Politiche pubbliche e pratiche di cittadinanza attiva in Italia: appunti per una società pensante.

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Va bene?! Die deutsch-italienischen Beziehungen auf dem Prüfstand
                                        Fachkonferenz 01.-02.12.2011 in Berlin

Politiche pubbliche e pratiche di cittadinanza attiva in Italia:
appunti per una società pensante.

di Francesca Gelli (Università di Venezia)

Abstract
    Nel tentativo di discutere il rapporto tra politiche pubbliche e pratiche di cittadinanza attiva in
Italia e a partire da una serie di riferimenti selezionati a situazioni territoriali recenti, è proposto uno
schema interpretativo generale, che introduce una distinzione tra tre dimensioni del coinvolgimento
dei cittadini nel trattamento dei problemi pubblici:
     la partecipazione dei cittadini come forma di azione politica e di costruzione di pubblico
     la partecipazione come esperienza di democrazia e formazione di virtù civiche
     la partecipazione come tecnologia del processo di governo, finalizzata all’efficacia delle
      politiche.
Nella seconda parte la storia partecipativa della Regione Puglia nell’esperienza di governo di Nichi
Vendola è assunta come studio di caso dal valore paradigmatico al fine di declinare e mettere alla
prova lo schema suggerito (l’analisi delle elezioni primarie regionali del 2005 e del 2010 e di alcuni
ambiti di politiche si accompagna alle riflessioni maturate a seguito di un’esperienza, di
collaborazione con l’Assessorato alla Trasparenza e Cittadinanza Attiva). Questa vicenda offre
l’opportunità di trattare, tra le altre cose, quello che a parere di chi scrive appare come un tòpos
tipico della vicenda italiana: l’ambivalente alleanza tra discorso politico del centro-sinistra e la
questione della partecipazione attiva dei cittadini.

1. Introduzione

    L’intento è provare a tracciare un bilancio su domande di opportunità e limiti alla partecipazione
attiva dei cittadini in Italia.
    Per chi scrive, l’universo empirico di riferimento è quello di storie di politiche pubbliche (public
policies), viste come processi di produzione di beni comuni e di costruzione di pubblico,
inestricabilmente intrecciate alla politica (politics), secondo la nota tesi che policies can determine
politics1.

1
  Politics e Policies sono operatori concettuali di uno stesso campo fenomenologico. Non bisogna sottostimare, oltre
che le dinamiche di interdipendenza, il potenziale generativo e conoscitivo che le politiche pubbliche hanno anche
rispetto agli elementi strutturali del sistema politico, “all’ambiente” delle politiche e al suo cambiamento.

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   L’attenzione, in particolare, è alla territorializzazione della partecipazione e a contesti locali,
esemplificativi di gradi diversi di qualità della partecipazione dei cittadini; nel convincimento che le
questioni che si costituiscono come più rilevanti a livello locale è dubbio che abbiano una
determinazione solo locale.

    L’ultimo ventennio in Italia è stato segnato dal protagonismo delle realtà urbane.
    Le città sono cresciute come centri di elaborazione politica intorno a nuovi modelli di
cooperazione e di leadership, che si configurano in connessione con politiche coalizionali (è la
stagione degli accordi espliciti e multiattoriali, della gestione di servizi, progetti, realizzati in
partnership pubblico-privato) e con il ridefinito ruolo dei sindaci. Sulla leadership dei sindaci si è
fondata negli anni ’90 una sorta di nuova mitologia, quella di una classe politica dirigente
alternativa, portatrice di una strategia di azione pubblica profondamente rinnovata (Vandelli 1997),
capace di ricostruire i presupposti della partecipazione democratica e del buon governo sulla base di
elezioni dirette, di programmi concreti e di politiche che traggono la loro legittimità dai risultati
(Scharpf 1997). A livello locale sono stati anticipati con successo schemi di alleanze tra partiti, in
seguito consolidati a livello nazionale. I governi urbani, singolarmente e in rete, hanno fatto perno
sull’autonomia delle comunità territoriali per contrastare, da un lato, le tendenze centralizzatrici
degli apparati di partito e bypassare le burocrazie statali, attaccando la logica politica che le vuole
periferie del sistema; dall’altro, si sono costruiti come attori competitivi sulla scena europea e
internazionale, allargando l’arena degli interlocutori e degli scambi politici ed economici. Negli
anni 2000, tuttavia, l’immagine dei sindaci appare già in crisi di consenso proprio sul piano
dell’efficacia e della leadership, registrando anche un calo della partecipazione elettorale (Baldini
2002). Lo stile della personalizzazione della politica e della “politics of people” (Calise 2000) si
mostra debole ad affrontare l’aggravarsi di deficit di bilancio, mentre aumentano i tagli alla spesa
pubblica e le domande di beni e servizi pubblici da parte dei cittadini si fanno sempre più sofisticate
e diversificate. La nuova governance urbana e il sistema di governo e di politiche basato sui risultati
comporta prassi amministrative e gestionali incompatibili sia con i tempi lenti di una maglia
procedurale ancora troppo intricata, sia con la fragilità e variabilità delle coalizioni locali, l’alta
conflittualità dei gruppi, i veti incrociati. Ritardi o blocchi nell’implementazione delle opere,
proteste per l’inadeguatezza dei servizi, episodi di corruzione tradiscono le aspettative dei cittadini.
Scricchiola la mitologia del governo urbano che il centro-sinistra aveva più contribuito ad
affermare.
    Si configura così una situazione che presenta forti analogie con il successo e, dopo un decennio,
la crisi dei sindaci alla guida dei governi urbani negli USA tra gli anni ’60-’70 del secolo scorso2.

2
  Ho avuto modo di trattare questo tema evidenziando l’interesse degli studi politici sulla città fioriti tra gli anni ’50 e
’70 negli Stati Uniti, e di sottolineare il potenziale di apprendimento da quest’esperienza di federalismo urbano, avendo
presente lo scenario che si prospetta in Italia a partire dagli anni ’90 (Gelli, 2009). Il dibattito è incentrato sull’efficacia
della sperimentazione del nuovo modello di leadership urbana, imperniato sui sindaci e sul loro crescente potere di
nomina (connesso alla gestione pubblico-privata di tutti i servizi di pubblica utilità, che funge da moltiplicatore di
cariche), cui si frappone il modello del city manager, sugli effetti della riforma della pubblica amministrazione e del
reclutamento (orientata a criteri di trasparenza, di competenza tecnica e specialistica del personale), sull’inasprimento

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    Al contempo, i valori fondativi della tradizione democratica-repubblicana – tra cui, le risorse di
una cittadinanza attiva e del conflitto – e le idee democratiche più nuove del “government of the
people, by the people, and for the people” a fasi alterne sono venute in attrito con la convinzione
che un certo grado di apatia possa essere funzionale alla stabilità di un sistema democratico
(essendo il consenso, non il conflitto condizione di coesione). Secondo questa seconda tesi, livelli
troppo alti di partecipazione, attenzione, coinvolgimento della gente nella politica acuiscono le
divisioni, le dispute, il radicamento ideologico con effetti negativi sulle performance dei governi e
la perdita di controllo delle spinte sociali (Berelson, Lazarsfeld, McPhee 1954); oppure, coprono di
passioni l’orientamento auto-interessato che è prevalente, nei cittadini e nei gruppi, e che connota
l’essenza della politica (Downs 1957).

   In Italia il discorso pubblico sulla partecipazione dei cittadini si è inestricabilmente intrecciato,
più radicalmente, alla perdurante difficoltà dei partiti di ascoltare e integrare la domanda sociale, di
mantenere una presa diretta con i bisogni della gente.

    L’inadeguatezza della classe politica dirigente è risultata corroborante nel tempo anche per la
solidità delle forze di centro-sinistra che, in piena crisi di rappresentanza (identitaria, responsabile;
ma anche, del radicamento organizzativo-territoriale dei partiti: Morlino e Fargion, 2006), hanno
cercato vie per ricostituire un’appartenenza comunitaria per il loro elettorato.
    Il tema della partecipazione democratica e del coinvolgimento effettivo dei cittadini nelle scelte
politiche è stato ed è infatti un argomento centrale ovvero ideale nel discorso politico del centro-
sinistra, un contenuto normativo che costituisce un tratto con cui il centro-sinistra come società
politica si racconta a se stesso, racconta sé agli altri (alle altre forze politiche), costruisce storie sugli
altri (Melucci 2001).

    Un aspetto da trattare è, dunque, l’ambivalente alleanza tra discorso politico del centro-sinistra
e la questione della partecipazione attiva dei cittadini. Su questo tema, proporremo una lettura
dell’esperienza partecipativa della Regione Puglia, nell’intreccio di politics (es.: conflitto e
partecipazione per le elezioni primarie) e policies (stagione di programmi partecipativi in molti
ambiti di azione del governo regionale; mobilitazioni dal basso, ampi movimenti trasversali alla
cittadinanza), con risvolti sul piano nazionale.

dei conflitti sociali (aumento delle disparità e dei divari; complessità della stratificazione sociale della città multietnica).
Nell’espandersi delle macchine amministrative municipali (crescono gli ambiti di policies e le strutture, i numeri dei
dipendenti) si innesca un meccanismo di delega della gestione a molteplici organismi ‘tecnici’ (tipo agenzie), con
problemi di accountability dell’azione politico-amministrativa, di capacità di controllo dei risultati e di sostanziale
deficit di partecipazione democratica dei cittadini.

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2. Uno schema interpretativo della partecipazione dei cittadini

Recentemente, nelle città italiane:
    cortei, occupazioni, sit-in, picchetti. Sono studenti e ricercatori universitari, che protestano
contro la riforma Gelmini e occupano i tetti delle sedi universitarie e di istituzioni pubbliche (tutti
ricordano quelli di Salerno e di Roma), imitando le analoghe proteste operaie nate in altri tempi e
ultimamente riprese, con la crisi economica e l’ondata di licenziamenti e cassa integrazione;

   scioperi spontanei, blocchi stradali. Dal Nord al Sud del Paese operai e dipendenti di industrie
danno luogo ad agitazioni le cui immagini hanno clamore mediatico: forse, quelli della Fiat Termini
Imerese sono i più noti; o i dipendenti ex Eutelia che salgono in cima alla Mole Antonelliana;

   manifestazioni e movimenti, scene di rabbia hanno luogo contro scelte
localizzative/delocalizzative e realizzazioni di impianti “indesiderati”/di funzioni “insicure” in
tessuti abitati, urbani e rurali. Sotto attacco nuovi inceneritori (la cui concentrazione è nel Nord
Italia) detti “cancrovalorizzatori”, discariche, perfino centrali a biomasse (tutto il ciclo dei rifiuti è
sotto questione); contro rigassificatori (a Porto Empedocle, Brindisi, Rovigo); interviene la polizia;
nascono appelli e lunghi ricorsi giudiziari secondo sequenze ormai note al vasto pubblico (al Tar, al
Consiglio di Stato…);

    l’azione continuativa di reti di comitati di protesta e grandi eventi partecipativi si svolgono
anche per lunghi periodi, per contrastare le realizzazioni di nuove infrastrutture di trasporto e opere
pubbliche, dette ad alto impatto ambientale; tutta la Val di Susa si agita da tempo contro il progetto
di collegamento ferroviario Torino-Lione, ma anche la Pedemontana Veneta genera conflitto perché
“nuoce gravemente al territorio”;
    qualche tempo prima, la quieta e ricca città di Vicenza, abituata a una storia di localizzazioni
militari, insorge d’un tratto con straordinaria partecipazione popolare contro la decisione di un
raddoppio della base militare americana. Si osserva che le cause di un territorio diventano quelle di
un altro, i movimenti si adottano reciprocamente e intervengono per solidarietà alle manifestazioni
dell’uno e dell’altro; i gruppi di protesta si connettono anche internazionalmente e gradatamente i
temi delle controversie slittano, abbracciando molti piani e acquisendo trasversalità (dallo sviluppo
sostenibile, alla pace, alla sicurezza, al diritto alla salute, all’autodeterminazione dei popoli etc.). I
No Mose di Venezia sono a Vicenza, quelli di Vicenza sono in Val di Susa, partecipano i comitati
contro il Ponte sullo Stretto, e così via. Diventa estremamente difficile gestire questi conflitti;

   “cittadini contro” sfidano anche i grandi architetti; i cittadini dell’Arcella, nella moderna città di
Padova, impediscono la realizzazione delle Torri progettate dall’architetto Vittorio Gregotti, che
l’Amministrazione Comunale sostiene, ma che vengono percepite come la cementificazione in più
che fa traboccare il vaso;

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   nuclei di cittadini esprimono tutta la loro ostilità all’apertura nel loro territorio di campi nomadi
(da Roma a Milano a Venezia), nuove carceri, CPT; luoghi di culto. Sull’immigrazione, l’opinione
pubblica si divide e la cittadinanza si scopre frammentata in posizioni a favore, contro, di
indifferenza, reticenza, incertezza.

    Lasciando la scena della partecipazione per conflitto, incontriamo ambiti di azione pubblica che
almeno dagli anni ’90 e con intensità crescente sviluppano strumenti di intervento connotati da vere
e proprie “carriere partecipative”: così, programmi di riqualificazione e di rigenerazione urbana,
nuovi piani urbanistici, politiche sociali e per i giovani, piani del paesaggio, etc. Il coinvolgimento
dei cittadini è ricercato con varie tecniche e tecnologie partecipative, in processi strutturati e guidati
da professionisti della partecipazione. Dei cittadini serve l’opinione; il consenso; la collaborazione;
la conoscenza, frutto dell’esperienza di vita quotidiana delle situazioni e dei luoghi che vivono, di
cui sono più esperti degli stessi tecnici-esperti chiamati a definire problemi e soluzioni. L’Unione
Europea ha dato un forte impulso in questa direzione, anche in Italia, offrendo opportunità di
programmi e iniziative di politiche pubbliche concepite in modo partecipativo;

   in molti Comuni italiani nascono Assessorati alla Partecipazione (per lo più senza portafoglio),
che promuovono attività varie di coinvolgimento delle associazioni, della cittadinanza.
Difficilmente, tuttavia, la partecipazione è richiesta su questioni centrali dell’agenda politica, sulle
decisioni influenti;

    intervengono anche le Regioni. La Regione Puglia e la Regione Toscana probabilmente
costituiscono i casi più noti. La prima, dal 2005 lancia la partecipazione come metodo della
costruzione delle politiche, con forme di coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni, nella
valutazione e nel controllo, ma anche nella realizzazione degli interventi. Nasce un Assessorato
dedicato alla Cittadinanza Attiva. Laboratori di partecipazione si diffondo in tutto il territorio. La
seconda, procede all’istituzionalizzazione della partecipazione per altra via; arriva infatti a definire
una Legge regionale che disciplina la partecipazione, introducendo, oltre che procedure di selezione
dei progetti partecipativi da sostenere, anche una figura di un Garante e un fondo di finanziamento
dedicato, per una piccola quota del bilancio regionale.

    Fuoriuscendo dal circolo della domanda/offerta partecipativa, troviamo processi spontanei e
auto-organizzati di produzione sociale di beni pubblici. C’è un tappeto di micro-iniziative di
cittadinanza attiva, gruppi civici che non protestano contro, non collaborano con le amministrazioni
pubbliche locali a specifiche politiche, e invece fanno, autonomamente, recuperando spazi
abbandonati e sottoutilizzati, trascurati; gestendo attività comuni, promuovendo manifestazioni
culturali, sportive, azioni di contrasto alla criminalità, iniziative di aggregazione e integrazione.
Così, cittadini adottano un parco a Mogliano Veneto, altri una strada per contrastare i problemi di
sicurezza urbana, riappropriandosi del suo carattere di bene pubblico e in comune, altri praticano il
“giardinaggio politico” (un movimento contro il degrado urbano, nato a New York decenni fa: in
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spazi pubblici trascurati vengono piantati alberi, fiori, piante, realizzate micro-iniziative di
abbellimento; così a Milano, a Latina, a Venezia etc.).

    In tutti i casi, si osserva un crescente uso della comunicazione interattiva facilitata dalle nuove
tecnologie. Il web diventa un nuovo spazio di partecipazione (e-participation): articolato in varie
forme, unisce, aggrega, mette in contatto i singoli e i movimenti, amplifica, con un’accelerazione
straordinaria dei tempi di circolazione delle informazioni e di scambio delle opinioni, di
semplificazione dell’accesso.
    Finché i social network sono battuti come centri di ascolto e canali di promozione
dell’immagine di vecchi e nuovi candidati politici, studiati dagli esperti di comunicazione politica.
    Anche parte della partecipazione alle politiche pubbliche si costruisce nella rete.
    Società civile e società politica affollano il web. E, come osservava Arendt (1989), l’idea di
locale è esprimibile come “web” di relazioni, un “intreccio” e una mescolanza di effetti, voluti e
non, frutto di una molteplicità di interazioni, la cui combinazione se evidentemente non è il prodotto
di un disegno intenzionale, tuttavia può essere trattata strategicamente.

    A fronte di questa molteplicità di forme di partecipazione, proponiamo uno schema teorico-
interpretativo, per la comprensione dei casi. Lo schema, infatti, aiuta a storicizzare le esperienze di
politiche partecipative e le pratiche di cittadinanza attiva che abbiamo conosciuto con intensità
variabili nelle democrazie occidentali nel XX secolo, in particolare dal dopoguerra con riferimento
all’operato dei governi, e negli ultimi decenni anche in sistemi politici di altre regioni del mondo
che non sono democrazie rappresentative consolidate, o dove lo stato è in costruzione.

    Lo schema distingue tra tre dimensioni essenziali della partecipazione e del coinvolgimento dei
cittadini nel trattamento dei problemi pubblici:
     la partecipazione dei cittadini come forma di azione politica e di costruzione di pubblico
     la partecipazione come esperienza di democrazia e formazione di virtù civiche
     la partecipazione come tecnologia del processo di governo, finalizzata all’efficacia delle
      politiche.

2.1. La partecipazione dei cittadini come forma di azione politica e di costruzione di pubblico

    Si tratta di un tipo di partecipazione carica di contenuti simbolici e valoriali, che si connota per
il carattere spiccatamente conflittuale, antagonista, tant’è che in letteratura si trova definita con la
dizione “partecipazione contro”. In essa sono in gioco passioni, emozioni, diverse visioni del
mondo. Si assiste, sovente, alla polarizzazione delle controversie (anche cognitivamente, le parti in
conflitto sviluppano un radicamento testardo nelle posizioni assunte, con scarsa disponibilità al
confronto).

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     Nel conflitto si configura la contrapposizione tra comunità locali da un lato e decisioni di
istituzioni pubbliche (o potenti stakeholders) dall’altro, ma la stessa cittadinanza può risultare divisa
al suo interno. La presenza di gruppi di protesta e di lotta, molto strutturati sul piano
dell’organizzazione dell’azione e delle idee, può infatti sortire un effetto inclusivo per gli
appartenenti ai gruppi ma può costituire anche un fattore di disagio e di esclusione per una
cittadinanza più ampia, che non ne condivide l’ancoraggio a un “credo” connotato ideologicamente,
o le modalità di espressione del dissenso.

    Questo tipo di partecipazione risponde ad un’istanza, quella di operare il cambiamento dello
status quo, tentando una riallocazione dei valori (per come determinata dal sistema politico, dalle
logiche economiche). È una contestazione che la gente fa delle elites dominanti e delle scelte
pubbliche, con riferimento alle logiche e ai contenuti delle decisioni, ai modelli culturali e di
sviluppo dominanti, nella rivendicazione di maggiore giustizia sociale ed equità, di un mutamento
nei rapporti di potere, di estensione dei diritti. La sfida sottesa è di ridistribuire capacità, autorità ed
influenza a favore dei partecipanti. Su questa base se ne sottolinea il carattere di azione politica vs,
cioè un azione politica, contro il pregiudizio negativo, diffuso anche tra gli studiosi, che male
intende queste forme di mobilitazione sociale come espressioni di antipolitica. I cittadini scoprono
infatti le loro proprie risorse politiche, che la partecipazione può sviluppare, con la formazione a
volte di nuove leadership.
    Scelte in materia di politica estera, ambiente, territorio, economia, educazione, sanità acquistano
grande rilevanza per il benessere sociale e la formazione dell’opinione pubblica, e su queste la
qualità della democrazia si gioca sensibilmente.
    I cittadini si mobilitano per avere voce e incidere, ad esempio, su:
    1) l’agenda politica-programmatica e istituzionale dei governi (rispetto a decisioni su: che cosa
fare o non fare, come fare, con quali priorità, secondo quale idea di interesse pubblico), alle varie
scale territoriali e livelli di articolazione (un effetto della mobilitazione è, dunque, l’inserimento o la
fuoriuscita di una questione dall’agenda, o la revisione delle priorità di agenda; la conquista di
nuovi spazi di rappresentanza delle componenti sociali; interventi di carattere redistributivo a favore
delle categorie più svantaggiate e con benefici per le comunità più ampie);
    2) la selezione della classe politica e dirigente (possono essere in discussione le modalità di
scelta e selezione dei candidati politici; può essere una domanda di ricambio generazionale, di
nuove e diverse competenze e approcci per la politica e il governo);
    3) il godimento di beni comuni, che corrono il rischio di essere erosi da logiche economiche,
meccanismi di finanziarizzazione complessi e difficili da controllare, rendite (vedi, recentemente, in
Italia, la battaglia per l’acqua come bene comune; ma anche le polemiche sulla marketizzazione
della gestione di servizi pubblici da parte di enti pubblici in società partecipate; non per ultimo, il
rischio di perdite di soldi pubblici di Comuni che avevano investito quote anche significative di
patrimonio in pacchetti diversificati, tra cui obbligazioni emesse da banche d’affari internazionali –
il caso più noto è forse quello connesso al fallimento di Lehman Brothers).
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    Le mobilitazioni che hanno luogo (costituzione di comitati di protesta; manifestazioni;
occupazioni; ampie iniziative di raccolta firme; azioni mediatiche, attivazione dei social network;
etc.), agite “dal basso”, sono guidate da quella che si definisce razionalità dei valori, più che
strumentale (per quanto, non siano affatto prive di strategie di organizzazione e di tattiche di lotta e
di negoziazione, che spesso invece i gruppi inventano creativamente). Per questa stessa ragione
sono difficili da gestire e tenere sotto controllo, e mettono a disagio il politico che, quando non le
ascolta, non è in grado di capirle, per cui finisce con l’alimentarle e il farle esplodere (quando, ad
esempio, agisce cercando di marginalizzarle, bollandole come espressioni di componenti sociali
irrazionali, di disordine sociale provocato da minoranze che non rappresentano l’universo sociale;
finché, se hanno successo popolare e minino il consenso, si pone il problema di trattarle).
    Periodicamente i governi democratici hanno avuto a che fare con tali insorgenze e hanno
risposto con provvedimenti distributivi e redistributivi, improvvisando varie strategie di trattamento
del dissenso e della contestazione (integrazione, inclusione, incorporamento, manipolazione, etc.)3.
    La “partecipazione contro” produce pubblico nel senso della costruzione di problemi come
pubblici (fa emergere questioni che non godono sufficiente attenzione pubblica e alimenta dibattito,
sensibilizza l’opinione pubblica) e nel senso della costruzione di un pubblico per i problemi (con
riferimento alla attivazione e mobilitazione di soggetti, istituzionali e non, attraverso la
partecipazione). Inoltre, produce valore pubblico – agendo una riappropriazione dei beni comuni e
una risignificazione dei beni pubblici, come beni-in-comune.

2.2.     La partecipazione come esperienza di democrazia e formazione di virtù civiche

    Può la partecipazione educare alla democrazia?
    (tesi nota) La partecipazione attiva alimenterebbe lo sviluppo della cultura civica e della cultura
politica, nei termini di accrescimento del capitale cognitivo dei cittadini e di empowerment dei
destinatari delle decisioni. Rispetto a quest’ultima componente, per quanto alcuni programmi
partecipativi l’abbiano eletta ad obiettivo principale e in un certo senso ne abbiano rivisitato l’idea
di fondo con una qualche originalità, non si tratta certo di una novità dei tempi moderni.
    “Far partecipare” è un modo per costruire l’infrastruttura mentale della cittadinanza democratica
(good citizens); per le classi politiche e dirigenti è esercizio e pratica del confronto democratico
(formazione della virtù dei governanti: good leaders). Tale tesi è sostenuta, in particolare, da coloro
i quali associno l’idea del buon governo con l’esistenza di cittadini attivi nella vita politica e
sociale, il rendimento istituzionale con la disponibilità di capitale civico e sociale, la formazione
delle virtù dei governanti con l’esercizio di funzioni pubbliche.

3
  In Francia, ad esempio, gli interventi del governo nazionale per la riqualificazione delle periferie degradate, il
contrasto alla segregazione sociale e razziale nei ghetti delle città, seguono all’ondata di moti, scontri, episodi di
violenza urbana registratisi all’inizio degli anni ’80, con vasto risalto nell’opinione pubblica nazionale. In quei
programmi di intervento il coinvolgimento degli abitanti è considerato strategico per il trattamento dei conflitti.

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   Da questa prospettiva, la partecipazione ha una funzione pedagogica rispetto alla cittadinanza e
può contribuire all’approfondimento della qualità democratica di un sistema politico aumentando le
capacità politiche, la riflessività e il grado di responsabilizzazione di governanti e governati. Si
tratta di una partecipazione intesa come pratica non incidentale, ma esercizio della democrazia; essa
costituisce “a state of mind” (Richardson, 1983), con enfasi sul carattere associato e collettivo, e
perciò stesso interattivo e di apprendimento, dell’esperienza partecipativa.

    Tuttavia, sull’effettiva educabilità della cittadinanza alla democrazia gli studiosi si sono divisi,
storicamente, tra sostenitori delle capacità di autogoverno dei cittadini, che andrebbero alimentate
secondo principi di interesse generale e un coinvolgimento diretto alla vita politica e alla gestione
dei beni comuni (da Tocqueville a Dewey), e sostenitori della scarsa razionalità e competenza dei
cittadini ordinari per la vita politica (in quanto auto-interessati, impulsivi, manipolabili e malleabili,
facili alle derive ideologiche), nella sfiducia rispetto alla formazione di un’opinione pubblica
informata e consapevole. Questa concezione mette al riparo dai rischi che numeri alti di
partecipazione popolare depongano una forma elitaria del governo democratico, basata su pochi
attivi che governano i molti, apatici. La non-partecipazione promuoverebbe la “stabilità” del
sistema democratico, evitando che per troppa democrazia intensi conflitti scoppino, distruggendo la
democrazia stessa.

2.3 La partecipazione come tecnologia strumentale al processo di governo

    La partecipazione nella strategia del governo riformista4 emerge come una nuova issue politica,
funzionale alla necessità dei governi di dotarsi di strumenti in grado di anticipare o gestire problemi
di efficienza decisionale e efficacia delle politiche, indotti da conflitti paralizzanti o dalla difficoltà
di capire le nuove domande sociali e soddisfare i bisogni della cittadinanza.
    La promozione di percorsi strutturati di coinvolgimento delle comunità locali (abitanti,
organizzazioni della società civile), “mossi dall’alto” (da istituzioni di governo, pubbliche
amministrazioni), è dunque, in questa strategia, finalizzata a due obiettivi principali:
    1)     alla verifica e/o formazione preventiva del consenso sociale su determinate scelte
           politiche. Questa prospettiva è efficace se si parte dal presupposto che la costruzione e il
           mantenimento del consenso costituisca un fattore determinante per la stabilità dei sistemi
           democratici. I sostenitori di questa posizione affiancano all’avversione per il conflitto
           l’ostilità per la complessità decisionale, che considerano una minaccia ai fini

   4
      Il punto di partenza è la constatazione degli effetti indesiderati dell’espansione della sfera del welfare state, che
hanno reso più difficile per i governi mantenere il controllo e il contatto con le domande sociali (Richardson 1983). Da
un lato, il proliferare di settori di attività e di intervento statale ha diminuito drasticamente la possibilità per il singolo
cittadino di far sentire la propria voce, di avere parte e di incidere sui processi di decisione, mostrando i limiti di
efficacia della democrazia rappresentativa; dall’altro, il numero e la natura delle questioni con cui lo stato è venuto a
che fare ha reso ancor più necessario dare rappresentazione al punto di vista dei destinatari delle politiche e dei servizi,
e in generale dei cittadini ordinari. Disporre di strumenti e di tecniche efficaci di ascolto dei bisogni e delle istanze dei
cittadini diviene una priorità per il governo.

Panel 1 – contributo di Francesca Gelli                                                                         pag. 9
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                                        Fachkonferenz 01.-02.12.2011 in Berlin

           dell’efficienza delle politiche: “la partecipazione funziona (ed è per questo desiderabile)
           proprio in quanto permette di ridurre (di aggirare?) la complessità” (Fareri 2009: 208).
    2)     all’utilizzo delle competenze del cittadino, che può esercitare un importante ruolo di
           advising (Gangemi 2009) e analista (Wildavsky 1987) in virtù della sua conoscenza
           esperta (ovvero, fondata sull’esperienza) dei problemi sociali nei contesti in cui vive e
           agisce.
    In entrambi i casi la partecipazione si sviluppa nella fattispecie di una tecnica, incorporata nelle
pratiche e nelle logiche di governo, che diviene parte a pieno titolo della scienza
dell’amministrazione e del governo, nella ricerca di formule partecipative standardizzabili e
formalizzate.
    Il problema progettuale da risolvere è quello degli strumenti di partecipazione e della
individuazione delle tecniche di coinvolgimento più efficaci (su questo, si è sviluppata una ampia
domanda di expertise).

     Si è determinata una crescente istituzionalizzazione e tecnicalizzazione della partecipazione,
con repertori di “buone pratiche” e un apparato di tecnologie sofisticate, da parte degli esperti di
partecipazione (si profilano nuove figure professionali: progettisti, facilitatori, mediatori, animatori)
e da parte della “cittadinanza attiva”, sempre più organizzata e competente. Il che pone vari
problemi. Da un lato, cresce il peso dei saperi tecnici; sono inoltre i tecnici che predispongono il
framework partecipativo e influenzano in misura consistente l’issue framing, ovvero la
strutturazione del problema di policy (in un certo senso, questo è “il più subdolo dei poteri di
agenda”); dall’altro, quanto al presupposto candore dei partecipanti rispetto ai grovigli della
politics… si è a fronte di comunità specializzate e altamente selettive, che innalzano steccati
rispetto ai cittadini ordinari” (Regonini 2005). Sono quelli che Bang (2005) definisce expert
citizens, ovvero cittadini che esercitano professionalmente la loro capacità di partecipare, negoziare
e cooperare con politici, amministratori, gruppi di interesse, media, dando luogo spesso a canali
preferenziali, reti di scambio, con la formazione di nuove lobby e fenomeni di esclusione dei
cittadini ordinari. Queste forme di cittadinanza esperta manifestano un’intrusione, di fatto,
dell’autorità politica nella società civile e non qualcosa di socialmente autonomo da quella autorità
(come ci si aspetterebbe dalle reti di volontariato, dall’associazionismo, etc.).

3. L’esperienza partecipativa della Regione Puglia come studio di caso

   La riflessione che segue combina apprendimenti sviluppati in lavori di analisi empirica e in
un’esperienza di osservazione partecipante e progettazione di politiche partecipative nella Regione
Puglia durante il governo di Nichi Vendola5. Quest’esperienza si offre come studio di caso

5
 Ho in precedenza analizzato le primarie svoltesi nel 2005 e nel 2010 per la selezione del candidato di centro-sinistra
da presentare alle elezioni politiche regionali per la carica di Presidente (Gelli, 2006; 2010) e ho collaborato per due
anni come consulente dell’Assessorato alla Cittadinanza Attiva e Trasparenza (prima Giunta Vendola). Cfr. note 13, 14.

Panel 1 – contributo di Francesca Gelli                                                                  pag. 10
Va bene?! Die deutsch-italienischen Beziehungen auf dem Prüfstand
                                        Fachkonferenz 01.-02.12.2011 in Berlin

paradigmatico per discutere le tre dimensioni della partecipazione che abbiamo introdotto e per
tematizzare l’ambivalente alleanza tra discorso politico del centro-sinistra e il tema della
partecipazione attiva dei cittadini.

   Le primarie del 2005 in Puglia sono un buon esempio di trattamento ambivalente della domanda
di partecipazione e di rinnovamento della politica. In esse si incontrano il linguaggio, la cultura e le
strutture dei partiti e la cultura popolare, la domanda anche un po’ confusa di partecipazione dei
cittadini alla politica.
   Queste elezioni primarie hanno costituito un precedente importante, di innovazione, non tanto per
quello che erano in origine (una formula a metà strada tra il vecchio e il nuovo) ma per quello che
sono diventate. In particolare, sono state espressione di un movimento di ‘partecipazione contro’ –
contro la separatezza del ceto politico, contro la passivizzazione della cittadinanza. Hanno acquisito
i tratti di una politica simbolica, giocata nelle piazze quanto mediaticamente, di risignificazione
radicale dei rapporti tra società politica e società civile e di sovvertimento delle logiche decisionali
espresse dalla classe dirigente del centro-sinistra (da cui, i fraintendimenti e l’accusa di
‘antipolitica’). È il modello culturale e di sviluppo dominante che viene contestato. Tra gli esiti noti,
vi è quello dell’emersione di un nuovo leader sulla scena politica regionale e nazionale.
   L’analisi delle primarie pugliesi introduce, inoltre, un tema importante: l’alimentarsi reciproco di
partecipazione dei cittadini, primarie e politiche pubbliche, intese come processi di produzione di
beni comuni. La partecipazione, infatti, come movimento ‘dal basso’ – cioè, mobilitazione sociale –
e come azione istituzionale e comunicativa del nuovo leader, è stata intesa nella sostanza come
partecipazione alla produzione delle politiche pubbliche (Gelli 2006; 2010). È su questo terreno che
si è espressa la domanda di ‘più democrazia’ da un lato, il ‘sogno del buon governo’, dall’altro.
   Da ciò consegue che analizzare le primarie pugliesi solo come vicenda elettorale e, dunque, con
gli esclusivi strumenti dell’analisi elettorale, come in vari studi è stato proposto, presenta il rischio
di una comprensione parziale o fuorviante del fenomeno partecipativo.
   Ricordiamo brevemente i nodi della vicenda.
   Nel 2005, la posta in gioco era l’individuazione del candidato del centrosinistra capace di sfidare
il Presidente di centro-destra uscente e ricandidato, Raffaele Fitto. Dopo un periodo di tentativi di
mediazioni e di accordi falliti sulle candidature6, il confronto avveniva con toni polemici tra
Francesco Boccia7, sostenuto da Margherita e Ds, e Nichi Vendola, proposto da Rc, ovvero da un
partito di minoranza nello schieramento di centrosinistra. Contro le aspettative dei gruppi dirigenti
dei partiti, locali e nazionali, Vendola vinceva le primarie (con 40.358 preferenze). L’esito spiazzò e

  6
     La proposta delle primarie come metodo democratico per la selezione dei candidati era stata avanzata
precedentemente per le elezioni del sindaco di Bari dall’Associazione “Città Plurale”, costituitasi a Bari nel 2001 con
l’obiettivo di favorire l’esercizio della cittadinanza attiva, in risposta all’autoreferenzialità della politica e al venire
meno dello spazio pubblico nella città (Chiarello 2005: 122).
   7
     Giovane deputato e professore di Economia Aziendale, neoassessore all’Economia della Giunta Emiliano al
Comune di Bari.

Panel 1 – contributo di Francesca Gelli                                                                     pag. 11
Va bene?! Die deutsch-italienischen Beziehungen auf dem Prüfstand
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divise, per la scarsa rappresentatività del risultato, in termini di consultazione della popolazione8,
per la valutazione negativa, da parte di molti, della effettiva rappresentatività del candidato e della
sua competitività rispetto al candidato del centrodestra (così si esprimevano esponenti illustri dei Ds
e Margherita, ma anche noti analisti politici come Giovanni Sartori). Contro ogni previsione,
tuttavia, Vendola vincerà le elezioni regionali9.
   Tra le ragioni del suo successo, sottovalutate dagli analisti, troviamo fattori di contesto e di
strategia politica – in primis, l’avere intercettato la forte domanda partecipativa che emergeva dai
territori e la credibilità della sua immagine a sostenere la partecipazione dei cittadini come (nuovo)
metodo per le decisioni politiche regionali.
   Tra il 2002 e il 2004 la Puglia veniva infatti scossa da accese proteste popolari, associate a forti
rivendicazioni di cambiamento, che sortivano un effetto mediatico tale da sorprendere la classe
politica dirigente, impreparata ad affrontare una cittadinanza attiva, capace di organizzarsi.
   In discussione sono gli effetti indesiderati di politiche pubbliche, in particolare di decisioni e non
decisioni che venivano prese ad impattare lo spazio di vita quotidiano della gente, generando
disagio e insicurezza. Emergono problemi relativi all’erogazione di servizi primari, alla
conservazione dell’ambiente, questioni di giustizia sociale, che intaccano la disponibilità e fruizione
di beni pubblici, (sanità, educazione, lavoro, aria, acqua, energia etc.) mettendo a rischio il
benessere individuale e collettivo. Alcune proteste, a grande partecipazione popolare, sono in
reazione a politiche attuate dalla Regione10.
   Una comunità riunita e compatta lotta organizzata contro ecomostri, contro scelte localizzative di
natura governativa di funzioni pericolose per la salute, formulate superficialmente, contro politiche
di tagli per progetti di razionalizzazione dei servizi sanitari concepiti “a tavolino”, contro turni di
fabbrica massacranti11. In Puglia non ci sono i venti della protesta leghista, non ci sono i grandi
numeri dell’associazionismo del Nord-Est, ma la popolazione scende nelle piazze, si unisce in
marce, occupa stazioni e fabbriche, siti destinati allo smaltimento di scorie nucleari in aree che sono
poli agroindustriali, etc., sostenuta da sindaci e rappresentanti delle categorie economiche, spesso
trovando la solidarietà nazionale.
   Dalla cittadinanza attiva emerge una domanda di partecipazione, inascoltata dai livelli di
governo, che sancisce una voglia di discontinuità con il passato.
   Vendola per la sua storia di vita e politica era apparso credibile, e molto competitivo, proprio sui
temi che mettevano più in difficoltà il governatore uscente. La leadership proposta da Vendola ha
radici in una militanza dedicata alla frequentazione non solo degli ambienti e degli apparati dei
partiti ma anche dei territori delle proteste, della partecipazione popolare e di gruppi espressione di

  8
      Il 16 gennaio 2005 votarono alle elezioni primarie 79.296 cittadini pugliesi, circa il 6% degli elettori di
centrosinistra e poco più del 2,2% degli aventi diritto al voto.
   9
     Con il 49,8% delle preferenze, dunque con uno scarto minimo, ma ottenendo molti più voti rispetto a quelli della
coalizione che lo sostiene, che è composta di ben 11 liste: Ds, Socialisti Aut.- Psdi-Rep, Lista Primavera, Margherita,
Comunisti Italiani, Sdi-Unità socialista, Udeur-Popolari, Verdi, Rc, Pensionati, Dcu.
   10
       In particolare, il Piano di riordino ospedaliero, che rispondeva all’esigenza di razionalizzare, con tempistiche
strette, la spesa regionale e la gestione dei servizi sanitari in adeguamento agli obblighi di legge (DL n° 299 del 1999,
detto riforma Bindi).
   11
      Per un approfondimento della vicenda vedi Gelli (2006).

Panel 1 – contributo di Francesca Gelli                                                                   pag. 12
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idee di minoranza, fianco a fianco con i soggetti dell’esclusione sociale, a contatto con i più deboli,
i lavoratori, nell’impegno per la legalità, contro l’organizzazione mafiosa, gli abusivismi – difficile
immaginare in Puglia, negli ultimi trent’anni, una battaglia dove non fosse stato presente. Sono
questi i luoghi che Vendola considera strategici nel progetto politico e la cui conoscenza sostanzia il
pensiero delle riforme. Nella sua agenda uno spazio centrale è dato al coinvolgimento di cittadini e
attori economici, sociali e al concreto ascolto delle domande di partecipazione, ad una progettazione
delle politiche (a partire da quella sanitaria) basata sul partenariato interistituzionale e sulla
concertazione territoriale. Proprio questa pratica politica, tuttavia, lo rende presto un’anomalia agli
occhi degli apparati e dell’establishment dei partiti di centrosinistra, che lo vedono come “un
errore”, una deviazione verso il populismo, per quanto fruttifera sul piano dei consensi.
    È anche un movimento delle idee, contro le letture stereotipe del Sud d’Italia, visto come area
omogenea e perciò stesso “target” di interventi concepiti secondo logiche standardizzanti, che
eleggono a modello di sviluppo da imitare quello del Nord Italia e del Nord Europa, caldeggiando
l’assistenza statale, la dipendenza da Roma, dagli investimenti del capitale del Nord. La vocazione
di frontiera e l’apertura alla meridianità viene riscoperta come carattere identitario possibile: riaprire
la prospettiva al Mediterraneo, che simbolicamente rimanda ad un’idea di cooperazione e
coabitazione tra culture differenti, può essere giocata come occasione per l’Italia e per l’intera
Europa. Il riaffiorare dell’attenzione politica e sociale al nesso tra Mezzogiorno e Mediterraneo è
parte di una strategia che ripensa la geopolitica dell’Occidente, inserendosi nell’ambito del processo
di Allargamento dell’UE, individuando una via autonoma ed endogena allo sviluppo regionale.
    In questa prospettiva bisogna leggere l’iniziativa intrapresa da Vendola che, una volta Presidente
della Regione, si fa promotore di un coordinamento delle Regioni del Mezzogiorno, per definire una
politica della cooperazione internazionale unitaria, aperta al Mediterraneo.
    Sul fronte dei Fondi Strutturali 2007-13, invece, Vendola inaugura una stagione nuova,
all’insegna della partecipazione e del massimo coinvolgimento dei cittadini pugliesi sin dalla fase
della programmazione delle scelte di investimento e della elaborazione del Piano Strategico
Regionale. A tal fine, si gioca anche la carta dell’autonomia organizzativa di cui godono le regioni,
che apre a corsie differenziate, sul piano non soltanto della capacità e velocità di adeguamento alle
riforme ma anche dell’innovazione organizzativa (Baldi, 2006). L’Assessorato regionale alla
Trasparenza e Cittadinanza Attiva,12 istituito per dare continuità istituzionale e risposta concreta al
movimento partecipativo e alle istanze della cittadinanza attiva, intraprende un percorso di
coinvolgimento della popolazione locale, avvalendosi di varie tecnologie e strumenti (forme di e-
democracy; incontri su tutto il territorio regionale rivolti agli studenti universitari, alle associazioni
di promozione sociale, ai Comuni, etc.), raccogliendo con successo idee e proposte di progetti da
realizzare nel quadro della Programmazione 2007-13. Il dibattito pubblico su quale modello e
obiettivi di sviluppo sostenere, diviene il cuore della progettazione della politica dei Fondi
Strutturali e della definizione dell’agenda regionale e delle priorità strategiche13.

  12
     Si tratta del primo Assessorato Regionale in Italia dedicato alla partecipazione dei cittadini.
  13
     Come consulente al processo partecipativo, in quest’ambito, ho collaborato alle iniziative dell’Assessorato alla
Cittadinanza Attiva rispetto al coinvolgimento delle reti civiche, dell’associazionismo, delle realtà comunali,

Panel 1 – contributo di Francesca Gelli                                                               pag. 13
Va bene?! Die deutsch-italienischen Beziehungen auf dem Prüfstand
                                         Fachkonferenz 01.-02.12.2011 in Berlin

   Iniziative di questo tipo vengono estese ad altri versanti della programmazione regionale – dalla
legge per la tutela delle coste a quella per lo sport, per la trasparenza della pubblica
amministrazione, al nuovo Piano della Salute14, ai programmi di riqualificazione delle periferie, alle
politiche giovanili, alla pianificazione del paesaggio. L’approccio partecipativo alla costruzione e
valutazione delle politiche regionali diviene il tratto caratterizzante della nuova politica regionale, al
fine di: “accogliere e tradurre, ben dentro le geometrie pesanti della politica e del governo, il
senso di quella inaudita domanda di partecipazione democratica che ha fatto della Puglia un
laboratorio e un punto di riferimento del dibattito nazionale” (Vendola 2005).
   La Puglia diviene un laboratorio delle politiche partecipative e dell’innovazione istituzionale –
studiatissima dagli esperti, discussa da altri politici coinvolti nel governo di regioni – con qualche
esito di successo. La politica partecipativa di maggiore interesse, e tutt’oggi attiva, è quella dei
“Bollenti Spiriti”, un programma di politiche giovanili concepito secondo vari ambiti di azione: da
interventi di riqualificazione urbana, definita come operazione infrastrutturale materiale al servizio
della creatività e del protagonismo giovanile (vengono recuperati e riutilizzati spazi urbani e edifici
dismessi, sono 132 i fabbricati interessati da interventi, 165 i Comuni coinvolti, per un investimento
complessivo di 50 milioni di euro; nascono i Laboratori urbani, la cui gestione con bando pubblico

universitarie e del più ampio pubblico nel territorio regionale (sono stati raccolti 631 contributi scritti; di particolare
utilità è risultato un forum di discussione, attraverso l’apertura di un sito internet, per settori di policy; sono stati
organizzati 40 incontri nel territorio regionale). La consultazione dei portatori di interessi organizzati (categorie
economiche; rappresentanze istituzionali) veniva condotta in parallelo dall’Assessorato alla Programmazione e alle
Politiche Comunitarie, responsabile della stesura del Piano e dotato di una cabina di regia di esperti che, di seguito,
sono stati utilizzati come valutatori dei progetti presentati per il finanziamento regionale. Questa suddivisione del lavoro
e ambiguità dei ruoli ha generato vari problemi, tra cui, il trattamento delle conoscenze e delle relazioni territoriali
prodotte dai due processi partecipativi (che, a un certo punto, per la loro constituency venivano targetizzati
sostanzialmente come “Hard” e “Soft”, dunque, con attribuzione di maggiore e minore peso e rilevanza ai fini della
stesura del Piano). Alla fine il Piano (unico esempio in Italia) è stato adottato con un Allegato, contenente una sintesi
dei contribuiti della Cittadinanza Attiva, con indicazioni operative per i vari ambiti di politiche, che si sono rilevati utili
nella fase successiva di definizione dei piani più operativi. A parte gli attriti interni, non sono mancate le critiche
dall’esterno a questo approccio. L’Assessore al Decentramento e Partecipazione della Regione Toscana (promotore
della Legge regionale sulla Partecipazione), ad esempio, ha definito l’azione di Vendola “populista”, per il contatto
diretto che si stabiliva con la cittadinanza, bypassando il sistema istituzionale delle rappresentanze territoriali (Comuni
,Province), responsabili della partecipazione dei cittadini.
    14
       Nota personale: sono stata coinvolta anche nella definizione del percorso partecipativo relativo al Piano della
Salute, in un contesto affollato di competenze tecniche e politiche, caratterizzate da approcci piuttosto diversi. Questo
coinvolgimento è quello che mi ha consentito di osservare più da vicino logiche territoriali e dinamiche organizzative
delle strutture regionali. Il tema della partecipazione veniva giocato in ambiti di policy making che costituivano una
grossa posta in gioco per il successo del governo regionale, per l’esposizione politica che implicavano, per la quantità
ingente delle risorse finanziarie in ballo, per le aspettative alte della gente. Rispetto al Piano della Salute, tuttavia, si
aggiungeva una dimensione imprescindibile, palese ad ogni tratto: quella etica. Su di una politica socio-sanitaria, infatti,
il nesso tra decisioni politiche e conseguenze per la qualità della vita della popolazione appare assai chiaro, tangibile,
fin dall’inizio; negoziazioni e compromessi si raggiungono spesso a caro prezzo e finiscono con il trasformarsi in costi
individuali e collettivi. Una volta coinvolti in questi piani di azione, se ci si rende conto di non potere di fatto incidere e
che, anche il processo partecipativo rischia non avere capacità di influenza, il rapporto di collaborazione diventa
difficile. Il ricercatore, infatti, nel processo partecipativo si fa attore, interagisce con i partecipanti e di qui nasce una
responsabilità che non è più solo tecnica-professionale. Devo dire che questa consapevolezza ha segnato negativamente
i conflitti che hanno avuto luogo sull’impostazione del piano e (su modalità e senso) dell’azione partecipativa. Come
dire, in altri termini, quello stesso osservatorio privilegiato ai fini della comprensione dei processi, è diventato piuttosto
scomodo; anche per la constatazione del peso ridotto che l’Assessorato alla Cittadinanza Attiva e Trasparenza veniva, di
fatto, ad avere nelle decisioni. Ad esempio, non è stato possibile far rientrare nel Piano della Salute il trattamento del
problema delle liste di attesa e dei territori più esposti a rischi ambientali e localizzazioni impattanti per la salute delle
popolazioni (il primo, perché doveva trovare uno strumento specifico di trattamento; il secondo, perché sostanzialmente
impolitico).

Panel 1 – contributo di Francesca Gelli                                                                        pag. 14
Va bene?! Die deutsch-italienischen Beziehungen auf dem Prüfstand
                                         Fachkonferenz 01.-02.12.2011 in Berlin

regionale è affidata a organizzazioni giovanili); all’iniziativa dei “Principi Attivi” (progetti ideati e
realizzati dai giovani stessi, dai 18 ai 32 anni organizzati in gruppi informali, a partire da nuove idee
per la tutela e valorizzazione del territorio, per lo sviluppo dell’economia, della conoscenza e
dell’innovazione, per l’inclusione sociale e la cittadinanza attiva; il finanziamento di ciascun
progetto è di 25.000 euro per un anno), da cui sono nate 287 associazioni, 114 imprese, 20
cooperative giovanili; a finanziamenti individuali per l’alta formazione (borse di studio per
frequentare dottorati e master, anche all’estero, con l’impegno poi di trasferire presso imprese o
amministrazioni della Regione le conoscenze apprese)15.
   Da questa prospettiva, la Puglia per un periodo viene vista come caso paradigmatico di
regionalizzazione in Italia e di ridefinizione dei rapporti centro-periferia; la creazione di nuove
arene per la cooperazione, la partecipazione e la maggiore vicinanza ai cittadini sperimentano una
forma di governance democratica a livello regionale che sembra capace di aumentare il grado di
legittimazione delle politiche (Grasse, Labitzke 2010). Sul fronte economico, la Regione ha
sostenuto importanti investimenti nella produzione di energia da fonti rinnovabili (in particolare,
energia eolica), nella ricerca e innovazione industriale, riscuotendo attenzione anche internazionale,
in alcuni settori di produzione16.
   Tuttavia, fattori di contesto e resistenze di vario tipo, interne alla macchina burocratica regionale
(personale tecnico, politico) e radicate in compagini territoriali, nelle condotte di soggetti economici
e sociali, nella classe politica locale (partiti), nelle culture locali, inficiano in buona parte la spinta al
cambiamento.
   Vendola sembra peccare di realismo nella sottovalutazione delle reazioni che la rottura di routine
decisionali, organizzative, amministrative provoca; dovrà così fare i conti con rimpasti di Giunta,
gestire imbarazzanti casi di corruzione, scandali, illeciti, giustificare lo scarso rendimento di alcuni
ambiti dell’amministrazione regionale nonché affrontare la crisi di alcuni ambiti di politica pubblica
(la pianificazione sanitaria resta una spina nel fianco e la stessa implementazione dei Fondi
Strutturali è un percorso accidentato).
   Caratteri di contesto, riferiti come “condizioni tipiche del Sud”, sembrano riaffiorare dunque
come vincoli non eludibili, condizionando pesantemente i progetti di rinnovamento.

    15
        Tra gli impatti dei Bollenti Spiriti, oltre che il successo realizzativi degli obiettivi specifici di policy, abbiamo un
effetto politico (la mobilitazione dei giovani funzionerà da detonatore della partecipazione e sostegno dei giovani nella
campagna elettorale del 2010, con l’apertura delle Fabbriche di Nichi Vendola); un effetto amministrativo
(consolidamento di una struttura di progettazione e gestione delle politiche giovanili, in Regione Puglia, fortemente
innovativa, nelle modalità di funzionamento e nelle competenze, che ha offerto l’opportunità di un ricambio
generazionale); un effetto sociale (produzione di capitale sociale territoriale).
   16
      La Puglia si colloca attualmente come grande produttore di energia da fonti rinnovabili, essendo passata negli
ultimi sei mesi del 2009 da terzo al primo posto in Italia per potenza installata, anche grazie ad una legge regionale (n.
31/2008), che ha consentito la semplificazione delle normativa (per installare piccoli impianti, sotto il megawatt di
potenza, è sufficiente presentare una Dichiarazione d’inizio attività ai Comuni, saltando gli uffici regionali; la risposta è
garantita entro trenta giorni). La gestione dei permessi a realizzare gli impianti è stata sostanzialmente affidata ai
Comuni. Non mancano, tuttavia, le contraddizioni di questa nuova spinta allo sviluppo. Imprese locali e nazionali sono
attratte dalla disponibilità di aree agricole non coltivate (nel Foggiano, nelle Murge baresi, nel Salento), ove installare
gli impianti. Questo aspetto solleva problemi rilevanti ai fini della tutela e conservazione del paesaggio, da un lato, dello
sfruttamento fondiario con fenomeni di rendita, dall’altro, con il rischio di reiterare meccanismi speculativi già
conosciuti in passato, nel ciclo edilizio.

Panel 1 – contributo di Francesca Gelli                                                                         pag. 15
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