PIANTE UTLIZZATE PER LA COSTRUZIONE DI CESTI E CANESTRI
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PIANTE UTLIZZATE PER LA COSTRUZIONE DI CESTI E CANESTRI di Carla Iafigliola e Mariarita Diamente Sin dall’antichità le piante sono sempre state utili all’uomo per cibarsi, per curarsi e per costruire tutti quelli utensili necessari alle attività quotidiane. Ancor oggi, come i nostri antichi ci hanno insegnato, è grazie alle piante che possiamo fare uso di scope, recinti, botti, manici, setacci, gioghi, supporti, cesti e canestri. In particolare è tuttora diffuso l’uso di costruire cesti e canestri, ossia l’arte dell’intreccio. Quest’arte è universalmente presente dalla preistoria , documentano i riferimenti mitologici e la stessa Bibbia: i resti del corpo di Osiride (Dio egiziano dell’oltretomba)raccolti in un cesto, i panieri utilizzati nelle feste in onore di Bacco, Mosè fu affidato al Nilo in un canestro. Da noi questa attività artigiana è stata sempre complementare al lavoro principale del contadino,che, nei ritagli di tempo, aiutato dai componenti della famiglia, si costruiva vari contenitori con il materiale che la natura donava.
MATERIE PRIME: La materia prima utilizzata nell’arte dell’intreccio viene raccolta a mano nella vegetazione circostante costituita da piante e arbusti tipici del luogo: CANNA DI PALUDE, LENTISCHIO, GIUNCO, MIRTO, PALMA NANA, VIMINE(SALICE), ASFODELO, OLMO E RAFIA. PIANTE CANNA DI PALUDE Unico genere delle Cannaceae, comprende circa 50 specie provenienti dall'America centro- meridionale, che possono raggiungere 1,5-3 m di altezza, tra le specie coltivate come piante ornamentalila più nota e ormai acclimatata nelle Regioni mediterranee italiane, che riesce a vegetare bene anche al settentrione, è la C. indica pianta rizomatosa con grandi foglie ovali- lanceolate, fiori, con particolari vistose corolle tubolari molto aperte, riuniti in tirsi terminali, portati da un fusto cilindrico e carnoso, tra le altre specie e varietà, ricordiamo quelle a fiori grandi derivate da incroci tra la C. indica la C. nepalensis e la C. discolor, con fiori variamente colorati di giallo, arancio, rosso con varie sfumature intermedie, a volte screziate e macchiettate con tonalità di colore contrastante, o con fiori simili alle orchidee; il fogliame molto decorativo è di vari colori dal verde chiaro o scuro al bronzo-rossastro.
LENTISCHIO: Arbusto cespuglioso o piccolo albero: arriva a 5 o 6 m; ha foglie picciolate sempre verdi, alterne e composte paripennate, con due-sei paia di foglioline oblungo-lanceolate lunghe circa 2-4 cm, coriacee, color verde chiaro, lucide nella pagina suoperiore e pallide in quella inferiore, con forte odore resinoso; è pianta dioica; i fiori sono in racemi ascellari, di colore rosso scuro; il frutto è una drupa rosso scura. Fiorisce in aprile-maggio; lo si trova nelle macchie, anche vicino alle coste. GIUNCO: Pianta erbacea comune in tutta Italia, vive in luoghi umidi, ai margini di stagni ed acquitrini. Il fusto cilindrico, alto fino a 150 cm, è simile alle foglie con le quali forma fitti ciuffi. I fiori sono raccolti in infiorescenze prodotte da un lato del fusto ad una certa distanza dalla sommità. Il frutto
è una capsula. Il suo nome deriva dal verbo latino jungere, cioè "legare", e rispecchia l'uso che si faceva di questa pianta, utilizzata per fabbricare ceste e legacci. MIRTO Il mirto è una pianta arbustiva della famiglia delle Myrtaceae, tipica della macchia mediterranea.L'abbondante e suggestiva fioritura in tarda primavera o inizio estate o la presenza per lungo tempo delle bacche (di colore nero bluastro o rossastro o rosso violaceo) nel periodo autunnale rendono questa pianta adatta per ravvivare i colori del giardino come arbusto isolato, allevato a cespuglio o ad alberello. L'utilizzazione più interessante del mirto come pianta ornamentale è tuttavia la siepe: in condizioni ambientali favorevoli è in grado di formare una fitta siepe medio alta in pochi anni. Le foglie, relativamente piccole, e la notevole capacità di ricaccio vegetativo lo rendono adatto a formare siepi modellate geometricamente con la tosatura, ma può anche essere allevato a forma libera e sfruttare in questo caso lo spettacolo suggestivo offerto prima dalla fioritura poi dalla fruttificazione. PALMA NANA:
La Chamaerops humilis, comunemente nota come palma nana, è l'unica specie del genere Chamaerops ( famiglia delle Arecaceae). È una specie tipica della macchia mediterranea. Il nome del genere fa riferimento alla morfologia della pianta (dal greco chamai=basso e rhaps=cespuglio). I greci la chiamavano Phoenix chamaeriphes, che significa letteralmente "palma gettata per terra". Si presenta come un cespuglio sempreverde che raggiunge normalmente altezze sino a 2 metri, ma può raggiungere l'altezza di alcuni metri. Il fusto è di diametro variabile (10-15 cm), ricoperto da un tessuto fibroso di colore bruno. Generalmente è corto, visibile solo negli esemplari vetusti. È ricoperto in basso dai residui squamosi delle foglie morte (con un diametro complessivo fino a 25-30 cm). Le foglie sono larghe, robuste, a ventaglio, rigide ed erette, sostenute da lunghi piccioli spinosi riuniti a ciuffi sulla sommità del fusto; di colore verde sulla pagina superiore e quasi bianco sulla pagina inferiore. Sono portati da infiorescenze a pannocchia, corte e ramificate, di colore giallo, con peduncoli brevi. È usualmente (ma non invariabilmente) una pianta dioica con fiori maschili e femminili su piante separate. I fiori maschili hanno 6-9 stami che sovrastano un calice carnoso, i fiori femminili racchiudono 3 carpelli apocarpici carnosi.I frutti sono drupe , globose o oblunghe, di lunghezza variabile (12-45 mm)con polpa assai fibrosa e leggermente zuccherina, di colore verde nelle prime fasi, successivamente giallo-rossiccio, marroni a maturità.È un tipico elemento della fascia più termofila della macchia mediterranea. È diffusa soprattutto in zone calde, vicino alle coste; predilige esposizioni soleggiate e teme il freddo intenso. In ambiente Naturale cresce principalmente su terreni rocciosi o sabbiosi.
VIMINE (Salix viminalis) Famiglia: Salicacee Etimologia: Il nome specifico allude al fatto che da esso si ottengono lunghi rami flessibili e intrecciabili, i vimini. Habitat: Comune in tutte le regioni d'Europa, vive anche nel nordest dell'Asia e dell'Himalaya. Portamento: Questo salice è un arbusto più che un albero e non viene capitozzato come gli altri salici per produrre verghe diritte. Alto normalmente 4- 5 m, può raggiungere al massimo i 10 m. Ha i rami lunghi e flessibili coperti da una corteccia gialla. Foglie: possono essere strettamente lanceolate o lineari, con margine irregolare e nervatura centrale giallastra; sono caduche, alterne, con corto picciolo, di color verde superiormente e argenteo per l'abbondante pelosità nella pagina inferiore. Fiori: sono riuniti in grossi amenti, hanno stami liberi . Frutti: sono capsule sessili, coperte di peluria Ambiente di coltura: ama i terreni freschi e umidi. Usi: Viene tagliato al livello una volta all'anno, in modo che possa produrre una massa di fusti lunghi e flessibili, detti vimini, ideali per le ceste da lavoro. In passato,c'era una grande richiesta di questo materiale per la fabbricazione di nasse per pesci e per aragoste, sedie innumerevoli altri oggetti,comprese le borse per la spesa. Ancora oggi, in Italia,il vimine viene coltivato anche se poco diffusamente e usato sia per rimedi terapeutici sia per la fabbricazione di ceste.
Come per gli altri salici, i rami del vimine, destinati alla lavorazione, vengono scortecciati o lasciati integri. L' operazione con cui si eliminano le ramificazioni laterali si chiama mondatura.Scelti e divisi secondo l' altezza, i vimini vengono affastellati; successivamente si pongono a macerare nell'acqua per riattivare il movimento della linfa fino al momento dello scortecciamento.Questa operazione può essere eseguita a mano o a macchina;entrambi i casi richiedono però la ripresa del movimento delle linfa. Mentre per il salice bianco è questo l' unico momento per scortecciarlo per il vimine si può in qualunque momento. Asphodelus Il genere Asphodelus comprende diverse specie di erbe alte note genericamente con il nome volgare di asfodelo, che ricalca a sua volta fedelmente l'antico nome greco di questa pianta, asphódelos.Gli asfodeli amano i prati soleggiati e sono invadenti nei terreni soggetti a pascolo eccessivo, perché le loro foglie appuntite vengono risparmiate dal bestiame.Il fogliame dell'asfodelo si presenta sotto forma di una rosetta di grosse foglie radicali, strette e lineari, con l'estremità appuntita.Dal centro della rosetta emerge uno stelo nudo che porta una spiga di fiori più o meno ramificata secondo le specie. La spiga è generalmente alta un metro o più.I fiori iniziano a sbocciare dal basso. Hanno sei tepali (cioè non esiste distinzione visibile tra petali e sepali, che hanno la stessa forma e lo stesso colore). Nella maggior parte delle specie, i tepali sono bianchi con una striscia scura al centro.
ATTREZZI UTILIZZATI NELLA LAVORAZIONE DEI CESTI: Gli attrezzi usati erano gli “sbuccini”, particolari utensili in ferro che servivano per sbucciare le canne, cioè per togliere loro le foglie; gli “squarrini” erano invece attrezzi sia in ferro sia in legno che servivano per dividere in più parti le canne e i salici. Occorrevano poi le cesoie (forbici da potatura)per tagliare i residui della lavorazione e per rifinire i cesti. LA TECNICA: le tecniche di lavorazione, attualmente conosciute, sono molteplici e variano in base alla materia prima disponibile e alle tradizioni proprie di ogni regione. In Abruzzo i cesti sono costruiti in vimini e in giunco. Un canestro particolare è la fruscelle di giunco per ricotte e formaggi. Con l’approssimarsi della stagione invernale, autunno inoltrato, si dà luogo alla potatura delle piante di salice da vimini quindi alla raccolta e selezione dei vimini che possono essere di varie specie.Nelle piovose giornate invernali, o meglio, quando i primi fiocchi di neve dipingono di bianco i campi, vicino al focolare il contadino, munito di forbici e coltello a serramanico, comincia
la spruatura dei vimini ovvero la pulitura di ogni singolo vimine per la lavorazione.Vengono scelti per primi i “piroli”, che rappresentano l’ossatura orizzontale della base del cesto. Il loro numero varia a seconda della grandezza del cesto, in genere 8 - 10 unità. Incastonati tra loro, a forma di croci, vengono abilmente e pazientemente modellati intessendovi i vimini attorno, fino ad assumere una forma di raggio chiamato fondo. La fase successiva consiste nel conficcare attorno al fondo un numero di vimini di spessore maggiore rispetto a quelli usati per la tessitura del fondo numericamente pari al quadruplo del numero dei piroli, 40. Piegati all’insù e legati assieme, otteniamo un imbuto, ossatura verticale, su cui andremo ad intessere le calelle, canne opportunamente selezionate, stagionate, sbucciate e spaccate finemente. La fase finale, consistente nella modellatura del bordo o lappo e relativi manici, è molto importante e delicata: infatti un bordo ben elaborato, armonizza l’aspetto estetico, ed offre maggior resistenza all’oggetto.Per quanto concerne i tempi di lavorazione possiamo dire che il tempo occorrente per realizzare un cesto della capacità di 5 kg di uva o di olive occorrono circa due ore. BIBLIOGRAFIA: WWW.WIKIPEDIA.IT WWW.ARSIA.TOSCANA.IT WWW.RACINE.RA.IT WWW.REGIONE.ABRUZZO.IT WWW.FREEHOST.SIXULDNET.COM
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