Chiavi metodologiche per migliorare la democrazia: sistema scolastico, media education e uso formativo del patrimonio culturale - IUL Research

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Chiavi metodologiche per migliorare la democrazia: sistema scolastico, media education e uso formativo del patrimonio culturale - IUL Research
Vol. 2 num. 3 (2021)
                                                                        Ambienti sociali di apprendimento sostenuti dalle tecnologie
                                                                   digitali, sviluppo delle competenze e nuovi profili dei formatori

         Chiavi metodologiche per migliorare la democrazia: sistema
         scolastico, media education e uso formativo del patrimonio
         culturale
         Methodological keys to improve democracy: school system, media education and
         formative use of cultural heritage

         Pamela Giorgi, Indire
         Ramon Reig, Università di Siviglia

         ABSTRACT
            This contribution is the result of a shared reflection carried out since 2018 by
         Indire (Structure 12 “Enhancement of Historical Heritage”), as part of the
         Memorandum of Understanding with the Greccho research group of the University
         of Seville, coordinated by prof. Ramon Reig. It reflects both on the need for a
         strengthening, within the basic school, of media education, underlining its nature
         as an essential element for the construction of contemporary democratic society,
         which increasingly requires an enhancement of critical skills. The contribution pays
         particular attention to the specific theme of active teaching, which focuses on the
         use of sources as cultural heritage. The latter is a research topic on which Indire has
         launched various experiments, starting from an initial critical-hermeneutic work on
         sources (widely understood), and on their use in teaching and training, also thanks
         to the decisive role played by digital and for the good use of digital, in its sense of
         contemporary facies, opportunities for transformation, innovation and change.

         SINTESI
            Il presente contributo è frutto di una riflessione condivisa portata avanti a partire
         dal 2018 da Indire (Struttura 12 “Valorizzazione del Patrimonio storico”), nel
         quadro del Protocollo di Intesa con il gruppo di ricerca Greccho dell’Università di
         Siviglia, coordinato dal prof. Ramon Reig. Si riflette sulla necessità di un
         rafforzamento, nell’ambito della scuola di base, dell’educazione ai media,
         sottolineandone la natura di elemento imprescindibile per la costruzione della
         società democratica contemporanea, la quale sempre più necessita di un
         consolidamento delle capacità critiche. Il contributo si sofferma poi sul tema
         specifico delle didattiche attive, che hanno al centro l’uso delle fonti in quanto
         patrimonio culturale. Tema di ricerca, quest’ultimo, su cui Indire ha avviato varie
         sperimentazioni, a partire da un iniziale lavoro critico-ermeneutico sulle fonti,
         intese in senso esteso, e al loro uso in ambito didattico e formativo, anche grazie al
         ruolo decisivo giocato dal digitale e per il “buon uso” del digitale, nella sua

                                                 www.iulresearch.it                                CC BY-NC-ND 4.0
IUL Research | Open Journal of IUL University
                                                   www.iuline.it                                     ISSN - 2723-9586
Chiavi metodologiche per migliorare la democrazia: sistema scolastico, media education e uso formativo del patrimonio culturale - IUL Research
accezione di facies contemporanea, occasione per la trasformazione, l’innovazione
e il cambiamento.

KEYWORDS: education, communication, digital, structural approach, cultural
heritage, critical mind

PAROLE CHIAVE: educazione, comunicazione, digitale, approccio strutturale,
patrimonio culturale, mente critica

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1. Elementi ostativi all’esercizio della cittadinanza attiva nel quadro
della società mediatica e digitale: mente critica e conoscenza come
complessità

      Nel dare forma alla nostra vita, siamo la stecca da biliardo, il giocatore o la
                             palla? Siamo noi a giocare, o è con noi che si gioca?
                                                                     (Zygmunt Bauman)
    Questo scorcio del XXI secolo ci pone, quali cittadini e soggetti preposti a vario
titolo alla formazione, di fronte a una sfida che, sebbene intuibile forse già nel
passato, oggi è diventata qualcosa di più complicato da affrontare e realizzare:
quella di preparare alla cittadinanza democratica. È evidente che la democrazia non
sia solo l’appartenere a un partito politico o l’esercizio sporadico del diritto di voto,
ma che anzi, prima di ciò, sia necessaria un’ampia formazione culturale, che, in
larga misura, inizia in famiglia, continua nella scuola di base, prosegue nei gradi
superiori dell’istruzione e si prolunga anche oltre, finché le nostre facoltà mentali e
fisiche lo consentono. Una democrazia, per essere tale, in modo sostanziale e non
solo formale, ci pone inevitabilmente di fronte alla necessità di formare
adeguatamente, per poter conoscere e informarsi, in modo da esercitare al meglio
la propria cittadinanza attiva.
    Se però si osserva la realtà presente, essa ci appare così profondamente connotata
dai media, da rendere evidente quale ne sia la crescente complessità, anche in
relazione al tema dell’acquisizione delle competenze necessarie per l’esercizio
della cittadinanza: «Prima era la musica. Poi i libri. Giornali, taxi, supermercati...
Internet spazza tutto. Anche coinvolgendo alcuni settori che mai avremmo pensato
potessero essere in pericolo. Ad esempio, quello della televisione» (Soriano, 2017).
Il comportamento attuale del pubblico negli Stati Uniti – considerando che anche
l’Europa tende ormai a seguire un percorso simile – verso la televisione può essere
sintetizzato come segue (Soriano, 2017): tra i minori di 30 anni, solo il 36% guarda
la televisione in via prioritaria attraverso i soliti canali statunitensi (cavo, satellite o
antenna), il 61% invece si rivolge allo streaming come priorità. Sono gli over 50 (e
ancor di più gli over 65) che continuano a guardare la TV tradizionale (grandi reti
o canali via cavo), mentre per i millennial guardare la TV non è un’eccentricità
(come comprare un giornale cartaceo, per esempio), anche se progressivamente
comincia a essere sempre più raro. Per la prima volta dall’inizio, decenni fa, degli
studi su questo argomento, il tempo che un americano medio trascorre davanti alla
televisione è sceso a quattro ore al giorno (esclusi i canali di streaming digitale) e
la percentuale di penetrazione della televisione a pagamento (negli USA, si parla
soprattutto di cavo) è passata dal 90% all’80% dal 2010 a oggi. All’inizio del 2016,
la percentuale di americani che ha dichiarato come prima fonte di notizie la
televisione era del 57%, rispetto al 38% dei media online, ma, trascorso un solo
anno, secondo il Pew Center, i dati sono passati rispettivamente al 50% e al 43%.
Non solo, per tutte le fasce di età sotto i 50 anni, la televisione ha cessato da tempo
di essere la principale fonte di informazione. In questo lasso temporale, solo uno

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dei 50 programmi più visti dei cinque principali canali generalisti americani (ABC,
NBC, CBS, Fox, The CW) ha aumentato il proprio pubblico nella stagione
2016/2017, rispetto a quanto aveva fatto un anno prima: si tratta di The Bachelor,
un reality show in cui un gruppo di giovani lotta per conquistare un affascinante
scapolo d’oro.
   Tale tendenza si è ulteriormente rafforzata durante la pandemia di COVID-19,
che ha implicato un aumento massiccio della fruizione online, aumentata di oltre il
30% in tutto il mondo dall’inizio della crisi sanitaria. Secondo il rapporto “Global
Ad Trends: COVID-19 One Year On”, preparato da WARC, «senza dubbio, la
pandemia di COVID-19 ha causato numerosi cambiamenti nelle abitudini dei
consumatori. Negli ultimi mesi il canale digitale ha premuto sull’acceleratore e
sempre più persone lo scelgono quando si tratta di acquistare, intrattenere e
informarsi». Il suddetto report indica ancora: «Tra le app utilizzate spicca TikTok,
una piattaforma per brevi video che può vantare di avere il più alto livello di attività
dell’utente, superando Facebook in Canada – dove gli utenti di TikTok trascorrono
17 ore al mese sull’applicazione – Francia (17 ore), Regno Unito (20 ore) e Stati
Uniti (22 ore), secondo i dati di App Annie che WARC raccoglie nel suo rapporto».
In Spagna, «secondo i dati di Telefónica, tra il 13 e il 15 marzo [2020], il traffico
di gioco è aumentato del 271% rispetto alla settimana precedente» (Europa Press,
2020).
    Considerando su quali settori è oggi concentrata l’attenzione del pubblico, i
principali risultano essere commercio elettronico, social network, video online,
eSport e gaming. Potremmo affermare che l’abitudine ai consumi digitali e virtuali,
nella società del tempo libero e dell’intrattenimento, si è stabilita tra noi per restare
con noi. In estrema sintesi, «Le piattaforme di pagamento e YouTube sono
un’alternativa troppo comoda; il prestigio di HBO e l’ubiquità di Netflix causano
un ganglio che cattura praticamente tutta la conversazione culturale» (Avendaño,
2019): queste poche righe mettono bene in luce uno dei fondamenti cognitivi della
stragrande maggioranza della popolazione mondiale. La televisione in chiaro
continua a mantenere la sua influenza (il 94% della popolazione dei paesi avanzati
– secondo Avendaño – vi si collega assiduamente, anche se non quotidianamente),
ma, per gli scienziati sociali, sia i canali che il prime time cominciano a
corrispondere alla crescente atomizzazione della società e della comunicazione, in
quanto consentono a ciascuno di realizzare una sorta di prime time personale basato
su programmi e podcast on demand. Quanto a Tik Tok, Facebook e Instagram,
questi ultimi vengono utilizzati dal pubblico soprattutto per lo scambio di immagini
e video di intrattenimento. Non esiste dunque una consapevolezza sincrona
intimamente legata alla conoscenza e a qualcosa che conduca allo sviluppo della
conoscenza stessa. Dai dati emerge, inoltre, che Internet, insieme ai suoi indubbi
vantaggi, determini alcuni fattori, espressi di seguito, che inducono una riduzione
della capacità critica (Edith Sánchez, 2018): 1) le informazioni consultate
confermano quasi sempre opinioni precedenti; 2) promozione di relazioni sociali
irrilevanti; 3) riduzione della prospettiva storica.

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In relazione alle ricadute di ciò sull’esercizio concreto della cittadinanza attiva,
che è il tema considerato in questa sede, ci poniamo alcune domanda specifiche:
sotto il profilo dei dati indicati, relativamente alle tendenze del pubblico in termini
di contenuti di programmazione della comunicazione, la società digitale
contribuisce davvero a stimolare la costruzione di quella capacità critica che è
fondamento della conoscenza? Sebbene il mondo digitale abbia anche magnifiche
potenzialità, esso favorisce l’accesso a strumenti culturali che non siano
esclusivamente dettati dalle esigenze del mercato? E, infine, il sistema scolastico in
tal senso, che ruolo può rivestire?
   Di sicuro c’è un fatto: la conoscenza non è semplicemente informazione, ma le
informazioni sono i pezzi di un immenso puzzle, che possono rimanere accatastati
e in disordine, mentre la conoscenza è l’articolazione dei significanti (i pezzi)
affinché essi diventino significati. A nostro parere, per raggiungere questo
obiettivo, si deve tener presente sia in quale contesto mediatico ci si muove, sia la
prospettiva storica, un altro fattore essenziale per la costruzione della conoscenza.

   2. Il contributo del sistema scolastico per la formazione alla mente
critica: media education

        Educare è sempre un atto di speranza, che richiede la collaborazione per
trasformare un’indifferenza sterile e paralizzante in un altro modo di pensare che
                                              riconosce la nostra interdipendenza.
                                                                     (Papa Francesco)
   Alla luce degli elementi considerati, quando si parla di sistema scolastico, appare
quale tema costante la necessità di formare studenti con una mente critica. Il
Rapporto Delors assunto dall’UNESCO difende come primo obiettivo quello di
“Imparare a conoscere”. In base a questa impostazione, l’educazione non dovrebbe
limitarsi a trasmettere alle nuove generazioni contenuti o conoscenze sviluppate da
terzi, come se fosse sufficiente soltanto memorizzare, ma dovrebbe insegnare ad
apprendere. Ciò significa insegnare come costruire la conoscenza in modo che si
possa continuare a imparare per tutta la vita e, soprattutto, acquisire una posizione
critica riguardo alla conoscenza stessa (UNESCO, 2021). In termini più semplici,
si tratta di insegnare a pensare. Ma cos’è una mente critica capace di originare
pensieri critici? Il pensiero critico è quella capacità meravigliosa, così umana,
eccezionale e necessaria, in grado di consentirci di mettere in discussione le cose
stabilite, per quanto ineluttabili esse possano sembrare. Questa qualità ci permette
di non dare tutto per scontato e di analizzare in profondità e prospettiva ciò che ci
circonda, partendo da noi stessi fino ad arrivare alle idee che ci vengono proposte
(Filmoterapia, 2021).
  La società della comunicazione sopra descritta crea, promuove, consolida la
mente critica? O, invece, rischia di determinare/favorire semplicemente il

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sovraccarico di informazioni (Cornella, 2013) 1, l’essere sempre “acceso”? Come
imparare a esercitare la competenza di cittadinanza che consiste nel sapersi
districare in questa sovrabbondanza di informazioni?
   Dunque, primariamente, si rende sempre più necessario un percorso educativo
che cerchi di dare (soprattutto a livello di scuola di base e a livello di formazione
dei formatori) un metodo di media literacy. L’educazione alla comunicazione –
l’educomunicazione – deve essere insegnata dall’approccio metodologico
strutturale che va oltre la Scuola di Francoforte o il marxismo. L’approccio
strutturale (EE) deriva dal pensiero critico a cui l’UNESCO ci invita, ma ritiene che
esso non sia esclusivo di Marx, Horkheimer, Adorno, ecc. Inoltre, ritiene che ciò
che la maggior parte di questi autori ha realizzato sia un Approccio Strutturale
Semplice, che deve essere completato con un Approccio Strutturale Complesso
(EEC) (Reig, 2020). Quest’ultimo deve essere fondato su una metodologia
cognitiva interdisciplinare e transdisciplinare, secondo la quale tutto è in relazione
con tutto.
    In questo contributo ci limitiamo a delineare come proprio sull’EEC dovrebbe
imperniarsi l’educazione del cittadino: se la comunicazione ci circonda, ci forma,
ci informa e ci disinforma, al punto che i suoi interessi nascosti possono influenzare
i contenuti mediati, essa deve essere sottoposta a una “autopsia metodologica” per
cercare di capirla. Tale autopsia è chiamata Approccio Strutturale Semplice (SES).
La prima cosa che colpisce di questo approccio è la concentrazione mediatica e la
diversificazione del capitale, che si è andata sviluppando soprattutto a partire dalla
fine del XIX secolo, in un incrocio di interessi tra azione commerciale e libertà di
informazione o di stampa (Sombras de Libertad). La concentrazione e la
diversificazione del capitale nella comunicazione ci porta al concetto di Media
Structure. Come definirlo? È un fenomeno globale: si tratta della tendenza a
concentrare i media (televisioni, radio, giornali, siti web) in un gruppo, insieme ad
altre aziende di vari settori (bancario, telefonico, immobiliare, edile, ecc.) (RSF,
2016). Attualmente, la concentrazione del potere e del capitale, così come la
diversificazione delle imprese, è aumentata notevolmente, al punto da coniare
l’espressione “i nuovi padroni del mondo”, cioè l’unione tra telecomunicazioni,
comunicazione/contenuti, tecnologia, fondi bancari e di investimento. Del
fenomeno parlano da sole alcune grandi società, come nel grafico riportato di
seguito.

1 A tal proposito, è inevitabile lambire il tema della lettura digitale oggi. Carmen Pérez-Lanzac
(2013), scrive: «Nella lettura digitale c'è una certa dispersione. Passi da una schermata all'altra, il
testo ti porta a un video e poi a una mappa, e la concentrazione è minore, sebbene la quantità di
lettura sia maggiore».

                                                   164
Los nuevos amos del mundo: GAFAT
                                                                                                                      GAFAT
                                                                                                                      Google*
                                                                                                                      Amazon
                                                                                                                      Facebook
                                                                                                                      Apple
                                                                                                                      +
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                                                                                                                      bursá�l
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                                                                                                                      conocida
                                                                                                                      como
                                                                                                                      Alphabet

                  h�ps://cincodias.elpais.com/cincodias/2018/12/28/companias/1546023529_428376.html   , 2019.

          FIGURA 1 – GRAFICO DI SINTESI DEI MAGGIORI GRUPPI DI CONCENTRAZIONE MEDIATICA

   Gli Stati Uniti monopolizzano quasi del tutto questo nuovo potere, salvo la
novità dell’incorporazione della Cina, che dal 2016 circa ha iniziato a collocare tra
i grandi gruppi di comunicazione aziende come Baidu (motore di ricerca) o CCTV
(televisione pubblica cinese). Tencent Holdings Limited, per esempio, è
responsabile della fornitura di Internet e dello sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Dietro questi grandi marchi ci sono, insieme a vari magnati, fondi bancari e di
investimento. Se si vuole vedere in maniera esplicita la presenza in qualità di
azionista di alcuni fondi di investimento, ci si può rivolgere direttamente agli
azionisti stessi di uno dei gruppi media più importanti dell’America Latina 2, ossia
Televisa (Messico), che mantiene una forte alleanza radiofonica con il gruppo
spagnolo Prisa attraverso la catena Radiorama.

                                    FIGURA 2 – PRINCIPALI AZIONISTI DEI GRUPPI TELEVISIVI

2   Fonte: https://ruedadelafortuna.com.mx/2021/05/06/accionistas-de-televisa-2021/.

                                                                                                                165
Negli Stati Uniti, in relazione al quotidiano “The New York Times”, ci si
riferisce al suo principale proprietario privato, il magnate messicano Carlos Slim
(che detiene circa il 10% delle azioni), mentre se parliamo del “The Washington
Post”, non possiamo dimenticare Jeff Bezos e Amazon. Entrambi gli azionisti sono
stati tradizionalmente lontani dal business della comunicazione e del giornalismo,
hanno infatti un impero commerciale diversificato che può scontrarsi con gli
interessi giornalistici dei due giornali (Reig, 2020). Inoltre, i due imprenditori
rappresentano la nuova struttura di potere che si è articolata nel mondo, costituita
dai grandi imprenditori veterani insieme ai giovani, con radici nel settore
tecnologico. In Italia, “Il Corriere della Sera” ha nel magnate Urbano Cairo il suo
principale azionista: quest’ultimo diversifica il proprio capitale, per esempio, verso
lo sport (Torino FC); non bisogna poi dimenticare la presenza di azionisti minori
come Mediobanca, Unipol, Pirelli, International Media Holding (USA). Dal canto
suo, Mediaset Italia, come Mediaset España, fa parte di Fininvest, l’impero
aziendale della famiglia Berlusconi, alleato – non sempre in buoni rapporti – con il
gruppo francese Vivendi, proprietario di Canal + Francia e titolare di società di
commercio di acqua, telecomunicazioni e altri settori. La programmazione di
evasione e di intrattenimento di Mediaset è la più vista in Spagna con Tele 5: in
questo caso, non abbiamo assolutamente a che fare con messaggi che stimolano né
la capacità critica, né la conoscenza.
   Si tratta solo di alcuni esempi connessi a una situazione più ampia e generale,
che riteniamo debba essere conosciuta e appresa anche a livello di scuola di base e
di formazione dei formatori, perché solo rafforzando la conoscenza, rafforziamo la
democrazia.

   3. Il contributo del sistema scolastico per la formazione alla mente
critica: l’uso del patrimonio culturale

         Io sono me e la mia circostanza, e se non la salvo, non salverò me stesso.
                                                             (Ortega y Gasset, 2005)
   Se pensiamo adesso ai contenuti “formativi” veicolati attraverso la struttura
mediatica di cui si è detto – in cui sono chiari i progressivi processi di diminuzione
della lettura sistematica e approfondita, la marginalizzazione della memoria storica
e, quindi, della Storia come magistra vitae (come denunciato da Nuccio Ordine,
2013) e il proliferare di notizie e, ancor peggio, di false notizie (anche influenzate
dalle strutture della proprietà dei media) – dal nostro punto di vista, l’acquisire il
senso della memoria storica costituisce uno dei principali antidoti, perché «Non
sapere cosa è successo prima di noi è come essere incessantemente bambini»
(Marco Tullio Cicerone, 106 a.C. – 43 a.C.). Favorire, all’interno del processo
formativo nella scuola di base, la capacità di stratificare storicamente la realtà
circostante, implica il rafforzamento inevitabile di identità coscienti e pensanti,
laddove la “circostanza” di Ortega riveste un significato determinante.

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Assieme alla necessità di una costante alfabetizzazione mediatica, permane
pertanto la necessità di un rafforzamento delle competenze legate al senso storico e
allo strutturarsi di una relazione profonda con i segni materiali della Storia, ovvero
con il patrimonio culturale. E, nel raggiungimento di ambedue gli obiettivi, gioca
un ruolo centrale il sistema d’istruzione. Per favorire il secondo, ovvero costruire il
senso della memoria storica, diviene sempre più necessario individuare modelli ad
hoc per un utilizzo didattico sistemico del patrimonio culturale, con “buone
pratiche” fondate sul rapporto tra patrimonio, mediazione tecnologica, integrazione
tra scuola e territorio. In questa direzione, le possibilità offerte dalle soluzioni
tecnologiche sono numerose e si stanno rivelando particolarmente efficaci: sono
tutti “modi contemporanei” in cui i media permettono, in modo virtuoso, di entrare
in contatto con il passato, facilitando lo sviluppo di competenze complesse e
trasversali, che divengono anche competenze di cittadinanza.
    Quando si parla di costruire il senso della memoria storica, si intende utilizzare
sempre più efficacemente la relazione tra patrimonio culturale, sistema digitale e
sistema d’istruzione, facendo sostanzialmente riferimento a modelli pedagogici
costruttivisti, che si basano su una didattica esperienziale, la quale può avere come
oggetto, ossia come laboratorio didattico attivo, il patrimonio culturale, considerato
nella sua funzione educativa. Seppure questo approccio abbia radici lontane nel
tempo e sebbene sia vero anche che nella scuola primaria questo tipo di educazione
hands on sia in parte attuata, il problema diviene più annoso nei gradi superiori di
istruzione, nei quali il coinvolgimento sensoriale nel percorso di apprendimento
diminuisce drasticamente. Proprio l’ingresso massiccio della tecnologia digitale
applicata al patrimonio culturale, estesamente inteso, ha permesso il superamento
di questo limite intrinseco della didattica praticata nei gradi superiori della scuola
di base, riaprendola alle potenzialità formative del laboratorio (Poce, 2020). Ci
stiamo infatti rendendo conto che, a livello didattico, nella scuola di base le
possibilità offerte dalle soluzioni tecnologiche sono numerose e si stanno
dimostrando particolarmente efficaci 3. Da un lato, la messa a disposizione
progressiva di corpora documentari, da parte delle istituzioni preposte alla
conservazione, e, dall’altro, la possibilità di realizzare percorsi laboratoriali e
partecipati in classe – come un prodotto multimediale a partire dal patrimonio
culturale o una modellizzazione virtuale – hanno favorito il riemergere anche nei
gradi più alti dell’istruzione della pratica hands on, con caratteristiche di marca
spiccatamente attiva e transdisciplinare 4.

3 Cfr. Edgar Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero nel
tempo della globalizzazione. Milano, Raffaello Cortina, 2000.
4 Si riporta a tal proposito quanto realizzato da Indire con la Rete DiCultHer (Digital Cultural

Heritage) tramite gli hackaton per l’educazione al patrimonio culturale e titolarità culturale agli
studenti. Indire partecipa infatti come partner alla Rete DiCultHer sin dalla sua costituzione nel
febbraio 2015: #HackCultura è l’hackathon degli studenti per la “titolarità culturale”, finalizzato
allo sviluppo di progetti digitali da parte degli studenti delle scuole italiane, per favorire nei giovani,
in un’ottica di “titolarità culturale”, la conoscenza e la “presa in carico” del patrimonio culturale
nazionale. In tale ambito, abbiamo lavorato a una serie di azioni e riflessioni sia per ripensare i
processi di digitalizzazione del patrimonio culturale, sia di co-creazione del digitale,
quale espressione sociale e culturale dell’epoca contemporanea, nella prospettiva di concorrere alla

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L’esperienza della DaD ha rafforzato l’integrazione dell’innovazione digitale
nell’istruzione, spingendo sul rafforzamento della rete di collaborazione tra
organizzazioni nazionali e sovranazionali: è in questo contesto che possiamo
auspicare uno sviluppo crescente nella direzione desiderata, per fronteggiare quei
numerosi fattori socio-culturali e tecnologici che hanno condotto, negli ultimi
quindici anni, le nuove (e le meno nuove) generazioni verso quella che potremmo
definire una “ristrutturazione” di mentalità, fortemente incidente anche sulla
recezione e percezione dell’approccio alla memoria e al patrimonio storico
culturale. Non è casuale, infatti, che negli ultimi decenni questa secondarietà sia
stata reiterata in vari testi legislativi dal forte impatto, come le Indicazioni
Nazionali, destinate a riformare profondamente, per esempio, lo studio della Storia
e della Storia dell’arte nelle scuole primarie e nelle secondarie di primo e secondo
grado, ridimensionandone lo spazio orario. Il medesimo lasso cronologico ha visto,
come detto, il proliferare di fonti di informazione vastissime e alla portata di tutti
nel web (dando l’illusoria percezione di una conoscenza “potenzialmente
illimitata”, ma della quale, sovente, non si è nemmeno in grado di chiedersi
l’origine), ponendo come centrale una tra le celeberrime “competenze” che si
dovrebbero acquisire a scuola: ovvero, appunto, la capacità critica di saper cercare
e selezionare le informazioni stesse, capacità di cui proprio la Storia è maestra. Alla
luce di questo, è importante ripensare assieme al mondo docente nuovi modelli
pedagogici, diverse pratiche supportate dalla nuova strumentazione tecnologico-
digitale, validando l’efficacia e l’uso critico di questi processi 5. Il PNSD (2008),
pilastro della Legge 107 del 2015, ha promosso la sperimentazione di nuovi
modelli, l’utilizzo di strumenti innovativi, la diffusione di buone pratiche di
laboratorio, tutti ritenuti elementi centrali per l’innovazione del modello didattico:
in questo quadro normativo rientra anche il patrimonio culturale e i suoi usi
didattici, che permettono di tradurre nuovi scenari di apprendimento nell’ambito
dello sviluppo delle competenze di base.

creazione delle competenze necessarie per approcci e metodi di lavoro con il Digital Cultural
Heritage, basandosi su criteri chiari e omogenei, per validarle e certificarle come memoria e fonte
storica. Alla selezione e al vaglio delle fonti (competenza quanto mai indispensabile al giorno
d’oggi), si aggiungono, tra gli obbiettivi didattici da perseguire, la comprensione del significato del
valore del patrimonio culturale. Al riguardo è prevista, con il contributo di Indire, un’ulteriore
iniziativa per supportare le scuole stesse nella fase di documentazione del percorso/progetto: lo
scopo è quello di valorizzare maggiormente i progetti, trasformandoli in buona pratica che possa
ispirare a sua volta altre scuole.
5 Il 19 luglio 2020 è stato annunciato l’inizio del programma pedagogico RWYC “Reconnecting

with your culture”, promosso dal centro di ricerca internationale EdA Esempi di Architettura, in
collaborazione con UNESCO University and Heritage, e membro della New European Bauhaus e
della Charter Alliance European Cultural Heritage Skills. Si tratta di un progetto sull’apprendimento
del patrimonio culturale dedicato ai bambini dai 5 ai 17 anni, al fine di avvicinarli ai valori importanti
della vita e per rafforzare il sentimento di appartenenza. Ideato dalla professoressa italiana Olimpia
Niglio, con il coordinamento dell’insegnante d’arte colombiano Kevin Alexander Echeverry, il
programma sta consentendo di elaborare importanti riflessioni sul ruolo e sui metodi di
apprendimento finalizzati a valorizzare la creatività dei bambini attraverso l’uso del patrimonio
culturale presente nei loro territori di appartenenza.

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Non si può non evidenziare la dimensione sociale di un progetto che fa del
patrimonio culturale un luogo educativo dove sviluppare competenze quali pensiero
critico, comunicazione, collaborazione e creatività, ossia, in altri termini, uno
strumento inclusivo per costruire, condividere e far conoscere la memoria sociale e
collettiva. In una società mediatica e digitale, come quella sopra brevemente
descritta, la competenza digitale rientra di certo nelle otto competenze chiave
identificate dal Parlamento e dal Consiglio UE, ma altrettanto fondamentale – anche
per la stessa competenza digitale (nella prospettiva dell’apprendimento
permanente) – resta lo sviluppo delle competenze di cittadinanza attiva, quali
imparare a essere critici e a usare in modo ragionato il web. Proprio attraverso
l’escamotage del patrimonio culturale è possibile porre un argine al crescente calo
dell’attrattività di memoria e Storia, sviluppando percorsi che inducano a
selezionare le fonti storiche (e al contempo tutte le fonti di informazione) e
rafforzando altre competenze centrali, come aumentare lo sforzo intellettuale e
incrementare una visione della vita e del mondo in cui siano contemplati fatti non
dispersi ma interconnessi e stratificatisi nel tempo. Quel che occorre è spingere su
un apprendimento-insegnamento che non si focalizzi solo nel campo delle
tecnologie, ma anche in quello dei nuovi metodi e linguaggi didattici, come
l’apprendimento basato sugli oggetti e il digital storytelling.

    Conclusioni
    In tale prospettiva potremmo già ridisegnare delle priorità, quali:
    1. migliorare l’integrazione digitale in una situazione di apprendimento-
       insegnamento;
    2. fornire agli insegnanti un contesto teorico per utilizzare al meglio il digitale
       in relazione al tema in oggetto;
    3. fornire l’accesso a modelli di buone pratiche di immediata fruizione in aula,
       costruiti con riferimento alle competenze che gli studenti devono acquisire e
       che siano integrabili nel curriculum.
   Il ruolo centrale della media education e dell’educazione alla complessità, grazie
alla prospettiva storica recuperata con l’uso didattico del patrimonio culturale,
indirizza verso nuovi obiettivi pedagogico-didattici, tesi a rafforzare lo sviluppo
delle competenze negli studenti attraverso l’approccio critico a memoria e
patrimonio culturale, che a essa si lega. Per questa via sarà possibile non tanto
acquisire conoscenze predefinite e standard, quanto, piuttosto, “imparare a
imparare”, ovvero guadagnare una mentalità critica 6, nel rifiuto di una metodologia
puramente trasmissiva, a vantaggio di una riconfigurazione degli studenti da fruitori
prevalentemente passivi a protagonisti attivi del processo di apprendimento, con
nuove prospettive di collaborazione transdisciplinare (che il digitale apre), in cui lo
stimolare una conoscenza del passato non mnemonica ed episodica, ma organica e

6Cfr. Edgar Morin, Educare gli educatori: Una riforma del pensiero per la Democrazia cognitiva,
Roma, Edup, 2008.

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problematica, permetta di affrontare con mente critica i problemi e le sfide del
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