OSɹƎɅUI RIBALTARE IL PUNTO DI VISTA - RACCONTI DALLA 1R - IIS ALBERT EINSTEIN
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© 2020 I libri di Click! Giornalino IIS EINSTEIN Vimercate IIS ALBERT EINSTEIN Via Adda 6, 20871 Vimercate (MB) Codice Fiscale 94060670158, Codice Meccanografico MIIS10600B I Edizione giugno 2020 Immagine di copertina di Giorgia Edgecombe Immagine di seconda copertina e illustrazione finale di Federico Boscherini 3
Indice 5. C’È QUALCUNO NELLA CANTINA di Susanna Angelica Ventura 6. MAGARI SIAMO UGUALI di Laura Vanzulli 7. CAPODANNO di Andrea Valtolina 9. DUE GEMELLE INSEPARABILI di Carlotta Stoccoro 11. BASTA ASPETTARE... di Giorgia Schiavone 12. UN ESSERE SCONOSCIUTO di Marta Redaelli 13. IL MOSTRO di Francesco Ravastini 15. DIVERSI MA NON TROPPO di Eleonora Pometti 16. NATO SBAGLIATO di Matilde Pellegrini 17. L’ASSALTO ALLE SENTINELLE di Elisa Nitro 18. L’AMICO GATTO di Aishabibi Naregeyeva 20. IL LEONCINO di Cesare Ariberto Maria Mignoli 21. IL PRATO di Iulia Maria Matei 22. L’INTRUSO di Elisa Guntri 24. PRIMA DI CHIUDERE GLI OCCHI PER SEMPRE… di Giada Granatino 25. IL GIRASOLE di Laura Giovani 26. NOSTALGIA di Giorgia Edgecombe 28. PER UN LITRO DI LATTE di Gabriele Durante 30. LO SPECCHIO INNAMORATO di Miriam Di Natale 33. IN SCENA di Adele Diamante Colombo 35. IL FIORE ROSSO di Leonardo Cazzaniga 37. UN PO’ DA SOLO di Rebecca Brambilla 39. NON LO POTRÒ MAI CAPIRE di Tommaso Brambilla 40. IL GIUDIZIO di Federico Boscherini 42. TEMPESTA DI NEVE di Aurora Balconi 43. LA SENTINELLA di Fredric Brown 45. Antefatto 4
C’È QUALCUNO NELLA CANTINA Era da un po’ che si parlavano. Non di persona, certo. Quel bambino aveva lasciato un walkie-talkie nella cantina. Era così che si parlavano. Discorsi superficiali erano i loro, si parlavano del più e del meno. Ma un giorno il bambino volle conoscerlo. Voleva parlare di persona con colui con il quale condivideva i suoi discorsi. Scese in cantina. Era un locale piccolo, non c’erano porte: doveva per forza vederlo, subito appena sceso. E così fu. Vide una creatura orribile, così diversa da lui. Descriverlo e descrivere le loro differenze non basterebbe. Cacciò un urlo che lo fece svegliare e rotolare giù dal letto. Era tutto un sogno, sì, ma anche adesso, quando è solo in cantina, ha ancora paura che quel bambino, con il corpo così definito, senza neanche un po’ di melma addosso, con solo due occhi e solo quei due tentacoli che usava per camminare, stando perfettamente in piedi, venisse a fargli visita. Susanna Angelica Ventura 5
MAGARI SIAMO UGUALI Sono sempre qui. Giro, giro e rigiro. Tutto il giorno, e anche quello dopo. Sono ricoperto da una strana sostanza che mi penetra attraverso due tagli che sento aprirsi e chiudersi, ma non vedo. Se mi scopro da questa sostanza mi affanno, divento tutto secco, e ho paura; mi conviene non uscirne. Non ho il tatto, non capisco quindi cosa sia questa parete; ma riesco a vedere cosa c’è fuori: l’esterno è diverso da dove sono io, c’è arredamento e tutto è più in grande. Non ho bisogno di tanto, niente primo e secondo, mangio quattro pezzetti di non so cosa al giorno. Me li portano delle figure spaventose grandi almeno cinquanta volte me. Mi fanno tanta paura. L’unica cosa che posso fare è nascondermi dietro questa graziosa pianta. Ogni tanto, quando inizia a diventare opaca e giallina, mi cambiano la strana sostanza dentro la quale vivo. Ora vedo altra sostanza rovesciarsi dall’alto. Dentro c’è qualcos’altro. Oh, è caduto dentro con me. Come è strano: è rosso e ha gli occhi a palla. Ha i tagli sui lati che forse ho io. Più in basso ha delle “cose” come piccoli veli graziosi. Il più grande si trova opposto al volto, dietro. Li muove e lui si muove. Su tutto il corpo ha dei triangolini lucidi. È molto bello! Mi sta guardando con la stessa espressione che credo di avere io. Magari siamo simili d’aspetto. Magari siamo uguali. Laura Vanzulli 6
CAPODANNO Lì, sdraiato sul divano, immerso nei miei pensieri, mi auguravo che quella tortura luminosa finisse presto. Straordinari razzi luminosi di ogni tipo e colore partivano dal terreno scagliandosi nel cielo e, appena erano abbastanza alti, esplodevano nell’oscurità scagliando da ogni parte piccoli frammenti colorati. Con la coda in mezzo alle gambe mi rannicchiai tra i cuscini mentre le orecchie mi esplodevano con tutto quel frastuono, tutto quel rumore. Ogni anno si ripeteva la stessa storia: razzi colorati. Rumori, scoppi, frastuoni e la mia solita paura. Ma lì, sdraiato sul divano, immerso nella paura, sentii una calda e soffice zampa accarezzarmi la schiena. Non era come la mia, era rosa, senza peli e con cinque dita simili a salsicce. Mi lasciai coccolare. I miei peli marroni tornarono morbidi e setosi, la coda incominciò a muoversi, le orecchie mi si rizzarono in piedi e in un gigante spettacolo di luci tutto quel dolore svanì, mentre leccavo la faccia del mio padrone. Andrea Valtolina 7
DUE GEMELLE INSEPARABILI Siamo due sorelle gemelle uguali in tutto per tutto, inseparabili fin dalla nascita, abbiamo trascorso tutta la nostra vita insieme l’una a fianco all’altra. Abbiamo vissuto mille avventure, scalato montagne e macinato chilometri, nulla sembrava fermarci. Ci siamo godute in pieno tutte le stagioni, sfidato il freddo e la pioggia in autunno, il gelo in inverno e le roventi giornate d’estate, quando anche l’asfalto sembra liquefarsi sotto i piedi. Abbiamo viaggiato molto, visto paesaggi incantevoli che mai avremmo pensato di vedere. Ora gli anni si fanno sentire. È brutto ammetterlo, ma purtroppo siamo diventate vecchie e malconce. Trascorriamo le nostre giornate relegate al chiuso insieme ad altre gemelle ‘‘destra’’ e ‘‘sinistra’’ che hanno preso il nostro posto. Con malinconia ripensiamo al giorno in cui è iniziata la nostra avventura, lo ricordiamo come fosse ora. Eravamo chiuse al buio da giorni, forse mesi, in una scatola di cartone, quando all’improvviso ci svegliammo dal nostro torpore: due enormi occhi blu ci stavano scrutano desiderosi di comprarci e così fu! Diventammo le compagne di viaggio di Tommy, un ragazzo di bella apparenza e appassionato di trekking e di sport in generale. I primi tempi si prendeva ossessivamente cura di noi, aveva speso tutte le sue paghette pur di averci ai suoi piedi e ci teneva molto a mantenerci pulite e in ordine, anche perché sapeva che i suoi genitori non gliene avrebbero comprate di nuove. Poi con il passare degli anni e nonostante le mille attenzioni di Tommy, l’usura ha avuto il sopravvento e siamo state sostituite da delle scarpe di ultima generazione, quelle che tutti vorrebbero avere. Nonostante ciò, il nostro giovane padrone non ci ha abbandonato,ci ha tenute con sé per affezione: siamo state le sue prime scarpe, quelle che ha desiderato tanto e che ha comprato con i suoi piccoli risparmi, quelle che gli hanno fatto muovere i suoi primi passi nel mondo. Carlotta Stoccoro 9
Disegno di Carlotta Stoccoro 10
BASTA ASPETTARE... Sono qui, ormai sola, dalla stagione passata. Tutte le mie compagne sono state scelte, prese, provate, approvate e portate via. L’unica che è rimasta qui con me è Betty. Lei non è come me, ha un colore diverso e qualche taglia in più. Perché a noi nessuno ci sceglie? Cosa abbiamo di sbagliato? Abbiamo qualcosa che non va? Nessuno ancora ci ha visto? Ho sentito dire che chi era qui dalla stagione passata veniva sostituito e non ho idea di dove sia finito... Betty mi rassicura. Dice sempre di non preoccuparmi, che prima o poi ce ne andremo da qui... Arrivano quelli nuovi e se ne vanno subito. Io sono qui da parecchio tempo e nessuno mi sceglie. ... Poi, non so quale santo abbia ascoltato le mie preghiere, vengo notata e portata via, come tutte le mie socie e i nuovi arrivati. Mi sento finalmente come tutti, piaccio alla gente e tutte le mie paranoie sono diventate semplicemente paranoie. Vado con la mia nuova amica a casa, sono felice, non so cosa mi aspetti, ma sono felice lo stesso. Mi prende, fa un sorriso e mi mette in un posto. Sono stretta, al buio, e con altri mille miei coetanei sconosciuti a me. Forse, dopotutto, stare dov’ero prima non era poi tanto male. Certo, ero sempre in un angolo, ma non ero al buio e comunque con me c’era Betty... Chissà dov’è... chissà se è ancora lì, o l’hanno scelta, o è stata sostituita... Intanto io sono sempre al solito posto. Ma, improvvisamente, mi tira fuori e mi indossa. Aspettava di indossarmi per qualche evento speciale. Perciò io di conseguenza sono speciale, e neanche lo sapevo. Giorgia Schiavone 11
UN ESSERE SCONOSCIUTO Sono andata alla ricerca di una gigantesca scatola che potesse darmi del cibo, me ne aveva parlato mio padre. Nel tragitto iniziai a vedere un’altra persona, così pensai di avvicinarmi per chiedere se avesse visto quella gigantesca scatola, ma vidi solo un essere che camminava a quattro zampe ricoperto di tessuto morbidoso. Sembrava amichevole e sembrava quasi essere in giro con il mio migliore amico. Andai lì per salutarlo e, come segno di gentilezza, mi abbassai per dargli un bacio, ma lui non me lo diede, anzi, incominciò a leccarmi e a ricoprirmi di un liquido appiccicoso. Pensai che magari fosse il suo modo per salutare. Aveva delle piccole orecchie, così alzai un po’ la voce, ma lui si spaventò e si mise dietro un cespuglio. Sembrava in cerca di aiuto, così gli chiesi con calma di cosa avesse bisogno, ma lui mi saltò addosso parlando una lingua sconosciuta, forse mai scoperta del nostro pianeta. Iniziò a dare segnali di amicizia e non so come ma lo chiamai cane, ovvero cucciolo, amico, nano ed euforico, quattro aggettivi che gli si addicevano. Mi sorse un dubbio però: forse era proprio lui l’amico di cui parlavano tutti... a lui dai tu il cibo e sei tu a prendertene cura... per l’uomo è un amico con cui in ogni senso si riesce a capire. Marta Redaelli 12
IL MOSTRO Dovevo correre come non avevo mai corso. Tutto era contro di me: il vento, il freddo, la stanchezza, il tempo. La fitta nebbia che mi circondava non mi permetteva di vedere bene e di conseguenza continuavo a inciampare e cadere, ma la paura che impregnava la mia mente mi permetteva di rialzarmi ogni volta... ma per quanto ancora? per quanto ancora sarei riuscito a correre? Ogni singolo rumore, ogni singolo fruscio d’erba mi faceva sobbalzare dalla paura. Perfino i miei stessi passi durante la corsa mi mettevano un senso di ansia e inquietudine. Sapevo di essere in pericolo, sapevo che ciò che stavo facendo era molto pericoloso e sapevo che se mi avesse preso mi avrebbe sventrato e che poi si sarebbe nutrito di me. La foresta era buia, sembrava quasi volermi avvolgere nella sua candida oscurità senza lasciarmi via di uscita, ma io ero forte e avevo con me la mia fedele spada, l’unica arma in grado di luccicare persino nell’inferno più nero. Ormai ero alle strette, non avevo più forze per correre. I muscoli delle gambe cominciavano a intorpidirsi e a cedere e lui era troppo veloce per via di quelle mostruose gambe lunghe. Non avevo scelta, dovevo combatterlo prima di essere troppo stanco per farlo. Mi fermai e mi voltai di scatto impugnando l’elsa della mia spada con entrambe le mani. Lo udii avvicinarsi a me, alla portata di un metro... tentai un ultimo atto, tra la speranza e la rassegnazione, utilizzai le ultime forze rimanenti per balzare in aria con un solo scatto. In quel momento sapevo che se il colpo non fosse andato a segno non avrei più avuto la forza sufficiente per correre via o semplicemente schivare il suo contrattacco. Mentre ero in aria non sentivo letteralmente più le gambe, ormai avevano perso sensibilità e anche i muscoli delle braccia erano allo stremo, avevo un solo colpo disponibile, ma ne ero certo... sarebbe stato quello vincente! Presi un gran respiro guardando con la coda dell’occhio la mia spada che rifletteva l’unica fievole luce data da uno spiraglio che sembrava 13
quasi voler far respirare la luna. Attaccai con tutta la mia forza. Dentro quel colpo che fendeva l’aria vi era anche tutta la mia speranza, la mia paura e la mia voglia di vedere sorgere un nuovo giorno... Ma di colpo, nel preciso istante nel quale la punta della mia lama impattò con la tempia del mostro... “Ahia Matteo, per poco non mi prendevi nell’occhio, ma ora ti ho preso, muhahaha...” ”No dai, papà, lasciami! Ti ho detto che i broccoli non li mangio!” “Dai su, ora metti a posto quel bastone che hai in mano e torna a tavola.” “Uff... va bene, ma la prossima volta ti sconfiggerò chiaro?!” “Su dai, da bravo, ora vai... piccolo ometto.” “Ti ho detto mille volte di non chiamarmi ometto… Uff, sempre a chiamarmi ometto, ma quando imparerete voi adulti poi cosa diavolo vuol dire?” Matteo entra in casa borbottando tra sé e sé. “Mhmm, chissà dove pensava di nascondersi in giardino… ma comunque ora sarà meglio mandarlo a letto, quel bambino ha un po’ troppa fantasia.” Francesco Ravastini 14
DIVERSI MA NON TROPPO La Nasa dopo varie ricerche scoprì un pianeta somigliante alla terra, su cui la vita è possibile. Data la quasi devastazione della terra causata dall’uomo, bisognava trovare un altro pianeta in cui trasferirsi, così una squadra di astronauti era pronta per dirigersi verso l’esplorazione di quel pianeta. La sua scoperta fu la più grandiosa mai fatta dai tempi della scoperta di tutti i segreti e le meraviglie della fisionomia delle scimmie e la loro somiglianza con la specie umana, che aveva poi utilizzato le scimmie come cavie per esperimenti o addirittura come schiave. Partita e atterrata su quel lontano pianeta, la squadra di astronauti rimase esterrefatta da ciò che aveva davanti agli occhi: un’enorme civiltà tale e quale a quella umana, con macchine, grattacieli e addirittura una base spaziale... Rimasti stupiti, gli astronauti decisero di addentrarsi nella città per poter capire da chi e come era stato creato tutto ciò. Ma proprio nel momento in cui arrivarono alle porte della metropoli, due enormi gorilla li catturarono e li portarono nel palazzo reale, dove il capo di quella monarchia li osservò e li fece imprigionare. Poi, come tutti gli altri esseri umani per loro ripugnanti, vennero resi schiavi e cavie della loro civiltà, così come gli umani avevano reso schiave le scimmie sulla terra. Eleonora Pometti 15
NATO SBAGLIATO Eravamo lì, come sempre, io e la mia famiglia, rinchiusi ormai dentro quei quattro vetri a guardare il tempo che ci passava davanti. Non si stava male, eravamo al caldo e con altri di noi, ma il desiderio di uscire e di vedere il mondo continuava a frullarmi nella testa. Papà diceva sempre che dovevamo rimanere lì, nascosti, che non dovevamo assolutamente interagire con il mondo esterno e con gli estranei. Lo ripeteva ogni giorno a me e alle mie sorelle. Che noia, pensavo, chissà che fine avevano fatto i miei amici che erano riusciti a uscire, la mia migliore amica Anna, mio zio e i miei cugini. Chissà. Mi mancavano tanto, volevo rivederli. Quel giorno sembrava passare come tutti gli altri, lento e noioso. A un certo punto però si aprì la porta di casa nostra e qualcosa di enorme mi afferrò e mi mise dentro uno spazio che non avevo mai visto. Mi accorsi subito che i miei genitori non c’erano, ero solo in mezzo a gente che non conoscevo. Provavo paura, sì, ma allo stesso tempo ero felice e pieno di adrenalina. Ero riuscito a uscire, finalmente. Urlavano tutti, non si capiva nulla e nessuno sapeva dove ci stessero portando. A un certo punto ci fermammo e vidi che ci trovavamo in una stanza buia, senza neanche una luce. Ci furono dei minuti di silenzio assoluto fino a quando una luce gigantesca si accese e una voce esterna iniziò a parlare. Aveva un tono alto. Tanto alto. Ero incantato, lo eravamo tutti e per un attimo fummo felici. A un tratto però quella cosa gigante prese un paio di noi e po’ alla volta ci prese tutti. Buio. Che ingiustizia, pensavo, che ingiustizia nascere pop-corn. Matilde Pellegrini 16
L’ASSALTO ALLE SENTINELLE Arrivato sul nuovo pianeta da conquistare, si era subito accorto che c’era qualcun altro oltre a lui: era il nemico da sconfiggere per impossessarsi di quella terra. L’aviazione aveva già fatto il suo dovere e ora mancava l’unico grande sforzo, lo scontro con i soldati di terra. Gli ordini dei superiori erano chiari: non accordarsi con il nemico armato, è troppo diverso da noi. Questa diversità era vista come segno di pericolosità del nostro avversario. Una razza intelligente della nostra galassia, ai nostri occhi mostruosa, che aveva preso possesso già di migliaia di pianeti, lasciando sentinelle a loro guardia. In una giornata fredda e grigia ne avvistai uno, strisciai verso di lui con la mia arma per cercare di avvicinarmi e rendere così il successo del mio tiro più sicuro. Iniziai a prendere la mira per eliminarlo, ma nel frattempo lui si accorse di me. Esitai un attimo perché pensai che forse non era giusto combatterci. Magari, anche solo da due semplici soldati che si scontrano poteva nascere un’intesa, e da qui anche un accordo di pace tra due razze completamente diverse... Questi pensieri e questi attimi però mi furono fatali, perché il nemico, alla mia vista, spaventato esplose un colpo verso di me: capii che tra i due ero io quello che non sarebbe più tornato a casa. Elisa Nitro 17
L’AMICO GATTO C’era una ragazza di nome Maria. Un giorno Maria arrivò a casa sua e vide una grande scatola. La aprì e vide un gatto che aveva corpo di uomo. Il gatto disse che veniva da un altro universo e che lui era un principe nel suo pianeta e che si chiamava Ota. Ota chiese a Maria se lei potesse aiutarlo a tornare sul suo pianeta. In cambio avrebbe esaudito tre suoi desideri. Maria non sapeva come aiutare Ota per farlo tornare a casa sua, ed era preoccupata per lui. Chiese al gatto se conosceva delle magie per aiutarlo tornare. Ota disse di sì, ma aggiunse che quando era arrivato sulla Terra aveva speso tante energie: le chiese allora di procurargli degli ingredienti che servivano per ricaricare la sua energia. Erano tre oggetti: del corallo rosso, un’orchidea e la piuma di un cigno nero. Maria ne prese due su tre, in un negozio. Pensò poi dove prendere la piuma di cigno nero. Andò nel parco e vide dei cigni, ma erano bianchi. Prese comunque qualche piuma trovata in terra e tornò a casa. Diede i tre oggetti al gatto e gli disse: “Non ho trovato le piume di cigno nero, ma solo bianche”. Ota le rispose: “Grazie comunque per il tuo aiuto, ma a causa della piuma bianca devo diminuire i tuoi desideri da tre a uno’’. Quando il gatto, ritrovata la sua energia, stava per andare via, chiese a Maria: “Il tuo desiderio?’’ Maria chiese al gatto una sola cosa: “Non dimenticarmi...” Aishabibi Naregeyeva 18
Disegno di Aishabibi Naregeyeva 19
IL LEONCINO Una mattina un leoncino si era svegliato nella savana. Mentre il sole tendeva a sorgere e la notte a calare, il leoncino cercando di non svegliare i suoi familiari iniziò a incamminarsi nell’immensa prateria. Camminò per molto tempo fino ad arrivare a una grande pozza d’acqua, alzò lo sguardo e vide una miriade di specie di animali. La sua famiglia lo raggiunse. Sua madre e suo padre erano molto arrabbiati all’idea che il proprio figlio si era avventurato da solo nella savana, perché era un luogo pericoloso per un cucciolo piccolo come lui. Il cucciolo si avvicinò alla pozza per bere... Ma si svegliò e capì che era stato solo un sogno e si ritrovò tra le sbarre dello zoo dove era stato portato da piccolo. Cesare Ariberto Maria Mignoli 20
IL PRATO Era ormai da un po’, da quando quel giorno quella forza ci aveva letteralmente spazzati via dal cibo che avevamo trovato, che continuavamo a vagare in quell’enorme prato rosso, alquanto insolito. Di prati ne avevo visti molti da quando viaggiavo con Giglio, ma nessuno così. Un prato molto alto. Tutti i filamenti erano più o meno della stessa altezza e ogni filamento sembrava fatto di più filetti attorcigliati fra loro. In più, questo prato era abitato da giganti. Io e Giglio quando siamo atterrati qui ci siamo fatti molto male, quindi l’unica opzione era camminare lentamente fino a trovare una via d’uscita. Stavamo facendo una pausa, quando sentimmo tremare il suolo. Uno dei giganti si stava avvicinando e d’un tratto si sentì gridare: “Tesoro, è da una settimana che continui a rimandare, ora prendi e vai fuori a sbatterlo!” Tutto iniziò a tremare ancora di più. Si stava avvicinando un gigante, ma ancora più grande e forse anche più vecchio, e all’improvviso era come se il prato su cui eravamo posati si staccasse dal suolo e dopo poco tutto iniziò a scuotersi. Io e Giglio ci aggrappammo forte ai filamenti, ma non ce la facevamo a resistere, quindi, aggrappati l’uno all’altro, saltammo giù. Non so perché o come mi sia venuta quell’idea, ma mentre stavamo cadendo, dissi a Giglio: “Sbatti le ali Giglio! Sbattile più forte che puoi!” Magicamente, nonostante i dolori e le ferite, insieme riuscimmo ad atterrare sani e salvi, ma stavolta su un prato verde e normale, di quelli che per noi sono la nostra vera casa. Iulia Maria Matei 21
L’INTRUSO Roger, come tutte le sere, è sdraiato sulla sua branda e fissa il soffitto con aria malinconica, ricordando la sua famiglia. Ormai sono passati più di cinque anni da quando è partito alla ricerca di nuovi pianeti, imbarcandosi su una navicella spaziale insieme ad altri volontari. Il loro obiettivo è quello di atterrare sui pianeti e studiare pacificamente le varie forme di vita. A un certo punto suona l’allarme intrusi: durante l’ultima esplorazione, qualcosa o qualcuno si è intrufolato nell’astronave. Roger si alza di scatto, prende un’arma per difendersi ed è pronto a entrare in azione. Conosce perfettamente la navicella. L’intruso potrebbe essere ovunque. Cerca in ogni stanza, ogni corridoio e ogni angolo della navicella, senza successo. L’intruso deve sicuramente trovarsi nella sala motori. Scende, è buio, molto buio; probabilmente l’essere ha manomesso le luci. Roger, con l’arma in mano, avanza. Si sente osservato, sente dei rumori ovunque ma non capisce da dove provengono. All’improvviso, davanti a lui ci sono due occhi grandi, gialli e luminosi che lo fissano. Quegli occhi minacciosi e misteriosi non smettono un secondo di fissarlo. Ha tanta paura, non sa cosa fare. L’essere si muove, va verso di lui. Roger è pietrificato dalla paura. Qualcuno accende le luci; dell’essere nessuna traccia. Come ha fatto a sparire così velocemente? Quali armi segrete possiede? Un suono terribile, un “miao” rimbomba in tutta la navicella... 22
La caccia è finita; circondato dai soldati che hanno sparato, giace un gigantesco e terribile essere con quattro zampe, una coda, artigli affilati, due orecchie appuntite e un compagno di Roger in bocca. Elisa Guntri Fotografia di Elisa Guntri 23
PRIMA DI CHIUDERE GLI OCCHI PER SEMPRE… Ero disteso lì, a terra, avevo molte ferite. Io, un possente cavallo, ammirato da molte creature, ora ero inseguito, non sapevo dove andare, non sapevo cosa fare. Volevano far di me carne da mangiare la sera. Loro: creature mai viste fino a oggi, sono sbarcate sul nostro territorio e hanno devastato il nostro mondo. Non era rimasto nulla. Solo fuoco. Volevano far di noi, piccole creature dall’anima buona, cibo per la sera: ci volevano uccidere. “Ma cosa abbiamo fatto per meritarci questo?!”, pensai mentre correvo. Io, inseguito da queste strane creature, a un certo punto mi sentii perforare l’anima da una freccia appuntita e dolorosa. Caddi a terra. Ero disteso lì, a terra, avevo molte ferite, ero spaventato, stavo morendo. Avevano vinto loro, io stavo diventando semplicemente un pezzo di nulla, ero solo cibo per loro. Non avevo mai visto una cosa del genere fino a oggi: si era scatenata una vera e propria guerra. Queste creature alte, su due zampe, molto cattive, se la stavano prendendo con noi, stavano infuocando il nostro mondo, ci stavano uccidendo! “Ma loro che cosa vogliono? Perché sono arrivati e ci hanno distrutto il mondo? Chi sono?”, pensai prima di chiudere gli occhi per sempre... Giada Granatino 24
IL GIRASOLE Era piccolo e tremante, come un ramoscello sotto il temporale a soffrire. Le sue foglie gocciolavano. I suoi petali dorati cadevano uno a uno strappati dalla grandine. Il fratello a fianco, in fin di vita, attendeva il suo destino. Mentre i soldati combattevano contro i nemici, i fiori sotto di loro venivano calpestati. La guerra continuava imperterrita. Sembrava un inferno, con mille esplosioni e caduti. Una raffica di vento portava via il fratello, lontano da lui, scomparso dalla sua visuale. Si sentiva solo, senza nessuno a fianco. Assisteva alla lotta dell’uomo. Il cielo al tramonto si tinse di rosso, liberandosi delle nuvole. Calò un silenzio irreale. Tutti si fermarono. Venne notte e il tenero girasole riuscì finalmente ad addormentarsi. Una luce lo svegliò, aprì gli occhi e vide tutto bianco, come il latte. Un girasole nel vuoto... come poteva essere possibile?!?! Davanti a lui appariva suo fratello che sembrava spaventato. Era tutto diverso, i colori cambiavano, si sentiva girare la testa e a un tratto si risvegliava e tornava normale. Il campo di girasoli con il mulino brillava nell’alba. L’aria era pulita e fresca. Gli uccellini cinguettavano e i bambini correvano felici. Accanto a lui la presenza del fratello in forma smagliante lo rassicurava. E, finalmente, un sospiro di sollievo. Laura Giovani 25
NOSTALGIA Sono stufo di questa vita. Tutti i giorni accadono le solite cose, o meglio, non accade nulla. Lui entra nella stanza, attacca lo spinotto della cassa al telefono e fa partire musica vecchia. Dopo pochi minuti di quella musica, inizia a ‘cantare’ e ‘ballare’ nella stanza. Più che cantare, urla credendosi un vincitore di San Remo, e per ‘ballare’ si intendono delle giravolte senza senso, ma lui sembra convinto di essere Roberto Bolle. Bah. A lui, di me e di tutti i miei simili appoggiati su questa sorta di alveare quadrato fatto di legno, non importa niente. Siamo abbandonati qui da anni, fermi e impolverati a osservare il letto della sua camera dalle pareti gialle. Se davvero preferisce mettersi sui libri a studiare o perdere tempo come fa a suo solito, non poteva lasciarci dove eravamo? Torna sempre tardi e nonostante ciò non ci degna nemmeno di uno sguardo. Eppure, quando ci aveva presi al negozio era così felice di tenerci tra le mani, di ottenere degli esseri carini come noi. Giocava con noi tutti i giorni, si divertiva a lanciarci e a riprenderci in mano per poi offrirci quei suoi calorosi abbracci. Ma la situazione a un certo punto è cambiata. Tornava sempre più tardi, fino a quando, dopo alcuni mesi, non siamo più stati presi in considerazione. Preferisce giocherellare con la sua tavoletta metallica su cui digita sempre qualcosa con le sue dita. Da anni non ci guarda nemmeno, noi esseri di pezza, così carini, con i nostri occhioni di vetro, alcuni diversi dagli altri. Molti di noi sono rappresentazioni di animali, solo uno è diverso, rappresenta un frutto. Ma anche se siamo così morbidi e coccolosi, a lui non gliene frega niente, siamo solo destinati a prendere la polvere su questi scaffali. Giorgia Edgecombe 26
Disegno di Giorgia Edgecombe 27
PER UN LITRO DI LATTE Era un giorno qualunque, uno come tanti altri. Il sole splendeva in alto nel cielo e con poca voglia mi stavo recando a comprare il latte per mia madre. Non era affatto giusto, i miei amici erano già al campo a giocare a calcio. Non era affatto giusto che la mamma dovesse chiederlo a me e non a mio fratello Giovanni, che era sul divano a non fare niente. La strada sembrava interminabile, anche se il negozio era distante solo qualche centinaio di metri da casa. Ricordo bene le parole di mia mamma: “Giorgio, stai attento, ricordati di guardare la strada prima di attraversare e, semmai ci fosse il semaforo dei pedoni rosso, aspetta che scatti il verde.” Non era affatto giusto perdere del tempo anche dietro a un semaforo, considerando che quel giorno c’era la finale del campionato scolastico di calcio. Indossavo già la divisa con la maglia numero 10 e non potevo perdere quella partita che aspettavo da un anno intero. Anche mio fratello Giovanni aveva vinto il campionato scolastico di calcio qualche anno prima e io non volevo esser da meno. Entrai nel negozio, presi immediatamente il latte e dopo aver pagato mi misi a correre verso casa. Nel tornare a casa fui attratto da un gruppo di persone che stavano intorno a una persona giacente a terra all’altezza del semaforo che poco prima avevo attraversato per andare al negozio. Incuriosito, mi avvicinai e mi accorsi che mia mamma era lì presente. “Ottimo”, esclamai, “in questo modo posso lasciarle il latte e correre subito al campo.” Porsi il latte a mia mamma, ma mi accorsi immediatamente che stava piangendo. Le chiesi: “Mamma, perché piangi? Per caso conoscevi quella persona?” Lei non mi rispose e in quel momento mi cadde il latte dalle mani. Il liquido si sparse a terra e vidi quel ragazzo che lì giaceva. Mi accorsi che era in divisa anche lui e come me aveva la maglia numero 10. 28
Sembrava uguale alla mia, ma non era possibile, perché di numero 10 in una squadra ce n’è uno solo. Gli spostai con la mia mano il ciuffo che gli copriva la faccia e solo in quel momento capii il motivo per cui mia mamma piangeva. Ero proprio io, giacevo a terra. Non era affatto giusto perdere la vita, perdere la finale del campionato scolastico semplicemente perché avevo attraversato la strada con il rosso. Gabriele Durante 29
LO SPECCHIO INNAMORATO Un viavai di gente questa mattina, forse nessuno è riuscito a dormire bene, proprio come me. Ci pensavo già da ieri sera. Ogni tanto passava la piccola di casa, di ritorno dalla sua consueta passeggiata. Stanca e accaldata, si stiracchiava, facendo i suoi consueti esercizi di stretching e rimirandosi mi faceva le linguacce: “Ma che occhiaie che ho! e che capelli spettinati... se mi facessi una treccia, riuscirei a contenere questi riccioli ribelli!”, e tornava a farmi le linguacce. Sinceramente avrei voluto dirglielo che mi stava dando un po’ fastidio, ma forse potevo aspettare ancora, tanto a cosa sarebbe servito? Lei sarebbe tornata e avrebbe continuato. Io, in fondo, sono da tutta la vita paziente. Il sole è spuntato presto oggi, siamo già quasi in primavera, mi sento leggermente opaco, ho bisogno di rinfrescarmi con il suo sorriso. Oggi non ho ancora visto il suo viso, forse non ha voglia di salutarmi, ma no, forse dovrò ancora aspettare. Un saluto frettoloso lo fa l’uomo bruno, talmente alto che per guardarmi si deve chinare parecchio, poiché credo di non essere alla sua altezza, però con me è sempre stato gentile, accomodante, a volte mi ha fatto qualche frettolosa carezza, alla quale io ho sorriso fra me. Lo guardo mentre si prepara la colazione, troppo presto persino per me che non dormo mai e poi lo guardo ancora mentre apre l’uscio di casa, lanciandomi ancora una volta uno sguardo distratto, perso nei suoi pensieri. Vorrei aiutarlo, ma i miei pensieri vanno sempre e solo a lei, che mi riempie il cuore di gioia, mi sta vicina tante ore al giorno e mi coccola con i suoi sorrisi. La porta del bagno si apre lentamente, mentre esce la donna. In testa porta un asciugamano legato a mo’ di turbante, la faccia gocciolante... capisco che è appena uscita dalla doccia e che, come sempre, ha fretta di sbrigare tutte le sue mille occupazioni. Sicuramente andrà in cucina, lo so, la sto guardando dal riflesso di fronte a me che tante volte mi permette di vedere tutto quello che da solo non riesco a scorgere. Spero 30
solo che non si fermi a salutarmi proprio adesso, ho un po’ paura, perché so già cosa mi aspetta. Infatti, non ho fatto nemmeno in tempo a formulare il pensiero, che la donna si avvicina e si allontana. Penso che sia un suo gioco, lo fa ogni volta che mi vede e non ho ancora saputo spiegarmi il motivo. Torna ancora ad avvicinarsi e sgrana gli occhi, pulendosi quelle narici che sono costretto a osservare ogni santo giorno e toccandosi gli occhi e la fronte, come a farsi un massaggio per alleviare la tensione che credo già senta. Mi fa vedere anche le braccia, le tira su, le tira giù, la sua ginnastica veloce ormai la conosco a memoria, ma sono costretto a rivederla, poi ha anche il coraggio di girarsi e darmi le spalle, per poi tornare a guardarmi velocemente. Ecco, adesso mi lascerà in questo stato, con mille goccioline. Sto sudando copiosamente, ma che importa, di certo la donna non si occuperà di me finché non avrà finito quello che ha da fare. Ricordo che a volte sono stato costretto a sbrigarmela da solo, e ci ho messo parecchio tempo a tornare limpido e pulito, poi forse la donna ripassava e mi accarezzava con un panno e quel profumo di lavanda mi riempiva le narici. Ma, a pensarci bene, preferisco sbrigarmela da solo!!! Mentre questi tristi pensieri si accavallano nella mia mente, ecco, sto udendo la sua bellissima voce, ancora prima di vederla. Credo che il mio povero cuore vada in mille pezzi, ecco il suo luminoso sorriso: “Buongiorno bellezza, come siamo belli oggi, che bel sorriso che hai”, ecco quella sua voce, me la porterò dietro per tutta la giornata. Anche oggi si sofferma a lungo, prende una sedia e la pone accanto a sé, prende i suoi trucchi dalla borsetta e mi lancia uno sguardo ammaliatore, mi manda un bacio a fior di labbra. Sono confuso, disorientato, non riesco a connettere, sono molto emozionato, mentre lei continua imperterrita a ritoccarsi il viso, che già di per sé è bellissimo. La osservo come ogni giorno, felice e spensierato come solo un cuore innamorato può essere, lei e il suo splendido sorriso rimangono con me parecchie ore al giorno: anche quando si allontana, io continuo a rivederla nei ricordi. Mi tocca il viso, mi accarezza lentamente e ripete le sue belle parole: “Come siamo belli questa mattina”. E mi racconta della sua serata di ieri sera. 31
Non mi stanco mai di ascoltarla. A volte si distrae, perché la donna in cucina la chiama, ma poi torna a farmi l’occhiolino e riprende il suo monologo e io, rapito, la ascolterei all’infinito. Ma oggi, ora che la osservo bene, forse vedo uno sguardo un po’ triste. Vorrei poterla consolare e invece mi accontento delle sue smorfie birichine, so che presto si allontanerà, già è passato un po’ di tempo, anche se a me sembrano solo secondi. Lanciandomi un’ultima occhiata di sfuggita, mi manda un bacio con la mano e si allontana, richiamata dalla voce della donna in cucina. E all’improvviso e in silenzio, mi lasciano da solo. E io aspetto, con il cuore in mille pezzi... Miriam Di Natale 32
IN SCENA Luci, ombre. Ecco cosa vedeva. Eppure i suoi genitori si erano raccomandati, a lei e alle sue sorelle, di non andare mai troppo in superficie. Era pericoloso, potevano essere catturate da quegli strani rottami di ferro. Sua madre le raccontava da sempre mitiche storie su cosa si potesse trovare sulla meraviglia, ovvero il mondo esattamente opposto al suo. Sua nonna un giorno le raccontò cosa facevano gli “esseri” alla loro razza una volta catturato un esemplare, come il rinchiuderlo e farci strani giochi di intrattenimento. Nonostante queste raccomandazioni, lei volle comunque vedere la meraviglia che la affascinava tanto. Provò ad arrivare in superficie avvicinandosi così a quel mondo fantastico e pieno di luci, ma si impigliò in una rete, quella dei rottami con cui venne catturata. Così venne trovata da uno degli esseri e da quel momento una serie di trasporti tra altri rottami di ferro più piccoli la portarono fino a lì. Si svegliò e vide luci, ombre nere e percepì molta gioia nei confronti di chi la guardava. Voleva scappare, ma era rinchiusa in una vasca, piena d’acqua. Si girò in cerca d’aiuto, ma l’unica cosa che vide erano altri, altri come lei, rinchiusi in vasche e con aria triste. Alzò lo sguardo e vide una platea, piena di quegli strani esseri con due gambe e due braccia che la guardavano indicandola stupiti. Proveniente dalla platea si sentì una voce: “Benvenuti a tutti, ecco a voi lo spettacolo che tutti vogliono vedere, ecco a voi Kala il delfino”. Non sapeva cosa fare, si aprì il cancello di fronte a lei che l’avrebbe proiettata in una vasca più grande davanti al pubblico. Conta fino a tre... uno, due, tre e poi... in scena! Adele Diamante Colombo 33
Elaborazione grafica di Adele Diamante Colombo 34
IL FIORE ROSSO Eccomi, io abito qui con mia mamma, mio padre e tutti i miei parenti. Abitiamo tutti vicini e in famiglia siamo davvero tantissimi. La comunità in cui vivo si estende per chilometri e chilometri. Questo clima a me piace definirlo tropicale: di giorno fa molto caldo e c’è molta umidità, invece di notte la temperatura si abbassa un po’. Le giornate qui sono piene di pace e tranquillità, però è da un po’ di giorni che sentiamo strani rumori e non riusciamo a capire che cosa sia. I miei genitori sono molto allarmati perché i miei nonni hanno raccontato loro di una strana sagoma rossa che devasta tutto. Oggi mi sono svegliato e ho sentito i vicini urlare. L’aria è nera, fatico a respirare... C’è odore di morte. Appena riesco a riaprire gli occhi, vedo mia mamma sdraiata per terra: non ha più neanche una foglia e il tronco è tutto nero. Capisco che da qui a poco quella minacciosa sagoma di diverse forme ridurrà così anche me. Leonardo Cazzaniga 35
Disegno di Leonardo Cazzaniga 36
UN PO’ DA SOLO Ultimamente, sempre più spesso, vedevo questa sorta di aereo che fluttuava sopra di noi; si spostava poco, al massimo di qualche metro, ma per la maggior parte del tempo se ne stava lì, fermo immobile. Chiesi un po’ di volte alla mamma cosa fosse: lei stava sempre sul vago, si vedeva che non mi voleva rispondere. Un giorno stavo andando a prendere Lara, come ogni mattina, per andare insieme a scuola. Lara si fermò un secondo e disse: “Scusami ho troppa fame”. Poi scosse la testa, mi indicò qualcosa di piccolo e disse: “Fa proprio al caso mio”. Io annuii. La vidi allontanarsi e arrivare vicino a quella sorta di puntino, proprio sotto l’aereo. Si mosse un po’ ma poi smise di farlo. Allora io urlai: “Dai, Lara, muoviti che arriviamo tardi a scuola!”. Nessuna risposta. Decisi di andare più vicino. Vedendola muoversi pensai: “Finalmente Lara si muove ma... Perché sta andando verso l’alto?” Poi arrivai così vicino da capire una cosa: gli occhi di Lara erano spenti, senza vita... era stata presa da una sorta di uncino e tirata su verso l’aereo. Ero sconcertato, non avevo ancora elaborato quello che era appena accaduto quando vidi mia madre corrermi incontro e dire: “Dobbiamo andarcene, non ho tempo di spiegarti, papà ci viene incontro”. Detto questo mi prese la mano e ci affrettammo ad andarcene. Mi girai, senza fermarmi. Stavano venendo verso di noi, vedevo i miei amici, i miei parenti, i miei conoscenti: ”Perché stanno venendo tutti verso di noi?” Mi guardai intorno, c’era qualcosa dietro di loro che li spingeva, una rete. Fu un attimo: io e mia madre fummo travolti, non riuscivo respirare, mi uscì un debole: “Mamma…”. Poi, il buio più totale. Mi risvegliai, ero da solo. Guardai sotto di me. Solo caos, non riuscivo più a riconoscere la mia bellissima città, la mia casa, le altre, non c’era nessun edificio intatto, o 37
almeno riconoscibile. Rimanevo solo io, con qualche graffio, ma comunque ero io. Da solo, nell’oceano, però, cosa mi restava da fare? Rebecca Brambilla 38
NON LO POTRÒ MAI CAPIRE Improvvisamente arrivarono loro. Così, di soprassalto, si avvicinarono a noi e ci catturarono, uno dopo l’altro. Eravamo spaventati: alcuni di noi riuscirono a scappare, compreso me, però essi riuscirono a prendere alcuni dei nostri bambini. Io non capivo, non capivo come si potesse arrivare a uccidere solo per ricavare dalla nostra pelle inutili borsette o scarpe, oppure altri oggetti di decoro. Riuscii a scappare, però quando vidi tutti i miei compagni venire catturati mi arrivò un senso di coraggio. Arrivai vicino a uno di loro, gli presi la gamba e riuscii a liberare due miei amici… però venni catturato. Pensai. Pensai a come un essere può diventare così malvagio e senza cuore. La cosa più brutta è che non succedeva soltanto a noi coccodrilli, ma anche ad altri animali come elefanti o animali da pelliccia. Io non capisco e, purtroppo, non lo potrò mai capire. Tommaso Brambilla 39
IL GIUDIZIO Ero sotto il fuoco incrociato della fanteria. I colpi di mortaio e di artiglieria rimbombavano fendendo l’aria per poi scoppiare frammentandosi. Però sarebbe meglio cominciare dall’inizio... Ero in cerca dell’arma che avrebbe posto fine alla guerra, ormai durata vent’anni. Giravano molte voci sul dove si potesse trovare, le più attendibili riguardavano un’isola lontana... Erano passate già due settimane da quando mi ero imbarcato per trovarla ed erano due giorni che non c’era altro che oceano intorno a me, finché a un tratto la corrente mi spinse sempre di più velocemente. Sentivo il rumore di cascate. Calai l’ancora per fermarmi e il contraccolpo mi scaraventò su una spiaggia di sabbia nera sulla quale vi erano delle impronte che si dirigevano verso delle vecchie fortificazioni. All’interno delle mura c’era un piccolo villaggio con un’armeria, sei o sette case e una piccola piazza. Mi mossi per entrare nell’armeria quando un fischio assordante, un’esplosione di luce e fiamme si diresse verso il villaggio non colpendomi per poco. Una volta uscito vidi che vi erano cannoni di artiglieria e mortai a perdita d’occhio. Al centro della conformazione vi era una nave con sopra un colosso (unità armata e corazzata pesantemente) con in mano un cannone a ioni. Il suo sguardo parlava da solo, sicuramente non era un alleato. Scese dalla barca con un balzo e con il cannone carico puntato contro di me. Presi frettolosamente in mano il fucile: stavo per sparare ma, ad un tratto, ci furono una luce e un boato. Davanti a me lentamente apparve un essere demoniaco che sembrava stesse giudicando. Mosse la sua coda aprendo un buco nel pavimento, dove sono caduto. Una volta atterrato mi trovai in un posto umido e caldo come una palude. Nell’acqua si poteva notare, specchiata, la mia figura, con un buco di dieci centimetri di diametro nel lato sinistro del mio petto. Federico Boscherini 40
Disegno di Federico Boscherini 41
TEMPESTA DI NEVE Quella mattina gelida e oscura la città era completamente deserta. Era tutta circondata da un’enorme e spaventosa tempesta di neve. Questa volta, però, toccava proprio a me. Ero davvero io quel piccolo essere che la mattina è dovuto uscire a prendere del cibo per sfamare la sua povera famiglia. Uscita di casa ero impaurita e infreddolita anche se avevo indosso il regalo di mia mamma, una meravigliosa pelliccia bianca. Ma questa non bastava per proteggermi dal freddo. Non si vedeva nulla, era tutto scuro. A un certo punto cominciai a intravedere una piccola macchia nera che si avvicinava lentamente e si mischiava con la tempesta. Dal freddo e dalla paura mi accovacciai sulla gelida neve. Non sapevo più cosa fare, non riuscivo più a muovermi, allora rimasi ferma lì e aspettai. La macchia era sempre più vicina a me e a un certo punto vidi un bambino, con un piccolo giubbino nero e con del pelo sul cappuccio, che camminava a piccoli passi e dopo poco cadeva a terra. Arrivato vicino a me si sedette e mi abbracciò. Io non sapevo cosa fare perché mia mamma e mio papà avevano detto, a me e ai miei fratelli, che gli umani, anche se hanno paura di noi, sono pericolosi. Rimasi ferma, immobile, ma il bambino non si staccava, non aveva per niente paura di me. Siamo rimasti lì insieme e abbiamo aspettato la fine di quella maledetta tempesta di neve. Aurora Balconi 42
LA SENTINELLA Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo ed era lontano cinquantamila anni-luce da casa. Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità, doppia di quella cui era abituato, faceva d’ogni movimento una agonia di fatica. Ma dopo decine di migliaia d’anni quest’angolo di guerra non era cambiato. Era comodo per quelli dell'aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arrivava al dunque, toccava ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo. Come questo fottuto pianeta di una stella mai sentita nominare, finché non ce lo avevano sbarcato. E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico. Il nemico, l’unica altra razza intelligente della Galassia… crudeli, schifosi, ripugnanti mostri. Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della Galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata la guerra, subito; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica. E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie. Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo, e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano d’infiltrarsi e ogni avamposto era vitale. Stava all’erta, il fucile pronto. Lontano cinquantamila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle. E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più. Il verso e la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti, col passare del tempo, s’erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no. 43
Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante, e senza squame. Fredric Brown (in L’ora di fantascienza, a cura di C. Fruttero, F. Lucentini, Einaudi, Torino 1982) 44
Antefatto L’immaginazione è una funzione dell’esperienza Gianni Rodari Osservare l’altro, l’alieno, il nemico. Il mostro. E scoprire che l’altro altri non è che Io. “Je est un autre”, “Io è un altro” scriveva Arthur Rimbaud. Chi è davvero, allora, il mostro? La Sentinella (The Sentry, 1954) è un racconto dello statunitense Fredric Brown assurto a classico della fantascienza e della novellistica breve in genere, presente oggi nella maggior parte delle antologie scolastiche di ogni ordine e grado. A cosa è dovuta tanta fortuna? Il racconto di Brown induce il lettore a identificarsi inconsapevolmente con un punto di vista inatteso, estraneo, alieno. Quello di The Sentry è un esercizio di straniamento che ci costringe a mettere in crisi i nostri pregiudizi, un ribaltamento prospettico che ci porta a scrostare i nostri sedimenti percettivi. The Sentry genera uno shock che, se inizialmente può instupidire, poi, dopo che l’intuizione ha rimestato nella nostra mente con il suo rapido lavorio, genera stupore, quello stesso stupore da cui nasce ogni sguardo autentico e rinnovato sul mondo, quello stupore da cui sgorga ogni forma di immaginazione in grado di agire sulla realtà... Quella che avete tra le mani è una raccolta di racconti scritti dagli alunni della classe IR del Liceo Artistico Albert Einstein di Vimercate all’interno di un percorso didattico e formativo di avvicinamento al testo narrativo svoltosi nell’accidentato anno scolastico 2019-20. Una raccolta di racconti nati dall’incontro (ma verrebbe da dire dallo scontro) con il testo di Fredric Brown e con lo studio delle tecniche narrative a esso sottese. Inoltre, alcuni studenti hanno generosamente messo a disposizione il loro talento artistico per illustrare la raccolta e le proprie novelle. 45
Le tecniche della narrazione, della letteratura e dell’arte sanno essere utili, necessarie e belle solo se funzionali a esprimere e arricchire contenuti vivi, intensi e veri, solo se sanno metterci a contatto con l’unica “materia” che la scuola, la vita e l’arte, in fondo, insegnano: la realtà. Realtà di cui è parte integrante, ci piaccia o no, il nostro punto di vista sul reale e la nostra coscienza. Scrivere (e leggere, e fare arte, e discutere il proprio punto di vista sul mondo...) è allora un modo privilegiato per amplificare la nostra coscienza della realtà, nel suo senso più ampio e pieno. Se poi quest’atto avviene dopo aver patito un ribaltamento di prospettiva, dopo aver messo in crisi le basi solo apparentemente solide su cui affondano le nostre certezze sull’io, allora abbiamo fatto un piccolo passo verso la libertà. Dopo avervi augurato buona lettura, chiudo come Gianni Rodari chiudeva l’Antefatto della sua Grammatica della Fantasia: «“Tutti gli usi della parola a tutti” mi sembra un bel motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo». Prof. Giuseppe Imperatore 46
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