forma nella fase glicolitica è piccola in confronto a quella che si libera nella
fase corrispondente all'ossidazione del piruvato. La glicolisi rappresenta l'unica sorgente di
energia negli organismi anaerobi in quanto il processo è capace di procedere anche in
assenza di ossigeno,

2.2.1.0.- La respirazione cellulare
      Il metabolismo di scissione (o catabolismo) demolisce molecole organiche di
struttura diversa, come quelle dei glicidi, dei lipidi e dei protidi assunti con l'alimentazione o
liberati dai depositi dell'organismo, e dà luogo come esito finale a pochi composti, cioè ad
acidi organici a breve catena. Questi ultimi penetrano in particolari organuli citoplasmatici,
i mitocondri, ove vengono totalmente ossidati con parziale trasferimento dell'energia nei
legami pirofosforici dell'ATP.
      Il fatto che catabolismo glicidico, lipidico e protidico portino a pochissimi composti
terminali presenta il vantaggio di poter utilizzare un unico meccanismo per la liberazione
e per il trasferimento d’energia. Ma al tempo stesso espone l'organismo al rischio di gravi
sofferenze o addirittura alla morte, quando il sistema polienzimatico, ove la respirazione
cellulare si attua, viene compromesso.
      Nel ciclo ossidativo terminale (detto anche ciclo degli acidi tricarbossilici o ciclo di
Krebs), l'ossidazione non avviene per assunzione di ossigeno ma per sottrazione di
idrogeno (deidrogenazione) da parte di enzimi specifici (deidrogenasi). Questi enzimi sono
formati da una parte cataliticamente attiva (coenzima) e da una parte proteica (apoenzima)
specifica per ogni specie molecolare da ossidare.
      La funzione dell'apoenzima è quella di adattarsi spazialmente al substrato in modo
da avvicinare a distanza critica coenzima e substrato, formando un complesso labile che si
scinde con messa in libertà dell'enzima una volta avvenuta la deidrogenazione del
substrato.   In   tal   modo     poche   molecole   di   un   enzima    possono    deidrogenare
successivamente moltissime molecole di substrato.
      Substrato ed enzima rappresentano un sistema ossidoriduttivo, nel quale il
substrato si ossida e l'enzima si riduce, rispettivamente per sottrazione e per assunzione di
idrogeno. Evidentemente una volta ridotte tutte le molecole di enzima, cioè raggiunto
l'equilibrio, l'ossidazione di ulteriori molecole di substrato diverrebbe impossibile. Occorre
quindi che l'equilibrio non venga mai raggiunto, cioè che l'enzima ridotto si riossidi di
continuo, trasferendo l'idrogeno a un accettore presente in una quantità che si può
considerare come illimitata: tale accettore è rappresentato dall'ossigeno, al quale
l'idrogeno si lega formando acqua.
      Poiché ossidazione equivale a perdita di elettroni, occorre che la deidrogenazione
di un substrato si realizzi in un sistema capace di trasportare sia ioni idrogeno sia
elettroni.
      Ciò che si ottiene dall'integrazione del ciclo ossidativo terminale con la catena

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respiratoria. Il ciclo ossidativo terminale ossida il substrato che vi entra liberando anidride
carbonica e trasferendo elettroni e protoni sulla catena respiratoria, la quale li trasferisce
all'ossigeno con formazione di acqua. Nella figura è schematizzato il ciclo ossidativo
terminale:

       Osservando la figura si vede:
       1) che la sostanza principale che entra nel ciclo è l'acetato legato al coenzima A
(CoASH), che deriva sia dal catabolismo dei glicidi tramite la glicolisi seguita dalla
decarbossilazione ossidativa del piruvato, sia dal catabolismo dei lipidi tramite la p-
ossidazione, sia dal catabolismo dei protidi previa transamminazione e desamminazione
ossidativa. Tuttavia non tutti gli amminoacidi confluiscono nel ciclo, mentre alcuni, indicati
nella figura, vi entrano a livelli diversi.
       2) Si osserva inoltre che le tappe (2), (3), (4), (7), (8), (9), (10) possono essere
reversibili (come indicato dalla doppia freccia), mentre la (5) e la (6), caratterizzate da
accorciamento della catena carboniosa seguita da liberazione di anidride carbonica, sono
irreversibili. Anche la prima reazione del ciclo (1), condensazione dell'acetilcoenzima A con
ossalacetato e formazione di citrato, si può considerare irreversibile essendo l'equilibrio
della reazione fortemente spostato a destra. Questa situazione e la continua riossidazione
dei coenzimi che trasferiscono protoni ed elettroni sulla catena respiratoria fanno sì che il
ciclo giri in senso orario.

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3) Seguendo l'andamento del ciclo in senso orario dalla reazione (1) in avanti, si
vede che la liberazione di 4 ioni idrogeno (H+) e di 2 molecole di anidride carbonica
(corrispondenti all'ossidazione totale dell'acetato secondo la formula : CH3 • COOH + 2 O2
= = 2 H2O + 2 CO2) si realizza con le reazioni (4), (5), (6) e che la liberazione di altri 4 ioni
idrogeno corrispondenti all'ossidazione del succinato ad ossalacetato, si realizza con le
reazioni (8), (9), (10). 4). Nella reazione (7), cioè nel passaggio da succinil-CoA a succinato,
l'energia liberata serve per la sintesi di una molecola di guanosintrifosfato (da
guanosindifosfato + fosforo inorganico). Si forma quindi un legame ad alto livello energetico,
che dal GTP si può trasferire all'ATP, il quale si forma fuori della catena respiratoria cioè,
come suoi dirsi, a livello di substrato.
       La caratteristica del ciclo ossidativo terminale è di iniziare con la con densazione
dell'acetil-CoA con l'ossalacetato e di terminare con la formazione di una nuova molecola di
ossalacetato. Data questa situazione, è chiaro che l'ossalacetato rappresenta il fattore
limitante la funzionalità del ciclo, in quanto un eccesso di acetil-CoA potrebbe non trovare
l'ossalacetato disponibile per entrare nel ciclo. Questa limitazione viene superata con un
'meccanismo di rifornimento', che entra automaticamente in azione con l'aumentare della
concentrazione dei resti acetilici all'interno del mitocondrio. Questi difatti attivano, con un
meccanismo allosterico, l'attività della piruvicocarbossilasi che catalizza la trasformazione
del piruvato in ossalacetato.

        CH3 − CO − SCoA ⎯+⎯⎯→ COO − − CO − CH2 − COO −
                          CO               2

                      ATP ⇒ ADP

       Questo meccanismo regolativo permette di adattare la capacità ossidativa del ciclo
terminale alla produzione di resti acetilici, purché il valore della glicolisi sia abbastanza
elevato per fornire la quantità di piruvato richiesta, ciò che accade nella maggioranza degli
organi. Fa eccezione il fegato il quale ha una modesta glicolisi (quindi produce poco
piruvato) ed ha una vivace p-ossidazione degli acidi grassi (e quindi produce molti resti
acetilici).
       Dal punto di vista energetico la respirazione cellulare non è misurata dal semplice
consumo di ossigeno, ma dalla quota di tale consumo che corrisponde alla sintesi di ATP,
cioè dalla 'fosforilazione ossidativa'. Si osserva che per ogni molecola di NADH ossidata,
corrispondente alla formazione di una molecola di acqua col consumo di un atomo di
ossigeno (NADH + H+ + 1/2 O2 = NAD+ + H2O) si formano 3 molecole di ATP. Per tanto il
rapporto fra legami ad alto livello energetico (~P) formati e atomi di ossigeno consumati
(rapporto P/O) è uguale a 3. Nel caso dell'ossidazione del succinato, che entra nella catena
respiratoria a valle della prima reazione di fosforilazione, tale rapporto diventa uguale a 2.

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Il trasferimento dell'energia alla sintesi dell'ATP avviene tramite un meccanismo
chemiosmotico.
      Le sostanze ionofore, che facilitano il movimento degli ioni H+ attraverso la
membrana, rendono impossibile lo stabilirsi di un gradiente elettrosmotico e di con
seguenza impediscono la sintesi di ATP. Tali composti vengono chiamati quindi
'dissociatori' o 'disaccoppianti' la fosforilazione ossidativa. In loro presenza la liberazione di
energia in forma utilizzabile dalla cellula può ridursi ad onta di un normale od aumentato
consumo di ossigeno.
      Se si considerano ciclo ossidativo terminale + catena respiratoria come un
sistema integrato produttore di energia, si osserva che per ogni mole di acetilcoenzima
A che entra nel ciclo si formano 3 moli di NADH + H+ e 1 mole di FADH2, più una mole di
ATP prodotta mediante scambio fra GTP e ATP a 'livello di substrato'. Le 3 moli di NADH +
H+ riossidandosi nella catena respiratoria producono 9 moli di ATP, la mole di FADH2
riossidandosi nella medesima catena produce 2 moli di ATP. Considerando la mole di ATP
prodotta a livello di substrato, sono complessivamente 12 le moli di ATP che si formano.
Poiché l'idrolisi di una mole di ATP libera 7 kcal, l'energia totale trasferita nell'ATP è uguale
a 12 x 7 kcal = = 84 kcal, valore che corrisponde al 40% dell'energia totale liberata dalla
combustione dell'acetato in una bomba calorimetrica (209 kcal/mole).

2.2.2.0.- La glicolisi
      Un'altra catena di reazioni capace di liberare energia è la glicolisi, che consiste nella
scissione di una molecola di glucosio in due molecole di acido piruvico.
      Essa rappresenta quindi la sequenza catabolica che consente la respirazione degli
organi che consumano prevalentemente glucosio a scopo energetico, in quanto il piruvato,
previa decarbossilazione ossidativa, si trasforma in acetil-CoA che entra nel ciclo ossidativo
terminale.
      Come si è già ricordato, la glicolisi è collegata alla respirazione cellulare non solo
tramite il suo termine finale, cioè il piruvato, ma anche tramite una tappa intermedia di
carattere ossidativo nella quale si ha un flusso di protoni e di elettroni verso la catena
respiratoria, necessario per la riossidazione della deidrogenasi-NAD-dipendente che opera
in tale fase. In condizioni anaerobie, quando ovviamente la respirazione cellulare non può
funzionare, la riossidazione del NADH + H+ avviene per trasferimento di ioni H+ sul piruvato
che si riduce a lattato, con una modesta produzione di ATP a 'livello di substrato'.
      Quindi, anche in condizioni anaerobie, la glicolisi procede con liberazione di
energia.
      Dal punto di vista energetico la totale ossidazione del glucosio ad acqua e anidride
carbonica tramite glicolisi + decarbossilazione del piruvato a acetil-CoA + ciclo ossidativo
terminale corrisponde, per mole di glucosio, a 38 moli di ATP così distribuite: 8 moli durante
la glicolisi, 6 moli per due moli di piruvato trasformate in due moli di acetil-CoA, 24 moli nel

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ciclo terminale per 2 moli di acetato ossidato. Se si considera che una mole di glucosio
bruciata nella bomba calorimetrica libera 686 kcal, se ne deduce che l'ossidazione
biologica di una mole di glucosio, uguale a 38 x 7 = 266 kcal, corrisponde a un rendimento
di circa il 38%, mentre la glicolisi da sola in ambiente aerobio fornisce 16x7= 112 kcal mole-
1
    di glucosio pari a un rendimento di circa il 16% e la glicolisi anaerobia che fornisce 4x7 =
= 28 kcal mole-1 di glucosio ha un rendimento di appena il 4%.
        Ne consegue che per ricavare dalla glicolisi anaerobia la stessa energia in forma di
ATP di quella ricavata dall'ossidazione di una mole di glucosio occorre che vengano
metabolizzate 9 moli di glucosio.
        La glicolisi, oltre al suo significato energetico, è importante perché su essa si innesta
il ciclo dei pentosofosfati, che fornisce pentosi richiesti per la sintesi degli acidi nucleici e
che forma NADPH utilizzato per la lipogenesi. Inoltre la glicolisi, dal diidrossiacetone-
fosfato forma glicerolo-3--fosfato richiesto per la sintesi dei trigliceridi e dei fosfolipidi ed
acido piruvico utilizzato per la sintesi dell'alanina.
        La produzione di energia e i meccanismi di base che controllano tale produzione a
livello cellulare sono comuni a tutti gli animali. Ma col passare da animali relativamente
semplici ad animali progressivamente più evoluti, tali meccanismi di base devono essere
modulati da sistemi omeostatici capaci di adattare di continuo e in maniera precisa la
quantità totale di energia prodotta alle richieste energetiche dell'animale. Tale controllo
viene esercitato regolando
        a) la velocità delle reazioni produttrici di energia,
        b) il flusso dei substrati ossidabili dal sangue ai tessuti.

2.2.2.1.- Il controllo della velocità delle reazioni ossidative
        II controllo della velocità delle reazioni ossidative viene esercitato da meccanismi
ormonici, prevalentemente tiroidei. La sintesi degli ormoni tiroidei da parte della ghiandola
tiroide e il successivo passaggio in circolo di tali ormoni vengono stimolati in varie fasi
dall'ormone tireotropo (TSH), una glicoproteina del peso di 28 000 dalton, formata da due
subunità polipeptidiche diverse fra loro, sintetizzata dalle cellule basofile dell'adenoipofisi.
Poiché gli ormoni della tiroide contengono iodio, è necessario che questo venga assunto
con l'alimentazione (in forma di ioduro) in quantità sufficiente. È stato precisato che la dose
giornaliera di iodio non deve scendere sotto il valore di 50 µg. Lo ioduro circolante nel
sangue viene assorbito dalla ghiandola tiroide per mezzo di un trasporto 'contro gradiente'
di concentrazione (cioè deve passare da un compartimento, il sangue, ove è poco
concentrato a un compartimento, il citoplasma delle cellule tiroidee, ove è più concentrato).
Tale trasporto avviene con un meccanismo di 'pompa' che richiede apporto di energia.
        I trasportatori (carrier) di ioduro sono presenti nella membrana delle cellule tiroidee e
sono rappresentati prevalentemente da fosfolipidi nei quali l'azoto quaternario della colina
funge da fissatore dello ione ioduro. Questo viene concentrato nelle cellule tiroidee circa 25

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volte rispetto al sangue, ma in condizioni particolari può raggiungere una concentrazione
molto più elevata. Il processo di trasporto attivo (cioè contro gradiente) dello ione ioduro
viene stimolato dal TSH.
      Gli ioduri, una volta penetrati entro la cellula, vengono successivamente ossidati a
iodio molecolare ad opera di una perossidasi. Tale processo avviene probabilmente a
livello della membrana situata al polo opposto della cellula, cioè a quello che si affaccia alla
cavità del follicolo. In questa sede confluisce una glicoproteina (tireoglobulina) del peso di
670000 dalton, composta da diverse subunità, sintetizzata nel sistema ribosomiale, ai cui
residui tirosinici lo iodio si lega, formando derivati mono- (T1) e di iodati (T2) della tirosina.
La condensazione di due molecole di T2 da luogo alla sintesi della tetraiodotironina
(tiroxina, o T4), la condensazione di T1 con T2 da luogo a triiodotironina (T3). Il controllo
sul processo di ossidazione dello ione ioduro e di iodazione della tireoglobulina viene
esercitato dall'ormone tireotropo (TSH).
      Il riassorbimento della tireoglobulina iodata avviene per un processo di pinocitosi,
regolato anch'esso dal TSH, in seguito al quale si formano entro la cellula tiroidea
goccioline di tireoglobulina che confluiscono con i lisosomi, dando luogo a fagolisosomi
entro i quali la tireoglobulina viene idrolizzata con messa in libertà dei suoi componenti
iodati. Di questi passano nel sangue solo la T4 (tiroxina) che rappresenta la forma
circolante principale dell'ormone e piccole quantità di T3. La T4 si può considerare un
preormone, che diviene attivo deiodandosi a T3 a livello dei tessuti. Nel sangue la T4 si
lega in maniera pressoché totale a una glicoproteina che funge da vettore, dal quale si
libera al momento di penetrare entro le cellule.
      La funzione degli ormoni tiroidei è molteplice, ma in questa sede interessa
l'attivazione del metabolismo energetico.
       È ben dimostrato che esiste una correlazione fra concentrazione ematica di T4 e
grandezza del metabolismo energetico, misurabile dalla quantità di ossigeno consumato
oppure dalla quantità di calore prodotto, nel senso che l'aumento della concentrazione
ematica della T4 fa aumentare il metabolismo energetico e viceversa.
      Il meccanismo degli ormoni tiroidei a livello cellulare non è ancora ben conosciuto,
anche se recentemente si sono fatti passi avanti in tal senso.
      Sappiamo che la T3 e la T4 diffondono liberamente entro le cellule legandosi in parte
ed in modo aspecifico ai mitocondri. Gran parte degli ormoni si lega a un recettore nucleare
il più studiato dei quali è quello della T3 la quale rappresenta il vero ormone tiroideo. Nel
nucleo il complesso T3-recettore agisce probabilmente dereprimendo una porzione del
genoma a funzione regolatrice, attivando di conseguenza la sintesi di alcuni enzimi implicati
nei processi ossidativi cellulari.
      Poiché la concentrazione ematica di T4 controlla il livello della produzione di
energia liberata dalle cellule, la regolazione di tale produzione deve essere
necessariamente affidata a un meccanismo omeostatico, capace di regolare la

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produzione degli ormoni tiroidei da parte della ghiandola tiroide e il loro passaggio dalla
ghiandola tiroide al sangue.

2.2.2.2.- La regolazione del flusso di substrati ossidabili

      II secondo processo capace di controllare la produzione di energia è rap-
presentato dalla regolazione del flusso di substrati dal sangue ai tessuti.
      Bisogna tener presente che l'organismo possiede due riserve di energia dalle
quali può attingere substrati prontamente ossidabili, indipendentemente dall'apporto
alimentare che per la sua natura discontinua non potrebbe assicurare un flusso costante di
substrati né tanto meno la modulazione di tale flusso in rapporto alla variabilità delle
richieste energetiche dell'organismo.
      Tali riserve sono localizzate nel tessuto adiposo e nel fegato, sede rispettivamente
di accumulo di grassi (in forma di trigliceridi) e di glucosio (in forma polimerizzata di
glicogeno).

      I grassi di deposito contenuti negli adipociti costituiscono la riserva di energia
fondamentale dell'organismo (in un uomo normale di 70 kg i depositi adiposi assommano a
circa 14 kg), mentre il glicogeno epatico rappresenta una riserva energetica modesta
avente un peso medio di poche centinaia di grammi. Si consideri inoltre che la quantità di
energia che può essere liberata dall'ossidazione dei grassi è più del doppio di quella
ricavabile dall'ossidazione dei glucidi (1 g di grassi e 1 g di glucidi bruciando in una bomba
calorimetrica producono rispettivamente 9 e 4 kcal).

      Tali depositi di energia sono sistemi stazionari i quali si mantengono costanti in
condizioni fisiologiche, perché entrate ed uscite si equivalgono grazie a un meccanismo
omeostatico modulato da ormoni.
      I grassi assunti con l'alimentazione si accumulano nelle cellule della mucosa
intestinale in forma di trigliceridi e sono immessi nella linfa e in parte nel sangue copulati
con proteine che ne assicurano la solubilità e ne impediscono la coalescenza,
prevalentemente come chilomicroni e in piccola parte come lipoproteine a bassissima
densità.
      I trigliceridi contenuti inqueste particelle vengono scissi da una lipasi lipoproteica
presente nelle cellule endoteliali dei capillari di parecchi tessuti e gli acidi grassi vengono
assorbiti     prevalentemente    dagli   adipociti   che   li   riesterificano   a   trigliceridi.
           Anche il fegato assume grassi i quali, se vengono reimmessi in circolo in forma di
lipoproteine a bassissima densità, possono essere assunti dagli adipociti. Va notato che il
fegato può sintetizzare acidi grassi a partire dall'acetilcoenzima A e che gli adipociti
possono assorbire glucosio e trasformarlo in acidi grassi. È significativo a tale

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proposito che in certi territori adiposi la formazione di acidi grassi è preceduta da accumulo
di glicogeno.
       Una parte del glucosio assunto dagli adipociti è utilizzato per la sintesi, tramite il
diidrossiacetone-fosfato, del glicerolo 3-fosfato necessario per la sintesi dei trigliceridi.
Poiché l'assorbimento del glucosio da parte del fegato è favorito dall'insulina e poiché lo
stesso ormone favorisce l'assunzione del glucosio da parte degli adipociti, risulta che in
definitiva l'entrata dei grassi nel tessuto adiposo è modulata dall'insulina.
       I grassi si accumulano nel tessuto adiposo dopo un pasto abbondante e durante il
riposo fisico, vengono invece immessi in circolo in caso di digiuno, di lavoro fisico, di stress,
di stati ansiosi.
       II turnover degli acidi grassi non è uguale in tutti i comparti adiposi (sistemi
multicompartimetali); alcuni sono dotati di un ricambio più veloce, altri di uno più lento.
Comunque anche in condizioni basali esiste sempre una quota di acidi grassi che
abbandona il tessuto adiposo per entrare in circolo e distribuirsi negli altri tessuti, quota a
cui corrisponde una uguale quantità di grassi che viene immagazzinata.
       Della costante lipomobilizzazione è responsabile soprattutto il sistema nervoso
vegetativo tramite le sue terminazioni adrenergiche.
       L'importanza del controllo nervoso sulla mobilizzazione dei grassi di deposito é
dimostrata da molti dati, due dei quali particolarmente significativi. Nell'animale da
esperimento la lipomobilizzazione viene bloccata sezionando il midollo spinale, mentre i li-
pomi, tumori benigni privi di innervazione, non perdono grassi durante il digiuno, come
invece avviene in tutti i distretti adiposi regolarmente innervati. Durante il digiuno, che dal
punto di vista neuro-endocrino si può considerare un vero e proprio stress, è
l'intervento nervoso a forzare la mobilizzazione dei lipidi di deposito, che permette di
assicurare substrati in quantità adeguata al fabbisogno energetico dell'organismo.
       Va sottolineato che la mobilizzazione lipidica si attua più precocemente e più
rapidamente di quella glicidica.
       Altri ormoni, come il GH e la tiroxina, provocano liberazione di acidi grassi dai
depositi, attivando lentamente la lipasi. Resta comunque accertato che in condizioni di
base la mobilizzazione dei grassi di deposito è affidata in maniera preminente al sistema
nervoso simpatico, cioè in definitiva alle catecolammine.
       I glucidi assunti con l'alimentazione, scissi dall'amilasi salivare poi da quella
pancreatica e infine dalle disaccaridasi contenute nell'orletto a spazzola delle cellule
dell'intestino tenue vengono assorbiti in forma di monosaccaridi (D-glucosio, D-galattosio e
D-fruttosio). Galattosio e fruttosio, trasportati al fegato con la vena porta, vengono fosforilati
e possono essere utilizzati per la sintesi del glicogeno, o passare nella via glicolitica,
oppure essere trasformati in glucosio, che è l'unico monosaccaride presente nel sangue a
distanza di un pasto contenente idrati di carbonio.
       Se si considera che in un'ora e mezzo l'intestino trasferisce nel sangue circa 100 g di

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glucosio e che la glicemia, dopo un livello massimo di 130 mg 100 ml-1, si stabilizza sui 70-
90 mg 100 ml-1 (corrispondente in un uomo di 70 kg rispettivamente a 8 e a 4 - 4,5 g di
glucosio nell'intera massa del sangue) ne consegue che il glucosio assorbito deve
essere polimerizzato rapidamente a glicogeno (ed eventualmente trasformato in
grassi), oppure scisso per ragioni energetiche.
      L'ormone fondamentale per l'utilizzazione del glucosio è l'insulina, la quale deriva per
proteolisi da un pro-ormone sintetizzato dalle cellule B delle isole pancreatiche, e che
risulta costituita da due catene polipeptidiche A e B unite da ponti disolfuro.
      L'insulina non è attiva su tutti gli organi: insulinodipendenti sono il tessuto muscolare,
il tessuto adiposo, il fegato, la ghiandola mammaria secernente, insulinoindipendenti tutti gli
altri fra cui importantissimo il tessuto nervoso e i globuli rossi.
      Il controllo esercitato dall'insulina sul metabolismo glicidico, lipidico e protidico è
molteplice e può essere diverso da un tessuto all'altro.
      L'ormone facilita il passaggio del glucosio dal sangue all'interno degli adipociti e delle
fibrocellule muscolari, attiva la glicogenosintetasi del fegato e del muscolo, stimola la
sintesi proteica, riduce invece l'attività della glucosio-6-fosfatasi epatica e renale e quella
della lipasi degli adipociti.
      L'insulina non influisce direttamente sul passaggio attraverso membrana del glucosio
dal sangue al fegato, che avviene per un meccanismo di diffusione, ma contribuisce
indirettamente all'entrata del glucosio mantenendo un gradiente di concentrazione negativo
fra epatocita e sangue.
      L'ormone attiva difatti la sintesi della glucocinasi (un enzima che catalizza la
fosforilazione ATP-dipendente del glucosio a glucosio-6-fosfato). La glucocinasi ha
un'elevata Km (costante di Michaelis) e non presenta inibizione da prodotto di reazione
(cioè da glucosio 6-fosfato), cosicché grandi quantità di glucosio scompaiono dal sangue
trasformandosi in glucosio-6-fosfato. Col diminuire della glicemia l'attività della glucocinasi
diminuisce, mentre si attiva l'esocinasi, che ha la stessa azione catalitica della glucocinasi
ma una Km molto più piccola. L'esocinasi, seguitando a promuovere la fosforilazione del
glucosio, finisce per abbassare la glicemia.
      Si libera così dalle cellule A delle isole pancreatiche il glucagone, un ormone
peptidico   antagonista     dell'insulina,   che   stimola   la   glicogenolisi   col   meccanismo
dell'adenilciclasi-AMP ciclico.
      L'azione dei due ormoni costituisce un meccanismo omeostatico che modula il
livello glicemico, il quale in condizioni fisiologiche oscilla fra un massimo e un
minimo abbastanza vicini fra loro.
      Quando l'apporto di glucidi con la dieta è insufficiente la glicemia si dovrebbe abbas-
sare progressivamente.
      E poiché al di sotto di un livello glicemico circa metà di quello normale la vita
non è più possibile, ne conseguirebbe che il digiuno dovrebbe condurre rapidamente

                                                                                                15
a morte.
      Ciò non avviene perché fegato (e rene) hanno un'altra via per procurarsi glucosio,
cioè la gluconeogenesi consistente nella sintesi di glucosio a partire principalmente da am-
minoacidi, via piruvato.
      Oltre a questa regolazione rapida, esiste una regolazione 'lenta' a carattere
stimolante esercitata dal cortisolo.
      Un sistema 'polmone' per il mantenimento della glicemia è rappresentato
dall'equilibrio fra sintesi e demolizione del glicogeno, processi che seguono vie diverse e
che di conseguenza non sono direttamente reversibili.
      Sintesi e demolizione del glicogeno sono modulate da ormoni antagonisti. L'insulina
favorisce la sintesi del glicogeno attivando la glicogenosintetasi, gli enzimi della
gluconeogenesi e la glucocinasi, che fornisce i frammenti (glucosio-1-fosfato derivante dal
glucosio-6--fosfato per azione della fosfoglucomutasi) necessari per la sintesi.
      Il glucagone e l'adrenalina attivano la fosforilasi la quale scinde per fosforolisi i legami
1-4. I due ormoni attivano l'adenilciclasi con formazione di AMP ciclico, che attiva una
cinasi ATP dipendente che fosforilando la fosforilasi attiva questo enzima.
      Uno sguardo di insieme a quanto sinora esposto permette di rilevare che i
fenomeni di accumulo delle riserve sono sottoposti all'influenza dell'insulina, sia che
si tratti di lipidi che di glucidi, mentre i fenomeni di mobilizzazione sono regolati in
prevalenza dalle catecolammine e quindi dal sistema simpatico. Dall'equilibrio fra questi
due fenomeni dipende ovviamente la quantità di acidi grassi e di glucosio circolanti, da cui
dipende la disponibilità di substrati ossidabili in tutti i tessuti.

2.2.3.0.- Anomalie dei meccanismi omeostatici che regolano il metabolismo energetico
2.2.3.1.- Alterazioni della respirazione cellulare e del controllo respiratorio sulla
glicolisi

      La produzione di energia può essere messa in crisi in seguito all'introduzione di
veleni che bloccano la catena glicolitica, come la 1-gliceraldeide e l'ossammato, perché in
tali condizioni diviene impossibile l'utilizzazione del glucosio come sorgente energetica,
oppure da veleni che impediscono il funzionamento del ciclo ossidativo terminale come il
fluoroacetato che, attivato dal coenzima A, si condensa con l'ossalacetato dando
fluorocitrato che blocca il ciclo, o infine da veleni che inibiscono i fermenti respiratori come il
cianuro e l'ossido di carbonio, i quali formano complessi con i citocromi il cui Fe, legato
all'anello porfirinico, non può più oscillare fra la forma Fe2+ e Fe3+ rendendo impossibile il
trasporto degli elettroni liberati nel ciclo ossidativo.
      La produzione di energia, oltre che dai veleni ricordati e da altri inibitori enzimatici,
può essere provocata in patologia spontanea dalla carenza di ossigeno. Indubbiamente la
causa di gran lunga più frequente di insufficienza energetica è rappresentata dall'ipossia

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che, a seconda delle cause che la provocano, può essere distrettuale o generalizzata.
      L'ipossia distrettuale è la conseguenza di un deficit circolatorio localizzato che può
consistere sia in una riduzione dell'apporto di sangue arterioso, sia in una stasi venosa. In
entrambi i casi la quantità di ossigeno ceduta dal sangue al tessuto diminuisce, ciò che
ovviamente fa diminuire la velocità della fosforilazione ossidativa riducendo la liberazione di
energia. La riduzione dell'energia disponibile riduce la velocità delle reazioni endoergoni-
che accoppiate, in primo luogo la pompa sodio-potassio e gli altri trasporti attraverso
membrana contro gradiente di concentrazione da cui dipende la funzionalità e l'integrità
della cellula la quale, attraverso una concatenazione di rotture di stati stazionari, va
incontro a una serie di alterazioni morfo-funzionali descritte come 'processi degenerativi'
dalla patologia cellulare.
      Per fare un esempio l'ipossia acuta del fegato provoca degenerazione vacuolare
degli epatociti, la stasi venosa epatica può provocare la steatosi (cosiddetto 'fegato a noce
moscata'). Se poi l'apporto di ossigeno a un organo è cronicamente ridotto per disturbi
locali della circolazione (per esempio atcrosclerosi) l'organo va incontro ad ipotrofìa perché
catabolismo pro-teico e sintesi proteica non sono più in stato stazionario, ma vi è una ridu-
zione della sintesi di nuove proteine, sia per carenza di energia, sia per insufficiente
apporto di molecole richieste per tale sintesi.
      Se si ha addirittura arresto della circolazione, come accade per esempio per chiusura
di un'arteria terminale, il tessuto muore per carenza di energia (infarto). Gli organi più
vulnerabili all'ipossia sono quelli che necessitano di un forte apporto di energia di origine
respiratoria (sistema nervoso centrale) e quelli che fisiologicamente sono più vicini al punto
di anossia, come il fegato nel quale il sangue circolante nei sinusoidi è una mescolanza di
sangue arterioso proveniente dall'arteria epatica e di sangue venoso proveniente dalla
vena porta.
      La riduzione della respirazione attiva la glicolisi con un meccanismo automatico, ma
la resa energetica della glicolisi svolgentesi in condizioni anaerobie è piccola in confronto a
quella respiratoria (per mole di glucosio consumata, la glicolisi anaerobia fornisce 28 kcal,
la respirazione 266 kcal). Se ne deduce che negli organi che glicolizzano molto poco, come
il fegato, l'attivazione della glicolisi in seguito ad anossia fornisce un apporto energetico
irrilevante. Invece negli organi che hanno una capacità glicolitica maggiore l'attivazione
della glicolisi nell'anossia può permettere la sopravvivenza del tessuto sia pure per breve
tempo.
      Notoriamente il cuore in toto (o una parte di esso) può seguitare a pulsare per diversi
minuti in condizioni di anossia. Se si misura la liberazione di energia nel cuore anossico in
funzione del tempo, si osserva che essa è inizialmente dello stesso ordine di grandezza
(circa 100 kcal kg-1min-1) di quella liberata dal cuore in presenza di ossigeno, e che essa
diminuisce poi progressivamente fino a divenire inferiore a 14 kcal kg-1min-1), valore al
quale corrisponde l'arresto del cuore. L'energia ricavata dal cuore anossico deriva sia dalla

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scissione degli esteri fosforici (ATP e fosfocreatina) sintetizzati nella fase aerobia
precedente, sia in maniera prevalente dall'attivazione della glicolisi, come è dimostrato
dall'accumulo progressivo di lattato nel muscolo cardiaco. Quindi in definitiva la
temporanea sopravvivenza del cuore in anossia dipende dall'elevato contenuto in glico-
geno del miocardio (circa 6,8 g kg-1), assai superiore a quello dei muscoli scheletrici.
      Si può comprendere di conseguenza in seguito a quale meccanismo si possano
avere necrosi ischemiche (infarti) del miocardio senza occlusione meccanica dell'arteria
coronaria afferente.
      Basta, infatti, che uno spasmo coronarico prolungato si verifichi in un cuore
impoverito di glicogeno da precedenti scariche di adrenalina, perché un fenomeno di com-
penso energetico via glicolisi non sia possibile che per un tempo troppo breve.
      L'ipossia generalizzata può essere provocata sia da una riduzione della pressione
parziale dell'ossigeno nell'aria (respirazione a grandi altezze) sia da malattie polmonari che
riducano gli scambi gassosi (per esempio fibrosi polmonare), sia da una grave anemia, sia
da un'insufficienza cardiaca.
      Un esempio di ipossia generalizzata va ravvisato nel collasso circolatorio. In questo
caso l'imponente vasodilatazione oppure la forte perdita di sangue provoca un cospicuo
rallentamento del circolo con notevole diminuzione del rifornimento di ossigeno a tutti gli
organi.
      Si ha di conseguenza una loro riduzione funzionale per carenza di energia e, a causa
del meccanismo di attivazione della glicolisi, una forte produzione generalizzata di acido
lattico che in simili condizioni è metabolicamente inerte, essendo impossibile la sua
trasformazione in glucosio, via gluconeogenesi, per carenza di energia.
      Si ha quindi in un primo tempo un impegno di valenze basiche con diminuzione della
riserva alcalina e del potere tampone del complesso acido carbonico-ione bicarbonato, e
successivamente acidosi non compensata che complica ulteriormente la situazione. Se la
causa del collasso circolatorio non può essere rapidamente rimossa, si arriva all'exitus sia
per carenza di energia, sia per acidosi.
      A carenza di energia si può arrivare anche in seguito a 'disaccoppiamento' della
fosforilazione ossidativa. Vi sono veleni capaci di operare in tal senso, con la conseguenza
che il consumo d’ossigeno resta invariato e può addirittura aumentare, mentre la
produzione di ATP diminuisce. In tal caso ovviamente il rapporto P/O diminuisce. Quando
tale rapporto si avvicina a zero, l'individuo muore per carenza di energia. Nell'ipertermia
febbrile l'aumento del consumo d’ ossigeno non è accompagnato da un aumento
proporzionale di composti ad alto livello energetico.
      La riduzione della sintesi di ATP e di creatinfosfato nei muscoli del febbricitante è la
causa della ben nota astenia che accompagna la febbre (vedi trade-off).

2.2.3.2.- Le alterazioni del controllo delle reazioni che liberano energia

                                                                                           18
L'alterazione più frequente del controllo ormonico delle reazioni energetiche è
rappresentata dalla riduzione e, rispettivamente, dall'esaltazione dell'attività tiroidea.
       Negli individui ipotiroidei diminuisce la quantità di T4 presente in circolo e di
conseguenza la quantità di T3 prodotta per deiodazione della T4 a livello dei tessuti
periferici.
       Ne consegue una riduzione dei processi ossidativi (espressa globalmente da una
riduzione significativa del metabolismo basale) e di conseguenza una ridotta produzione di
energia, caratterizzata da un quadro fisiopatologico peculiare: ipotermia con scarsa
resistenza al freddo; astenia, in quanto la contrattilità muscolare risente della scarsa
disponibilità di ATP; questo fenomeno compromette anche il cuore che presenta segni di
insufficienza per piccoli sforzi e, nei casi gravi, anche a riposo, accompagnata da
ipotensione arteriosa; apatia, sonnolenza, difetti dell'attenzione e della memoria.
       Questi ultimi disturbi non dipendono da una depressione delle ossidazioni all'interno
delle cellule nervose, ma vanno messi in rapporto con un rallentamento metabolico a livello
delle sinapsi, con conseguente sintesi deficitaria di trasmettitori sinaptici.
       Le cause che provocano riduzione dell'attività tiroidea sono molteplici. Una delle più
comuni, responsabile della particolare diffusione geografica del gozzismo ipotiroideo, è la
carenza di iodio nello strato superficiale del terreno da cui dipende il basso contenuto in
questo elemento delle piante commestibili e delle piante usate per l'alimentazione degli ani-
mali. In genere le aree geografiche che si trovano in tali condizioni sono quelle di entroterra
lontane dal mare, particolarmente le montagnose, do ve lo iodio viene asportato dal
dilavamento dovuto alla pioggia e alla neve e dove non arriva il pulviscolo trasportato dal
vento da aree a tenore di iodio normale o elevato, come sono in genere quelle vicine al
mare. Tuttavia anche in vicinanza dei bacini marini sono state descritte zone gozzigene a
causa del minimo contenuto in iodio delle rocce e del forte dilavamento meteorico. In Italia
il gozzismo ipotiroideo era molto diffuso nelle valli alpine ed anche in alcune parti
dell’Appennino settentrionale, dove si è fortemente ridotto e in molte aree praticamente
scomparso sia in seguito all'aggiunta nel sale da cucina di piccole quantità di ioduro (circa
10 mg/kg), sia a causa dell'uso sempre più largo di alimenti provenienti da aree geografiche
a contenuto di iodio normale.
       Negli individui ipertiroidei si realizza una situazione che sotto certi aspetti si può
considerare come opposta a quella dell'ipotiroidismo, ma che presenta aspetti peculiari
dipendenti    dall'azione   tossica   degli   ormoni    tiroidei   in   eccesso   (tireotossicosi).
Nell’ipertiroideo si ha aumento degli ormoni tiroidei circolanti che provoca un'aumentata
concentrazione dello iodio a livello cellulare, con aumento dei processi ossidativi. L'energia
liberata in eccesso dalle ossidazioni cellulari non può essere trasferita oltre certi limiti nel
legame pirofosforico del-PATP e degrada in calore.
       Ciò provoca ipertermia di grado lieve, perché essendo integri i meccanismi

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termodispersivi, il calore prodotto in eccesso viene ceduto all'ambiente, sia attraverso la
vasodilatazione cutanea, talvolta in forma di vampe di calore, sia per mezzo di un aumento
della sudorazione.

2.2.3.3.- Alterazioni della regolazione del flusso di substrati ossidabili

      Riduzione      quantitativa   del   flusso   dei   substrati    ossidabili,   accompagnata
eventualmente da modificazione dei rapporti fra i diversi substrati, si può avere nelle
alterazioni dei processi digestivi e nelle malattie da malassorbimento intestinale.
      Per esempio i trigliceridi, che in una dieta mista equivalgono a circa il 30% delle
calorie presenti, devono essere emulsionati dalla bile mediante la formazione di micelle
entro le quali si collocano i trigliceridi stessi e gli esteri di colesterolo (insolubili in acqua)
avvolti da molecole caratterizzate da una componente polare. Entro tali micelle la lipasi
pancreatica idrolizza i trigliceridi (e gli esteri di colesterolo), liberando gli acidi grassi nella
posizione 1 e 3 del glicerolo e lasciando intatto il legame d’estere in posizione 2 (2-
monogliceride). I prodotti d’idrolisi diffondono dalle micelle nelle cellule della mucosa
intestinale, dove viene risintetizzato il trigliceride. In caso di carenza di bile o di lipasi
pancreatica diviene quindi impossibile l'assorbimento dei grassi, e una forte quota di
energia va perduta.
      Analogamente si ha perdita di energia in caso di carenza di amilasi pancreatica
e di riduzione delle disaccaridasi presenti nell'orletto a spazzola delle cellule dei villi
intestinali, perché vengono compromesse digestione ed assunzione dei glucidi.
      Lo stesso si può dire dei protidi (la cui catena carboniosa può essere ossidata con
produzione di energia), i quali possono essere assorbiti dall'intestino quasi esclusivamente
in forma di amminoacidi, con l'eccezione di alcuni peptidi e di alcune proteine a basso peso
molecolare. Se la scissione non si verifica per mancata secrezione o attivazione degli
zimogeni (pepsinogeno, tripsinogeno, chimotripsi-nogeno) si ha una carenza di assunzione
di protidi, la quale oltre all'aspetto carenziale energetico è causa di gravi alterazioni del
metabolismo cellulare.
      La patologia spontanea dell'uomo conosce varie sindromi caratterizzate da turbe
digestive e da alterazioni dell'assorbimento intestinale che possono condurre a un ridotto
flusso di energia.

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